Mio figlio presenta disturbi nell'area della NEURO e PSICOMOTRICITÀ - Che cosa devo fare?

Disturbo di coordinazione motoria (DCD) o Disprassia?

  1. Definizione di DCD
  2. Evoluzione del concetto di DCD
  3. Criteri diagnostici
  4. Eziopatogenesi
  5. Tipologie di disprassia
  6. Segnali ed indicatori di rischio
  7. Neurofisiologia del movimento: basi anatomo-funzionali
  8. Metodi di valutazione
  9. Metodi di trattamento

INDICE PRINCIPALE

INDICE

Definizione

La disprassia è la difficoltà a rappresentarsi, programmare ed eseguire atti motori in serie, finalizzati ad un preciso scopo ed obiettivo 1.

Il termine “disprassia” è oggi oggetto di discussione perché non è chiaro quali competenze siano da attribuire alla funzione motoria e quali alle abilità prassiche.

Attualmente, il termine maggiormente utilizzato è Disturbo dello Sviluppo della Coordinazione (Developmental Coordination Disorder, DCD), introdotto inizialmente dall’American Psychiatric Association (APA, 1994), e inteso in relazione a difficoltà di coordinazione generale del movimento, impostosi nel tentativo di superare la confusione terminologica. Include, nella traduzione italiana, anche il concetto di disprassia perché il termine “coordinazione” implica la presenza di funzioni esecutive (FE) e di “atti motori” prassici; dunque, “disprassia” è considerato sinonimo del disturbo di coordinazione motoria (DCD).

Secondo la dott.ssa Sabbadini, il termine disprassia, va definito in relazione al concetto di prassia: la “prassia è una funzione cognitiva adattiva e si sviluppa attraverso l’interazione e l’integrazione di più sistemi: cognitivo e metacognitivo, socio-ambientale, emotivo, percettivo, motorio” 2 tenendo conto dell’importanza dell’attivazione dei processi di controllo.

Il prefisso “dis” sta a indicare qualcosa che in ambito evolutivo non ha raggiunto l’adeguata funzionalità ovvero una funzione disturbata o deficitaria.3

Il termine “disprassia”, dunque, va inteso come disturbo nell’esecuzione di un’azione intenzionale, per attuazione di strategie povere e stereotipate, e va distinto dal disturbo del movimento.

La psicologa ritiene che, essendo il disturbo di coordinazione motoria e la disprassia due cose distinte, sia importante evidenziare la linea sottile che li divide nella clinica, ma soprattutto in riabilitazione. Tale affermazione prende come assunto che:

  • Gli schemi di movimento vanno considerati come il risultato dell'attivazione di un limitato distretto muscolare che produce lo spostamento nello spazio (movimento semplice);
  • La coordinazione motoria include più movimenti semplici eseguiti in modo fluido, sinergico;
  • Le abilità prassiche sono atti motori per cui è necessario programmare intere sequenze, coordinandone i singoli scopi in più azioni complesse contraddistinte da uno scopo finale sovraordinato.

Per comprendere meglio il significato implicito del termine verranno di seguito analizzate ambedue le definizioni: Disturbo di Coordinazione Motoria e Disprassia.

Il DCD (Developmental Coordination Desorder) è un “disordine neurobiologico complesso caratterizzato da deficit neuropsicologici in termini di immaginazione motoria, pianificazione, programmazione ed esecuzione di un atto motorio”4.

Nel DSM-V fa parte dei disordini motori minori e include disturbi grosso- motori (passaggi posturali, stazione eretta, deambulazione, dinamica, tono muscolare), fine-motori (approccio all’oggetto, prensione, manipolazione, prassie, utilizzo funzionale dell’oggetto, grafismo e prattognosie) e sensoriali (a livello visivo: fissazione ed inseguimento, uditivo e tattile). Le funzioni motorie risultano dunque correlate a quelle cognitive rappresentate dalle abilità sottostanti di organizzazione ed esecuzione del movimento riconducibili alle funzioni esecutive (FE).

I bambini con disturbo della coordinazione motoria presentano un’intelligenza nella norma e un disturbo della capacità di controllo ed esecuzione del movimento finalizzato o meno all’uso di oggetti, senza evidenti patologie neurologiche.

Il bambino con DCD è un bambino goffo con movimenti poco precisi e lenti, spesso ha difficoltà di integrazione (per esempio dei 2 emilati), difficoltà grafo-motorie, di motricità fine (coordinazione bi-manuale), di dissociazione dei movimenti, di equilibrio e percettivi. Questi bambini hanno difficoltà nel regolare la velocità o l’intensità tonica con una buona distribuzione della forza muscolare.5

Il disturbo di coordinazione motoria si caratterizza, dunque, del fatto che le prestazioni quotidiane che richiedono coordinazione motoria sono inferiori rispetto a quanto previsto dall’età cronologica del soggetto e dalla valutazione psicometrica della sua intelligenza.

Nell’ICD-10 (F82 - Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria), si afferma che “la caratteristica principale di questo disturbo è una grave compromissione dello sviluppo della coordinazione motoria, che non è spiegabile in termini di disabilità intellettiva generale o di qualsiasi disordine neurologico specifico, congenito o acquisito” e che nella maggior parte dei casi, tuttavia, un attento esame clinico mostra segni di immaturità dello sviluppo neurologico, quali: movimenti coreiformi degli arti, movimenti a specchio e altre caratteristiche motorie associate, nonché segni di compromissione della motricità grossolana e fine.

La definizione, dunque, esclude anomalie della mobilità e della deambulazione e compromissione motoria secondaria a ritardo mentale o associata ad altri disturbi medici e psicosociali ma considera che le comorbidità associate al DCD possano interferire con le performance motorie e con i test standardizzati, nonché con le attività della vita quotidiana.

La Disprassia Evolutiva è un disturbo congenito o acquisito precocemente che, pur non alterando nella sua globalità lo sviluppo motorio, comporta difficoltà nella gestione dei movimenti comunemente utilizzati nelle attività quotidiane (ad es. vestirsi, svestirsi, allacciare le scarpe) e nel compiere gesti espressivi; risultano acquisite determinate funzioni ma realizzate con strategie inefficienti. Inoltre, è deficitaria la capacità di compiere sia gesti intransitivi (gesti simbolici, senza l’ausilio dell’oggetto) che transitivi (uso finalizzato degli oggetti). Nella maggior parte dei casi la difficoltà gestuale è correlata alla difficoltà di separare adeguatamente le dita delle mani perché l’ipotonia degli arti superiori risulta particolarmente marcata rispetto all’ipotonia generalizzata o degli arti inferiori.

I soggetti colpiti non riescono a compiere movimenti intenzionali in sequenza pianificando e conseguendo un’azione secondo degli obiettivi prestabiliti ma, per l’appunto, hanno necessità di pensare alla pianificazione di quei movimenti incapaci di automatizzare. Questa difficoltà può interessare la capacità motoria nella sua interezza o limitatamente ad alcuni ambiti.

