Cos'è l' Autismo: definizione, cause, significato, sintomi

Cenni storici

L’autismo è stato considerato in un primo momento di origine, prevalentemente, psicosociale o psicodinamica, ma le evidenze degli ultimi anni chiariscono sempre più l’aspetto predominante del substrato biologico nel disturbo. Il concetto di autismo venne introdotto da Kanner (1943) per descrivere undici bambini dalla sintomatologia molto caratteristica. Il termine  “autistico” era, però, già stato utilizzato da Bleuler (1911) in riferimento a malati mentali adulti, nei quali avveniva una perdita di contatto dalla realtà. La descrizione kanneriana dell’autismo infantile metteva in risalto l’incapacità dei bambini di rapportarsi all’ambiente in base a quanto atteso per la loro età, con una tendenza all’isolamento e a non recepire i segnali provenienti dall’esterno. Kanner, in un lavoro successivo (1951), definì maggiormente i tratti di questo disturbo come “un ritiro da qualsiasi contatto umano, un desiderio ossessivo di mantenere la stessa conformazione dell’ambiente, un rapporto facile con gli oggetti, una fisionomia pensierosa ed intelligente, un mutismo o una specie di linguaggio che non pare in funzione della comunicazione interpersonale”. Kanner descrisse i genitori di questi bambini come freddi ed eccessivamente intellettuali (considerazione attualmente superata), anche se già nel suo lavoro del 1943 concludeva che, probabilmente, la causa del problema era di natura congenita. Quasi contemporaneamente, ma in modo autonomo, Asperger (1944) descrisse vari casi di bambini affetti da, nella sua definizione,  “psicopatia  autistica”,  muovendosi  da situazioni  nelle quali erano identificabili importanti danni organici, fino ad altre prossime alla normalità. Attualmente la Sindrome di Asperger si riferisce a quei bambini autistici (rari) che presentano capacità sostanzialmente nella norma ed un linguaggio ben sviluppato. La concezione di autismo, pur subendo negli anni delle modifiche, ha mantenuto una descrizione comportamentale abbastanza in  sintonia con quella di Kanner. Rutter (1978) ridimensionò il concetto kanneriano di “spiccata intelligenza” del bambino autistico focalizzando l’attenzione su alcuni fondamentali parametri:

  • età d’inizio prima dei due anni e mezzo;
  • presenza di una modalità di esitamento di natura corporea, visiva, uditiva da parte del bambino;
  • assenza del linguaggio oppure presenza di linguaggio caratterizzato da ecolalia e inversione pronominale. L’ecolalia consiste nella ripetizione di suoni, parole o intere frasi così come  appena udite ( ecolalia immediata) o a distanza di tempo (ecolalia differita); l’inversione pronominale, invece, si riferisce alla sostituzione del pronome “io” con “tu” o “voi”;
  • desiderio di mantenere l’ambiente sempre nello stesso modo con reazioni di rifiuto ossessivo, angosciato e a volte violento per ogni cambiamento;
  • presenza di numerose e particolari stereotipie motorie.

 

Aspetti epidemiologici

La sindrome si presenta con caratteristiche simili indipendentemente dal contesto geografico, culturale ed economico nel quale si manifesta (Wing,1976). Per quanto riguarda il sesso, i maschi risultano più colpiti in rapporto di 4 a 1, anche se, come affermano alcuni studiosi, nelle femmine la gravità della disabilità è solitamente maggiore (Gillberg 1987, Zappella 1996..).

 

