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L'IMPORTANZA DELLA FUNZIONE MANUALE: percorso evolutivo dallo sviluppo della prensione alla realizzazione della scrittura

Tesi di Laurea di: Mariapia ALESSI  - L'IMPORTANZA DELLA FUNZIONE MANUALE: percorso evolutivo dallo sviluppo della prensione alla realizzazione della scrittura - Università degli Studi di Messina - Anno Accademico 2022-2023.

Introduzione

I CAPITOLO – Lo sviluppo psicomotorio

  1. Definizione e generalità
  2. Lo sviluppo grosso-motorio
  3. La motricità fine

II CAPITOLO - La funzione visiva

  1. Definizione e generalità
  2. Cenni di anatomia
  3. Lo sviluppo della funzione visiva
  4. La coordinazione oculo-manuale

III Capitolo – La scrittura

  1. Definizione e generalità
  2. Pre-requisiti
  3. Lo scarabocchio
  4. Lo sviluppo della scrittura

IV Capitolo – La disgrafia

  1. Definizione e Disturbi specifici dell’apprendimento
  2. Epidemiologia
  3. Diagnosi
  4. Intervento

Conclusioni

BIBLIOGRAFIA - SITOGRAFIA

 

INDICE

Introduzione

La funzione manuale è una caratteristica dell’essere umano assente in tutti gli altri esseri viventi, e dunque conferisce all’uomo una posizione di rilievo che è stata riconosciuta nel tempo da diversi artisti, filosofi, pensatori e medici. In particolare, una celebre citazione di Anassagora cita così: “L’uomo è il più intelligente degli animali grazie all’avere le mani”.

Le attività che possono essere svolte dalle mani, organo periferico degli arti superiori, sono davvero tante poiché altrettanto numerosi sono i gesti che è capace di eseguire grazie alla sua conformazione strutturale: ossa, superfici articolari, tendini e muscoli, che cooperano per promuovere ed eseguire un determinato movimento.  Esse permettono la manipolazione di oggetti, lo spostamento degli stessi, le autonomie personali e sociali, la comunicazione, la scrittura …

L’obiettivo di questa tesi di laurea è proprio quello di descrivere il percorso evolutivo di questa funzione che prende avvio dall’attività fino-motoria più semplice ed elementare: la capacità di afferrare e manipolare gli oggetti; fino ad arrivare alla realizzazione di quella che viene definita come l’abilità manuale più complessa, ovvero l’abilità di scrivere.

Lo sviluppo della funzionalità della mano è coerente con lo sviluppo psicomotorio del bambino, vanno cioè di pari passo. Nei primi mesi di vita l’attività della mano è orientata a garantire l’equilibrio posturale e l’esplorazione ambientale attraverso cui il bambino conosce il mondo circostante. Attraverso le attività della mano il lattante sperimenta e si arricchisce di esperienze senso-motorie che risultano indispensabili per uno sviluppo armonico globale, non solo motorio ma anche cognitivo e sociale.

Man mano che il bambino cresce, riesce ad eseguire movimenti sempre più precisi e fini perché impara ad utilizzare in modo dissociato ed indipendente le singole dita e a coordinare i movimenti eseguiti con la funzione visiva (dai 4 mesi di vita circa), indispensabile per lo svolgimento di qualsiasi attività anche molto semplice come indicare o afferrare gli oggetti. Per quanto riguarda la presa e la manipolazione degli oggetti, esse sono definibili come le attività manuali più semplici ma, nonostante ciò, queste si sviluppano secondo un percorso progressivo e graduale in cui si modifica la modalità con cui vengono afferrati gli oggetti fino al raggiungimento di una prensione matura intorno all’anno d’età.

Con l’ingresso alla scuola dell’infanzia, intorno ai 3 anni d’età, i bambini riescono ad affinare le proprie capacità fino-motorie e la coordinazione sia generale che occhio-mano mediante lo svolgimento di attività e giochi nuovi che permettono ad essi la creazione di nuovi schemi d’azione ma anche lo sviluppo dei pre-requisiti che saranno poi utili per lo sviluppo della scrittura.

La scrittura, intesa come la capacità di scrivere, è considerata l’abilità manuale più complessa perché richiede movimenti delicati e coordinati di precisione dei muscoli del braccio, del polso e della mano. Essa rappresenta un’evoluzione dello scarabocchio che inizialmente ha valore solo di piacere visivo ed intorno ai 3 anni diventa rappresentativo assumendo di significato. Tuttavia, solo intorno ai 5 anni d’età, nel momento in cui il bambino si accinge all’ingresso alla scuola primaria, si interroga su cosa sia la scrittura e ne comprende il ruolo imparando lo schema strutturale delle prime lettere; la struttura di tutte le lettere dell’alfabeto verrà acquisito con l’ingresso nella prima classe elementare e l’apprendimento della letto-scrittura, e quindi del codice scritto, si completa al termine della seconda classe di scuola elementare. È infatti, proprio in corrispondenza della conclusione di tale ciclo, che possono essere diagnosticati i disturbi specifici dell’apprendimento, ad eccezione del disturbo del calcolo.

INDICE

I CAPITOLO – Lo sviluppo psicomotorio.

1.1Definizione e generalità.

Lo sviluppo psicomotorio è costituito dall’insieme delle dinamiche di quel processo di cambiamento, che prende avvio con il concepimento e si estende lungo tutto l’arco della vita, volto a rendere più articolato il funzionamento della persona.

“Lo sviluppo individuale umano implica processi incrementali e di trasformazione, che attraverso il flusso delle interazioni tra gli aspetti attuali della persona ed i suoi attuali contesti, producono una successione di cambiamenti relativamente duraturi, e tali da incrementare o rendere più complessa l’articolazione dei tratti strutturali e funzionali della persona e i paradigmi delle sue interazioni con l’ambiente, mantenendo al tempo stesso un’organizzazione coerente e un’unità strutturale e funzionale della persona come un tutto inscindibile.”. (Ford, Lerner, 1995).

Esso dipende da fattori genetici ma anche da fattori ambientali che risultano essere in una relazione dinamica e reciproca, cioè si tratta di una relazione che si modifica continuamente e gli effetti di tale interazione sono reciproci in quanto il soggetto influenza ed allo stesso tempo è influenzato dall’ambiente.

È per questo motivo che l’approccio allo studio dello sviluppo deve essere epigenetico, deve cioè valutare e studiare le variabili in grado di modificare il fenotipo mantenendo invariato il genotipo, modificare l’espressione dei geni pur senza modificare la sequenza del DNA.

I cambiamenti che l’individuo subisce durante lo sviluppo derivano dall’interazione di tre processi di varia natura: biologica, cognitiva e socio-emotiva. I processi di natura biologica sono responsabili dei cambiamenti nel corpo della persona (accrescimento auxologico, sviluppo del cervello, capacità motorie, cambiamenti ormonali della pubertà); i processi di natura cognitiva sono responsabili dei cambiamenti nel pensiero, nell’intelligenza e nel linguaggio della persona (capacità di memoria, capacità di mettere insieme due parole per formulare delle frasi, capacità di risolvere un problema matematico, pensiero immaginativo e capacità di eseguire il gioco del “far finta di”); i processi di natura socio-emotiva sono responsabili, invece, dei cambiamenti nelle relazione inter-personali, nelle emozioni e nella personalità (capacità di socializzare, capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni, autostima, sicurezza di sé).

Tali processi sono strettamente legati tra loro e tale connessione è evidente principalmente in due campi di studio emergenti:

  1. Le neuroscienze cognitive dello sviluppo, che esplorano i collegamenti tra sviluppo, processi cognitivi ed il cervello;
  2. Le neuroscienze sociali dello sviluppo, che esplorano i collegamenti tra sviluppo, processi socio-emotivi ed il cervello.

Entrambi rientrano nello studio della psicologia dello sviluppo, scienza che studia l’evoluzione e lo sviluppo del comportamento umano dalla nascita alla morte, nonché tutti i cambiamenti affrontati dal soggetto durante la  vita. Essa si differenzia dalla psicologia dell’età evolutiva che prende in considerazione tali cambiamenti solo nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza, considerati come quelli più ricchi di avvenimenti che pongono le basi della vita adulta. La psicologia dell’età evolutiva viene definita come la scienza che studia “il processo di organizzazione del bambino che si lega alla crescita fisica e psicologica nell’ambiente sociale, nel periodo che va dalla nascita fino all’età della maturazione sessuale e la piena integrazione nell’ambiente sociale”.

Si può classificare il complesso processo di sviluppo in più aree, quali:

  • l’area motoria;
  • l’area cognitiva;
  • l’area del linguaggio;
  • l’area socio-emotiva.

All’interno di ogni area sono state distinte delle diverse tappe di sviluppo, tuttavia esse non sono da considerare indipendenti le uni alle altre poiché tutte risultano essere strettamente legate tra esse, infatti è possibile dimostrare che un possibile ostacolo in una delle aree andrà a compromettere, o anche solo influenzare, lo sviluppo nelle altre e, a loro volta, lo sviluppo globale del bambino.

 

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1.2 Lo sviluppo grosso-motorio.

Lo sviluppo motorio consiste nella graduale manifestazione del movimento, dapprima molto semplice e grossolano per poi diventare più fine e complesso.

Non è possibile considerare tale area di sviluppo come lineare, infatti essa procede per cambiamenti di fase, per salti evolutivi rappresentati dalla comparsa di un’abilità precedentemente assente. Tali abilità, una volta acquisite, subiscono un’elaborazione, una modifica, secondo un percorso evolutivo, progressivo e graduale al fine di adeguarsi a schemi sempre più complessi.

Questo processo dura molti anni, tuttavia i principali cambiamenti si verificano durante i primi 18 mesi di vita del bambino, nei quali vengono raggiunte le tappe più importanti e fondamentali dello sviluppo motorio:

  • 3 mesi. Scompaiono i riflessi arcaici e inizia a svilupparsi la motricità volontaria attraverso cui il bambino riesce ad afferrare gli oggetti. Il bambino da supino manterrà un atteggiamento degli arti ancora flessi; da prono solleverà il capo ponendolo in asse, sgancerà l’arto superiore e si poggerà sui gomiti semi-estesi, questo gli permette di prepararsi alla successiva estensione del tronco e degli arti inferiori.
  • 5 mesi. Il bambino sviluppa gli atteggiamenti in estensione e la simmetria. Riesce a raggiungere, in maniera stabile, il controllo del capo; da supino tende a sollevarsi per prepararsi alla successiva stazione eretta e, sorretto, tende a portare indietro il tronco; da prono riesce a sollevare il capo e, con movimenti di estensione e abduzione degli arti, si solleva sulle braccia e comincia a tendersi verso un oggetto. Emergono anche, durante questa fase, le reazioni di equilibrio in posizione prona e supina.
  • 7-8 mesi. Il bambino acquisisce la competenza di rotolamento attorno all’asse del corpo; sarà capace di mantenere la stazione seduta corretta senza appoggio e potrà sollevarsi in piedi senza ancora riuscire a spostarsi carponi.
  • 9-10 mesi. Il bambino inizia a spostarsi carponi; sa girare su sé stesso e spostarsi da seduto; riesce a raggiungere, con aiuto, la stazione eretta ma è ancora incapace di mantenerla in maniera autonoma per mancanza di equilibrio.
  • 12 mesi in poi. Il bambino riesce a raggiungere ed a mantenere, in maniera autonoma, la stazione eretta ed inizia la deambulazione, dapprima può avvenire nella modalità “navigazione costiera” per poi divenire autonoma (15 mesi circa).

Dai 3 ai 5 anni si assiste ad un rapido miglioramento nella motricità e nell’equilibrio, successivamente l’evoluzione procederà con ritmi più lenti ma senza arrestarsi.