Il bambino disprattico, in generale, si muove in maniera poco agile, riscontra difficoltà nella coordinazione bimanuale e nella coordinazione dei movimenti di braccia e gambe; cade e/o inciampa frequentemente; non è in grado di andare in bicicletta o impara in ritardo ad utilizzarla; presenta difficoltà grafo-motorie, nel disegno e di prensione dello strumento; risultano deficitarie anche le prassie bimanuali quali, ad esempio, il ritaglio con le forbici; ha un’attenzione labile e una forte distraibilità associata ad instabilità posturale e motoria; ha difficoltà nell’organizzazione di giochi da fare seduto che richiedano anche la partecipazione di abilità di motricità fine e/o coordinazione oculo-manuale; il gioco risulta povero e ripetitivo; il linguaggio fatica a decollare; risultano compromesse anche le abilità richieste nelle attività quotidiane quali, ad esempio, vestirsi e, se ci riesce, l’azione viene eseguita in modo maldestro o con estrema lentezza.

La velocità di esecuzione rappresenta una variabile fondamentale nel disturbo disprattico; la lentezza esecutiva va considerata strettamente correlata al deficit di sequenzialità.6

In particolare, nel bambino disprattico, si possono osservare difficoltà in:

  • programmazione e pianificazione di movimenti in relazione ad uno scopo
  • capacità di prevedere un dato risultato
  • attività di feed-back delle singole sequenze e dell’attività complessiva nel corso dell’azione
  • attività di feed-forward, la rappresentazione mentale dell’attività e la pianificazione delle sequenze atte alla realizzazione dell’azione
  • attività di feed-back a posteriori, la verifica del risultato

È un disturbo ad alto livello di integrazione percettivo-motoria e concettuale, per cui spesso, all’aspetto motorio, sono associati disturbi percettivi e visuo-spaziali, difficoltà di tipo spazio-temporale, problemi di attenzione, di comportamento e di apprendimento e alterazione dello schema corporeo e della lateralità.

Inoltre, i bambini disprattici risultano molto sensibili al tatto, alla luce, ai rumori intensi e spesso presentano difficoltà alimentari (risultano essere molto selettivi)7.

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Evoluzione del concetto di DCD

È stato possibile individuare da diverse fonti un'evoluzione, nel corso degli anni, del concetto di disprassia.

La sindrome è stata descritta per la prima volta da Duprè (1907) che l'ha chiamata "Debilitè Motrice" e da Liepmann che separa le alterazioni motorie da lui descritte da quelle più evidenti come paralisi, atassie, disturbi del tono e la definisce come "incapacità di realizzare movimenti conformi allo scopo".

Viene in seguito studiata da Collin (1914), ma meglio definita da Wallon (1925) che ne ha attribuito la genesi ad una disfunzione del sistema piramidale e l’ha denominata Sindrome cortico-proiettiva.

In seguito, la sindrome è stata studiata anche da molti altri autori. Orton (1937) identifica la goffaggine in età evolutiva come uno dei più comuni disordini dello sviluppo; riconosce inoltre differenti tipologie nell'ambito dei disturbi motori e sottolinea che esistono diversi tipi di disordini motori in età evolutiva.

Ajuriaguerra (1960-1970) descrive la disprassia come difficoltà nella combinazione dell'insieme dei gesti e degli atteggiamenti che esige l'azione e che il soggetto si propone di eseguire. Ciò che manca è la prefigurazione dell'atto nello svolgimento spaziale e temporale: lo spazio proprio e quello esterno non coincidono e, inoltre, lo spazio è così turbato da costituire tra le parti del corpo confusioni tali che il movimento prodotto dal bambino interessa sia il corpo nella sua totalità sia una parte qualunque di esso.

Gubbay (1975-1985) osservò nelle sue ricerche che i bambini goffi non sono soltanto maldestri, ma manifestano altre carenze: alcuni presentano disturbi del linguaggio, molti non sanno scrivere e, soprattutto non sanno disegnare. Tutti sono intelligenti: il loro QI globale è alto, ma vi è una differenza significativa tra il QI verbale e il QI di performance, a favore del primo; questa differenza viene ritenuta una caratteristica costante nei casi da lui studiati. Nella sua ricerca definisce dunque la disprassia in età evolutiva seguendo un approccio audiometrico ed enfatizzando il deficit dei movimenti volontari in assenza di deficit sensoriali, motori o cognitivi. Questa definizione ha trovato e trova difficoltà ad essere applicata in quanto da molti clinici è stata sottolineata la comorbidità con disturbi dell'attenzione e iperattività, oltre a disturbi di apprendimento e di linguaggio.

Ayres (1972), sottolineando in alcuni studi la stretta dipendenza tra sviluppo motorio e percettivo, mette in luce problemi percettivi e sensoriali, soprattutto negli aspetti visivi e tattili, interpretandoli come possibile componente eziologica della sindrome. In tal senso la disprassia viene intesa come disordine d'integrazione sensoriale, che interferisce con l'abilità a pianificare, programmare ed eseguire compiti motori, soprattutto se inusuali, in maniera abile. Un disturbo nella trasmissione degli input sensoriali a livello tattile e cinestesico potrebbe determinare un'evoluzione atipica degli schemi motori (disprassia). Questi aspetti sono stati riconsiderati in una ricerca successiva da altri autori che hanno soprattutto tenuto conto di deficit di processazione degli input visivi e, in seguito, da altri che hanno poi confermato un deficit di percezione visuo-spaziale nei bambini goffi.

Cermak (1985) definisce la disprassia in età evolutiva come "Motor Weakness" o " Psychomotor Syndrome", e ritiene possa essere un probabile esito di problemi prenatali, perinatali o postnatali; sottolinea, inoltre, che in molti bambini disprattici sono presenti deficit nell'ambito percettivo motorio.

Denckla (1984) afferma che la goffaggine, evidente nei primi anni di vita, può avere notevole valore predittivo circa la comparsa di disturbo dell'apprendimento in età scolare. Altri autori (Henderson, Hall, Miller) hanno voluto inserire la disprassia evolutiva entro parametri, qualitativi e quantitativi, più definiti, limitandosi sempre al disturbo motorio e al deficit esecutivo. In questi lavori sono descritte alcune caratteristiche tipiche della sindrome, quali ad esempio: difficoltà nella coordinazione motoria generale, difficoltà nella coordinazione motoria fine e nelle capacità costruttive e grafomotorie, difficoltà nell'acquisizione di abilità riferite alla vita quotidiana, ritardo nella stabilizzazione della dominanza manuale, difficoltà nello schema corporeo, disorientamento temporo-spaziale, QI di performance più basso del QI verbale, deficit in ambito neuropsicologico (nei processi di controllo, nelle funzioni mestiche, attentive e rappresentative), difficoltà sul piano emotivo-comportamentale.

Denckla e Roetgen (1992), per dare una definizione di disprassia in età evolutiva, scelgono la definizione di prassia, intesa come le abilità nell'esecuzione del gesto. L'analisi dei gesti, ovvero delle capacità di compiere gesti significativi e non significativi, oltre all'analisi delle sequenze dei gesti rappresenta una particolare area d'interesse per questi autori che tentano in questo senso una loro definizione di disprassia dell'età evolutiva, come un disturbo che può includere sia gesti rappresentazionali (relativi ad atti significativi), che gesti non rappresentazionali (relativi cioè ad atti non significativi). Dewey (1995) afferma che in bambini in cui possono risultare intatte le abilità motorie di base ci possono essere diversi tipi di deficit delle abilità gestuali (difficoltà nei gesti rappresentazionali e non) ed anche nella sequenza di gesti, giungendo a definire la disprassia in età evolutiva come disordine della gestualità.