Etiologia

Un ulteriore aspetto sul quale si sono concentrate accese dispute riguarda le cause alla base dell’autismo. Infatti, se è vero che ormai sulla descrizione dei sintomi si registrano positive convergenze, non altrettanto può dirsi per quanto riguarda la natura dei processi sottostanti responsabili delle manifestazioni comportamentali. Per molto tempo il dibattito si è sviluppato fra coloro che vedevano l’autismo come determinato da conflitti psicodinamici, legati a precoci alterazioni del rapporto madre-bambino e quelli che individuavano cause biologiche. La ricerca degli ultimi venti anni ha portato prove consistenti circa la presenza di disfunzioni organiche alla base dell’autismo, anche se la visione che deriva da questi studi è ancora provvisoria e non consente di fare chiarezza completa sull’etiologia. Le spiegazioni di  tipo psicodinamiche non hanno ricevuto sostegno a livello sperimentale sia per i molti esempi di rifiuto affettivo nell’infanzia che non hanno prodotto casi di autismo, che per la mancanza di differenze significative tra le modalità affettivo-educative dei genitori di bambini autistici  rispetto a quelli di bambini con altri handicap o normodotati. Allo stesso modo, mancano prove a sostegno dell’ipotesi che il bambino autistico non arrivi a distinguere il sé dall’altro (Winnicott 1953), o l’oggetto buono dal cattivo (Klein 1932), oppure che si distacchi dalla realtà per chiudersi in un mondo fantastico costruendo una “fortezza”, a seguito di interpretazione negativa dei sentimenti della madre nei suoi confronti (Bettelheim 1967). È sempre più evidente, al contrario, che si ha a che fare con un bambino il quale, per una serie di cause organiche probabilmente associate ad altre secondare di natura psicologica ed ambientale, si sviluppa, a partire dai primi mesi di vita, in modo diverso rispetto ad un bambino normale sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. I dati che emergono dalle ricerche neurobiologiche sono diversificati e lasciano ipotizzare che possano esistere dei sottogruppi con lesioni differenti e, comunque, non esiste nessuna teoria condivisa da tutti i ricercatori in grado di spiegare lo spettro autistico. Gli studi sperimentali recenti distinguono:

  • alterazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale;
  • fattori genetici;
  • evidenze biochimiche;
  • altre ipotesi sulle concause dell’autismo.

 

Alterazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale

In molti studi sono state riscontrate anomalie a carico del sistema nervoso centrale nei soggetti autistici; quelli condotti con la tomografia assiale computerizzata (TAC) hanno rivelato varie alterazioni morfologiche non specifiche, quali dilatazioni uni o bilaterali dei ventricoli laterali e del quarto ventricolo. Anche gli studi che hanno utilizzato altre tecniche di bioimmagine cerebrale, come la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica nucleare (RMN), hanno messo in risalto prove dirette della patologia cerebrale in molti soggetti autistici, anche se non hanno permesso di focalizzare l’attenzione su qualche area cerebrale particolare (Frith 1989). I dati più significativi riguardano un aumento diffuso del metabolismo cerebrale ed alcune alterazioni a livello del sistema limbico (Happè 1994) e del cervelletto (Courchesne 1998,  Ritvo 1990). Bauman e Kemper hanno rilevato, già negli anni ottanta, anomalie principalmente dell’ippocampo (deputato all’apprendimento e alla memoria) e dell’amigdala (deputata al controllo dell’emotività e dell’aggressività). I neuroni in queste zone avrebbero dimensioni inferiori al normale e la loro densità sarebbe eccessiva. Dalle osservazioni durante le autopsie di persone affette da autismo si è dimostrato la scarsità di cellule del Purkinje, importanti inibitori della produzione di serotonina i cui livelli ematici sono talvolta effettivamente alterati (Happè 1994). Inoltre, circa 25-30% dei soggetti autistici va incontro, nel corso della loro vita, a crisi epilettiche che sono più probabili in soggetti con limitate capacità cognitive ( Gillberg, Steffenburg 1987).

Fattori genetici

Sono i fattori ritenuti maggiormente implicati nell’etiologia dell’autismo infantile. L’incidenza dell’autismo si riscontra con una frequenza dalle 50 alle 100 volte più elevata in fratelli di bambini con autismo infantile; i membri non affetti della famiglia tendono a condividere alterazioni cognitive e del linguaggio in forma attenuata. Anche la maggiore incidenza del disturbo nei maschi potrebbe essere attribuito ad anomalie dei cromosomi sessuali. Tale considerazione può essere rafforzata dalla constatazione che la gravità delle manifestazioni sintomatiche è sempre legata al sesso, essendo più rilevanti nelle femmine. (Gillberg, Coleman 1992). Si sono rilevate anche associazioni con la sindrome della X fragile, con la sindrome di Down, con la fenilchetonuria, con la facomatosi, con la sclerosi tuberosa e con la neurofibromatosi (Tortorella 1998). Le alterazioni genetiche possono essere considerate come una componente importante dell’etiologia multifattoriale dell’autismo.

Evidenze biochimiche

Alcuni autori hanno centrato la loro attenzione sul sistema dopaminergico e su quello degli oppioidi endogeni. L’autismo sarebbe  associato alla carenza di dopamina, la quale potrebbe essere dovuta a:

  • un’incapacità da parte delle cellule nervose di produrre dopamina;
  • un basso numero di recettori dopaminergici;
  • un’impossibilità della dopamina a svolgere la sua funzione per la presenza di inibitori.