Queste tappe riguardano principalmente lo sviluppo della motricità grossolana. Williams (1983) definisce lo sviluppo grosso-motorio come “l’uso progressivamente sempre più abile della totalità del corpo in un’attività che coinvolge ampi gruppi muscolari e che richiede la coordinazione spaziale e temporale del movimento simultaneo di vari segmenti corporei”.

Pertanto la motricità grossolana è quella motricità che riguarda principalmente i muscoli lunghi e addetti al controllo della postura, allo spostamento degli arti e ai movimenti del corpo nello spazio.

Il movimento è uno degli elementi caratteristici degli esseri viventi e permette al soggetto di spostarsi da un punto A ad un punto B. Ogni movimento è determinato dalla funzione coordinata di tre sistemi: il sistema nervoso, che invia degli impulsi ai muscoli stimolando la contrazione; il sistema muscolare, che risponde all’impulso ricevuto contraendosi; ed il sistema osteo-articolare, composto da segmenti scheletrici obbligati a spostarsi nello spazio dalla contrazione dei muscoli. Questi, insieme, costituiscono l’apparato locomotore.

Il movimento è strettamente legato anche allo sviluppo delle abilità cognitive dell’individuo, come sostengono le teorie di Piaget (1896-1980), psicologo, biologo, pedagogista e filosofo svizzero. Egli viene considerato il fondatore dell’epistemologia genetica, studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo, e diede contributi degni di nota alla psicologia dello sviluppo.

Piaget, nella sua teoria cognitiva dello sviluppo, afferma che i bambini costruiscono attivamente la loro visione del mondo attraverso quattro stadi corrispondenti a diverse età in cui il bambino avrà modi differenti di conoscere il mondo, di pensare. Essi sono:

  1. Stadio senso-motorio;
  2. Stadio pre-operatorio;
  3. Stadio operatorio concreto;
  4. Stadio operatorio formale.

Nello specifico, il primo stadio individuato dallo studioso è quello definito senso-motorio e si realizza in un periodo compreso dalla nascita fino a circa i due anni d’età in cui il bambino progredisce dalle azioni riflesse ed istintive alla nascita al raggiungimento di un pensiero simbolico rudimentale.

In questo primo stadio di sviluppo, il bambino costruisce la propria conoscenza del mondo coordinando le esperienze sensoriali (vista, udito, tatto …) con le azioni fisico-motorie. Infatti proprio in questo periodo di vita, i bambini dedicano molto tempo all’interazione con l’ambiente che li circonda attraverso attività di movimento, quali: strisciare, gattonare, camminare, saltare, correre … Tutte le informazioni così ricavate vengono armonizzate dall’individuo al fine di controllare e coordinare i movimenti del corpo nello spazio esterno.

Di conseguenza, si può dedurre come lo sviluppo motorio sia fondamentale per i bambini per poter fare conoscenza del mondo esterno perché solo attraverso l’esperienza si può fare conoscenza.

Lo sviluppo motorio però non si riferisce solo alle abilità grosso-motorie, esiste un’ulteriore componente della motricità definita fino-motoria.

 

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1.3 La motricità fine.

Per motricità fine (o fino-motricità) è intesa la motricità che implica il controllo dei piccoli muscoli delle estremità del corpo e che si manifesta con movimenti precisi ed accurati.

Si tratta di un’abilità complessa che prevede il coinvolgimento delle capacità motorie integrate con la capacità di elaborare le informazioni sensoriali, come nel caso della coordinazione oculo-manuale, della coordinazione visuo-motoria e della coordinazione bi-manuale.

Essa viene utilizzata in ogni momento in cui si muovono, in maniera precisa, le mani, i piedi ed i muscoli del viso e della bocca, anche se quando si parla comunemente di  motricità fine si fa riferimento alle abilità eseguite con le dita della mano per compiere movimenti coordinati come indicare, prendere, afferrare un oggetto, manipolarlo, lavarsi, vestirsi, mangiare, scrivere … Esse sono tutte attività che vengono svolte in uno spazio ristretto e che richiedono una scarsa forza muscolare, tuttavia esse necessitano anche di concentrazione, precisione ed una buona dissociazione dei movimenti delle dita.

In generale la mano, che nell’evoluzione filogenetica ha acquistato una crescente finezza delle sue prestazioni funzionali, è l’organo del tatto attivo ed è considerato il primo strumento dell’uomo perché è grazie ad esse che il bambino scopre ed interagisce con il mondo. Secondo Darwin, la mano è l’organo che permette di distinguere l’uomo dagli altri primati e che gli conferisce il posto predominante rispetto ad essi nel mondo.

L’importanza della mano e della sua funzione è anche dimostrata nell’immagine dell’Homunculus corticale[1] dove le mani sono rappresentate in dimensioni maggiori rispetto ad altre parti del corpo. Esse sono raffigurate in modo ingrandito proporzionalmente al numero di recettori cutanei (in quello sensitivo) o placche motorie (in quello motorio) presenti, che permettono un movimento più fine.

In merito all’importanza della motricità fine, Maria Montessori ha sottolineato che “la mano è lo strumento espressivo dell’umana intelligenza: essa è l’organo della mente. La mano è il mezzo che ha reso possibile all’umana intelligenza di esprimersi ed alla civiltà di proseguire nella sua opera. Nella prima infanzia la mano aiuta lo sviluppo dell’intelligenza e nell’uomo maturo essa è lo strumento che ne controlla il destino sulla terra”.

La motricità fine, quindi, è uno degli strumenti indispensabili che si hanno a disposizione per conoscere il mondo, evolvere il proprio pensiero e garantire uno sviluppo globale armonico.

Il processo di acquisizione della abilità fino-motorie prevede varie tappe progressive in cui si ha il passaggio da movimenti inizialmente più grossolani e che, grazie alla maturazione neurologica e all’allenamento, diventano più fini ed accurati. In particolare, le fasi dello sviluppo manuale sono:

  • 1 mese. La motricità è riflessa e la presenza di automatismi limita l’azione volontaria. Il neonato mantiene la mani a pugno ed è presente il riflesso di prensione palmare, riflesso neonatale che consiste in una reazione involontario di presa a pugno senza flessione del pollice provocata da una pressione esercitata a livello del palmo della mano o dalla stimolazione delle dita.
  • 2 mesi. Il lattante presenta la mano deflessa e persiste, anche per il secondo mese, il grasping palmare. Egli inizia ad afferrarsi le manine ed emerge la motricità globale spontanea.
  • 3 mesi. Scompare il riflesso di prensione e progredisce la motricità spontanea volontaria: alla vista di un oggetto tenderà le braccia per poterlo raggiungere.
  • 4 mesi. Il bambino riesce ad afferrare gli oggetti volontariamente attraverso una prensione periferica detta cubito palmare[2] per poi portarli alla bocca grazie al movimento simmetrico delle due braccia verso la linea mediana.
  • 5-6 mesi. Il bambino riesce a prendere un oggetto con ognuna delle mani attraverso una prensione più evoluta e detta palmare[3]; inoltre, lascia un oggetto per prenderne un altro.
  • 7-8 mesi. Il bambino manipola gli oggetti e li passa da una mano all’altra; una mano si differenzia e spesso precede l’altra. Gli oggetti vengono afferrati con una prensione più funzionale detta radio-palmare[4].
  • 9-10 mesi. Il bambino pone la mano sempre nella direzione esatta per poter esplorare continuamente infatti si nota una manipolazione esplorativa costante. Il bambino inizia a coordinare con la vista i movimenti motori delle braccia, che iniziano ad essere diversi nei due emi-lati. La prensione in questa fascia d’età è detta pollice-indice ma ancora imperfetta anche se permette al bambino di afferrare degli oggetti piccoli (es. briciole).
  • 11-12 mesi. La prensione è detta a “pinza superiore” e si verifica con opposizione pollice-indice perfetta. Questa permette di eseguire i movimenti con una sempre maggiore accuratezza e precisione utilizzando anche i segmenti più distali delle dita in questione. Al tempo stesso, inizia la dominanza manuale e si perfeziona anche la coordinazione oculo-manuale per indicare.
  • 12-18 mesi. Il bambino inizia a compiere azioni come tirare fuori e mettere dentro gli oggetti da una scatola o contenitore, riesce ad utilizzare un cucchiaino ed anche a girare le pagine di un libro.

Avviene dopo l’anno d’età l’apprendimento e l’esecuzione, in modo grezzo, di azioni come infilare, svitare, impugnare ed usare la matita ma è verso i due anni d’età che il bambino è in grado anche di scarabocchiare.

Da circa i tre anni d’età il bambino riesce a utilizzare le forbici e la motricità fino-motoria gli permette di sbottonare dei bottoni. Con l’ingresso alla scuola dell’infanzia, il bambino acquisirà una maggiore destrezza manuale per compiere movimenti sempre più accurati e finalizzati alla manipolazione di oggetti di piccole dimensioni, come nel caso di attività di costruzione (con mattoncini, chiodini, viti e bulloni giocattolo), attività ricreative (ritagliare, incollare, modellare, infilare) e giochi in scatola (puzzle, giochi di logica o con le carte). Inoltre, il bambino durante queste fasi di sviluppo si specializza nell’uso di vari strumenti grafici per realizzare disegni, forme e segni grafici sia come attività creativa seguendo la propria iniziativa, sia come attività di copia e riproduzione di modelli.

È intorno ai sei anni che il bambino ha imparato ad utilizzare in modo abile penne e matite e ha padronanza delle sue abilità fino-motorie per realizzare ciò che desidera.

Quindi, è man mano che il bambino cresce che si verifica un potenziamento delle abilità già apprese ed un apprendimento di altri schemi motori nuovi. Dunque, è bene dare l’occasione al bambino di sperimentare, allenare e perfezionare le proprie abilità per dimostrare a sé stesso cosa riesce a fare e cosa ha bisogna di imparare.

Dando la possibilità di fare, si scoprono le reali potenzialità di un soggetto.

 

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II CAPITOLO - La funzione visiva

2.1 Definizione e generalità.

Tra le funzioni psichiche che rappresentano i pre-requisiti al fine dell’apprendimento della letto-scrittura va segnalata la funzione visiva. Basti pensare che nessuna forma di lettura, ad eccezione del Braille, è possibile prescindendo dall’informazione visiva.

In generale, essa appare cruciale nello sviluppo dell’individuo poiché si tratta di un canale sensoriale utilizzato dai bambini già dai primi mesi di vita e che permette loro di esplorare l’ambiente e di cogliere maggiori informazioni da esso.

È importante non considerare tale funzione come una semplice presa di coscienza della realtà circostante, ma come il prodotto dell’attività del sistema visivo, complesso sistema di fondamentale importanza e necessario sia per poter cogliere maggiori informazioni durante l’esperienza e l’esplorazione sia per poter sviluppare, ed in seguito esprimere, una risposta adattiva.

Nel linguaggio comune si tende ad utilizzare i termini “vista” e “funzione visiva” come sinonimi, in realtà essi non lo sono ed è essenziale distinguerli:

  1. la vista, conosciuta anche come acuità visiva, è l’espressione sensoriale dell’occhio definita come la capacità di distinguere ad una distanza data le forme o di discriminare due punti vicini. Essa rappresenta il punto di partenza di una funzione più complessa che è la funzione visiva;
  2. la funzione visiva, o visione, è quel complesso processo che prende avvio dalla percezione di un’informazione sensoriale basilare, grazie alla vista, che viene integrata con più aspetti, e su questa costruisce un significato. È definita come l’insieme delle strutture e delle funzioni che compongono il sistema occhio-cervello.

I diversi aspetti con cui viene integrata l’informazione sensoriale basilare sono:

  • La sensibilità del contrasto;
  • Il colore;
  • La dimensione;
  • La forma;
  • Il movimento;
  • La velocità;
  • La profondità.

La funzione visiva si compone di tre principali domini funzionali:

  • Percezione, in cui rientra l’acuità visiva;
  • Visuo-cognitivo, che permette di attribuire un significato allo stimolo, cioè di elaborarlo a livello corticale. Esso è possibile solo a partire dai 4 mesi d’età;
  • Oculomozione, permette di guardare attentamente, di mettere a fuoco attraverso i movimenti oculari.