Gagliardi (2002) classifica la disprassia nell'ambito del deficit delle capacità extraverbali, rilevando che alterazioni del sistema visuospaziale e prassico-costruttivo possono configurare quadri clinici diversi a seconda della presenza di deficit più o meno dimostrabili. Queste alterazioni possono modificare o limitare la possibilità di connessioni necessarie per la pianificazione e il controllo di movimenti volontari complessi, fin dalle prime fasi di sviluppo.

Sabbadini G. e Sabbadini L. nel loro lavoro clinico utilizzano il termine disprassia soprattutto in riferimento alla mancata acquisizione di funzioni adattive, al concetto di prassia inteso come un sistema di movimenti intenzionali, coordinati in serie e compiuti in funzione di uno scopo. Ritengono in questo senso impossibile distinguere nel corso dello sviluppo gli aspetti motori da quelli percettivo-gnosici e concordano quindi con le ipotesi che nella disprassia, oltre al disturbo esecutivo, vi siano disordini dello schema corporeo e costruttivo-spaziali.

Per questi la disprassia non è solo un quadro sindromico, ma anche una caratteristica o sintomo presente in diversi disturbi neuroevolutivi. La disprassia è quindi da loro interpretata come sindrome (o disprassia primaria) o come sintomo che si associa a specifiche e diverse sindromi (disprassia secondaria). 8

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Criteri diagnostici

Il DSM-V evidenzia i seguenti criteri diagnostici:

  1. L'acquisizione e l'esecuzione delle abilità di coordinazione motoria sono sostanzialmente al di sotto dei livelli attesi per età cronologica e per le opportunità ricevute di apprenderle e usarle. Le difficoltà si manifestano come goffaggine, lentezza e imprecisione delle prestazioni.
  2. Il deficit nelle abilità motorie deve interferire con lo svolgimento delle attività quotidiane attese per l'età cronologica (ad esempio, la cura di sé, l'utilizzo di oggetti di uso comune), l'impatto del disordine ricade anche in ambito scolastico e lavorativo.
  3. L'esordio dei sintomi deve verificarsi nel periodo di sviluppo iniziale.
  4. I deficit delle abilità motorie non devono dipendere dalla presenza di disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettuale) o disabilità visiva e non devono essere attribuibili ad una condizione che colpisce il movimento neurologicamente (ad esempio, paralisi cerebrale, distrofia muscolare, malattia degenerativa).

Il criterio A afferma che la manifestazione di deficit nelle abilità motorie, rispetto ai livelli attesi per età cronologica, è segno di disprassia: può essere presente un ritardo in alcune abilità motorie e anche quando queste vengono raggiunte, l'esecuzione del movimento può essere goffa, lenta, poco precisa.

Secondo il criterio B la disprassia è diagnosticata solamente se il deterioramento delle capacità motorie interferisce significativamente con le prestazioni, o la partecipazione, dell'individuo alle attività quotidiane.

Spesso si riscontrano inoltre notevoli difficoltà nelle competenze manuali come le componenti motorie della scrittura.

A. M. Wille e C. Ambrosini, Manuale di terapia psicomotoria dell'età evolutiva, Cuzzolin Editore. 2005 (http://www.neuropsichiatriainfantile.net/DisprassiaEvol.pdf); R. C. Russo, Disprassia Evolutiva (Debilità Motoria)

Seppur il Criterio C affermi che l'insorgenza dei sintomi deve verificarsi nel periodo di sviluppo iniziale, la disprassia è solitamente diagnosticata dai 5 anni in poi; in quanto le abilità motorie non si manifestano in tutti alla stessa età: vi è un ampio range nel quale si possono presentare.

Il Criterio D specifica che la diagnosi di disprassia non deve essere associata a disabilità visiva o attribuibile ad una condizione neuropatologica, per questo motivo nella valutazione diagnostica deve essere incluso anche l'esame della funzione visiva e quello neurologico.

Il QI deve essere maggiore di 85 e il QS delle abilità motorie non deve discostarsi di più di 2 deviazioni standard da quello medio per età cronologica. 9

Il tasso di prevalenza nel DCD maggiormente citato è del 5-6% nei bambini tra i 5 e gli 11 anni pur variando, dal 5 al 20%, in relazione alla variabilità dei criteri diagnostici. I maschi risultano maggiormente colpiti con un rapporto M:F che varia dal 2:1 al 7:1. E, nonostante sia un disturbo comune, è tuttora poco diagnosticato10.

Il suo decorso è variabile e le manifestazioni cliniche mutano in base all’età11, ma il suo riconoscimento avviene di solito quando il bambino fa i primi tentativi in attività come correre, usare coltello e forchetta, abbottonarsi i vestiti, giocare a palla o curare l’igiene personale.

In adolescenza possono presentarsi miglioramenti ma, nel 50-60% dei soggetti, i sintomi persistono.

Non sempre il DCD si presenta come un disturbo puro (disprassia primaria, non associata ad altre patologie e senza segni neurologici evidenti), spesso questo esiste in comorbidità con altre patologie (disprassia secondaria), fra le quali: ADHD, Autismo, DSA, disturbi del linguaggio, disturbi di comportamento e la sindrome dell’ipermobilità articolare; così come la disabilità visiva, il ritardo mentale e i disturbi neurologici specifici. In questo caso è necessaria un'attenta osservazione in diversi contesti, se sono soddisfatti i criteri sia per l'uno che per l'altro, possono essere attribuite entrambe le diagnosi. La presenza di altri disturbi non esclude quindi la disprassia.12 Inoltre può capitare che in un bambino si riscontrino uno o piu tipi di disprassia, di cui una tipologia è preminente rispetto ad altri segni più sfumati.

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Eziologia

La disprassia in passato è sempre stata considerata una patologia minore, cioè non direttamente legata ad un evidenziabile danno neurologico13. L’avvento di sofisticate tecniche di studio del SNC come la RMN, la RMF, la PET, la SPECT, ha permesso di poter studiare dettagliatamente il funzionamento di sistemi fino ad oggi sconosciuti, portando alla formulazione di nuove ipotesi ed all’acquisizione di nuove conoscenze nel campo della neurofisiologia. Oggi sappiamo che in molti bambini disprassici è stato possibile rilevare differenti tipi di microlesioni, particolarmente della sostanza bianca, del cervelletto o alcuni nuclei appartenenti al sistema extrapiramidale. In alcuni casi è stato possibile ipotizzare problemi di natura dismaturativa, carenze di conoscenza corporea, difficoltà di organizzazione spazio-temporale, tipo di sequenze nell’elaborazione dei dati cognitivi, possibili condizionamenti ambientali di tipo iperprotettivo e limitante14; fattori tra loro interdipendenti.

L’eziologia della disprassia è tuttavia poco definita ed ancora incerta, ma, tra i fattori di rischio che possono condizionare l’acquisizione delle abilità fini e grosso-motorie, rientrano: fattori genetici, fattori acquisiti precoci come la nascita pretermine e post termine (41-42 settimane), basso peso alla nascita e sofferenza pre/perinatale, un lento e/o irregolare sviluppo delle abilità psicomotorie. Molti dati in letteratura correlano la nascita prematura (<28 settimane di gestazione) a deficit neurologici “maggiori”: sensoriali, motori e/o cognitivi e a “soft signs”15 cioè una serie di difficoltà, non sempre clinicamente rilevanti, evidenti a partire dai 5-6 anni di età, a carico di diversi processi cognitivi, quali: attenzione, funzioni esecutive, linguaggio, memoria di lavoro, abilità visuo-percettive e visuo-motorie.16

Grazie all’avanzare della conoscenza medica è diminuito il tasso di mortalità e aumentato il numero di diagnosi, per effetto diretto dell’aumento di mezzi di screening, prevenzione e cura. La diagnosi precoce, dunque, risulta fondamentale ai fini dell’intervento terapeutico tempestivo per il recupero delle funzioni adattive del bambino nelle diverse fasce di età.

