Attenzione e apprendimento

In quanto consente di selezionare determinati stimoli per poi dirigere il comportamento verso questi ultimi, l’attenzione è anche apprendimento.

…Sono stati studiati con appositi test la qualità di apprendimento in condizioni di attenzione concentrata e diffusa.
I risultati hanno trovato applicazione in ambito pedagogico e in psicologia dell’età evolutiva dove si è potuto constatare che l’attenzione del bambino è prevalentemente spontanea fino ai sette anni, con conseguente comportamento fluttuante e scarsa capacità di applicarsi ad un’attività strutturata in modo consapevole.

Dagli otto agli undici anni, quando il bambino è in grado di orientare la sua attività verso un oggetto specifico, compare l’attenzione volontaria che, in ambito educativo e scolastico, necessita di essere stimolata con incentivi e accorgimenti che vanno dalla facilità e dalla familiarità del contenuto a relazioni più complesse e mutevoli, seguendo strategie opportunamente messe a punto.”

Rileggendo questo passo ho pensato che è come se ad un certo punto, nel bambino dagli otto agli undici anni, che prima non faceva particolare problema a porre la propria attenzione su una cosa che lo interessava e lo attraeva, improvvisamente a questa età perdesse questa capacità, ma non si capisce bene per quale motivo, e avesse bisogno di stimoli e strategie particolari affinché la sua attenzione possa rimanere ben desta, se, con l’andar del tempo, accade questo si può solo immaginare cosa possa accadere a ragazzi più grandi, data la loro età…

In effetti, che l’attenzione sia apprendimento, un po’ la nostra esperienza ce l’ha dimostrato. Quando guardo con attenzione un’operazione, anche manuale, posso memorizzarla e ripeterla subito dopo, sempre che tutto funzioni bene. Se ascolto con attenzione un concetto, una data, un nome o la strofa di una poesia o canzone, se mi interessa (ma se non mi interessa non ascolto, sento soltanto) dovrei essere in grado di trattenerla e di ripeterla. Ciò che colpisce in questa ultima parte della definizione sono le “strategie”. Si era detto che buona parte dell’attenzione, a parte quella minima “volontaria” (ma anch’essa condizionata da fattori “interni”), è involontaria. Quindi se si tratta di “strategie”, queste debbono essere indirizzate soprattutto alla “vocazione” del soggetto, alle sue componenti soggettive di famigliarità e facilità che sono individuabili solo conoscendo molto bene e intimamente il soggetto.

Ma proseguiamo addentrandoci in quelli che vengono definiti:
4) Disturbi dell'Attenzione

Tratto da www.neuropsicomotricista.it  + Titolo dell'articolo + Nome dell'autore (Scritto da...) + eventuale bibliografia utilizzata

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