È importante sottolineare che la percezione non interessa solo le funzioni sensoriali sollecitate da stimoli, ma investe anche gli aspetti cognitivi e di adattamento della personalità. Essa si riferisce quindi ad “un processo nel quale concorrono sia le variabili inerenti alle caratteristiche della situazione di stimolazione e alle modalità intrinseche di organizzazione dei dati sensoriali, sia le informazioni collegate alle passate esperienze e le variabili collegate alle disposizioni momentanee o persistenti e alla personalità stessa dell’individuo”.

In altre parole, quello che viene percepito è effetto sia della registrazione e trasmissione delle informazioni sensoriali da parte dei recettori periferici in presenza di stimoli esterni, ma assume significato anche in funzione dell’elaborazione dell’esperienza vissuta da parte del soggetto.

In particolare, lo stimolo esterno viene percepito dai recettori sensoriali periferici, posti negli organi di senso, che generano un impulso nervoso che viene successivamente trasmesso ai centri corticali tramite le vie ottiche.

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2.2 Cenni di anatomia.

Le vie ottiche prendono avvio dall’occhio, organo di senso, che è anatomicamente strutturato in tre tonache sovrapposte:

  • Esterna o fibrosa: è una tonaca di rivestimento e protettiva dell’occhio. È composta da una parte anteriore trasparente, la cornea, e da una estesa regione posteriore e laterale, denominata sclera, che presenta una colorazione biancastra ed un ampio raggio di curvatura;
  • Intermedia o vascolare: costituita da uno strato connettivale riccamente vascolarizzato. In questo strato è possibile distinguere tre parti: l’iride, lamina circolare pigmentata nella cui parte centrale è presente la pupilla, punto di penetrazione dei raggi luminosi; il corpo ciliare, interposto tra l’iride e la coroide, presenta il muscolo ciliare; la coroide, costituita da fibre collagene e ricca di vasi;
  • Interna o nervosa: molto sottile e delicata. Al suo interno si trova la retina in cui sono concentrati i fotocettori, recettori sensoriali capaci di cogliere lo stimolo luminoso: in bianco e nero attraverso i bastoncelli, o colorato mediante i coni.

Il fotocettore è una cellula nervosa particolarmente differenziata e specializzata nella trasduzione del segnale luminoso. Esso presenta una condizione di base di iperpolarizzazione e reagisce ad un trigger particolare, rappresentato dallo stimolo luminoso. Tale reazione innesca il potenziale d’azione (stimolo chimico) che si converte in stimolo elettrico. Si ha quindi la conversione dello stimolo luminoso in stimolo chimico ed infine lo stimolo chimico in stimolo elettrico.

Lo stimolo così divenuto elettrico viene trasportato dal nervo ottico, formato dall’unione degli assoni delle cellule gangliari della retina, nella porzione posteriore profonda del cunicolo retinico da cui parte la via ottica.

La via ottica trasporta l’informazione con delle fibre che:

  • Nella regione più prossima alla regione oculare, le vie pre-chiasmatiche, decorrono omo-lateralmente all’occhio da cui provengono;
  • A livello del chiasma ottico si avvicinano tra loro e quelle della porzione mediale decussano e decorrono contro lateralmente, mentre le fibre delle porzioni laterali continuano omo-lateralmente.

Dopo il chiasma ottico le fibre prendono il nome di tratti ottici; questi prendono la prima sinapsi a livello dei corpi genicolati laterali, da cui partono le radiazioni ottiche.

L’ultima stazione della via ottica è l’area visiva primaria, detta anche area 17 di Brodmann localizzata nella parte posteriore (lobo occipitale), dove viene proiettato l’input visivo che verrà poi integrato nelle aree 18 e 19 limitrofe con una serie di informazioni aggiunte fondamentali, quali la profondità, il colore, la forma, la dimensione …

In più vi sono anche due sistemi proiettivi che connettono la corteccia visiva con altre aree corticali, essi sono:

  • La via dorsale (dorsal stream), connette la corteccia occipitale con le aree frontali motorie, cioè il segnale visivo con l’input motorio; rappresenta la coordinazione occhio-mano e da’ indicazioni su dove si trova l’oggetto.
  • La via ventrale (ventral stream), connette l’informazione visiva con il corrispettivo emotivo-affettivo a livello temporale profondo, cioè integra l’input visivo con l’input di interpretazione dello stimolo visivo.

Quindi, il sistema nervoso è la sede dove le informazioni vengono prima trasmesse ed elaborate e poi strutturate ed organizzate in modo significativo. Di conseguenza, al fine di un’adeguata percezione è necessaria un’adeguata maturazione neurologica.

La via visiva comincia a svilupparsi, dal punto di vista morfologico, già durante la vita intra-uterina ma è dopo la nascita che prende luogo l’affinamento della funzione. Nello specifico, la visione si sviluppa precocemente nel primo anno di vita in cui si ha il passaggio del potere di risoluzione da 1/20 alla nascita a 10/10; essa si completa intorno agli otto anni in cui il bambino avrà una buona capacità interpretativa del target visivo.

 

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2.3 Lo sviluppo della funzione visiva.

La vista è l’ultimo senso a svilupparsi nell’uomo e come lo sviluppo di tutti i sistemi neurali, anche quello della funzione visiva presenta due motori fondamentali rappresentati dalla base genetica e dall’ambiente. La base genetica è responsabile della morfologia macroscopica delle strutture che costituiscono il sistema visivo; l’ambiente ne influenza l’organizzazione funzionale. In particolare, il sistema visivo è quello che più di tutti gli altri risente dell’influenza dell’ambiente poiché esso, per potersi sviluppare, necessita della luce che è proprio uno stimolo ambientale.

Esso è un sistema molto plastico, soprattutto nelle epoche più precoci della vita in cui si ha la possibilità di modellare la traiettoria di sviluppo intervenendo proprio con un fattore ambientale, quale l’esperienza visiva che si è visto essere un fattore critico ed indispensabile per il normale sviluppo della visione soprattutto nel primo periodo di vita. In generale, nel processo di sviluppo della funzione, si possono distinguere due periodi:

  1. Periodo critico: è il primo periodo di maturazione del sistema visivo che si estende per un intervallo di tempo che va dalla nascita fino ai 6 mesi di vita. Esso è caratterizzato da macroscopici cambiamenti della morfologia dell’occhio e delle vie visive; è durante questo arco di tempo che avviene il consolidamento delle strutture corticali di integrazione ed il cervello risulta essere maggiormente sensibile allo stimolo per cui un eventuale noxa patogeno creerebbe un arresto dello sviluppo ma al tempo stesso si avrebbero risultati migliori all’intervento.
  2. Periodo sensibile: è il periodo successivo dello sviluppo del sistema visivo che si estende per un intervallo di tempo che va dai 6 mesi di vita del bambino fino a circa i 6 anni d’età. Esso è caratterizzato dal processo di maturazione delle abilità già acquisite; in questo periodo il cervello presenta una minore sensibilità allo stimolo per cui un eventuale noxa patogeno creerebbe un danno minore ma anche i risultati di un qualsiasi intervento saranno meno eccellenti in questo intervallo.

L’intervento di riabilitazione neuro-visiva è di pertinenza di un ortottista ma può esserlo anche di un terapista della neuro e psicomotricità, la differenza consiste nel fatto che l’ortottista ha una visione volta al recupero della funzione visiva, il terapista ha una visione di recupero globale con un approccio più ecologico e completo. In entrambi i casi, si possono utilizzare diversi strumenti ma facendo particolare attenzione a promuovere l’esperienza visiva attraverso il gioco utilizzando oggetti ben illuminati ed ad alto contrasto, che si differiscano per colore, forma, dimensione e movimento e che possano attirare l’attenzione del bambino, ad esempio che presentino un rapporto causa-effetto come un giocattolo che presenta dei tasti che, se schiacciati, consentono di modificare i colori o emettere dei suoni.

Nonostante la separazione nei due periodi principali, non manca la suddivisione dello sviluppo della funzione in diverse tappe in cui si prevede l’emergere di una competenza precedentemente assente e il perfezionamento e l’affinamento di abilità precedentemente acquisite.

In altre parole, anche per quanto riguarda la funzione visiva, lo sviluppo procede secondo un complesso processo, gradualmente progressivo, che prende avvio dalla nascita e si corregge con la crescita.

Alla nascita il neonato possiede una limitata ed elementare capacità percettiva a causa sia dell’immaturità dei canali sensoriali e della non completa funzionalità dell’apparato neuromuscolare coinvolto, ma anche a causa della non completa maturità del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e della possibilità di integrazione a livello associativo.

Di fatto, alla nascita, l’occhio risulta immaturo sia dal punto di vista istologico sia da quello funzionale: l’iride ha un colore grigiastro, il bulbo è relativamente corto e le papille ottiche appaiono biancastre, come se ci fosse un’atrofia ottica. In realtà ciò dipende dalla mielina immatura che ricopre la fovea centralis[5], terminazione del nervo ottico, per cui alla visione del fondo sarà più pallida. Inoltre, possono essere presenti anche delle piccole aree emorragiche, soprattutto se il bambino nasce da parto naturale.

Queste imperfezioni sono responsabili delle inadeguatezze, nelle prime settimane di vita, nella fissazione, nell’accomodamento e nella coordinazione dei movimenti oculari, processi indispensabili per la messa a fuoco degli stimoli e per l’esplorazione spaziale.

Successivamente, è attraverso le esperienze della vita quotidiana che il bambino procede verso un corretto sviluppo sia dei movimenti oculari sia, più in generale, della percezione. È possibile individuare i diversi stadi che rappresentano i cambiamenti ed i salti evolutivi principali di ciascun bambino:

  • Prime settimane di vita. Il bambino presta attenzione alla luce ma ha difficoltà a seguire, con un movimento continuo degli occhi, un oggetto che si sposta nel suo campo visivo. In genere, in sostituzione dei movimenti di inseguimento visivo non ancora completamente sviluppati, il bambino compie una serie di salti con rapidi movimenti degli occhi, definiti movimenti saccadici[6]. Inizialmente questi movimenti sono bruschi, imprecisi, a tratti e sono rivolti principalmente a forme semplici ed ad alto contrasto da cui il bambino è attratto, ad esempio un immagine raffigurante grossi cerchi concentrici in bianco e nero[7], e che devono essere posti ad una distanza massima di 20-30 centimetri dal viso del bambino, che corrisponde alle capacità accomodative.
  • 1 mese. Verso la fine del primo mese di vita, questi movimenti oculari diventano sempre più precisi, piani e continui ed incomincia a svilupparsi la fissazione oculare, dapprima per qualche secondo e poi sempre più a lungo ed è rivolta anche ad oggetti di forma più complessa.
  • 2 mesi. Il bambino presenta la capacità di seguire con gli occhi lo spostamento di un oggetto colorato o di una persona; presta attenzione a stimoli nuovi, complessi ed aventi anche un basso contrasto.
  • 3 mesi. L’iride evolve verso il colore definitivo ed il comportamento del bambino è più strutturato: è più autonomo e curioso, risponde agli stimoli visivi, esplora l’ambiente in modo attivo girandosi ovunque, fissa e sorride. È dal terzo mese che il cervello inizia a sviluppare la capacità di distinguere i colori e maturano le capacità di convergenza, di fissazione e focalizzazione ponendo il bambino nella condizione di poter guardare e seguire un oggetto preciso in movimento che si trova all’interno del suo campo visivo; è intorno ai 3 mesi che infatti i lattanti passano lunghi periodi ad osservarsi le mani.
  • 4 mesi. Emergono, spesso anche prima dei 4 mesi di vita, delle modifiche nel comportamento visivo del bambino: egli è molto più interessato alla realtà circostante e a ciò che accade, risulta essere particolarmente attratto dagli oggetti in movimento, riuscendo a discriminare i cambiamenti nell’orientamento degli stimoli.
  • 5 mesi. Il bambino riesce a fissare e seguire, per 180°, con lo sguardo un oggetto in movimento riuscendo così a recuperare una quantità di informazioni maggiore.
  • 6 mesi. Il bambino è capace di riconoscere e seguire oggetti sempre di più piccole dimensioni ad una distanza di un metro/un metro e mezzo ed a percepire meglio, dal punto di vista sensoriale, la forma, grandezza e volume dell’oggetto.
  • 8-9 mesi. Compare la permanenza dell’oggetto: nozione che viene appresa, secondo Piaget, durante il primo stadio senso-motorio e si riferisce alla capacità di comprendere che gli oggetti e gli eventi continuano ad esistere anche quando non possono essere rilevati dagli organi di senso (vista, udito, tatto, gusto, olfatto). Esso rappresenta una delle conquiste più importanti nel processo di crescita del bambino e permette lui di effettuare dei giochi in cui si ricerca l’oggetto nascosto grazie alle capacità cognitive che gli consentono di creare l’immagine mentale dell’oggetto mancante. Inizialmente l’immagine mentale sarà di breve durata.
  • 18 mesi. La rappresentazione mentale è come nell’adulto e questo raffigura la base del pensiero simbolico. Il bambino affina sempre più le sue capacità di percezione anche degli oggetti sempre più piccoli e riesce a seguirli da una distanza sempre maggiore. Risulta potenziata anche la capacità di percepire gli oggetti posti lateralmente.