Anche l’ambiente gioca un ruolo importante nella relazione tra status socioeconomico e sviluppo neuro-evolutivo: soggetti con basso status socioeconomico presentano maggiori difficoltà di coordinazione motoria, soprattutto fine, maggior rischio di obesità e trascuratezza di attività fisica.17

Alla luce di questo, è di fondamentale importanza un ambiente arricchito e stimolante nel primo periodo di vita per favorire l’acquisizione di competenze.

Tra le ipotesi sulla natura del disturbo disprassico se ne evidenziano quattro, tra cui Scandurra, Guzzetta e Cioni (2007), che suggeriscono che il deficit fondamentale alla base del DCD sia a livello del feed-forward, ovvero della rappresentazione motoria dell’azione, dovuta a disfunzione del lobo parietale, sede dell’immaginazione motoria. Gli autori affermano che “i bambini con DCD hanno un deficit della rappresentazione interna del proprio corpo e questo determina una difficoltà di controllo motorio e di apprendimento alterando la capacità di elaborazione delle azioni nello spazio” (Scandurra, Guzzetta e Cioni, 2007).

Per essere più specifici chiariamo che durante un’azione motoria, a livello corticale la prima area ad attivarsi è l’area premotoria, collegata con l’area motoria principale e, in un secondo momento, si attivano aree associative corticali a cui viene attribuita la consapevolezza dell’azione. Un soggetto normale, dunque, prima fa e poi diventa consapevole di ciò che ha fatto. Nei soggetti disprassici questa normale sequenza di attivazione neurale non può essere messa in atto: il bambino disprattico tenta di pianificare e programmare l’azione motoria ma, nonostante l’intenzione sia corretta, la pianificazione alla base dell’esecuzione motoria non risulta adeguata allo scopo e, di conseguenza, l’azione è ripetutamente svolta in modo scorretto. Questo impedisce la conoscenza metacognitiva, intesa come la capacità di cogliere l’informazione rilevante, di riconoscere l’esistenza di un problema, di anticipare difficoltà nel compito, d’individuare possibili soluzioni alternative, di monitorare l’intero processo. 18

Un’altra ipotesi evidenzia difficoltà visuo-spaziali nei bambini disprassici che porterebbero a ipotizzare immaturità o deficit a livello dell’area premotoria (APM) e delle sue connessioni con la via visiva dorsale. L’informazione visiva viene processata attraverso due vie: la via ventrale, preposta all’analisi del “cosa” (what) si sta vedendo, e la via dorsale del “dove” (where). Attraverso questo “percorso”, composto di vie fortemente integrate fra loro, l’input visivo viene analizzato nelle sue caratteristiche fisiche, di posizione e di movimento. Qualora una delle due risultasse deficitaria verrebbe meno una corretta percezione e, di conseguenza, un’azione congrua alla realtà. Hickok e Poeppel (2004) sostengono che le due vie, siano attive anche per l’elaborazione del linguaggio.

Una terza ipotesi sottolinea la stretta dipendenza tra sviluppo motorio e percettivo, evidenziando problemi percettivi e sensoriali soprattutto negli aspetti visivi e tattili, ipotizzando alla base un serio disturbo dell’integrazione neurosensoriale. In una pubblicazione italiana di Ayres, nel 2012, viene ribadita l’importanza di tener conto sin dalla prima infanzia delle capacità di integrazione sensoriali ai fini di un armonico sviluppo in tutti gli ambiti e, in particolare, rispetto all’ambito motorio- prassico. Anche l’esperienza clinica conferma che molti bambini disprattici mostrano un’evidente ipersensibilità o incapacità a reagire adeguatamente a stimoli sensoriali; ciò li rende poco disponibili a porre attenzione a specifiche attività cognitive. Ma tale deficit può essere interpretabile anche come difficoltà a selezionare, decodificare e integrare stimoli che l’ambiente propone. Il problema può essere visto, quindi, in una duplice modalità: da una parte va sottolineata l’importanza della qualità dello stimolo (variabile esterna/estrinseca), dall’altra la capacità di elaborazione degli stimoli (variabile interna/intrinseca).

Una quarta ipotesi, infine, deriva dal lavoro di Dewey (1995), secondo cui il deficit sul piano espressivo-verbale correla con difficoltà gestuali. Anche in questo caso, l’esperienza clinica evidenzia una ridotta gestualità o produzione di un sistema gestuale personale; i disturbi del linguaggio e, in particolare, la disprassia verbale, in questa ottica andrebbero inseriti all’interno di un quadro più complesso che riguarda i processi di organizzazione visuo-spaziale, di coordinazione motoria e nell’ambito della gestualità. 19

Sostanzialmente il quadro è caratterizzato da un globale deficit dell’organizzazione motoria nei suoi tre processi maturativi: coordinamento, inibizione alla diffusione e integrazione somatica20. Tra questi, il nucleo patogenetico della “debilità motoria”21, è un deficit di coordinazione implementato da defcit di regolazione tonico-cinetica (paratonia) tra i muscoli agonisti e quelli antagonisti durante l’esecuzione di un movimento intenzionale. Le paratonie, infatti, si traducono in difficoltà nella direzione del movimento causate da contrazioni dei muscoli antagonisti e co-contrazioni correttive degli agonisti. La risultante è un movimento stentato, con momenti bruschi ed altri lenti, cambi di direzione, dismetrico, antieconomico e di resa scadente o inefficace.

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Tipologie di disprassia

Nella clinica si possono riscontrare due tipologie di disprassia. Disprassia primaria o pura (non associata ad altra patologia e che non presenta segni neurologici evidenti) e disprassia secondaria (associata invece ad altre patologie e sindromi). 22

A seconda dei distretti e delle funzioni coinvolte, esistono diverse tipologie di disprassia, che possono presentarsi insieme o singolarmente e spesso nello stesso bambino se ne possono riscontrare uno o più tipi, di cui una tipologia è preminente rispetto alle altre.

Queste possono essere classificate secondo criteri differenti, quali: grado di combinazione degli schemi, componenti del movimento, tipologia motoria e predominio alle competenze.

Successivamente verranno analizzati, brevemente, i vari tipi di differenziazione:

SECONDO IL GRADO DI COMBINAZIONE DEGLI SCHEMI

  • Prassie di base: movimenti che si originano dal rapporto con l'oggetto e le sue caratteristiche, si eseguono con una o due mani, ma senza differenziazione delle funzioni tra di esse
  • Prassie di derivazione: derivano da quelle di base, ma necessitano di movimenti di coordinazione.