Un  funzionamento non adeguato del sistema dopaminergico potrebbe giustificare alcuni dei sintomi principali dell’autismo, in quanto svolge la sua principale attività a livello del sistema mesolimbico, meso-cortico-frontale e nigro-striatale, esercitando di fatto  un controllo  sulle  funzioni  attentive,  percettive,  comunicative,  motorie, emozionali e comportamentali. Non tutti sono d’accordo con questa visione: Lelord e Sauvage (1990) notano che i farmaci agonistici dopaminergici aggravano i sintomi autistici, mentre quelli antagonisti sono in grado di ridurre alcune stereotipie e ritiri comportamentali. Una serie di studi ipotizza che delle anormalità del sistema degli oppioidi endogeni, con iperproduzione degli stessi possano essere alla base di alcuni comportamenti associati con l’autismo. Shattock e Savery (1997) hanno evidenziato che soggetti autistici presentano livelli elevati di oppioidi nel sistema nervoso centrale, che potrebbero derivare direttamente dalla scissione incompleta degli alimenti, in particolare del glutine e della caseina. Sulla scorta dei risultati di queste ricerche si stanno sperimentando interventi sulla dieta di soggetti autistici. Sono  state documentate, inoltre, alterazioni del metabolismo della serotonina e in particolare un aumento dei livelli di serotonina nel sangue di alcuni soggetti autistici. Tuttavia manca una teoria di collegamento con la particolare situazione comportamentale manifestata dai bambini autistici.

Altre ipotesi sulle cause dell’ autismo

Un punto sul quale la maggior parte degli studiosi è d’accordo è sulla radice neurobiologica dell’autismo. Zappella (1996) sottolinea che in una grossa percentuale di casi di soggetti autistici non si rileva alcun danno neurologico evidente. Questo dato trova conferma in due studi, uno dello stesso Zappella (1996) e l’altro di De Long e Notoria (1994), nei quali circa il 60% di bambini presi in esame evidenziano un danno neurologico, mentre il restante 40% non presenta danni neurologici evidenti. In entrambi gli studi è risultata alta la familiarità per disturbi affettivi maggiori ( unipolari e bipolari ) per il gruppo dei non neurologici. Infine, è stata rilevata un’alta associazione di danni perinatali per i bambini autistici e di infezioni prenatali con particolare riferimento alla rosolia.

 

Classificazioni e criteri diagnostici

Sulla triade di sintomi relativi alla relazione con gli altri, alla comunicazione e al comportamento si incentrano le principali classificazioni internazionali attualmente disponibili: il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV), elaborato dall’American Psychitric Association (1994);  la  Classificazione Internazionale  delle Sindromi e Disturbi Psichici e Comportamentali (ICD 10), elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (1992); la Classificazione Diagnostica 0-3 proposta dal National Center for Clinical Infant Programs (1994) di Washington. Sia il DSM IV che l’ ICD 10 non prendono in considerazione le cause del disturbo ma forniscono semplicemente delle griglie di osservazione che gli specialisti possono seguire per la definizione della sindrome.

 

DSM IV

Riguarda soprattutto i disturbi mentali dell’adulto ed ha una parte dedicata a quelli che insorgono nell’infanzia e nell’adolescenza. Il DSM IV costituisce la classificazione più recente basata su un sistema diagnostico multiassiale, nel senso che per la valutazione tiene conto di vari Assi ciascuno rivolto ad uno specifico campo d’informazione. I cinque Assi riguardano:

Asse I Disturbi e sindromi cliniche
Asse II Disturbi di personalità e ritardo mentale
Asse III Condizioni mediche generali
Asse IV Problemi psicosociali e ambientali
Asse V Valutazione globale del funzionamento.

 

Le diagnosi utilizzate sono di tipo categoriale per cui si assume che in base ai segni e ai sintomi riscontrati il disturbo sia presente o assente.