Si può dedurre, di conseguenza, come la funzione visiva si sviluppi secondo un processo progressivo e graduale costituito da diverse tappe che si integrano gerarchicamente: in ogni stadio le competenze precedentemente acquisite non vengono perse ma si integrano con le nuove. Queste tappe sono organizzate in maniera gerarchica secondo un ordine logico in cui ogni cambiamento evolutivo è implicito nello stadio precedente e prepara a quello successivo.

È quindi di fondamentale importanza garantire uno sviluppo adeguato della funzione visiva. A tal fine è utile fornire al bambino un ambiente ricco di stimoli visivi, quali: immagini, giocattoli, oggetti che siano colorati e di diverse dimensioni e forme.

Questo perché la funzione visiva è importante per le capacità cognitive ma è fondamentale anche per lo sviluppo motorio, poiché aiuta i bambini a sviluppare la capacità di muoversi in maniera indipendente ed autonoma e consente anche lo sviluppo della coordinazione oculo-manuale.

 

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2.4 La coordinazione oculo-manuale.

La coordinazione occhio-mano è quella abilità che consente alle mani di raggiungere quanto mirato o focalizzato dagli occhi.

Con il termine “coordinazione oculo-manuale” si fa riferimento a tutti i movimenti degli arti superiori che richiedono un controllo visivo costante sullo spazio, statico e/o dinamico, e nelle azioni con gli oggetti: afferrare, prendere, lasciare, lanciare.

Essa è quindi definibile come la capacità di integrare la percezione visiva e l’azione motoria della mani al fine di compiere azioni di diverso grado di complessità. Queste coinvolgono, oltre agli arti superiori e alla funzione visiva, anche la postura e gli spostamenti del corpo in quanto rappresentano supporti tonici che facilitano la realizzazione degli atti.

Lo sviluppo della coordinazione occhio-mano è particolarmente importante in quanto è uno dei pre-requisiti fondamentali dell’apprendimento scolastico in generale: basti pensare che una scarsa gestione di questa competenza inciderà in maniera significativa sulla performance scolastica, che a sua volta influenzerà in maniera negativa la motivazione.

In un bambino molto piccolo non è presente tale competenza, infatti se ad un neonato gli si presenta un oggetto attraente, egli lo guarda ma non avvicina le mani con l’intenzione di afferrarlo. Si può affermare che lo sviluppo della coordinazione tra la visione e la prensione emerge intorno ai 4 mesi di vita del bambino e procede secondo un percorso evolutivo in cui possono essere individuate delle diverse fasi, che devono avanzare in maniera coerente con lo sviluppo sia della vista ma anche della prensione:

  • 4 mesi. La scomparsa dell’ipertonia dei flessori permette l’apertura della mano. In quest’epoca è già scomparso il riflesso di prensione palmare per cui l’atto di afferrare l’oggetto è totalmente volontario e consapevole. Alla vista di un oggetto attraente, il lattante alzerà la mano e, aiutandosi con il senso, tenderà a ridurre la distanza tra sé e l’oggetto al fine di toccarlo e portarlo alla bocca.
  • 5 mesi. Intorno ai 5 mesi di vita, la coordinazione avviene e si perfeziona anche rivolgendosi ad oggetti di diverse forme e dimensioni. Il bambino riesce a lasciare un oggetto per poterne seguire, anche afferrandolo, un altro in movimento. Questa azione coinvolge l’integrazione di più funzioni: intellettiva, che permette di anticipare la traiettoria; visiva, che permette di valutare la distanza e la velocità dell’oggetto; ed infine motoria, che permette la coordinazione del movimento della mano per poterlo afferrare.
  • 6-8 mesi. Il comportamento percettivo e manipolatorio del bambino è attivo e segue un ciclo di azioni: l’oggetto viene percepito, il bambino riesce ad afferrarlo e lo manipola riuscendo ad apprezzarne alcune qualità, successivamente viene portato alla bocca per poterne apprezzare altre, lo ritrae e lo guarda, lo manipola, lo rimette in bocca … e così via.
  • 10 mesi. Dai 10 mesi il bambino possiede una coordinazione neuromotoria più fine con una prensione pollice-indice imperfetta ed un interesse particolare per i dettagli.
  • 12 mesi. Intorno all’anno d’età scompare il riflesso tonico dei flessori delle dita della mano. Il bambino è capace di lasciare volontariamente un oggetto interagendo con gesti intenzionali e diretti con l’ambiente (prende, sposta, spinge gli oggetti).

Con il passare del tempo, grazie all’esperienza, il bambino perfeziona le capacità visive e manipolative stimolando sempre più la coordinazione tra le due componenti così da riuscire a lanciare un oggetto e seguirlo con la vista fino all’atterraggio.

Intorno ai 3 anni d’età si ha la trasformazione fondamentale del ruolo della vista: prima l’occhio seguiva l’azione motoria della mano, adesso è l’occhio che la guida. E proprio da quest’età, con l’ingresso nella scuola dell’infanzia, che il bambino affina la sua motricità che diventa sempre più coordinata e precisa attraverso l’esperienza fatta mediante numerose attività e giochi proposti che devono essere di complessità crescente e compare la vera coordinazione: occhio e mano lavorano coordinati e ritmici, in continuità.

Si è visto quindi come, in ogni fase della vita l’apprendimento presente dipende da tutto l’apprendimento precedente e ciò si verifica indipendentemente dall’area di sviluppo a cui si fa riferimento.

 

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III Capitolo – La scrittura

3.1 Definizione e generalità.

La scrittura è una forma di comunicazione, di trasmissione dei contenuti attraverso un sistema finito di simboli grafici. Il neuropsichiatra Ajuriaguerra (1911-1993) definisce la “scrittura manuale” come “un insieme di segni simbolici che rappresenta un mezzo di comunicazione all’interno del gruppo. Prima appresa e poi padroneggiata, essa diventa rapidamente una maniera personale di tracciare le lettere”.

Scrivere rappresenta un’abilità tanto complessa quanto importante che permette di identificare una parola e, successivamente, anche di memorizzarla; aiuta ad elaborare ed ad organizzare il pensiero, infatti se l’abilità di scrittura è automatizzata, la mente sarà più libera per potersi dedicare all’espressione del pensiero; permette di esprimere emozioni e di comunicarle; favorisce l’organizzazione spazio-temporale, la concentrazione e la rappresentazione visuo-grafo-motoria; aiuta a migliorare la motricità fine.

Il gesto grafico favorisce tutti gli apprendimenti e conferisce al cervello molti stimoli in quanto la scrittura di ogni lettera richiede l’attuazione di un movimento specifico, la cui esecuzione attiva una determinata area del cervello creando così delle connessioni preziose anche per altre funzioni cognitive, quali la lettura, l’ortografia e la memoria.

La scrittura si distingue in due sotto-capacità:

  1. Capacità di “cifratura”, che consiste nell’abilità strumentale di trasformare l’informazione sensoriale uditiva in segni grafici;
  2. Capacità di “composizione”, o scrittura spontanea, che consiste nell’abilità di esprimere in forma scritta un pensiero o un’informazione.

Saper scrivere non è innato ma è frutto di uno speciale apprendimento programmato e pianificato che rappresenta uno dei traguardi culturali particolarmente importanti nel processo di sviluppo di ciascun bambino e che viene raggiunto intorno ai sei anni d’età, con l’ingresso alla scuola primaria.

Quando si parla di apprendimento in generale, bisogna considerare come la forma finale venga raggiunta sempre gradualmente attraverso diversi stadi intermedi e progressivi che sono organizzati secondo un ordine logico e si integrano gerarchicamente. Bisogna porre l’attenzione al fatto che si tratti di “fasi” e non di “tappe”, questa precisazione permette di far risaltare un approccio più flessibile ai tempi di maturazione di ciascun bambino. Infatti, è necessario tenere sempre in considerazione che, anche se presentano tutti la stessa età cronologica, non tutti i bambini sono uguali: lo sviluppo psicomotorio per l’appunto, come visto nel primo capitolo, dipende da fattori genetici personali e da fattori ambientali. Da questo deriva la possibilità di riscontrare dei “ritardi” di maturazione o addirittura delle anticipazioni in qualcuno di essi.

Quindi si può dedurre che, anche per quanto riguarda l’apprendimento della scrittura, la capacità di possedere una “bella grafia”[8] non dipende dall’età cronologica del bambino, piuttosto dal suo sviluppo motorio e dal livello di maturità del suo sistema nervoso.

 

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3.2 Pre-requisiti.

Alla base dell’apprendimento della scrittura come attività motoria fine, complessa e differenziata, vi è lo sviluppo psicomotorio e per ottenere un atto grafico corretto è necessario che il bambino possegga dei pre-requisiti, ovvero delle abilità necessarie per scrivere.

Tali pre-requisiti riguardano in primis le capacità percettive: visive, uditive, tattili e propriocettive. Per imparare a scrivere nelle migliori condizioni, è necessario che il bambino possegga buone capacità visive che gli permettano non solo l’esplorazione visiva dello spazio ma anche la possibilità di richiamare e mantenere l’attenzione su una determinata situazione. Per comprendere la reale importanza del ruolo di queste capacità basti pensare quanto, condizioni come una scarsa acuità visiva, disturbi muscolo-visivi, o ancora di dis-attenzione visiva, ostacolino la raccolta delle informazioni di un soggetto. Anche capacità uditive insufficienti intralciano la raccolta di informazioni orali. Infine, una sensibilità fine del tatto e una sensibilità propriocettiva[9] sono indispensabili per un’adeguata impugnatura dello strumento e per l’organizzazione e realizzazione dell'atto grafico. 

Altri pre-requisiti riguardano invece il piano motorio: è fondamentale per il bambino, per poter scrivere, possedere una buona coordinazione e un buon equilibrio, sia statico che dinamico. Pertanto, pre-requisito della scrittura sul piano motorio sarà certamente una motricità fine fluida e coordinata, ma non deve essere assente la capacità del bambino di restare seduto in maniera corretta con un buon sostegno tonico: i piedi devono essere appoggiati al suolo, la schiena deve aderire allo schienale, le spalle devono essere mantenute basse ma entrambe alla stessa altezza, le braccia devono essere appoggiate su un piano e bisogna porre attenzione alla giusta distanza tra la testa ed il piano stesso, su cui poggerà il foglio. Il braccio deputato alla scrittura deve scorrere sul foglio di lavoro, la spalla deve essere capace di sostenere il braccio stesso e di far ruotare il gomito. Il polso deve essere morbido e fluido per poter garantire la stabilità della mano mentre le dita impugnano la matita con forza sufficiente a mantenerla allo stesso tempo fissa e mobile, consentendo così gli spostamenti per realizzare gli atti grafici. In funzione della forza muscolare impiegata, il gioco delle articolazioni e dei diversi gruppi muscolari del braccio permette il coordinamento e, dunque, il controllo dei movimenti necessari per scrivere: inibizione volontaria.