SECONDO LE COMPONENTI DEL MOVIMENTO

  • I TIPO: prassie in cui prevale l'organizzazione motoria sulla qualità motoria che è una componente poco significativa;
  • II TIPO: prassie in cui è prevalente la qualità motoria sull'organizzazione motoria;
  • III TIPO: prassie miste, in cui le due componenti di organizzazione e qualità motoria sono prevalenti più o meno allo stesso modo.

SECONDO IL TIPO DI MOTRICITÀ PREVALENTE COINVOLTA

  • I TIPO: motricità di posizione
  • II TIPO: motricità di spostamento
  • III TIPO: motricità di spostamento combinata con motricità di posizione

SECONDO IL PREDOMINIO DI DIFFERENTI COMPETENZE PREVALENTI

  • Ideativa: difficoltà di pianificazione della sequenza di movimenti coordinati, difficoltà di formulare o evocare dalla memoria un progetto d'azione. Il bambino non sa cosa fare. È assente la rappresentazione mentale del gesto da compiere e l’organizzazione di sequenze motorie idonee a raggiungere lo scopo di una particolare azione. Questa può dipendere da deficit di tipo visuo-percettivo o da disordini di sequenziamento dei patterns.
  • Ideo-motoria: difficoltà di esecuzione. Il bambino non sa come fare, si rappresenta mentalmente il movimento da compiere, ma non riesce a tradurlo nel necessario progetto d'azione (o piano motorio). La difficoltà risiede a livello esecutivo e non ideatorio. Vi è una dissociazione automatico-volontaria: lo stesso movimento che il bambino non riesce a svolgere su richiesta riesce a svolgerlo come gesto abitudinario, automatico, senza pensarci. In questo tipo di disprassia rientrano, secondo R. C. Russo, anche quelle posturali- assiali, in cui il bambino ha difficoltà a realizzare posture con il proprio corpo in rapporto alle intenzioni o su modello: non sa come organizzare il corpo in senso spaziale. Questo disturbo è strettamente dipendente dall’organizzazione dello schema corporeo.
  • Costruttiva e grafo-motoria: difficoltà di poter ideare, programmare e organizzare correttamente un movimento tenendo conto delle componenti spaziali sotto controllo visivo.
  • Dell'abbigliamento: incapacità ad eseguire gli atti appropriati a vestirsi.
  • Segmentarie: motoria, orale, di sguardo.
    • La disprassia motoria è una disprassia di esecuzione pura: risultano deficitarie le azioni legate al movimento automatico o volontario, quali camminare, scrivere o adempiere ad attività di vita quotidiana.
    • La disprassia orale è un disturbo di produzione dei movimenti volontari dell'apparato faringo-bucco-facciale, nella quale risultano compromessi labbra, lingua e velo pendulo. A questa si associano anche problemi di suzione e di alimentazione. Nel caso della disprassia verbale, contemporaneamente all'incapacità di analizzare le sequenze di movimenti articolatori indispensabili per la produzione di suoni e parole, con conseguente riduzione della capacità di elaborare frasi ed esprimere un concetto chiaramente, spesso sono rilevabili anche deficit del feed-back acustico, deficit di fonazione e difficoltà nel mettere in ordine parole.
    • Nella disprassia di sguardo i movimenti degli occhi sono alterati e si possono evidenziare difficoltà nel: interrompere la fissazione senza chiudere gli occhi con conseguente sguardo che vaga o fisso in un punto; deviare gli occhi in diverse direzioni specifiche; muovere gli occhi senza muovere il capo; guardare negli occhi l’altro.

La disprassia dello sviluppo non è quindi un disturbo unitario: esistono differenti sottotipi di questo disordine e individuare correttamente cosa è inficiato permette di calibrare l'intervento terapeutico.

I bambini con disturbo di coordinazione motoria presentano difficoltà sia nello sviluppo prassico, inteso come motricità fine automatizzata e finalizzata, che nello sviluppo prattognosico, che sottende invece l’utilizzo e la conoscenza dell’oggetto, implicando l’attuazione di un progetto cosciente da parte del soggetto.

La prassia si definisce come la capacità di compiere correttamente gesti coordinati e diretti ad un fine che non necessitano, però, di controllo cognitivo sottostante perché la sequenza (assemblata ed immagazzinata nella memoria), consolidata con la pratica, diventa un automatismo; L’acquisizione di una prassia segue 3 fasi:

  1. Preparazione → l'azione viene eseguita molto lentamente e viene esercitato un forte controllo, curandone tutte le singole parti;
  2. Composizione → l'azione viene eseguita più velocemente ma vengono commessi errori di esecuzione;
  3. Proceduralizzazione → a questo livello l'azione viene svolta fluentemente, in modo automatizzato.

La prattognosia è il connubio tra azione (prassia) e conoscenza (gnosia) ed implica, quindi, utilizzo e conoscenza dell’oggetto e adattamento della motricità alle caratteristiche fisiche del mondo materiale. È implicato un progetto cosciente da parte del soggetto, il quale prevede capacità di rappresentazione, intenzionalità, anticipazione e programmazione.

La capacità di anticipazione si basa su meccanismi di memoria e di riconoscimento degli elementi e si articola in: progetto e programma, rispettivamente, la previsione del risultato dell’azione sulla base dello scopo da raggiungere e la previsione degli schemi da attuare.

La rappresentazione, invece, si costruisce tramite le azioni esercitate sugli oggetti in relazione alle tappe di sviluppo e questa rappresenta una costituente fondamentale del movimento intenzionale.

I bambini con disprassia presentano spesso difficoltà nella rappresentazione mentale delle azioni. È stato individuato, nei disturbi di coordinazione motoria, un deficit nella creazione delle immagini mentali motorie in prima persona, con difficoltà nell'immaginare la rotazione di parti del proprio corpo, da collegarsi ad un deficit di rappresentazione interna del corpo nello spazio riconducibile a probabile disfunzione delle aree parietali. I bambini con disprassia, infatti, hanno capacità ridotta di correggere i movimenti in risposta a cambiamenti di destinazione imprevisti.

Anche le componenti temporali sono spesso alterate, con difficoltà nelle sequenze, nel ritmo e nella stima della durata di un atto motorio. Caratteristica comune a tutte le forme d disprassia è il disturbo dell'organizzazione seriale dei movimenti necessari per compiere un’azione, sia nell’incapacità di organizzare l’atto motorio concreto, che nella rappresentazione di questi e, quindi, nell’idea stessa di sequenzialità.

Sono stati rilevati disturbi attentivi, della memoria di lavoro, della capacità di inibizione, con conseguente impulsività e scarsa capacità di autoregolazione e possibili ricadute sulle funzioni adattive.

In questi casi vi è quindi una compromissione del controllo predittivo, della coordinazione ritmica, del controllo posturale e di alcuni aspetti delle funzioni percettive, della mappatura degli spazi, dell'integrazione neurosensoriale, degli aspetti emotivi e relazionali e delle funzioni esecutive.