Definizione e criteri diagnostici del DSM IV

Il Disturbo Autistico è caratterizzato da uno sviluppo anormale e/o menomato che si manifesta prima dell’età dei 3 anni nelle interazioni sociali reciproche e nella comunicazione, e da forme limitate, ripetitive e stereotipate del comportamento, degli interessi e delle attività. La diagnosi viene posta selezionando almeno sei sintomi dalle tre categorie, che devono essere tutte rappresentate. Il DSM IV specifica anche che i ritardi o il funzionamento anormale devono manifestarsi prima dell’età di 3 anni in almeno una delle seguenti aree: interazione sociale, linguaggio, gioco simbolico o immaginativo. I Criteri diagnostici per il Disturbo Autistico secondo questo manuale sono:

  1. compromissione qualitativa dell’interazione sociale (manifestata con almeno 2 dei seguenti punti):
    1. marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali,come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che regolano l’interazione sociale
    2. incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo
    3. mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone (per es., non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse )
    4. mancanza di reciprocità sociale o emotiva;
  2. compromissione  qualitativa della comunicazione (manifestato da almeno 1  dei seguenti punti):
    1. ritardo o  totale  mancanza  dello  sviluppo  del  linguaggio  parlato  (non accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica)
    2. in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri
    3. uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico
    4. mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;
  3. modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati (manifestato da almeno 1 dei seguenti punti):
    1. dedizione assorbente a uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione
    2. sottomissione del tutto rigida a inutili abitudini o rituali specifici
    3. manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo)
    4. persistente de eccessivo interesse per parti di oggetti.

 

  1. un totale di 6 (o più) voci da (1), (2) e (3), con almeno 2 da (1), e uno ciascuno da (2) e (3)
  2. ritardi o funzionamento anomali in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: (1) interazione sociale, (2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o (3) gioco simbolico o di immaginazione.
  3. anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza.

Nella quarta edizione del DSM (1996) la novità più importante, rispetto alla precedente edizione (1987), è lo spostamento della categoria di cui fa parte l’autismo, i disordini generalizzati dello sviluppo, dall’Asse II (disordine a decorso lungo, stabili con prognosi infausta) all’Asse I (disordini episodici transitori). Ciò implica l’aver riconosciuto che i sintomi possono variare ed attenuarsi, cosa che normalmente non si verifica per i disturbi sull’Asse II, come ritardo mentale e disordini di personalità.

 

ICD 10

La definizione di autismo contenuta all’interno di questa classificazione è molto simile a quella fornita dal DSM IV, ma in questo caso si parla di Autismo infantile e non di Disturbo autistico.

Definizione e criteri diagnostici dell’ICD 10

L’autismo infantile è contemplato all’interno delle sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico. Si tratta di una sindrome definita dalla presenza di una compromissione dello sviluppo che si rende manifesta prima dei tre anni, e da un tipo caratteristico di funzionamento anormale nelle aree dell’interazione sociale, della comunicazione e del comportamento,  che è limitato  e ripetitivo.  Le direttive diagnostiche evidenziano che di solito non c’è nessun periodo precedente di sviluppo sicuramente normale, ma, se questo è presente, le anormalità si rendono evidenti prima dell’età di tre anni. Ci sono sempre compromissioni qualitative dell’interazione sociale. Queste prendono la forma di:

  • e) un’ inadeguata capacità di cogliere i segnali socio-emozionali, come dimostrato dalla mancanza di risposta alle emozioni delle altre persone e/o dall’assenza della modulazione del comportamento in accordo al contesto sociale;
  • f) uno scarso uso dei segnali sociali e una debole integrazione dei comportamenti sociali, emotivi e comunicativi;
  • g) una mancanza di reciprocità socio-emozionale.

Similmente, sono sempre presenti compromissioni qualitative della comunicazione. Queste prendono la forma di un mancato uso sociale di qualsiasi capacità di linguaggio sia presente; una compromissione nel gioco inventivo ed imitativo; una mancanza di sincronia e di reciprocità nell’interscambio della conversazione; una scarsa flessibilità dell’espressione linguistica ed una relativa perdita della creatività e fantasia nei processi di pensiero; un’assenza di risposta emozionale alle stimolazioni verbali e non- verbali delle altre persone; un uso compromesso della cadenza o  dell’enfasi per modulare la conversazione; una simile assenza della gestualità associata che da enfasi o rafforza il significato della comunicazione verbale.

La condizione è anche caratterizzata da modelli di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi, stereotipati. Queste si manifestano come una tendenza ad imporre rigidità e monotonia ad una grande varietà di aspetti della vita quotidiana. Di solito ciò riguarda sia le nuove attività che le abitudini e  i modelli di gioco familiari. In particolare, nella prima infanzia, vi può essere uno specifico attaccamento ad oggetti insoliti, tipicamente non soffici. I bambini possono insistere nell’attuazione di particolari rituali a carattere  non finalistico; possono esservi preoccupazioni stereotipate relative a date, ordini di marcia e tabelle orarie; spesso ci sono stereotipie motorie; è comune uno specifico interesse per gli elementi non funzionali degli oggetti (come il loro odore o la sensazione che danno al tatto); vi può essere resistenza ai cambiamenti delle  abitudini o dei dettagli del proprio ambiente personale (come quando si operano spostamenti di oggetti decorativi o di mobili in casa).