Fondamentale a tal fine risulta l’integrazione della percezione visiva con l’azione motoria della mani, ovvero la coordinazione occhio-mano che, come definita nel capitolo precedente, permette al bambino di seguire con lo sguardo il proprio movimento ed il segno tracciato dalla matita sul foglio.

Un altro aspetto importante è che il bambino deve avere conoscenza del proprio corpo, deve cioè possedere una buona strutturazione e organizzazione dello schema corporeo. Lo schema corporeo viene definito da Boulch come “la conoscenza immediata che noi abbiamo del nostro corpo in posizione statica o in movimento, nel rapporto tra le sue diverse parti e soprattutto in relazione con lo spazio e gli oggetti che ci circondano”. Tale conoscenza è necessaria affinché possa svilupparsi la scrittura perché nell'atto di scrivere è coinvolto tutto il corpo e non solo la mano. La consapevolezza dello schema corporeo non è certamente innata ma viene acquisita con lo sviluppo psicomotorio del bambino, maggiori saranno le esperienze senso-motorie compiute e maggiore sarà la maturazione acquisita. Possedere un buono schema corporeo permetterà al bambino di:

  • Acquisire maggiore sicurezza nelle proprie capacità;
  • Acquisire l’apprendimento dei processi implicanti la percezione visiva e spaziale e le attività fine-motorie (come la scrittura);
  • Relazionarsi adeguatamente;
  • Pianificare e realizzare movimenti sempre nuovi in maniera coordinata, fluida e rapida, senza avere bisogno del costante supporto visivo;
  • Sviluppare una buona organizzazione prassica/spaziale/temporale.

“Soltanto se c’è conoscenza di sé e della propria collocazione dello spazio è possibile non solo procedere all’esecuzione ordinata di un atto, ma anche averne coscienza e padroneggiarlo, imprimendogli la direzione che si vuole e prevedendone le conseguenze”.

Altro pre-requisito della scrittura è l’acquisizione della lateralità che si sviluppa attraverso il processo della lateralizzazione. Con il termine lateralizzazione ci si riferisce all’insieme delle predominanze di una o dell’altra parte simmetrica del corpo, ovvero alla dominanza emisferica, la quale determinerà poi la propria prevalenza manuale nella misura in cui la scrittura implica l’attività di una mano dominante rispetto all’altra. Essa si sviluppa in maniera connessa con l’organizzazione dello schema corporeo da un lato e con l’organizzazione spaziale e temporale dall’altro. In genere, tale processo inizia molto precocemente intorno ai quattro mesi di vita del lattante ma la parte dominante non verrà subito usata in modo costante; possono esserci dei periodi, anche sufficientemente lunghi, in cui il bambino utilizzerà l’emi-lato non dominante o, ancora, i due emi-lati indifferentemente. Tale processo si afferma intorno ai 6-7 anni di vita (stadio operatorio concreto di Piaget[10]), con l’ingresso alla scuola primaria; talvolta il processo può essere più lento in alcuni bambini. La lateralità viene definita omogenea quando è lo stesso il lato dominante sia per la mano, che per l'occhio ed il piede, ma la lateralità può essere anche dis-omogenea. La lateralità dis-omogenea può influenzare le produzioni grafiche determinando inversioni di lettere, specularità, difficoltà nell'orientamento e nel rispettare direzioni e versi. Possono esistere anche false lateralità, in particolare i falsi mancini ed i mancini contrastati: soggetti lateralizzati in origine a sinistra e che, per pregiudizi sociali ed errori educativi, vengono costretti o stimolati ad utilizzare la mano destra. Tali interventi possono essere responsabili dell’insorgenza di conflitti neurofisiologici considerato che il bambino mal lateralizzato perde i propri punti di riferimenti direzionali, importanti per i comportamenti costruttivi ed organizzativi, e ciò influenza la maturazione intellettiva e socio-affettiva ripercuotendosi quindi rispettivamente negli ambiti dell’apprendimento e della vita relazionale.

Al fine dell’apprendimento della scrittura il bambino deve essere anche capace di muoversi nello spazio e nel tempo in funzione delle proprie possibilità cognitive ed affettive. Questo ne rappresenta la base sia per la scrittura che per la lettura in quanto composte entrambe da elementi in successione tanto nello spazio quanto nel tempo. L’organizzazione spazio-temporale deriva dall’interazione di più processi: conoscenza del proprio schema corporeo, capacità di analizzare le informazioni, programmazione ed esecuzione degli atti motori.

Per quanto riguarda la strutturazione spaziale: è necessario che il corpo sia percepito in rapporto all'ambiente, dunque egli ha bisogno di imparare a muoversi con scioltezza ma in modo ordinato in uno spazio strutturato e limitato. Nell’ambito della scrittura, tale spazio strutturato e limitato è rappresentato dal foglio che costituisce uno spazio di lavoro contrassegnato da righe e margini all’interno del quale la mano deve muoversi. A livello percettivo il bambino, per poter copiare lettere e forme, deve averne un'immagine globale di queste ma soprattutto deve basarsi su tutti i vari riferimenti spaziali che le caratterizzano, come la traiettoria, la direzione, le dimensioni, le proporzioni, la distanza e l’orientamento, il tutto per evitare di confonderle.

Quando si parla di spazio non si può non parlare di tempo, i due concetti non possono essere scissi infatti si parla di organizzazione spazio-temporale. L’organizzazione temporale determina il ritmo nella scrittura che è scandito da ciò che viene prima e da ciò che viene dopo; questo non fa parte però solo del tempo ma anche dello spazio. Per fare in modo che la scrittura acquisti un ritmo scorrevole, bisogna comprendere che esso dipende sia dal ritmo motorio che da quello respiratorio del bambino e questo deve essere regolato per canalizzare arresti, freni e consentire un'accelerazione efficace alla scrittura.

Per utilizzare tutte le competenze che vengono attivate nella scrittura, è necessario altresì che il bambino sviluppi anche una sufficiente capacità di concentrazione e di attenzione sostenuta e selettiva, che permette lui di mantenere costante la propria attenzione sul compito senza interruzione, e che possieda un adeguato livello intellettivo.

In linea di massima questi sono da ritenersi i pre-requisiti fondamentali che concorrono per compiere un atto grafico corretto.

 

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3.3 Lo scarabocchio.

Già dai primi mesi di vita, il lattante osserva l’ambiente circostante che sarà caratterizzato anche da oggetti in movimento. Attraverso la funzione visiva, egli coglie che tali spostamenti producono delle tracce. Dal momento in cui gli vengono dati in mano una matita ed un foglio, egli sarà dunque interessato a creare delle tracce visibili realizzate mediante lo spostamento della matita sul foglio: gli scarabocchi.

Lo sforzo grafico non è però, come sottolineato nel paragrafo precedente, limitato al braccio ed alla mano, ma interessa la partecipazione di tutto il corpo; infatti i segni grafici realizzati dal bambino dipendono tanto dal tipo di impugnatura che adotta ma anche dalla posizione che egli assume durante l’esecuzione.

I primi segni grafici eseguiti dal bambino saranno il prodotto di colpi, anziché di sfregamenti, anche piuttosto energetici tanto da provocare degli strappi nel foglio. Il controllo motorio è infatti sproporzionato rispetto all’entusiasmo e alla carica di energia che risultano essere elevate.

Soprattutto i primi scarabocchi sono realizzati mediante movimenti casuali e non controllati, in genere più larghi possibili in relazione all’ampiezza dell’arco prodotto dal braccio, e vengono definiti scarabocchi disordinati. Il risultato sul foglio è un insieme confuso e disordinato di linee circolari e spezzate in cui non si individuano immagini.

Dopo circa 6 mesi che il bambino inizia a scarabocchiare, intorno all’anno e mezzo d’età, egli scopre il rapporto tra il movimento del corpo ed i segni ottenuti sulla carta per cui il bambino è in grado di sperimentare visivamente ciò che fino ad allora aveva sperimentato solo cinestesicamente ed è capace quindi di controllare il gesto motorio. Proprio in questo stadio il bambino varia, in modo consapevole ai fini del risultati, i suoi movimenti e riesce a produrre vari segni: linee verticali, linee orizzontali, circolari, padroneggiando e raffinando l’abilità grafica attraverso l’esercizio grazie alla maturazione motoria. Lo scarabocchio diventa così ordinato e al proprio interno è possibile iniziare ad individuare le prime forme. Nonostante tale evoluzione, il bambino segue l’attività senza esigenza di dover rappresentare un qualsiasi oggetto reale ma l’attività rappresenta per egli ancora una forma di gioco fine a se stesso.

Verso i 2-3 anni d’età, lo scarabocchio diventa imitativo, cioè è realizzato attraverso l’imitazione del bambino dei gesti compiuti dall’adulto sul foglio. Durante questa fase, grazie all’interazione con l’adulto e con i suoi pari, il bambino inizia a dare un nome al suo scarabocchio attribuendogli così un significato. L’attività grafica passa quindi dall’essere un semplice evento cinetico motorio, che provoca piacere visivo, ad essere un mezzo di comunicazione mediante cui egli rappresenta la percezione delle proprie emozioni in rapporto con la realtà, grazie all’intervento del fattore intellettivo, utile ed efficace anche per poter scaricare l’energia psichica.

Gli scarabocchi, anche se all’interno dello stesso stadio di sviluppo, si differenziano per ragioni evolutive: uno scarabocchio di un bambino di 2 anni d’età sarà diverso per organizzazione, struttura e tratto dallo scarabocchio di un bambino di 2 anni e mezzo. In particolare:

  • 2 anni. Il bambino inizia a compiere i segni circolari e ad angolo sollevando di rado la matita dal foglio e superandone, molto frequentemente, i margini. In questo periodo la prensione della matita è di tipo palmare[11] con il braccio intraruotato e senza appoggio sul piano: la mano funge da mezzo di prensione ma non prende parte ai movimenti.
  • 2 anni e mezzo. Il bambino riesce a guidare con lo sguardo il tracciato dalla mano e grazie a questo riesce a non andare oltre rispetto ai bordi. La matita viene tenuta solo con le dita ed, anche se la mano è ancora intraruotata, inizia a comparire il movimento del polso. Inoltre grazie alla maturazione del controllo motorio, egli riesce anche a scegliere quali movimenti ripetere e quali no e compaiono i primi scarabocchi sistematici articolati in uno o più riccioli; successivamente vengono disegnate la spirale e cerchi concentrici.
  • 3 anni. Il bambino non disegna più solo per il piacere di farlo ma al fine di rappresentare le proprie emozioni e sensazioni vissute. Si sviluppa intorno ai 3 anni d’età la tendenza a chiudere le forme aperte ed appaiono infatti tracciati come cerchi, spazi chiusi, incroci semplici o croci, configurazioni a sbarre. Il bambino inizia ad incorniciare dei segni grafici in quadrati o a disegnare i quadrati seguendo il bordo del foglio. Solo verso la fine di questa fascia d’età, emergono le prime bozze di case o di sole.

Dopo i 3 anni, intorno ai 4 anni d’età, si ha il passaggio dalla fase dello scarabocchio a quella figurativa in cui il segno grafico assume organicità e significato comprensibile anche all’adulto, oltre che al bambino. Emergono infatti intorno ai 4 anni d’età le prime raffigurazioni schematiche di figure umane e talvolta alcuni bambini riescono a disegnare le prime letterine dell’alfabeto.

