DISCUSSIONI - CONCLUSIONI - Dalla metacognizione all’intelligenza emotiva
Discussioni
Quando si sperimenta la nascita di un progetto che non ha precedenti nel suo genere, si va incontro inevitabilmente ad un grande rischio. Innanzitutto, un progetto che vada ad indagare sugli aspetti complessi del sé, presuppone un alto grado di compliance e motivazione da parte dei bambini. Il fatto di aver ideato e condotto delle cornici di gioco che per il bambino sono risultate globalmente piacevoli e facilitanti, lo ritengo sicuramente un successo; solo attraverso la creazione di un setting motivante e rassicurante, infatti, potevamo mettere il bambino nelle condizioni di poter esprimere sé stesso liberamente, abbattendo i filtri, alla scoperta di sé. Tuttavia, non tutte e non sempre le attività proposte sono state ben gradite dai bambini, come del resto ci si poteva attendere; ciò che mi ha sorpreso è invece la variabilità delle risposte dei bambini stessi, al fronte della stessa proposta.
Considerare il bambino nella sua unicità, specialmente all’interno di una dinamica di gruppo, significa soprattutto immaginare che egli possa avere delle risposte che differiscano, ma che addirittura possano essere opposte, a quelle del compagno.
E’ totalmente errato valutare la reazione del bambino universalmente come “positiva” o “negativa”, a priori come “prevista” o meno; ciò che è importante è saperne leggere le cause, le motivazioni da cui è scaturito un determinato comportamento, che vanno oltre l’effettivo grado di efficacia della proposta. Imparare a considerare la reazione del bambino da mera conseguenza della proposta, a entità complessa alla quale concorrono anche una serie di esperienze interne individuali, mi ha permesso di allargare le mie abilità di lettura del bambino e di modificare il mio approccio di conseguenza.
Dalle valutazioni testistiche, ma, globalmente, dall’analisi dell’intero progetto, non possiamo trarre delle sentenze definitive. Per dichiarare universalmente l’efficacia del progetto, infatti, avremo dovuto avere a disposizione un campione molto più ampio dal quale ricavare un numero significativo di dati. Nonostante ciò, le modalità con cui si è sviluppato il progetto, nonché l’andamento positivo delle valutazioni, hanno fatto accrescere in noi la consapevolezza che questo tipo di lavoro possa assumere un ruolo determinante all’interno dello sviluppo del bambino e, per questo, debba ritagliarsi uno spazio fisso all’interno della terapia neuropsicomotoria.
Al fronte di molti aspetti positivi, il progetto ha dimostrato anche la sua vulnerabilità; trattandosi tuttavia di un progetto sperimentale, a maggior ragione, non può che presentare dei punti di debolezza che, se opportunamente considerati, possono permettere un’evoluzione via via sempre più positiva del progetto stesso.
Limiti del progetto
In questo paragrafo, riassumo attraverso un elenco puntato i 5 principali elementi di criticità del progetto.
Ricerche e gruppi di lavoro: come già evidenziato nel corso della sezione bibliografica, le ricerche e gli studi che trattano in modo specifico degli argomenti da me affrontati, sono assenti o, comunque, limitati. A maggior ragione, come conseguenza del primo aspetto, non vi sono gruppi di studio terapeutici che hanno sperimentato nella pratica una modalità di lavoro simile alla nostra, con un’età paragonabile, specialmente in ambito neuropsicomotorio.
Il nostro lavoro, dunque, basato su evidenze scientifiche ridotte ed esempi pratici assenti, potrebbe non aver raggiunto il grado di efficacia che ci saremo immaginati.
L’obiettivo potrebbe essere quello di aumentare il numero di progetti che vanno in questa direzione, in modo che i progetti stessi diventino oggetto di studio, riflessione e motivo di miglioramento per i successivi.
Tempistiche: i nostri 8 incontri, nell’arco di 2 mesi, hanno permesso ai bambini di comprendere ed entrare definitivamente nelle dinamiche del progetto, e a noi terapisti di evidenziare i primi risultati; tuttavia, non risulta un periodo di indagine sufficiente al fronte di tematiche così complesse, perciò è dunque previsto un suo prolungamento. E’ anche fondamentale considerare che, nonostante si possano ricreare delle condizioni ideali e piacevoli, si tratta comunque di un lavoro impegnativo di introspezione, che, se non soggetto ad un evoluzione continua, alla lunga potrebbe diventare faticoso.
In futuro, risulterà dunque indispensabile individuare un arco temporale adatto, tenendo conto anche dei bambini che abbiamo di fronte.