In aggiunta a queste specifiche caratteristiche diagnostiche, è frequente che i bambini autistici mostrino una varietà di altri problemi non specifici, come paure/fobie, disturbi del  sonno e  dell’alimentazione, carattere collerico e  aggressivo. L’autolesionismo (come mordersi i polsi) è abbastanza comune, specialmente quando vi è un grave ritardo mentale associato. Gli individui con autismo mancano in genere di spontaneità, iniziativa e creatività nell’organizzazione del tempo libero ed hanno difficoltà ad applicare la concettualizzazione nel prendere decisioni sul lavoro (anche quando i compiti  di per se sono  del  tutto  adeguati  alle  loro  capacità).  La  specifica manifestazione dei deficit tipici dell’autismo cambia man mano che il bambino cresce, ma i deficit continuano nella vita adulta, con problemi in larga misura simili nella socializzazione, nella comunicazione e nella gamma degli interessi. Perché si possa porre la diagnosi, le anormalità dello sviluppo devono essere state presenti nei primi tre anni, ma la sindrome può essere diagnosticata in tutte le età. Tutti i livelli di Q.I. possono essere presenti in associazione con l’autismo ma in circa i ¾ dei casi è presente un significativo ritardo mentale.

 

Classificazione Diagnostica 0-3

È un nuovo sistema di classificazione della salute mentale e dei disturbi di sviluppo della prima infanzia che propone, per i disturbi dello sviluppo evidenziati nella prima infanzia che non soddisfino i criteri diagnostici per l’autismo, la definizione di disturbo multisistemico di sviluppo, una concettualizzazione che non considera la gamma di difficoltà relazionali e comunicative osservate nella popolazione clinica come appartenenti allo stesso gruppo di disturbi a cui appartiene l’autismo. Per la task force che ha messo a punto questa classificazione, appare prudente categorizzare i problemi relazionali e comunicativi della prima infanzia in un modo che lasci aperte le questioni relative all’etiologia, al dercorso e alla prognosi. Come il DSM, anche la Classificazione diagnostica 0-3 propone un sistema di classificazione multiassiale i cui Assi, però,  non sono da considerarsi perfettamente simmetrici a quelli  degli altri sistemi, poiché, il presente sistema, occupandosi di bambini piccoli dai primi giorni di vita, si focalizza principalmente sulle questioni evolutive e comprende:

  • l’Asse I, la classificazione primaria che dovrebbe riflettere le caratteristiche più salienti del disturbo;
  • l’Asse II, la classificazione della relazione;
  • l’Asse III, condizioni o disturbi fisici, neurologici, evolutivi e mentali;
  • l’Asse IV , agenti stressanti di natura psicosociale;
  • l’Asse V, livello di sviluppo del funzionamento emotivo.

La vera novità è rappresentata dall’Asse II che focalizza specificamente la qualità della relazione genitore-bambino. La Classificazione diagnostica 0-3 è intesa come un complemento ad altri sistemi di classificazione dei disturbi mentali o dello sviluppo esistenti che non si sono concentrati sui primi 3-4 anni di vita e non hanno incluso un sistema ad ampio raggio per la classificazione dei problemi in questo primo arco di vita. Il presente sistema diagnostico, quindi, descrive: 1) i tipi di problemi o di comportamenti non contemplati da altri sistemi  di classificazione, e 2) le manifestazioni più precoci di problemi e comportamenti già descritti da altri sistemi utilizzati con bambini più grandi o con adulti.

Definizione e criteri diagnostici della Classificazione Diagnostica 0-3

I Disturbi Multisistemici dello sviluppo (DMSS) si collocano a cavallo tra i disturbi della regolazione (DR) e i disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS). Si tratta di disturbi che, pur essendo posti tra i disturbi della comunicazione e della relazione, assieme ai DPS, in realtà sono proposti come continui con i disturbi della regolazione per quanto riguarda gli aspetti fisiopatogenetici. In essi il disturbo della regolazione dei processi fisiologici (sensoriali attentivi, motori, cognitivi, somatici e  affettivi) viene posto, infatti, come primario rispetto al disturbo della relazione e della comunicazione; per tale aspetto secondario, il disturbo della relazione e della comunicazione è più flessibile e responsivo  al trattamento rispetto a quanto avviene nei DPS. Le caratteristiche principali che permettono la differenziazione dei DMSS dai DPS possono pertanto essere riassunti in due punti:

  • il disturbo relazionale è primario nei DPS mentre è secondario al deficit dell’elaborazione dell’informazione sensoriale, motoria e affettiva nei DMSS;
  • il disturbo è permanente nel caso dei DPS mentre è flessibile e modificabile nel corso dell’intervento terapeutico nel caso dei DMSS.

