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Attenzione, Concentrazione: al centro l'azione

Vorrei partire da una ricerca che ho fatto cercando le parole attenzione e concentrazione sia sul “Dizionario di psicologia”di Umberto Galimberti, sia sul “Grande dizionario della lingua italiana” del Battaglia, oltre alla definizione che ne dà il “Vocabolario di psichiatria”.

Partendo da una definizione più scientifica, il dizionario di psicologia definisce l’attenzione come “capacità di selezionare gli stimoli e mettere in azione i meccanismi che provvedono ad immagazzinare le informazioni nei depositi di memoria a breve e lungo termine con influenza diretta delle prestazioni nei compiti di vigilanza” già in questa iniziale descrizione troviamo la parola “azione”; perché ci sia attenzione occorre che ci sia un certo tipo di movimento, non si tratta quindi di passività, ma piuttosto di mettere in moto qualche cosa, in questo caso certi meccanismi. Quali meccanismi? E cosa vuol dire “immagazzinare le informazioni nei depositi”? Dobbiamo a questo punto interrogarci su cosa sia un concetto: già, cos’è un concetto? Non voglio fare un quiz, ma “chiamarvi” a considerare i concetti e la formazione di essi nei soggetti. Il concetto, per farla breve, è: “La suddivisione della realtà in classi e sottoclassi”. Cosa significa suddividere la realtà in classi e sottoclassi? Non è un lavoro semplice, anzi. Tutti quei giochini che i negozi di giochi “pedagogici” ci propongono e che sono quelli che invitano i bambini a mettere insieme l’ago con il filo, il cane con la cuccia, il vaso con il fiore, non sono propriamente senza valore. Infatti, se ci pensiamo, noi siamo chiamati, e chiamiamo soprattutto i bambini, a mettere insieme, in una stessa categoria, due cose così diverse come possono essere un pulcino e un elefante, diversissimi ma entrambi debbono collocarsi nella categoria, o classe, o sottoclasse, “animali” e poi mettere invece in due classi diverse oggetti uguali come possono essere ad esempio un bicchiere di vetro e uno di plastica, in classi o sottoclassi diverse in quanto se mi cade un bicchiere di plastica non succede nulla, se cade uno di vetro si rompe arrecando un certo danno. Non è banale acquisire un sistema di concettualizzazione abbastanza efficiente in quanto è poi questo personalissimo modo di “classificare” che ci metterà in grado di utilizzare i termini, le frasi, gli oggetti e i concetti appunto in modo attinente o non attinente. Badate che questo modo di “catalogare” è sempre in attività, non è un’azione che compie solo il bambino ma tutti noi ogni qualvolta che dobbiamo incasellare una conoscenza nuova, un dato, un luogo, una strada, una persona. Anche in questo momento le cose che dico debbono da me essere estrapolate dal mio “casellario” e da voi essere immesse nel vostro. Mi sembra che possa essere chiaro che l’eventuale errore di classificazione, il mettere qualcosa in una classe che non sia appropriata, espone il soggetto ad una difficoltà sia espositiva, sia elaborativa. Ecco spiegato, credo, quello che la definizione affermava: “con influenza diretta delle prestazioni nei compiti di vigilanza”. Immagazzinare quindi è ciò che influenza la “vigilanza”, l’attenzione. Meglio immagazzino, meglio riesco a raggiungere il mio “schedario” più l’attenzione è avvantaggiata.
Il dizionario di psicologia prosegue entrando più nel merito della questione ed analizza il termine attenzione in relazione alla neuropsicologia, alla percezione, all’apprendimento e ai disturbi dell’attenzione.

Analizziamoli singolarmente partendo dalle varie definizioni:
1) Neuropsicologia dell'attenzione

Tratto da www.neuropsicomotricista.it  + Titolo dell'articolo + Nome dell'autore (Scritto da...) + eventuale bibliografia utilizzata

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