CONCLUSIONI - Dal senso di onnipotenza al principio di realtà
La ricerca fatta sul processo di acquisizione del senso di realtà, con la capacità di rapportarsi all’altro e ai propri limiti che esso implica, mi ha portato a comprendere che la normalità nel campo delle relazioni interpersonali non si ha all’interno di un sistema di “quiete”, ma di “conflittualità”. Il ché significa saper costruire relazioni in cui nessuno prevarichi sull’altro in un’altalena continua tra impotenza e onnipotenza, ma in cui reciprocamente - e non senza scontri - si impari a esprimere i propri bisogni e desideri, ad ascoltare e tener conto di quelli altrui e a rispettare le regole co-costruite.
La riflessione successiva sui due casi clinici, nell’ambito di una terapia Neuropsicomotoria, ha avuto lo scopo di indicare delle alterazioni rispetto al processo considerato normale e di porsi delle domande rispetto alle conseguenze.
I risultati pertanto non possono che essere nuove ipotesi, nuove domande a cui l’esperienza clinica futura potrà dare ulteriormente risposta.
Luca non ha avuto alcun contatto empatico nei primi due anni di vita, Maria invece è stata accompagnata, nella formazione delle relazioni precoci e nell’acquisizione di nuove capacità, dall’interferenza della patologia neuromotoria. Le condizioni di partenza assai diverse, per uno la completa assenza per l’altra la distorsione dell’iniziale illusione di onnipotenza, hanno avuto alcune conseguenze simili e altre decisamente differenti. Si vedano le tabelle 1 e 2 nella pagina seguente.
TABELLA 2: CONSEGUENZE DIFFERENTI
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Alla luce degli aspetti che Maria e Luca hanno in comune (Tabella 1) mi chiedo se l’assenza o la distorsione dell’esperienza precoce d’illusione di onnipotenza precluda i successivi passaggi evolutivi e porti quindi a una non-reciprocità dei rapporti interpersonali. Tutti gli elementi riportati mi inducono a pensare di sì, anche se la terapia neuro-psicomotoria sicuramente ha dato e continua a dare i suoi frutti.
Inoltre, pur nella differenza (anche di gravità) tra i due casi (Tabella 2), sembra che ci sia una costante: l’utilizzo cioè di una maschera che copre il sottostante senso di impotenza. Entrambi infatti utilizzano un potere che risulta fondato sulla sabbia, falso, senza consistenza: per Luca si tratta dell’aggressività verso i bambini (anche più piccoli) e dell’adeguatezza nella famiglia adottiva; per Maria si tratta del controllo su ogni cosa e persona, della leadership nel gruppo dei pari e dell’aggressività (contraccambiata) in famiglia.
Per entrambi è quindi necessario entrare nell’area della propria impotenza che è l’area dell’abbandono, dei maltrattamenti, dei limiti imposti dalla patologia, delle relazioni difficoltose coi pari, coi genitori e con sé stessi. Liberando la rabbia che tutto questo suscita forse per questi bambini è possibile accedere all’accettazione della loro personale realtà e scoprire così, andando idealmente a ritroso nel percorso evolutivo, di valere, di avere diritto, di poter esistere. Credo che questa, per chi fin dalla nascita ha fatto i conti con limiti e divieti troppo pesanti, sia la scoperta dirimente per poter riconoscere che anche gli altri hanno valore, diritto e possibilità di…, che anche gli altri hanno una mente. Si apre così la strada, anche per questi bambini, per poter vivere secondo il loro senso di realtà e per instaurare rapporti di autentica reciprocità.