Rispetto ai DR la differenziazione è basata sull’assenza in questi ultimi del disturbo della relazione e della comunicazione. Il termine multisistemico, nella concezione originaria della classificazione diagnostica 0-3, si riferisce proprio a vari sistemi di processazione, relativi all’interazione di molteplici apparati sensoriali e sensomotori primariamente coinvolti dal disturbo. Le basi biologiche del disturbo sarebbero pertanto collocate a livello di sistemi addetti alla regolazione (sistema libico, ipotalamo,  amigdala,corteccia  orbitofrontale)  piuttosto  che quelli primariamente connessi con le competenze sociali (aree corticali). La diagnosi tempestiva e gli interventi precoci ricoprono grande importanza poiché assumono rapidamente un ruolo preventivo in  quanto, attraverso un’azione sull’ambiente capace di rendere quest’ultimo più idoneo a superare le difficoltà del bambino, possono condizionare l’espressività genetica ed indurre la differenziazione neuronale in una direzione piuttosto che in un’altra.

Disturbo multisistemico di sviluppo (MSDD)

Le caratteristiche che definiscono questo disturbo sono:

  1. Disturbo significativo, ma non assenza completa, della capacità di entrare in relazione emotiva e sociale con i genitori (cioè, pur mostrandosi evitanti o senza scopi possono manifestare forme sottili di relazione o possono relazionarsi in modo abbastanza affettuoso ma intermittente).
  2. Disturbo significativo della capacità di formare, mantenere e/o sviluppare una comunicazion Con il  termine comunicazione s’intende ogni forma di comunicazione, sia essa di tipo gestuale o pre-verbale, sia simbolica verbale e non verbale.
  3. Disfunzione significativa nell’elaborazione delle informazioni uditive (cioè, nella percezione e nella comprensione).
  4. Disfunzione significativa nell’elaborazione di altre sensazioni; sono inclusi l’iper- e l’ipo-reattività (in relazione all’input visuo-spaziale, tattile, propriocettivo e vestibolare), e le difficoltà nell’elaborazione legata alla pianificazione motoria.

I criteri sottolineano che esiste un difetto, una disfunzione ma non una perdita. Questo criterio è centrale in quanto implica una maggior facilità di recupero dei disturbi multisistemici dello sviluppo che, se precocemente trattati, offre un graduale miglioramento delle capacità relazionali e comunicative, cui seguono importanti progressi sul piano dello sviluppo cognitivo e linguistico. Le difficoltà di elaborazione dell’informazione e quelle relazionali e comunicative, si possono manifestare in modi diversi. Di seguito sono riportati tre pattern che sono stati osservati frequentemente e facilitano l’identificazione clinica, la pianificazione del trattamento e la ricerca. Questi pattern non possono essere diagnosticati prima che il bambino abbia raggiunto l’età necessaria per la comparsa delle particolari strutture di comportamento previste in ciascun pattern.

Il pattern A può essere attribuito solo ai bambini di almeno 5 mesi (età in cui nasce la comunicazione intenzionale e l’uso di gesti semplici); il pattern B può essere attribuito solo ai bambini di almeno 9 mesi; il pattern C può essere attribuito  ai bambini che abbiano compiuto almeno 15 mesi.

  • Pattern A - Questi bambini sono, per la maggior parte del tempo, privi di obiettivi e non coinvolti nella relazione; presentano gravi difficoltà della pianificazione motoria, così che risulta loro difficile compiere gesti internazionali anche semplici. Hanno un’affettività piatta e poco modulata, tendono ad autostimolarsi e ad avere comportamenti ripetitivi; sono iporeattivi, passivi e con scarsa iniziativa. Nonostante la  gravità del disturbo essi possono tuttavia mostrare, nel corso di un adeguato trattamento, un graduale miglioramento sia nelle capacità relazionali che nella capacità di compiere azioni finalizzate.
  • Pattern B - Questi bambini entrano in relazione in modo intermittente e qualche volta sono capaci di gesti intenzionali semplici. L’affettività è più varia e mostrano un maggior piacere nelle relazioni interpersonali senza tuttavia essere capaci di trasmettere calore emotivo; hanno condotte ripetitive ma non di autostimolazione; la reattività sensoriale di più organizzata.
  • Pattern C - Questi bambini manifestano in senso della relazione più consistente anche quando sono invitanti o rigidi. Sono più caldi nella relazione e usano sia gesti semplici sia complessi; permettono all’altro di entrare nel  loro giochi ripetitivi; sono tendenzialmente iperreattivi; sono in grado di usare qualche parola.