È quindi intorno ai 4 anni d’età che dallo scarabocchio si differenziano due attività grafiche con intenzionalità diverse:

  1. Il disegno;
  2. La scrittura.

 

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3.4. Lo sviluppo della scrittura

La scrittura è un’attività grafica che richiede movimenti delicati e coordinati di precisione dei muscoli del braccio, del polso e della mano. Essa si sviluppa per imitazione di un’azione osservata; i bambini, già intorno ai 2 anni e mezzo, risultano essere affascinati dalla scrittura degli adulti e cercano di imitarne grossolanamente il gesto ma solo intorno ai 4 anni d’età alcuni bambini abbozzano qualche lettera dell’alfabeto in mezzo al disegno seppur ancora assente è la capacità di mantenerle su una linea di base, sia essa reale o immaginaria: le lettere appariranno spesso inclinate, capovolte e speculari.

Tuttavia, a 4 anni non si può parlare ancora di scrittura ma si parla di disegno riproduttivo e si è nella fase definita logografica, prima fase di sviluppo della lingua scritta nel modello di Uta Frith (1985), detta anche fase pittorica. In questa prima fase il bambino inizia a farsi un’idea su cosa sia e a cosa serva la scrittura e comprende che attraverso questa si possono rappresentare le parole. In questa fase le parole vengono intese come disegni ed il bambino le “legge” e le “scrive” in modo globale interpretandole come fossero il logo che sostituisce l’oggetto, con la sola differenza che utilizza segni convenzionali, non riconoscendone però il valore fonologico, invece di riprodurre caratteristiche fisiche dell’oggetto.

A circa 5 anni d’età il bambino scopre che riesce a muovere meglio l’oggetto grafico, tenuto con una presa che può essere bassa prima di raggiungere la prensione adulta[12], quando poggia le braccia su un piano. A quest’età i bambini sanno scrivere quasi tutte le lettere dell’alfabeto ed, anche se con carattere grandi ed irregolari, iniziano a tracciare il proprio nome. Alcuni bambini riescono a riconoscere le lettere che, rappresentate in modo isolate, compongono il proprio nome ma possono aver bisogno di aiuto per individuarle se queste si trovano all’interno di una parola. I 5 anni del bambino corrispondono con la seconda fase del modello di Frith: la fase alfabetica o fonologica, è una fase molto importante perché rappresenta la prima volta che il bambino agisce secondo l’ipotesi che la scrittura rappresenti parti sonore della parola. A tal proposito egli ne sviluppa una rappresentazione sillabica facendo corrispondere la quantità di sillabe della parola detta alla quantità di segni grafici. Questo procedimento si dimostra corretto per molte parole ma non per tutte come, ad esempio, per tutte quelle parole che contengono fonemi con rappresentazione multi lettera o per le sillabe che cambiano rappresentazione in base al contesto; il meccanismo è ancora instabile.

A 6 anni i bambini scrivono tutte le lettere dell’alfabeto utilizzando il maiuscolo, talvolta però possono sbagliare l’orientamento di qualcuna di esse; A 7 anni d’età tale errore si dissolve e l’altezza delle lettere maiuscole si differenzia da quelle delle lettere scritte in minuscolo. Il bambino a 6 anni entra in quella fase del modello che viene definita fase ortografica. In questo stadio si rende necessario introdurre delle regole nella scrittura poiché non è più sufficiente la strategia adottata e acquisita nella fase precedente. Il bambino gradualmente impara a riconoscere gli aspetti di regolarità e di irregolarità che caratterizzano la mappatura tra grafemi e fonemi e viene così raggiunta la possibilità di leggere e di scrivere tutte le parole che contengono fonemi contesto-dipendenti e grafemi che richiedono più di una lettera.

Intorno ai 7 anni invece si entra nell’ultima fase, detta lessicale in cui avviene l’automatizzazione della letto-scrittura con formazione di un magazzino lessicale che consente l’uso di una strategia “lessicalizzata” più rapida ed utile per la comprensione e permette, inoltre, due aspetti della transcodifica che coinvolgono il lessico:

  1. La trascrizione delle parole omofone non omografe;
  2. La segmentazione del parlato continuo.

In questa fase, oltre ai pre-requisiti analizzati precedentemente, entra in gioco un altro elemento: la capacità di significare. Essa è la capacità di tradurre le diverse esperienze senso-motorie, legate allo schema corporeo ed all’organizzazione spazio-temporale, in segni grafici compresi in uno spazio-tempo ed utilizzando informazioni legate ad un punto di vista comune e condiviso da tutti. È un processo quindi che prende avvio con l’esperienza senso-motoria attraverso cui il bambino, con il proprio corpo, coglie delle informazioni senso-motorie a cui attribuisce dei significati e  successivamente decodifica il messaggio e lo ricodifica in un codice differente: il codice grafico.

Il bambino quindi si trova a dover applicare il proprio vissuto ad un campo diverso, più ristretto, che è quello del disegno-scrittura.

In conclusione, si può dire come il percorso per giungere all’apprendimento della scrittura è lungo e complesso: inizia intorno ai 3 mesi di vita quando il lattante allena la coordinazione occhio-mano afferrando oggetti appesi sulla culla, e termina intorno ai 7 anni d’età quando tale processo viene automatizzato.

 

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IV Capitolo – La disgrafia

4.1 Definizione e Disturbi specifici dell’apprendimento

La disgrafia è il termine con cui, nella pratica clinica, si identifica un disturbo della scrittura. L’etimologia del termine da indicazioni chiare sul suo significato: “cattiva scrittura”. Essa rientra nei disturbi specifici dell’apprendimento, i DSA.

Tale categoria di disturbi, quelli dell’apprendimento, fa parte dei disturbi neuropsicologici[13]; le sindromi neuropsicologiche interessano varie funzioni cognitive: esecutive, abilità visuo-percettive, attenzione, memoria, linguaggio, motricità, calcolo, lettura e scrittura, e rendono il comportamento dell’affetto quantitativamente e qualitativamente diverso.

I DSA sono manifestazioni patologiche che colpiscono la capacità di apprendere con difficoltà nell’acquisizione del controllo del codice scritto. Essi consistono nella presenza di “difficoltà isolate e circoscritte nella lettura e/o nella scrittura e/o nel calcolo in individui che possiedono una normale dotazione intellettiva e che non presentano deficit sensoriali”.

La caratteristica di questo gruppo di disturbi è quindi proprio la specificità che indica la compromissione selettiva di un determinato dominio di abilità che si inserisce nell’ambito di un adeguato funzionamento intellettivo rispetto all’età cronologica, pertanto il termine “specifici” ha il ruolo di differenziare l’entità nosografica dei DSA dalle difficoltà generalizzate che coinvolgono le abilità cognitive. Per cui, al fine della diagnosi, condizione necessaria è che le difficoltà si presentino in presenza di un normale funzionamento intellettivo e di adeguate opportunità di apprendimento ed in assenza, allo stesso tempo, di disturbi neurologici e deficit sensoriali che possano giustificare un’altra diagnosi.

DSA è un’etichetta introdotta con il manuale diagnostico DSM-5[14], precedentemente nel DSM-IV vi era una suddivisione in:

  1. Disturbo della lettura: Dislessia. La lettura è intesa come abilità di codifica del testo e tale disturbo si manifesta con una difficoltà ad effettuarla in maniera accurata e fluente, pertanto risulta essere lenta e faticosa con un’accentuazione se avviene ad alta voce. Si evidenzia fin da subito, appena il bambino impara a leggere e scrivere, per una difficoltà nei processi di automatizzazione della decodifica segno-suono. Non è necessario, ai fini della diagnosi, che sia compromessa anche la comprensione.
  2. Disturbo della scrittura. I disturbi dell’apprendimento relativi alla scrittura sono due e si distinguono in:
  3. Definito come disturbo della grafia, intesa come abilità grafo-motoria, essa riguarda l’aspetto esecutivo motorio della realizzazione dei grafemi ed è caratterizzata dall’uso di schemi impropri, da irregolarità e imprecisione che si manifestano durante l’atto di scrivere e che rendono il testo difficile da decifrare perché scritto male, ovvero con caratteri irregolari e deformati. È stato evidenziato come la scrittura peggiori man mano che il bambino si stanca poiché, non essendo automatizzata l’abilità, egli deve sfruttare maggiormente la funzione attentiva per far funzionare il compito. Quando il bambino si stanca l’attenzione decade e il compito di conseguenza diventa più carente.
  4. Definito come disturbo della scrittura, intesa come abilità di codifica fonologica e competenza ortografica, essa riguarda l’aspetto della correttezza nella scrittura di parole, che può avvenire sotto dettatura o anche copiatura, e nell’uso delle regole ortografiche e grammaticali. Essa si manifesta soprattutto nel momento in cui bisogna tradurre in grafemi dei suoni particolari come doppie, gruppi con la “q”, gruppi consonantici.

I bambini possono presentare entrambi i disturbi insieme (comordibità) o anche uno solo in maniera isolata.

  1. Disturbo del calcolo: Discalculia. Il calcolo è inteso come abilità di comprendere ed operare con il numero e tale disturbo si manifesta con una difficoltà nella strutturazione delle componenti di cognizione numerica (comparazione, seriazione, calcolo a mente), nei processi esecutivi del calcolo (scrittura, lettura e messa in colonna dei numeri) e nel calcolo stesso. I bambini con discalculia sono bambini lenti che commettono errori durante la scrittura dei numeri; è stato evidenziato un aumento del numero degli errori nel momento in cui aumenta la complessità del numero da scrivere. Un numero è definito complesso quando, ad esempio, è presente lo zero in una posizione tale da non venire pronunciato (duemiladieci).

 

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4.2 Epidemiologia.

La frequenza dei DSA è elevata, compresa tra il 5% ed il 15%. È evidenziabile come il dato però vari da paese a paese: in Italia è compreso tra 3% ed il 5% mentre, ad esempio, nei paesi anglosassoni è maggiore, questo può derivare dal fatto che il sistema ortografico è più complesso in questi paesi perché manca la corrispondenza diretta suono-segno, corrispondenza che invece è presente nella lingua italiana. È stata dimostrata, inoltre, anche una prevalenza del sesso maschile su quello femminile con un rapporto maschi/femmine compresa tra 2:1 e 3:1.

Da dati del MIUR relativi all’anno scolastico 2019/2020 evince che la prevalenza degli studenti con DSA è del 5,3% e che tale percentuale sia aumentata dello 0,1% nell’anno successivo. Nello specifico, entrando nel dettaglio delle tipologie del disturbo, nell’anno scolastico 2020/2021 gli studenti con diagnosi di disgrafia sono il 19% dei soggetti con DSA (5,4% del totale).

L’origine del deficit è neuro-biologico, ciò evidenzia il suo carattere innato: non si contrae come una patologia ma è una modalità di funzionamento del soggetto che lo caratterizza fin dalla nascita, è una peculiarità che può essere modificata ma non eliminata: non si guarisce da un DSA. La causa del disturbo dunque è da ricercare nel funzionamento del sistema nervoso centrale e nella modalità di elaborazione delle informazioni.

Al fine di individuare le cause della disgrafia è importante riconoscere tutte le componenti coinvolte ed attivate durante l’atto della scrittura e i pre-requisiti (schema corporeo, lateralizzazione, organizzazione spazio-temporale, abilità percettive, coordinazione occhio-mano, impugnatura, equilibrio, attenzione, concentrazione, memoria …) e comprendere come vengono utilizzate dal bambino. È mediante l’osservazione del bambino mentre si approccia alla scrittura che si individuano le alterazioni specifiche che determinano l’origine del disturbo grafico. Bisogna sempre tenere a mente che anche se due bambini presentano la stessa diagnosi in realtà loro non sono definibili come uguali perché all’interno di ogni persona, grande o piccola d’età che sia, vi è una componente personale che la distingue dalle altre. Di conseguenza è necessario e fondamentale osservare con un occhio critico l’esecuzione del bambino per poter ricercare cosa è alterato nella sua modalità di svolgimento del compito.