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Segnali e indicatori di rischio

Primo anno di vita

Tratti fisici e comportamentali

  • È facilmente irritabile e non consolabile
  • Difficoltà di suzione e alimentazione
  • Problemi di sonno
  • Difficoltà nei cambi di posizione
  • Difficoltà di sguardo e di oculomozione
  • Difficoltà e/o ritardo nella prensione
  • Difficoltà ad afferrare piccoli oggetti con uso di presa palmare e non a pinza

Tratti linguistici

  • Inizio ritardato o assenza della lallazione e poi del babbling
  • Non uso di gesti
  • Assenza di segnale di produzione verbale

Tratti prassico-motori

  • Tappe evolutive psicomotorie ritardate (gattonare, stare seduto, mettersi in piedi, deambulare in modo autonomo)

Tratti sociali e ludici

  • Scarsa o assenza di manipolazione di oggetti
  • Breve interesse per gli oggetti

Età prescolare

Tratti fisici e comportamentali

  • È in continuo movimento
  • Ha necessità di tempi lunghi per svolgere un qualsiasi compito e rinuncia se trova qualche difficoltà
  • Ha tempi brevi di attenzione (2 - 3 minuti)
  • Ha difficoltà ad addormentarsi o il sonno è agitato

Tratti linguistici e sociali

  • Produce suoni isolati, ma non parole
  • Difficoltà ad articolare le parole
  • A due anni produce meno di 50 parole
  • Non segue i ritmi
  • Non usa coordinare i gesti al ritmo di una canzone
  • Confonde termini che indicano relazioni temporali
  • Ha difficoltà di socializzazione
  • Ha un repertorio limitato di gesti

Tratti prassico-motori

  • Sale e scende le scale solo con aiuto ed ha difficoltà a scendere o saltare un gradino
  • Viene ancora imboccato o usa le dita
  • Non riesce a stare su un solo piede
  • Ha braccia rigide o cadenti lungo i fianchi quando cammina
  • Ha difficoltà a stare in equilibrio sulle punte dei piedi
  • Disegna a livello di scarabocchi
  • Non riesce a usare le forbici

Tratti ludici

  • Non usa il triciclo e lo utilizza spingendolo da dietro, non riesce a pedalare
  • Non fa giochi di costruzione
  • Ha difficoltà nell’infilare chiodini nei buchi
  • Ha problemi nell’afferrare e manipolare oggetti
  • Ha problemi nei travasi di acqua fa pasticci
  • Non presenta sequenze di gioco simbolico oppure sono limitate
  • Evita e non ama fare puzzle

Età scolare

Facile distraibilità e tempi di attenzione molto brevi: questi bambini fanno fatica a seguire le spiegazioni dell’insegnante e a mantenere l’attenzione costante per un tempo prolungato e necessario allo svolgimento di un intero compito. Presentano:

  • Difficoltà di apprendimento ed in particolare disgrafia
  • Difficoltà nell’esecuzione di compiti scolastici in classe, che migliorano in un rapporto individuale
  • Lentezza esecutiva
  • Difficoltà in matematica e nell’elaborazione scritta di storie strutturate
  • Difficoltà di copiatura dalla lavagna
  • Difficoltà di tipo grafo motorio e nel disegno
  • Nel primo ciclo elementare ancora la dominanza non è acquisita 23

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Neurofisiologia del movimento: basi anatomo-funzionali

L’organizzazione del movimento è l’esito di articolati processi neurofisiologici, senso-motori, emozionali. 24

Le caratteristiche esecutive (orientamento spazio-temporale, inibizione alla diffusione degli stimoli e integrazione somatica), la competenza di analisi visiva e la conoscenza delle proprie potenzialità corporee rappresentano la base per l’evoluzione del movimento in adattamento alle richieste ambientali e costituiscono le premesse per accedere alle abilità prassiche. 25

Le abilità motorie per evolvere richiedono:

  • Maturazione biologica: che sussistano le caratteristiche strutturali essenziali del tessuto nervoso per il funzionamento dello stesso;
  • Organizzazione funzionale: connessioni sinaptiche derivanti dall’esperienza;
  • Differenziazione funzionale: capacità di adattamento alle necessità evolutive;

All’origine di un atto motorio volontario stanno meccanismi che ne contemplano prima la programmazione e successivamente l’esecuzione.26

Infatti, il movimento coinvolge in modo integrato il funzionamento di diverse aree e strutture cerebrali, a livello corticale e sottocorticale, in uno stretto legame con i sistemi sensoriali. L’organizzazione neurofisiologica richiede, durante l’esecuzione dei movimenti, controllo motorio a diversi livelli:

  • Corteccia motoria: inizia il movimento. Qui risiede il primo motoneurone da cui originano i fasci piramidali che conducono lo stimolo elettrico al secondo motoneurone in sede midollare (corna anteriori).
  • Corteccia premotoria: consente un feed-back di assetto posturo-gravitario necessario per l’inizio del movimento, preparando i muscoli posturali per l’azione e per l’orientamento verso lo stimolo target.
  • Corteccia supplementare: programma le sequenze complesse dei movimenti

Queste inviano impulsi nervosi al midollo spinale attraverso i fasci piramidali ed extra-piramidali e, indirettamente, attraverso il tronco encefalo. In particolare, la corteccia premotoria e supplementare, deputate alla pianificazione e all’organizzazione di sequenze motorie complesse, ricevono informazioni dalla corteccia parietale posteriore circa orientamento e aspetti spaziali. Queste si attivano, insieme alla motoria primaria, solo in presenza di sequenze motorie complesse, mentre, durante l’esecuzione di compiti motori semplici la corteccia motoria supplementare non viene attivata.

Le aree prefrontali svolgono una continua supervisione dei piani esecutivi e del risultato dando informazioni circa gli schemi d’azione da mantenere per raggiungere lo scopo.

Nella regolazione dell’attività motoria sono implicati anche il cervelletto e i gangli alla base, rispettivamente: il primo espleta una funzione di controllo e correzione del movimento attraverso un meccanismo di feed-back continuo; i gangli alla base, costituiti dai nuclei sottocorticali (putamen e nucleo caudato), sono deputati al controllo cognitivo del movimento, regolano i movimenti involontari, elicitando gli schemi motori da eseguire per raggiungere lo scopo dell’azione sulla base della stretta correlazione che hanno con le aree motorie e di associazione.

L’organizzazione del movimento e la funzione di controllo, infatti, sono rese possibili da queste strette connessioni tra aree motorie e aree sensoriali. In particolare, la corteccia frontale e la corteccia parietale posteriore sono fortemente interconnesse e lavorano per integrare informazioni sensoriali e motorie. Per cui, come afferma Carlson (2002), un’azione volontaria è il prodotto di una sinergia che coinvolge, a diversi livelli di funzionamento, aree corticali differenti che, nella loro specificità, contribuiscono a determinare il migliore adattamento possibile all’ambiente.27

Tale processo organizzativo e sinergico si realizza attraverso tre livelli evolutivi parzialmente integrati fra loro: 28

  • Coordinamento
  • Inibizione alla diffusione dello stimolo
  • Integrazione somatica

Ogni atto motorio diventa quindi un sistema dinamico che nel tempo, nell’esperienza, nella memoria e nell’apprendimento trova la sua precisione e automatizzazione. Il movimento diventa, così, anche espressione di un’“emozionalità” 29, anche questa articolata in tre livelli: desiderio, spinta ad agire e risultato. I valori emozionali delle esperienze si esprimono sotto forma di gratificazione o frustrazione, quindi, anche le dinamiche emozionali influenzano, nel corso dello sviluppo, il comportamento del bambino, la sua sicurezza o insicurezza psicomotoria e possono essere causa, nei casi più gravi, di problemi o carenze cognitive.