I disturbi di regolazione

I disturbi della regolazione possono essere evidenziati già nell’infanzia. Sono caratterizzati dalle difficoltà che il bambino incontra nella regolazione del comportamento, dei processi psicologici, sensoriali, attentivi o affettivi, e nell’organizzazione di uno stato di calma, di vigilanza o di uno stato affettivo positivo. Sono differenziati quattro tipi di disturbo della regolazione  e ciascuna tipologia comprende uno specifico pattern comportamentale, associato alla difficoltà di elaborazione o di organizzazione dell’informazione sensoriale o senso-motoria che influenza l’adattamento quotidiano del bambino e le interazioni o relazioni. Risposte scarsamente organizzate o  poco modulate possono essere riscontrate nei seguenti domini:

  1. Nelle reazioni o stati fisiologici (ad esempio, respirazione startle, singhiozzi, soffocamenti).
  2. Nella motricità grossolana (ad esempio, disorganizzazione motoria, avere movimenti a scatto, essere in continuo movimento).
  3. Nella motricità fine (ad esempio, movimenti scarsamente differenziati o irregolari, movimenti sussultanti o deboli).
  4. Nell’organizzazione attentiva (ad esempio, comportamento “guidato” dallo stimolo, incapacità di fissarsi su un particolare o, al contrario, perseverare su un piccolo dettaglio).
  5. Nell’organizzazione degli affetti, che include la tonalità affettiva predominante ( ad esempio, depresso, calmo, felice); la gamma degli affetti (ampia o ristretta); il grado di modulazione degli affetti esibito (ad esempio, passa improvvisamente da uno stato di calma ad uno di eccessiva euforia); la capacità di utilizzare e di organizzare gli affetti all’interno delle relazioni e dell’interazione con gli altri (ad esempio,  pattern  di comportamenti  evitanti  o negativisti  o di dipendenza eccessiva).
  6. Nell’organizzazione del comportamento (ad esempio, aggressivo o impulsivo).
  7. Nei pattern relativi al sonno, all’alimentazione o al controllo sfinterico.
  8. Nel linguaggio (recezione ed espressione ) e nelle difficoltà cognitive .

Per formulare la diagnosi di disturbo della regolazione occorre che siano presenti sia un pattern comportamentale specifico sia una difficoltà di elaborazione e di organizzazione sensoriale e senso-motoria:

  1. Iper- o ipo-reattività a rumori forti o dal tono grave o acuto.
  2. Iper- o ipo-reattività a luci abbaglianti, forme visive nuove singolari come colori,forme o strutture complesse
  3. Iper- o ipo-reattività alle sensazioni tattili e/o iper-sensibilità orale (evitamento di alcuni cibi di particolare consistenza)
  4. Difficoltà motoria orale o mancanza di coordinazione a causa del basso tono muscolare; difficoltà di pianificazione motoria
  5. Ipo-reattività al tocco o al dolore
  6. Insicurezza gravitazionale (iper- o ipo-reattività alle mutevoli percezioni del movimento implicate nei movimenti orizzontali e verticali rapidi)
  7. Iper- o ipo-reattività agli odori
  8. Iper- o ipo-reattività alla temperatura
  9. Tono e stabilità muscolare bassi (ipotonia, ipertonia, fissazione posturale, movimento poco armonico)
  10. Deficit qualitativo nelle abilità di pianificazione motoria
  11. Deficit qualitativi nella capacità di modulare l’attività motoria
  12. Deficit qualitativi della motricità fine
  13. Deficit qualitativi nella capacità di articolazione del linguaggio
  14. Deficit qualitativi nella capacità di elaborazione visuo-spaziale
  15. Deficit qualitativi nelle capacità attentive e di concentrazione

All’interno del modello DIR c’è una particolare attenzione a questo tipo di disturbo che è una componente chiave della valutazione e del trattamento del bambino con gravi difficoltà di relazione e comunicazione. In questo modello le 4 A sono alla base dell’integrazione sensoriale:

  1. arousal: capacità di mantenimento della vigilanza e di transizione tra stati differenti di sonno e di veg La condizione corrente di arousal del bambino influenza l’integrazione sensoriale;
  2. attenzione: capacità di focalizzarsi in modo selettivo su uno stimolo o su un compito particolare;
  3. affettività: componente emozionale del comportamento; la modulazione degli input sensoriali influenza direttamente le risposte emozionali;
  4. azione: capacità di assumere un comportamento adattato e diretto ad uno scopo.

