Università degli Studi di Pisa
Alfredo Cavaliere Converti
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L'Università degli Studi di Pisa
Anche se alcuni studiosi fanno risalire all XI secolo l'origine storica della nostra Accademia di Studi, i dati piú sicuri risalgono a partire dalla seconda metà del secolo successivo, quando Pisa, città di notevoli tradizioni romane e ricca di una intensa vita economica, ebbe "legum doctores" e scuole di diritto, sia laiche che monastiche.
Fra i nomi piú noti di quei tempi ricordiamo nel campo del diritto Bulgaro ed il canonico Uguccione, entrambi pisani, ed il maestro Burgundio, di cui resta ancor oggi una lapide mortuaria datata 1194 posta nella chiesa di S. Paolo a Ripa d'Arno, nella quale è ricordato come "gemma magistrorum et doctor doctorum" .
Probabilmente quindi già allora esisteva una "universitas" nel senso originale della parola, cioè un insieme di studenti raggruppati intorno ai maestri. Nel secolo successivo sono riportate anche le prime testimonianze di dottori "in arte medicinae et in arte chirurgiae", come Michele ed Enrico Bandini ed il maestro Tosingo, venuto da Napoli nel 1281 ad insegnare medicina.
L'inizio di un vero e proprio documentato Studio generale viene fatto risalire al 1338, ai tempi in cui a capo del Comune era il conte Fazio della Gherardesca. A tale data il Tronci, nelle sue "Memorie Istoriche della città di Pisa" scrive:"...il conte Fazio... per rendere piú riguardevole la Città, col parere di tutti gli Anziani e di tutto il Senato, stabilí di fondare una Università, per condurre Dottori principali a leggervi, e ridotto a buon termine il Teatro delle scuole, mandò ambasciatori... e chiamarono soggetti insigni a leggere... e nell'anno 1340 furono condotti Bartolo da Sassoferrato e Mes. Guido da Prato Dottore di Fisica, a leggere Chirurgia".
Similmente su questo punto attesta il Muratori in "Monumenta Pisana".
L'istituzione ufficiale dello Studio avverrà poco dopo, per volontà di Papa Clemente VI, con la bolla "In supremae dignitatis" emessa a Villanova presso Avignone il 3 settembre 1343. In questo solenne atto il pontefice, dopo aver ricordato i meriti e le glorie di Pisa, stabilisce di erigervi uno Studio generale dotato dei seguenti insegnamenti: teologia, diritto canonico e civile, medicina "et qualibet alia licita facultate". Vengono concesse tutte le immunità e i privilegi tanto per i dottori che per gli scolari, si stabiliscono le nomine per i gradi, che sono distinti in dottori e maestri. I candidati infine ai termini degli studi si dovranno presentare davanti all'arcivescovo o al vicario capitolare per sostenere i debiti esami di fronte a tutto il corpo insegnante, al fine di essere promossi.
Dopo questo fondamentale documento storico, viene seconda in ordine di tempo e di importanza l'altra bolla di Clemente VI del 2 dicembre 1343 "Atendentes Provide", diretta ai professori e agli scolari dell'Università, nella quale viene permesso agli ecclesiastici di frequentare lo Studio: è questa una importantissima concessione, inspirata del desiderio di favorire il nascente Ateneo, che viene dopo i precedenti divieti sulla materia dei papi Alessandro III e Onorio III che proibivano severamente ai sacerdoti di frequentare le scuole dei laici.
Nel 1355 segue il diploma di riconoscimento di Carlo IV.
Sorge cosí la nostra Università, come "luogo di studi aperto a tutti", con una corporazione di insegnanti, precise norme statutarie che regolano l'esercizio dell'arte, con il riconoscimento giuridico a chi ha seguito il corso degli studi, con la concessione del titolo di magister o di doctor e con la "licentia o facultas ubique docendi".