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Strumenti di valutazione per il DCD

La diagnosi di disprassia evolutiva o di disturbo della coordinazione motoria può essere formulata quando un bambino con QI totale non inferiore a 85, e senza patologie neurologiche maggiori, presenta un quoziente di sviluppo di abilità motorie inferiore di 2 DS a quello medio per età.

Il disturbo tende a manifestarsi intorno al secondo/terzo anno di vita, quando le richieste ambientali di prestazioni motorie e di autonomia aumentano e la discrepanza con le abilità possedute dai coetanei diviene evidente.

La valutazione diagnostica del bambino con sospetta disprassia inizia con un’accurata anamnesi familiare e personale che spesso rileva la presenza di fattori di rischio pre-natale; a questa segue la valutazione clinica attraverso l’esame obiettivo generale e l’esame obiettivo neurologico alla ricerca di eventuali segni neurologici lievi: alterazione del tono muscolare, anomalie dei ROT, movimenti coreiformi, movimenti a specchio, sincinesie...). Questa deve includere la valutazione di:

  • Stato neuro-motorio (esclusione di altri disturbi del movimento o neurologici)
  • Stato di salute (obesità, ipotiroidismo, sindromi genetiche)
  • Stato sensoriale (vista, funzione vestibolare)
  • Stato emotivo e comportamentale (attenzione, autostima, tratti autistici)
  • Funzione cognitiva (difficoltà di apprendimento a scuola)

Nella valutazione si raccomanda un approccio multi-livello al fine di fornire una rappresentazione completa dello sviluppo del sistema motorio a diversi livelli di funzionamento (comportamentale, neuro-cognitivo, emotivo).30

Dunque, in seguito alla valutazione clinica, si procede alla valutazione neuropsicologica completa e alla somministrazione di test motori standardizzati che, insieme, analizzino le abilità motorie, visuo-motorie, visuo-percettive, linguistiche e cognitive che verranno di seguito discussi. Tra i test di valutazione delle aree sopracitate includiamo i seguenti test:

Il Bruininks-Oseretsky 31 è un test che misura abilità grosso e fini-motorie. È uno strumento che valuta competenze motorie in via di sviluppo o deficitarie. La seconda edizione (uscita nel 2005) è costituita da 8 subtest che indagano una vasta gamma di abilità motorie, fornendo sei punteggi e uno complessivo delle abilità motorie.

L’ABC-2 32 fornisce informazioni circa il funzionamento motorio globale del bambino e dell’adolescente dai 3 ai 16 anni di età. Si compone di 24 prove suddivise in 8 item per 3 fasce di età (3-6; 7-10; 11-16) per tre aree di competenza: destrezza manuale, mirare e afferrare, equilibrio.

Il test fornisce dati di tipo quantitativo sulle competenze motorie integrabili con descrizioni qualitative delle modalità con le quali il bambino esegue ciascun compito (adattamenti motori e comportamentali all’ambiente in base a dove viene somministrato il test). Il punteggio è sia totale che relativo alla singola competenza, convertito in percentile attraverso apposita tabella. Nell’interpretazione del punteggio si differenziano tre fasce: prestazioni nella norma (sopra il 15° percentile), categoria a rischio (tra il 5° e il 15° percentile), problema significativo (al di sotto del 5° percentile). 33

Vi sono poi prove che valutano le abilità manipolatorie fini e in particolare la fluenza motoria, cioè la capacità di controllare l'esecuzione ripetitiva e rapida di atti elementari come il battere le dita sul tavolo o raccogliere delle biglie da un bicchiere il più velocemente possibile; questi sono, rispettivamente: Tapping Test e Pick-up Test.

La valutazione delle prassie gestuali rappresenta l’aspetto più specifico dell’esame del bambino disprattico: si valutano performances gestuali eseguite su comando verbale e su imitazione. L’analisi degli errori compiuti darà indicazioni sul tipo di disprassia e sul tipo di meccanismo deficitario alla base del movimento.

Tra i test che vanno a valutare le prassie ricordiamo il GAT-P: test che valuta le competenze nell'uso di oggetti di impiego quotidiano in età compresa dai 12 mesi ai 5.6 anni, per individuare tempestivamente la presenza di difficolta prassiche. Le prove, ideate pensando ad azioni della vita quotidiana del bambino, non riguardano soltanto le funzioni motorie, ma anche quelle cognitive e visive e l’integrazione fra queste. Esse coinvolgono la capacità imitativa, la coordinazione, la rappresentazione mentale delle azioni, la capacità di "pensare" ed "eseguire" sequenze più o meno articolate.

Altri importanti aspetti da esaminare nel bambino disprattico sono le competenze visuo-percettive e visuo-spaziali: per valutare questi aspetti si possono utilizzare diversi test, come il TPV (Test di percezione visiva) e il VMI (Visual Motor Integration).

Il VMI 34 ha lo scopo di misurare l'integrazione visuo-motoria, cioè la coordinazione esistente tra la percezione visiva e i movimenti delle dita delle mani nei bambini dai 3 ai 18 anni. La forma breve è costituita da 18 items e si utilizza in bambini dai 3 ai 7 anni, mentre la forma completa da 27 items ed è per bambini dagli 8 anni in poi.

Il TPV 35 (Developmental Test of Visual Perception), somministrabile a bambini di età compresa fra 4 e 10 anni, è una batteria di 8 subtest che valuta le capacità visuo-percettive e di integrazione visuo- motoria che nasce dal perfezionamento del test Frostig. Ogni subtest è classificato come test con elevato o limitato coinvolgimento motorio. Gli 8 subest si distinguono quindi in due categorie: test con motricità ridotta e test con motricità rilevante. Nella somministrazione si alterna uno della prima categoria ad uno della seconda. Si otterranno così punteggi di percezione visiva generale (PVG), percezione visiva a motricità ridotta (PVMR) e integrazione visuo-motoria (IVM).

Un test che prende in analisi quasi tutti gli aspetti citati nella valutazione delle problematiche di coordinazione motoria è l’APCM-2 (Abilità Prassiche e della Coordinazione Motoria, Seconda Edizione).

APCM-2 36 è un protocollo che permette la valutazione dello sviluppo motorio e delle abilità prassiche a partire dai 24 mesi d'età ed è, quindi, uno strumento utile all'individuazione precoce di determinate problematiche. È utilizzabile nei casi in cui si ipotizza deficit prassico e della coordinazione motoria o già diagnosticati come tali per meglio evidenziare le aree e le sottofunzioni più problematiche. Il test si compone di 6 protocolli, suddivisi in 3 fasce di età (2-3; 3-6: 6-8). Le aree di valutazione dei protocolli e gli item relativi a queste sono stati suddivisi in due settori, denominati Schemi di movimento e Funzioni cognitivo-adattive (prassie). Di ogni area vengono considerate le funzioni di base (recettività sensoriale, respirazione e postura), gli schemi di movimento (equilibrio statico e dinamico, coordinazione, oculomozione, sequenzialità, movimenti ani e dita) e le prassie (abilità grafo-motorie, abilità manuali, gesti simbolici, abilità prassico-costruttive). Il punteggio viene calcolato confrontando i parametri di un bambino normotipico che, riportati su excel, vengono trasformati in un grafico che confronta i due range (max-min) di normalità, nel mezzo dei quali sta il caso clinico. Nelle tabelle presenti sul manuale è possibile trovare valori percentili assumendo come fattore di rischio le prestazioni inferiori al 5° percentile e come prestazioni con richiesta d’attenzione quelle comprese tra il 6° e il 10° percentile. Tra i vantaggi nella somministrazione di questo test rientra l’individuazione precoce (abbassando l’età di somministrazione è possibile intervenire precocemente e avere un outcome migliore per plasticità neuronale maggiore) e l’individuazione delle aree di forza e di debolezza per stilare interventi mirati sulle funzioni cadenti.