Una disfunzione nell’integrazione sensoriale si può avere a carico della:

  • registrazione (degli stimoli) ed orientamento
  • interpretazione degli stimoli
  • organizzazione di una risposta.

Se un bambino ha difficoltà a finalizzare e programmare una data azione, può non essere capace di iniziare molte attività per proprio conto o può perseverare in una data attività, non essendo in grado di fare il passo successivo. In ciascuna delle categorie della disfunzione dell’elaborazione sensoriale è comune avere una variabilità nelle performance  di  comportamento.  Questo  può  essere  influenzato  dal grado  di stimolazione ambientale, dallo stato emozionale, dal livello generale di arousal, dall’accumulo di stimoli e dalla disponibilità di un caregiver familiare per tamponare lo stress. Per identificare una disfunzione nell’integrazione sensoriale i metodi più efficaci sono:

  • parlare con i genitori;
  • osservare il bambino nel contesto naturale di relazioni, gioco ed attività funzionali.

Non bisogna osservare solo i cinque sensi standard ma i sensi del corpo: vestibolare (gravità e movimento) e propriocettivo (muscoli e articolazioni). È importante per sviluppare il senso del sé la capacità di interagire motoriamente ed emotivamente con le persone e gli oggetti. In base a questa disfunzione i bambini possono essere iper- reattivi o ipo-reattivi o presentare delle forme miste a carico di sensi diversi. I bambini iper-reattivi hanno una bassa soglia sensoriale ed uno sbilanciamento con prevalenza di reazione del sistema nervoso simpatico.

  1. arousal: range ristretto, tende ad essere alto con un rigoroso controllo dell’input sensoriale;
  2. attenzione: iperfocalizza su un dettaglio;
  3. affettività: limitato range affettivo, va dalla disconnessione dell’input sensoriale al ritiro negativo;
  4. azione: strettamente focalizzata, con elaborazione limitata ed inflessibilità del comportamento che può, in particolare, divenire disorganizzato e sviluppare rigide routine, compulsioni e patterns stereotipati che aiutano a mantenere il controllo.

I bambini ipo-reattivi hanno un’alta soglia sensoriale e prevalenza di reazione del sistema nervoso para  simpatico. Presentano problemi di attenzione, arousal labile, attività disorganizzata.

  1. arousal: basso e non modulato;
  2. attenzione: non focalizzata o strettamente diretta su un tipo specifico di ricerca sensoriale per fronteggiare necessità interne;
  3. affettività: piatta e non investita, possono illuminarsi con l’input vestibolare ma la passività è frequente;
  4. azione: tende ad essere non finalizzata e caotica.

Le stereotipie ed i comportamenti ripetitivi su base sensoriale hanno differenti funzioni, basate sulla soglia sensoriale corrente del bambino. Un esempio è lo sfarfallamento:

  • il bambino iper-reattivo lo usa per focalizzarsi ed escludere il resto delle cose circostanti (risultato calmante de organizzante);
  • il bambino ipo-reattivo per aumentare l’arousal;
  • per scaricare la tensione.

Questi comportamenti si possono considerare a qualche livello adattivi, soluzioni con cui i bambini cercano di monitorare e di guidare la registrazione, l’orientamento e l’interpretazione degli input sensoriali, in modo da mantenere u livello di comfort. Il bambino iper-reattivo, per esempio, evitano un input sensoriale disorganizzante e sovraccarico mediante stereotipie, evitamento dello sguardo, focalizzazione sui dettagli del mondo inanimato; il bambino ipo-rettivo può avere una forma preferita di input sensoriale che in genere è la rotazione. Non bisogna intendere l’intervento su una disfunzione dell’elaborazione sensoriale come una stimolazione sensoriale: l’attività dev’essere sempre legata all’affettività, all’intenzione e alla motivazione intrinseca del bambino, cioè, dev’essere finalizzata.

 

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