A questi antichi e gloriosi inizi fecero seguito successivamente lunghi periodi di degrado, per le lotte interne che cominciarono a travagliare la città, per le guerre contro Firenze e per le pestilenze gravissime che devastarono tutto il paese.
Nella seconda metà del Trecento con la signoria di Piero Gambacorti, Pisa ebbe un breve periodo di riresa; nell'ottobre 1369 viene creato un consiglio di Savi per restaurare ed accrescere lo Studio. Si hanno allora altri insegnanti di grande fama, come Ugolino da Montecatini, e per la prima volta iniziò inizio anche ufficialmente l'insegnamento della grammatica con Francesco da Buti, il noto commentatore di Dante.
Seguirono poi purtroppo molti anni di grave e travagliata crisi e di misera decadenza, in particolare dopo il 1406 con la perdita di tutte le gloriose libertà cittadine sotto la pesante ed ingiusta dominazione dei conquistatori fiorentini. Pisa diviene quasi deserta per le notevoli distruzioni apportate, la vita è resa quasi impossibile, la voce dell'Università cessa del tutto.
L'Accademia fu riaperta il 1 novembre 1473 per volontà di Lorenzo dèMedici che volle nella nostra città "uno degno et riputato Studio" , con precisi ordinamenti sul tipo di quelli fiorentini e, a partire dal 1478 con statuti propri.
Per tutti questi lunghi anni e sino alla fine del XV secolo l'Università non ebbe una vera e propria sede per gli insegnamenti; le lezioni erano tenute di solito presso le abitazioni dei vari maestri o nei conventi, come S. Michele in Borgo; S. Pietro in Vincoli, S. Nicola e S. Caterina; le lauree erano di norma conferite nel palazzo arcivescovile. In occasione poi di gravi pestilenze, lo Studio era trasferito altrove, come ad esempio a Pistoia nel 1479-80 o a Prato, nel 1482-86
Fu Lorenzo dè Medici che dispose allora l'edificazione di un apposito ed idoneo edificio in Pisa, la Sapienza, che avrebbe dovuto comprendere non solo i locali per gli insegnamenti delle varie facoltà, ma anche fosse dimora dei docenti e degli studenti. Fu scelta a questo fine l'antica piazza del grano e qui furono iniziati i lavori per la costruzione della Università, lavori che si prolungarono poi a lungo a causa degli eventi politici.
Dopo la sfortunata ribellione della città contro il pesante dominio fiorentino in occasione della venuta di Carlo VIII (1494-1509) l'Università fu trasferita a Firenze. Lo Studio fu poi di nuovo riaperto nel 1515; seguirono però altri anni di triste decadenza; in un documento del 1535 ad esempio la Magistratura pisana stabilisce di concedere sovvenzioni ai giovani che desiderino studiare fuori di Pisa perchè questa manca "quasi che di tutto... di homini et maxime di litterati et bene instructi in qualche virtú...".
È grande merito di Cosimo I, nella sua lungimirante concezione di realizzare una Toscana unita e progredita, aver disposto la riapertura della nostra Università ed averla riportata agli antichi splendori. Per questo fine fece redigere da Lelio e Francesco Torelli nuovi statuti, che rimasero poi in vigore, sia pure con qualche modifica fino al secolo XVIII.
Lo Studio fu solennemente riaperto il 1 novembre 1543; furono chiamati ad insegnare con lauti stipendi famosi maestri sia italiani che stranieri, come Piero Angeli, Andrea Cesalpino, Realdo Colombo, Gabriele Falloppio e molti altri.