La valutazione del bambino disprattico deve comprendere anche la valutazione del linguaggio espressivo e ricettivo e, oltre agli aspetti sopracitati, vanno indagati anche i dati relativi alle funzioni esecutive con test specifici che approfondiremo nel capitolo successivo.

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Metodi di trattamento

Tra i metodi di trattamento della disprassia verranno citati e analizzati brevemente, di seguito: il metodo Terzi e il metodo SaM.

Il Metodo Terzi 37, metodo di organizzazione spazio-temporale, è un sistema di esercizi senso-motori che, attraverso il corpo e il suo movimento sviluppa la capacità di analizzare le informazioni che giungono al SNC dai diversi canali percettivi (propriocettivo-motorio, tattile, vestibolare, uditivo e visivo).

È una tecnica cognitivo-corporea38 che utilizza il corpo e il movimento per facilitare l’integrazione delle informazioni e le immagini mentali (cinestesico-motorie, propriocettive e somato-sensitive, visuo-spaziali). Inoltre, ritrova numerose conferme nelle teorie dell’“Embodied cognition”, secondo cui lo sviluppo cognitivo evolve a partire dalla percezione del proprio essere, parallelamente allo sviluppo delle funzioni motorie e al controllo delle stesse.

Attraverso il metodo si stimola la “funzione integrata della mente” e si agisce sullo stretto legame tra percezione-azione-cognizione, che corrispondono, rispettivamente, alle 3 fasi del metodo:

  1. Consegna: deve essere adeguata all’età e al livello cognitivo del bambino e alle sue possibilità comunicative;
  2. Vissuto: l’esecuzione dell’esercizio in prima persona da parte del soggetto. La modalità di esecuzione può procedere dal vissuto corporeo alla rappresentazione o viceversa.
  3. Rappresentazione: può essere di tipo motorio, grafico o verbale e permette di individuare il grado di consapevolezza e di capacità d’integrazione delle informazioni del soggetto.

Il metodo lavora sull’interazione tra corpo e ambiente e, rispetto a quest’ultimo, interviene su tutte e quattro le dimensioni dello spazio: personale, peri-personale, noicentrico e extra-personale.

  • Personale: si riferisce allo schema corporeo. Per lavorare su questa dimensione si interviene sulla recettività sensoriale e l’integrazione delle informazioni, sulla coordinazione della respirazione con la propriocezione, sulla percezione del corpo nella sua globalità e sulla distinzione propriocettiva degli emicorpi, sull’organizzazione spazio-temporale e sulla percezione della corretta postura durante il compito di scrittura;
  • Peri-personale: è lo spazio vicino al corpo, che si può esplorare con le mani, nel quale si viene in contatto con gli oggetti. Questi sono manipolati attivamente stimolando la rappresentazione visuo- spaziale, i movimenti fini-motori e la coordinazione delle dita, la mobilizzazione del polso e spalla, la modulazione della forza e della pressione e l’organizzazione manuale-tattile;
  • Noicentrico: è lo spazio in cui il soggetto entra in relazione con l’altro; è stimolato soprattutto nell’utilizzo delle consegne visive o imitative.
  • Extra-personale: è lo spazio esterno lontano da noi, viene esplorato attraverso le informazioni visive, uditive, olfattive e con il movimento deambulatorio.

Nel metodo Terzi le condizioni ambientali sono indispensabili per mettere la persona nelle migliori condizioni di vivere l’esperienza e, infatti, gli esercizi vengono proposti in un ambiente vasto, sgombro, silenzioso, con luci soffuse per eliminare le interferenze. Il materiale unico previsto per l’applicazione del metodo, oltre ad oggetti facilmente reperibili e oggetti appositamente creati dall’autrice, è il proprio corpo.

Il metodo è applicabile in ambito riabilitativo (DCD, DSA) ed educativo. Interviene in modo specifico sull’organizzazione dello spazio attraverso il canale deambulatorio e sulla riabilitazione delle diverse funzioni cognitive (neuropsicologiche, linguaggio parlato, linguaggio scritto, calcolo), sempre con un approccio che educa la costruzione delle immagini mentali in un’ottica multimodale.

Il metodo SaM 39 (Sense and Mind) si concentra sull’unità mente-corpo prendendo come riferimento sempre le teorie dell’”Emboiled- Cognition”. L’intervento riabilitativo parte dal corpo in movimento, inteso come strumento e, attraverso attività task oriented, mira ad utilizzare l’esperienza senso-motoria per raggiungere complessi livelli di astrazione e rappresentazione mentale. Rifacendosi al metodo Terzi, precedentemente descritto, questo approccio lavora sull’integrazione multimodale, sulla costruzione delle immagini mentali e sull’idea che il corpo sia motore della conoscenza e che, per l’esecuzione del compito motorio, necessiti dell’attivazione di differenti funzioni esecutive.

Per questo il metodo SaM interviene sullo spazio (di relazione e di movimento) nelle sue quattro dimensioni, sugli aspetti temporali (successione, durata, sincronia), sulle funzioni esecutive (programmazione dell’azione, memoria di lavoro) al fine indurre un apprendimento attivo attraverso il passaggio dall’esperienza senso-motoria all’astrazione. È applicabile a soggetti con difficoltà di pianificazione, di astrazione, di cognizione spaziale, di integrazione multimodale e rispetto alle funzioni esecutive di base e complesse; problematiche tipiche di soggetti con disprassia, disgrafia, eminegligenza, ADHD o deficit delle FE.

È applicabile a soggetti con difficoltà di pianificazione, di astrazione, di cognizione spaziale, di integrazione multimodale e rispetto alle funzioni esecutive di base e complesse; problematiche tipiche di soggetti con disprassia, disgrafia, eminegligenza, ADHD o deficit delle FE.


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  7. AIDEE onlus, rivista psicomotricità v.17 n°2 giugno 2013, rivista psicomotricità v.15 n°2 giugno 2011, cpr Roma
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  19. Disprassie, disturbi del linguaggio e delle funzioni esecutive: dalla valutazione al trattamento – 1° edizione Corso FAD, 2019
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  27. D. Gargano, Disprassie evolutive, Erickson, 2013 www.ericksonlive.it
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  39. www.metodosam.it/metodo-sam/il-metodo
  40. Schema riassuntivo del Metodo Sam

 

Indice
 
INTRODUZIONE
 

Capitolo 1 - Disturbo di coordinazione motoria (DCD) o Disprassia?

Capitolo 2 - LE FUNZIONI ESECUTIVE - Il centro di comando del cervello

NB

Per questioni di tempi è probabile che per il momento la presente tesi sia stata inserita parzialmente o in formato immagine. Al più presto completeremo l’inserimento rispettando i canoni da noi prefissati e cioè editando direttamente il testo nei diversi articoli del portale.

12/03/2023 - Redazione web

 DISCUSSIONE - CONCLUSIONI
 
 BIBLIOGRAFIA
 
Tesi di Laurea di: Marta IRTI
 

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