Test: come già sottolineato nella sezione dedicata, vi sono alcuni fattori, quali innanzitutto l’estrema specificità e complessità dell’argomento, il numero e l’età dei partecipanti, che non ci hanno permesso di individuare una valutazione testistica adatta ad effettuare, con i risultati ottenuti, un’analisi quantitativa. Ciò ha reso impossibile avere un riscontro oggettivo, che dopo essere stato misurato diventerebbe dunque riproducibile e replicabile anche da chi non ha partecipato direttamente alla sperimentazione.
Per sopperire a tale problema, si potrebbe ad esempio verificare il risultato ottenuto da un’analisi descrittiva, come quella da noi effettuata nel progetto, tramite campagna sperimentale estesa con conseguente analisi statistica.
Livello cognitivo: la verifica di un buon livello cognitivo, e la sua successiva esplicitazione all’interno del progetto, risultano 2 prerogative indispensabili al fine di garantirne l’efficacia. Al contrario, la rilevazione di una disabilità intellettiva importante, potrebbe compromettere in partenza il raggiungimento degli obiettivi così come li abbiamo delineati precedentemente. Questo potrebbe ridurre fortemente il range di partecipanti che, in ambienti riabilitativi, potranno accede al progetto.
Età: questo aspetto è fortemente collegato al precedente. Abbiamo verificato che, all’interno di un periodo di sviluppo preciso, considerato fino ad ora precoce, il progetto si incastra perfettamente con le proprie modalità; tuttavia, abbassare ulteriormente l’età dei partecipanti risulterebbe molto complicato in quanto il bambino potrebbe non aver ancora sviluppato quelle abilità cognitive che sono alla base della comprensione dei meccanismi sperimentati all’interno del progetto. Al contrario, inoltre, riferirsi ad un’età superiore, metterebbe a rischio la validità di un approccio neuropsicomotorio fondato sul gioco. Sommando il tutto, ne risulta un arco temporale limitato, che, come nel caso precedente del livello cognitivo, riduce il possibile campione a cui attingere.
Una soluzione comune agli ultimi 2 limiti elencati, potrebbe esserne quella di modificare i contenuti del progetto, mantenendo l’idea e gli intenti iniziali, a seconda delle potenzialità e dell’età a disposizione, al fine di rendere il progetto più flessibile e accessibile.
Conclusioni
Il bambino con delle difficoltà, fin dalla nascita, si trova a dover far fronte quotidianamente al proprio disagio, prima ancora che esso possa essere rilevato e, in seguito, eventualmente certificato. Casa, scuola e stanza di terapia, solo per citare i principali, sono gli ambienti dove il bambino si confronterà costantemente con sé stesso, in relazione con l’altro. Via via con il procedere parallelo dello sviluppo nelle varie aree, egli inizierà ad accedere al concetto di consapevolezza di sé, attraverso la sperimentazione dei propri punti di forza e dei propri punti di debolezza; nel caso in cui il bambino non riesca a riconoscere, identificare e dare voce al disagio, attraverso i pensieri, le manifestazioni emotive, i comportamenti, il delicato equilibrio che si mantiene tra i vari sistemi psichici potrebbe incrinarsi e provocare una disarmonia di sviluppo e, dunque, la costruzione di un’immagine di sé distorta, “danneggiata”.
La terapia è proprio il luogo dove il bambino vive maggiormente lo sforzo di dover ri – abilitare un aspetto di sé che non dà le risposte adeguate, e dunque egli si relaziona a maggior ragione costantemente con le proprie difficoltà. Ignorare, in terapia, le dinamiche cognitive ed emotive che, inevitabilmente, emergono alla luce di questo continuo rimando con un qualcosa di “difettoso”, vorrebbe dire aprire le porte ad una consapevolezza “negativa”, determinata da meccanismi psichici disfunzionali, che si esplicita nella realtà attraverso un’espressione disadattiva che via via si cronicizza.
Il TNPEE ha l’obbligo di mettere in risalto questo aspetto, alla luce di una formazione che dovrebbe condurlo a considerare ogni bambino come un individuo unico nel suo genere, il cui sviluppo, positivo o negativo che sia, si articola in varie aree; tali aree si combinano e si condizionano tra di loro, manifestandosi attraverso il bambino nella sua globalità e totalità.
Indice |
INTRODUZIONE |
Parte prima: Inquadramento bibliografico
Parte seconda: dalla teoria alla pratica |
BIBLIOGRAFIA |
Tesi di Laurea di: Filippo PAJARIN |