Le varie corporazioni degli studenti, "universitas", erano suddivise in "nationes" sulla base del luogo di provenienza dei soggetti; se stranieri, erano detti ultramontani; se italiani, citramontani. La guida dell'intera Università era affidata ad un rettore, eletto ogni anno fra tutti gli studenti. Altre cariche importanti furono quelle del Provveditore e dell'Auditore allo Studio, di nomina granducale. L'iscrizione degli studenti ai vari corsi, si compieva formalmente con la loro immatricolazione, cioè riportando il loro nome su un apposito registro detto "libro delle matricole"; per questo atto, non erano richiesti né limiti di età né particolari studi precedenti. I sudditi del granducato erano obbligati a frequentare l'Accademia di Pisa ed i piú poveri e meritevoli, potevano essere ospitati gratuitamente in alcuni collegi, come ad es. quello di Cosimo o della Sapienza, ubicato al primo piano di detto palazzo.
I vari insegnanti erano assunti con contratti a termine e a condizioni economiche stabilite caso per caso; avevano vari obblighi, fra i quali quello di risiedere sempre a Pisa durante l'anno accademico, effettuare un certo numero minimo di lezioni, di indossare l'abito prescritto. I corsi degli studi della durata di 5 anni, si concludevano poi col dottorato di laurea: in teologia, in diritto civile e canonico, in medicina e filosofia. I professori erano ripartiti in questi tre collegi; i programmi e i testi dei corsi, erano regolati da precise norme statutarie. L'anno accademico iniziava il 1 novembre e terminava il 22 giugno e doveva comprendere non meno di 120 giorni di lezioni. Unico esame che dovevano sostenere gli studenti era quello finale di laurea.
Per dare un esempio del numero degli studenti iscritti, sono significativi alcuni dati riportati in una recente opera (Acta Graduum Academiae Pisanae 1979-80): dal 1543 al 1599 furono conferite complessivamente 3.943 lauree cosí suddivise: 417 in teologia, 2788 giuridiche, 738 in medicina e filosofia. Dal 1600 al 1699 si ebbero in totale 6.810 lauree: 479 in teologia 5.081 in diritto, 1250 in medicina.
Continuando questo rapido excursus sullo Studio pisano, ricordiamo che nel corso del XVII e XVIII secolo l'Ateneo ebbe un lungo periodo di gloriosa attività ad opera di eminenti figure di insegnanti che si adoprarono intensamente per far progredire il pensiero, in un continuo spirito di rinnovamento scientifico e filosofico di grande importanza. La nostra Università venne ad assumere pertanto una notevole rinomanza sia in ambito nazionale che europeo. Basterà qui ricordare solo alcuno di quei tanti illustri docenti di quegli anni come Giovanni Alfonso Borelli, matematico, ma profondo studioso dei fenomeni naturali; Lorenzo Bellini e Marcello Malpighi, famosi entrambi per i loro rinnovatori studi anatomici; Alessandro Marchetti, matematico e filosofo; Galileo Galilei,fondatore del nuovo metodo sperimentale che insegnò da noi solo però per breve tempo. Nel '700 ricordiamo lo storico Lorenzo Pignotti, Giuseppe Averani, il padre Guido Grandi, Flaminio Dal Borgo, Stefano Fabbrucci, il primo studioso della storia della nostra Accademia; Bernardo Tanucci, celebre anche per la disputa col matematico Grandi sulla origine del codice pisano delle Pandette; M. Algelo Tilli, prefetto dell'orto botanico; i medici Antonio Cocchi e Giuseppe Zambeccari, solo per citarne alcuni fra i tanti.
Lo studio decadde alquanto durante l'ultimo periodo dei granduchi medicei, per riprendere poi con la dinastia lorenese, specie per merito del provveditore Angelo Fabroni (1769-1803). Durante questo periodo, pieno di rinnovamenti e riforme illuminate, avvengono anche altre realizzazioni, come la costruzione della Specula, l'apertura della biblioteca, il potenziamento del già famoso Orto Botanico e del Museo di Scienze naturali. Sono pure istituite nuove cattedre di insegnamento.
Nel secolo successivo la nostra Università continuerà ad espandersi e dopo l'eroico contributo dato alle guerre risorgimentali, vedrà il suo massimo splendore dopo l'avvento dell'unità nazionale.