Tuttavia, sono stati individuati fattori di rischio che, se presenti, possono aumentare la probabilità di insorgenza del disturbo. Tra questi rientrano variabili genetiche e ambientali, quali:

  • Familiarità e fattori genetici;
  • Prematurità;
  • Basso peso alla nascita;
  • Esposizione prenatale alla nicotina;
  • Deficit delle funzioni esecutive e ridotta capacità della memoria di lavoro;
  • Ritardo o disturbo del linguaggio. I soggetti con un disturbo del linguaggio hanno un rischio sei volte maggiore di sviluppare un DSA. Il 40% dei bambini con disturbo del linguaggio in età prescolare può presentare un disturbo della letto-scrittura; se il disturbo del linguaggio permane anche dopo i 4 anni la percentuale arriva all’80%.

Bisogna far attenzione anche alla possibile presenza di elementi predittivi nello sviluppo psicomotorio in età prescolare che corrispondono al mancato raggiungimento di pre-requisiti di apprendimento nell’ultimo anno della scuola materna. Essi sono:

  • deficit delle abilità grafo-motorie con una scorretta impugnatura dello strumento grafico;
  • difficoltà ad acquisire le abilità motorie prassiche;
  • deficit dell’attenzione.

Questi elementi devono essere individuati dal pediatra, durante i periodici bilanci di salute o su segnalazione della famiglia o anche degli insegnanti che li hanno rilevati, al fine della diagnosi e riconoscimento del disturbo.

 

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4.3 Diagnosi

È molto importante diagnosticare la disgrafia. Per poter arrivare alla diagnosi è necessario aver individuato i segni evidenti del disturbo grafico che si manifestano in età scolare, nel momento in cui il bambino si approccia all’apprendimento della scrittura. Nell’immediato è possibile notare gli elementi predittivi ma è durante il secondo anno di scuola primaria che i segni saranno maggiormente chiari ed evidenti per cui è possibile procedere alla diagnosi.

I sintomi della disgrafia sono:

  • difficoltà a riconoscere le forme delle lettere/numeri;
  • confusione tra caratteri maiuscoli e minuscoli;
  • lentezza durante lo svolgimento del compito di scrittura;
  • difficoltà nel posizionare il polso durante il compito;
  • difficoltà nell’impugnatura dello strumento;
  • difficoltà nel tracciare segni grafici;
  • Eccessiva pressione dello strumento grafico sul foglio di lavoro;
  • Organizzazione degli spazi disordinata con scarsa capacità di rispettare il rigo/i margini, scrittura “fluttuante” e sovrapposizione di lettere;
  • Difficoltà nel posizionamento del foglio;
  • Difficoltà nell’utilizzo delle forbici;
  • Difficoltà nell’applicazione di regole ortografiche e uso non corretto della punteggiatura;
  • Incapacità a riconoscere gli errori;
  • Stanchezza e fatica lamentata durante la scrittura con interruzioni nel tratto;
  • Comportamento evitante rispetto ai compiti scritti;
  • Difficoltà ad organizzare il testo, un racconto;
  • Tendenza a lasciare le frasi incomplete, confuse.

Se il genitore o l’insegnante riscontrano la presenza di almeno uno dei sintomi elencati, devono sottoporre il bambino all’attenzione clinica di un esperto per poter richiedere una diagnosi clinica. La diagnosi di disgrafia non può essere eseguita prima del completamento della seconda elementare, classe in cui si completa il ciclo d’istruzione del codice scritto; se valutata prima, l’elevata variabilità inter-individuale nei tempi di acquisizione non è attendibile.

Al fine della diagnosi clinica di disturbo grafico, è necessario che siano soddisfatti i criteri individuati dal manuale diagnostico DSM-5:

  • Criterio A: devono essere presenti difficoltà di apprendimento e nell’uso delle abilità scolastiche determinate dalla presenza di almeno un sintomo persistente per almeno 6 mesi, nonostante la messa a disposizione di interventi mirati;
  • Criterio B: le abilità scolastiche devono essere notevolmente colpite ed inferiori a quelle attese per l’età cronologica e ciò deve interferire significativamente con il rendimento scolastico/lavorativo o con le attività di vita quotidiane;
  • Criterio C: le difficoltà di apprendimento iniziano durante gli anni scolastici ma possono non manifestarsi pienamente fino a che la richiesta del compito relativa a queste abilità colpite non supera le limitate capacità dell’individuo;
  • Criterio D: le difficoltà di apprendimento non sono meglio giustificate da disabilità intellettiva, acuità visiva o uditiva alterata, altri disturbi o alterate opportunità di apprendimento, come la mancata conoscenza della lingua dell’istruzione scolastica.

Per valutare il pieno rispetto dei criteri diagnostici, è necessaria una visita medica e la somministrazione di una batteria di test standardizzati. La visita medica da parte dello specialista permette di escludere la presenza di un disturbo organico sensoriale periferico, come richiesto dal criterio D, e di osservare gli elementi che riguardano il movimento: in particolare la qualità e l’organizzazione del movimento espressi nelle coordinazioni, nel controllo posturale, nell’equilibrio, nella motricità fine e nell’esecuzione di attività motorie prassiche. Successivamente si procede con la somministrazione, da parte dello psicologo, di test standardizzati per valutare prima di tutto il quoziente intellettivo, che non deve risultare inferiore a 85 per poter garantire l’esclusione di diagnosi di disabilità intellettiva; in seguito si provvede a somministrare i test standardizzati che valutano l’abilità scolastica che risulta compromessa.

Per quanto riguarda la grafia, i principali parametri da dover valutare riguardano la fluidità e l’analisi quantitativa delle caratteristiche del segno grafico: velocità, dimensione, fluttuazione, organizzazione, pressione … i test che possono essere utilizzati per la valutazione sono diversi. In questo gruppo specifico di prove rientrano il BHK[15] ed il DGM-P[16].

Complessivamente, il percorso diagnostico permette di individuare eventuali difficoltà soggettive del bambino e soprattutto di quantificarle in quanto il manuale DSM-5 procede per specificatori che permettono di integrare le misure psicometriche ottenute ai test che, da sole, potrebbe non essere sufficienti ad evidenziare il disturbo. Gli specificatori sono di due tipi: qualitativo e quantitativo. Quelli di tipo qualitativo definisce i domini specifici coinvolti, quelli di tipo quantitativo definisce il livello di gravità della compromissione.

L’utilizzo di questi permette di formulare diagnosi più descrittive e favorisce la costruzione di un percorso terapeutico personalizzato mirato alla specificità delle difficoltà del bambino perché la sola menzione alla categoria diagnostica non è sufficiente per la definizione di quali misure didattiche risultino appropriate al soggetto.

 

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4.4 Intervento    

In generale, tutti i DSA si affrontano con tre tipologie di misure:

  1. Interventi di potenziamento delle capacità di base, chiave per l’apprendimento scolastico (pre-requisiti);
  2. Interventi sulla funzione specifica che risulta compromessa (grafo-motricità);
  3. Potenziamento didattico per l’autonomia, con l’introduzione di strumenti compensativi e misure dispensative.

Le principali competenze di base su cui si deve lavorare sono:

  1. Conoscenza e rappresentazione del proprio corpo.

“Si scrive con il corpo e non solo con la mano”. Se il bambino non conosce il proprio corpo, non lo saprà utilizzare, dunque è necessaria un’educazione allo schema corporeo. Il punto di partenza è necessariamente la motricità attraverso l’esecuzione di azioni pratiche e motorie organizzate secondo uno schema organico. Inizialmente si possono proporre ad esempio azioni singole come strisciare, camminare carponi, saltare, correre, nuotare, o contrastanti come movimento-arresto, in piedi-sdraiato attraverso cui è possibile osservare la coordinazione generale, l’equilibrio ed anche l’inibizione volontaria del movimento; l’importante è impostare l’attività sempre come fosse un gioco per promuovere la partecipazione del bambino. Così facendo il bambino riesce a costruirsi un’immagine mentale di quanto sperimentato. Si può procedere, successivamente, con l’imitazione di gesti dapprima con una mano e dopo con entrambe per arrivare ad imitare delle posture complete, l’obiettivo è individuare e rappresentare mentalmente il gesto o la postura da riprodurre ed acquisire una buona padronanza e conoscenza delle parti del corpo. Nel momento in cui si ha un’immagine mentale del movimento, si riesce ad avere anche una rappresentazione simbolica della parte che deve compierlo.

  1. Capacità visuo percettive.

Per poter potenziare la capacità visive e visuo-spaziali, si possono proporre al bambino diversi compiti come l’inseguimento visivo di un’immagine mantenendo l’attenzione fissa su questa o anche quelli di abbinamento di immagini appartenenti a due insiemi diversi e complementari, il criterio da utilizzare può essere la somiglianza, come nel “la piccola tombola”, o anche il ragionamento logico. Altri compiti molto utili possono le matrici ovvero compiti su “il completamento di immagini” in cui la figura rappresentata risulta incompleta ed il bambino deve trovare il pezzo di puzzle mancante tra 3 o più pezzi proposti, o ancora proprio i puzzle attraverso cui i bambini allenano le proprie capacità visive e visuo-spaziali.

  1. Coordinazione visuo-percettiva-motoria.

Una volta acquisiti gli obiettivi precedenti, si può lavorare sull’integrazione della componente fino-motoria con compiti che richiedono il rispetto di consegne inizialmente semplici come “aprire e chiudere scatola”, “creare una torre con i cubetti”, “impilare oggetti”, “avvitare e svitare”, “utilizzare costruzioni o chiodini”, “mettere dei cerchi dentro un bastoncino”, per arrivare a consegne complesse come “infila le perline nel filo”, ritagliare una figura e si possono utilizzare anche materiali riabilitativi come le “tavolette” o libri in cui si deve passare un filo in appositi buchi per contornare l’immagine. Può essere altresì utile seguire i tracciati scivolati prima con le dita e poi con uno strumento grafico; i tracciati scivolati sono il fulcro centrale della rieducazione della scrittura, essi si eseguono producendo ampi gesti mediante i quali si genera uno stato di rilassamento unito alla padronanza del gesto.

  1. Organizzazione spaziale.

Al fine di una corretta organizzazione spaziale è necessario che il bambino abbia acquisito i riferimenti topografici di destra-sinistra, dietro-davanti, sopra-sotto, dentro-fuori, vicino-lontano. Per testarne la conoscenza, ma anche per acquisirne una maggiore consapevolezza, si può richiedere al bambino di descrivere delle immagini utilizzando i riferimenti spaziali per indicare la posizione degli oggetti o ancora di eseguire dei comandi prima semplici: “metti la carta dentro la scatola”, “metti il libro sotto la sedia”; e poi più complessi, ovvero contenenti più informazioni: “prendi il libro alla tua destra e posizionalo davanti al cestino, dopo prendi la palla e mettila sotto la sedia che è lontano dal tavolo”. Questo perché, prima di applicare tale organizzazione ad un campo particolare, come quello della scrittura, è necessario che egli li abbia automatizzati attraverso l’esperienza senso-motoria. Nell’ambito della scrittura lo spazio a disposizione è limitato ad un foglio ma, nonostante questo, il bambino deve saperlo gestire in maniera fluida e corretta. A tal proposito può essere utile proporre al bambino più fogli di formati diversi dove egli deve sperimentare l’ampiezza del foglio a disposizione. Per una graduale acquisizione del controllo dello spazio, si può procedere dalla dimensione più grande a quella più piccola fino ad arrivare ad organizzare il gesto grafico nel rigo.

  1. Organizzazione temporale.

L’organizzazione temporale determina il ritmo nella scrittura che è scandito da ciò che viene prima e da ciò che viene dopo; anche i riferimenti di “prima” e “dopo” possono essere acquisiti attraverso la sperimentazione di situazione concrete, ad esempio attraverso il racconto di vicende di vita quotidiana. Tale esposizione può essere incoraggiata da domande, ad esempio “cosa hai fatto questa mattina?”, “hai fatto prima colazione o ti sei lavato?” o ancora “la mela l’hai mangiata prima o dopo averla sbucciata?”. L’esperienza così acquisita si può trasferire nella carta mediante compiti come, ad esempio, “colora le forme rispettando il ritmo indicato dalla sequenza giallo – blu - verde”. È la sequenza quindi che determina il ritmo di quel compito.

Si consiglia un lavoro in parallelo su tutte queste competenze e non isolato. Successivamente, una volta lavorate e potenziate queste, ci si può concentrare su quella che è l’abilità specifica compromessa: la grafo-motricità.

Per poter abilitare/riabilitare il gesto grafico si può procedere con la proposta di diverse attività, dapprima di copia di forme prescritturali: tracciati, parallele, forme geometriche (cerchi e quadrati principalmente) e poi su fasi più evolute del disegno. Durante l’esecuzione di queste attività non bisogna tanto basarsi sul risultato finale, soprattutto all’inizio, ma sulla modalità di esecuzione del bambino, in particolare bisogna far attenzione al ritmo, agli spazi, alla fluidità e ai rapporti con gli altri elementi che possono essere presenti nel foglio. Esistono diverse forme di tracciati che si possono prendere come esempio ma anche in questo caso è importante che si proceda da quelle  più semplici a quelle più complesse. Possono essere utilizzati anche i percorsi che hanno lo scopo di unire due immagini con un criterio logico, come ad esempio il cane e l’osso, il coniglio e la carota, la fata e la bacchetta … con tracciati che variano per forma e complessità. Ulteriori attività possono essere le campiture, in cui il compito consiste nel riempire delle figure con modalità differenti; o anche il ricalco di figure tratteggiate o all’interno di spazi delimitati. Queste ultime attività sono molto utili anche per l’avvio della scrittura di singole lettere perché forniscono la struttura, oltre al supporto visivo, dello schema da attuare. Le lettere saranno raffigurate in un primo momento a stampatello e solo successivamente in corsivo. Si consiglia l’esercizio ripetuto al fine dell’acquisizione dello schema da dover eseguire e dell’automatizzazione dello stesso con anche consapevolezza per quanto riguarda l’organizzazione e integrazione spazio-temporale.

Si può procedere con il perfezionamento anche della pressione dello strumento grafico che il bambino con disgrafia esercita in modo eccessivo. Esercizi per la pressione possono essere esercizi di stretta, esercizi con la plastilina, giochi con diverse palle di diverso materiale (spugna, gomma, ovatta …), giochi con timbri …

Per ciascuna competenza da stimolare si consiglia fortemente che sia l’attività motoria che preceda quella a tavolino poiché le attività motorie stimolano la capacità sensoriale e la propriocezione del bambino, mentre con le attività a tavolino si riporta il bambino sul piano simbolico.

Infine, per stimolare una maggiore autonomia del bambino è possibile introdurre degli strumenti di supporto: misure compensative. Si tratta di ausili, detti anche mediatori didattici, efficaci per facilitare l’apprendimento. Le misure compensative nello specifico sono sussidi che consentono uno svolgimento più rapido delle attività scolastiche, possono essere specifiche per l’abilità o anche non-specifiche, cioè rivolte alle abilità trasversali come memoria o attenzione. L’introduzione di queste può essere effettuata precocemente ad integrazione degli altri interventi ma fondamentale, affinché siano davvero compensative, è che il soggetto abbia accessibilità e confidenza con tali misure. Le misure compensative principali nella disgrafia sono rappresentate dai quaderni per la disgrafia con righe e quadretti evidenziati, programmi di video-scrittura con correttori automatici, tappetini antiscivolo, penne o matite ad impugnatura speciale, audiolibri per esercitarsi sui dettati e sulle revisioni dei testi ... Tutte queste misure possono aiutare a migliorare la presa, la stabilità ed il controllo durante la scrittura.

È importante fornire agli studenti con DSA una soluzione immediata che permette loro di raggiungere gli obiettivi formativi degli altri studenti: bisogna dotarli di mezzi che consentano loro di scrivere correttamente e di utilizzare un testo scritto autonomamente. Lo scopo è quello di ridurre la distanza tra le prestazioni scolastiche e le richieste del sistema didattico, permettendo loro di raggiungere i medesimi obiettivi dei coetanei.

 

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Conclusioni

L’obiettivo di questa tesi di laurea è stato quello di descrivere il percorso evolutivo della funzione manuale che prende avvio dall’attività fino-motoria più semplice ed elementare: la capacità di afferrare e manipolare gli oggetti; fino ad arrivare alla realizzazione di quella che viene definita come l’abilità manuale più complessa, ovvero l’abilità di scrivere.

Nella stesura di questo elaborato, articolato in 4 capitoli, si è voluto partite dalla descrizione dello sviluppo motorio mettendo in rilievo quelle che sono le tappe fondamentali sia della motricità grossolana che di quella fine, con particolare attenzione ai diversi stadi che intercorrono da una prensione riflessa (grasping palmare) ad una prensione volontaria attuata con una presa matura, ovvero con una perfetta opposizione tra pollice ed indice che permette al bambino di raggiungere ed afferrare anche oggetti di piccola dimensione, ad esempio una mollica.

Essendo l’obiettivo ultimo la realizzazione della scrittura, si è resa indispensabile indagare la funzione visiva ma ancor di più analizzare lo sviluppo dell’integrazione della funzione visiva con la motricità fine in quella che viene più comunemente definita coordinazione occhio-mano, pre-requisito dell’apprendimento della letto-scrittura.

Successivamente l’elaborato si compone di un capitolo totalmente dedicato alla scrittura, volto ad individuarne tutti i pre-requisiti ma anche l’evoluzione dallo scarabocchio ai primi cenni di disegno, dalla scrittura delle prime lettere dell’alfabeto all’acquisizione del codice scritto.

Infine, un ultimo capitolo è stato dedicato al disturbo di questa abilità: disgrafia, intesa come abilità esecutiva motoria; con l’inserimento della categoria diagnostica a cui appartiene, i sintomi attraverso cui il disturbo è riconoscibile ed anche i criteri che è necessario che siano soddisfatti per poter fare diagnosi. L’ultima parte è dedicata all’intervento abilitativo e/o riabilitativo della disgrafia che si articola in 3 diverse parti: intervento mirato alle competenze di base, intervento mirato all’abilità specifica, introduzione di misure compensative. Durante la stesura di questa parte, è nata in modo spontaneo la voglia di inserire qualche esempio circa le attività che possono essere proposte al bambino. Si rende comunque necessario sottolineare come le attività debbano essere scelte sulla base, non tanto della diagnosi, ma delle  caratteristiche del soggetto poiché due bambini con la stessa diagnosi non possono essere considerati come bambini uguali in quanto c’è sempre una componente personale che differenzia una persona dall’altra. Di conseguenza la stessa attività può non andare bene per due bambini e si deve cercare l’approccio migliore al bambino a cui si deve offrire l’intervento. Non bisogna mai arrendersi davanti ad un approccio o ad un’attività che non va bene per il bambino perché non dobbiamo mai dimenticare che tutti “Siamo nati capaci di imparare” (Jean-Jeacques Rousseau).

 

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BIBLIOGRAFIA

  • Aabha A. Anekar, Bruno Bordoni, National Center for Biotechnology Information.
  • Ambrosini C., Wille A., Manuale di terapia psicomotoria dell’età evolutiva, Cuzzolin, 2008.
  • Arcelloni M. C., L’identità del gesto: movimento, atto, azione nella valutazione neuro psicomotoria.
  • De Ajuriaguerra, J. Auzias, l'ecriture de l'enfant, manuale di rieducazione della scrittura, De Montesquieu
  • Ferraris O. A, (2012), Il significato del disegno infantile, Bollati Boringhieri
  • Magnifico E., Il bambino con disprassia: valutazione neuro psicomotoria e specificità delle prove.
  • Oddone D., Saccà V., Potenziamento della motricità fine – Volume 1, giochi e attività per bambini dai 2 ai 6 anni, Trento, Erickson, 2019.
  • Persico A. M., Manuale di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza, Volume 1. Società editrice universo.
  • Rizzolatti G., Sinigaglia C., (2006), So quel che fai, il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina editore.
  • Santinelli L., Rudelli N, Taverna L., Laboratorio di motricità fine. Kit Mofis: giochi per sviluppare le abilità fino-motorie e la grafo-motricità nei bambini dai 4 ai 6 anni, Trento, Erickson, 2021.
  • Santrock, John W. Psicologia dello sviluppo, terza edizione.
  • Van Hof-van Duin J., Mohn G., (1968), The development of visual acuity in normal fullterm and preterm infants, Vision Res 26:909-916

SITOGRAFIA

 


  • [1]L’homunculus corticale è una rappresentazione della suddivisione anatomica dell’area somestesica primaria, dove prendere il nome di homunculus sensitivo, e dell’area motoria primaria, dove prende il nome di homunculus motorio.
  • [2]La prensione cubito palmare è una tipologia di prensione in cui l’oggetto viene afferrato dalla parte cubitale della mano, cioè tra il mignolo ed il bordo esterno della mano, senza usare il pollice, e con un movimento a “rastrello” in cui interviene soltanto l’articolazione della spalla.
  • [3]Prensione palmare, detta anche digito-palmare, fa riferimento ad una prensione di un oggetto che viene condotto verso il palmo e successivamente afferrato utilizzando tre dita insieme: pollice, indice e medio.
  • [4]La prensione radio-palmare è una tipologia di prensione che utilizza pollice ed indice con “pinza immatura”.
  • [5]La fovea centralis è il punto centrale della retina dove si ottiene la massima nitidezza visiva.
  • [6]I movimenti saccadici, o saccadi, sono movimenti volontari e normali dell’occhio che hanno la funzione di spostare nella zona retinica di massima sensibilità, cioè nella fovea, i vari punti importanti dell’ambiente esterno che stiamo osservando.
  • [7]L’immagine raffigurante cerchi concentrici ad alto contrasto appare attraente per i bambini, già dalle prime settimane di vita, perché richiama la disposizione dei campi recettoriali posti a livello della corteccia occipitale.
  • [8] Per bella grafia si intende, nell’ambito dell’educazione grafica, un tracciato efficace, fluido, dalle forme semplici e automatiche, sufficientemente rapido e facilmente leggibile.
  • [9]La sensibilità propriocettiva è la capacità di percepire la posizione relativa dei segmenti corporei, dei loro spostamenti, la regolazione del tono muscolare, la statica e l’equilibrio.
  • [10]Lo stadio operatorio concreto è il terzo stadio descritto nella teoria di Piaget e comprende i bambini tra i 7 e gli 11 anni d’età circa. In questo stadio si instaura il ragionamento logico, che sostituisce quello intuitivo dello stadio precedente, nei casi in cui può essere applicato a esempi concreti e specifici.
  • [11]Prensione palmare indica che tutta la mano si stringe attorno alla matita o altro oggetto grafico.
  • [12]La prensione adulta richiede una buona coordinazione delle dita e rappresenta l’ultimo stadio dello sviluppo neuromuscolare.
  • [13]La neuropsicologia è la scienza che studia le correlazioni tra comportamento/funzione/processo del sistema cognitivo ed il suo sub-strato anatomo-funzionale cerebrale che li determina, studia i rapporti tra comportamento e cervello.
  • [14]Il DSM-5 è la quinta edizione di un manuale statistico, messo a punto dall’APA, che fa riferimento a ciò che si manifesta sintomatologicamente. Esso si occupa della diagnosi e di come ridurre/eliminare il sintomo.
  • [15]BHK è una scala sintetica per la valutazione della scrittura in età evolutiva.
  • [16]DGM-P è il test per la valutazione delle difficoltà grafo-motorie e posturali della scrittura.
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