LA SINDROME DI RETT - L’importanza del trattamento neuropsicomotorio in paziente con Sindrome di Rett: la storia di Delia

LA SINDROME DI RETT - L’importanza del trattamento neuropsicomotorio in paziente con Sindrome di Rett: la storia di Delia

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1 - ASPETTI GENERALI DELLA SINDROME DI RETT

  1. CENNI STORICI E DEFINIZIONE
  2. EPIDEMIOLOGIA ED INCIDENZA
  3. EZIOLOGIA E GENI COINVOLTI
  4. INSORGENZA E MANIFESTAZIONI FENOTIPICHE NELLA FORMA CLASSICA
  5. STADI CLINICI DI ESORDIO E DECORSO DELLA PATOLOGIA
    1. STADIO DELLA STAGNAZIONE PRECOCE (TRA I 6 E I 18 MESI) - DURATA: MESI
    2. STADIO DELLA REGRESSIONE RAPIDA O FASE DISTRUTTIVA (DAI 18 MESI AI 4 ANNI) - DURATA: SETTIMANE/MESI
    3. STADIO PSEUDOSTAZIONARIO O FASE DI PLATEAU (DAI 2 AI 10 ANNI) - DURATA: MESI/ANNI
    4. STADIO DI DETERIORAMENTO MOTORIO TARDIVO (DAI 10 ANNI IN POI) - DURATA: ANNI 10
  6. DESCRIZIONE DELLE FORME ATIPICHE O VARIANTI
  7. CRITERI DIAGNOSTICI 
  8. COMORBIDITÀ E PROGNOSI 
  9. ASSOCIAZIONI

CAPITOLO 2 - LA NEUROPSICOMOTRICITÀ IN PAZIENTI CON SINDROME DI RETT

  1. NEUROPLASTICITÀ
  2. SVILUPPO MOTORIO
  3. SENSIBILITÀ E PROPRIOCEZIONE
  4. SVILUPPO LINGUISTICO
  5. SVILUPPO COGNITIVO
  6. TEORIA DELLA MENTE
  7. VALUTAZIONE, SCALE E TEST STANDARDIZZATI 1

CAPITOLO 3 - PRESENTAZIONE DEL CASO CLINICO

  1. ANAMNESI PERSONALE
  2. CERTIFICAZIONE DELLA DISABILITÀ
  3. DIAGNOSI FUNZIONALE
  4. TERAPIE, APPROCCI RIABILITATIVI ED OBIETTIVI

CONCLUSIONE

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

INDICE PRINCIPALE

INTRODUZIONE

Alla base di questo elaborato vi è lo studio della Sindrome di Rett, rara patologia genetica del neurosviluppo che riguarda quasi esclusivamente il sesso femminile. Questa malattia congenita interessa lo sviluppo del sistema nervoso centrale, con un coinvolgimento di vari organi ed apparati e conseguente alterazione del normale funzionamento cognitivo, linguistico e motorio. Nonostante si tratti di una patologia rara risulta essere la seconda causa, dopo la Sindrome di Down, di disabilità intellettiva grave nel sesso femminile.

L’elaborato si pone l’obiettivo di dimostrare quanto un trattamento neuropsicomotorio precoce ed individualizzato possa davvero migliorare significativamente la prognosi di queste pazienti. Il centro dell’analisi di questo progetto di tesi verte soprattutto sul confronto tra il fisiologico sviluppo di un bambino normotipico e lo sviluppo che invece caratterizza la crescita di queste bambine. Verranno infatti approfonditi gli ambiti cognitivo, motorio, linguistico e sensorale-propriocettivo, al fine di mettere a paragone le due differenti traiettorie di sviluppo.

Prima di procedere con il presente contributo, è doveroso esprimere un ringraziamento a Delia e ai suoi splendidi genitori, che dimostrano ogni giorno un’attenzione veramente ammirevole nei confronti della figlia e che hanno fin da subito reso possibile la realizzazione di questo progetto. Infine, auspichiamo che, sulla base dei risultati e delle informazioni raccolte, possano emergere le implicazioni e le ricadute di tali dati sia sul piano dell’assessment e dell’inquadramento evolutivo della Sindrome, sia sul piano dell’intervento educativo. L’augurio è che si inizi davvero a spostare lo sguardo da ciò che le pazienti con Sindrome di Rett non sanno fare e non possono raggiungere, a ciò che esse, con l’intervento costante, paziente e soprattutto fiducioso di chi vive e lavora con loro, possono raggiungere, acquisire e mantenere.

  

INDICE

CAPITOLO 1 - ASPETTI GENERALI DELLA SINDROME DI RETT

CENNI STORICI E DEFINIZIONE

La denominazione "Sindrome di Rett" è attribuita al neurologo austriaco Andreas Rett. Egli fu il primo a individuare questa condizione nel 1954, basandosi sull'osservazione di sintomi condivisi da alcune bambine che aveva visitato, le quali, in modo caratteristico, manifestavano un comportamento peculiare consistente nello strofinare le mani in modo insolito, quasi impegnate in un gesto simile a un movimento di lavaggio. Allargando l'indagine a un campione più esteso, nel 1966 Rett delineò un quadro sintomatologico che presentava stereotipie nelle azioni delle mani, demenza, comportamenti autistici, una marcata inespressività della mimica facciale, andatura atassica1, atrofia corticale2  e iperammoniemia3. Tuttavia, il suo contributo ricevette scarsa, se non nulla, attenzione. Una possibile spiegazione per l’oblio in cui versò il lavoro di Rett fino agli inizi degli anni ‘80 può essere rintracciata, secondo il neuropsichiatra italiano Zappella, nelle problematiche di identificazione nosografica dell’epoca. Dal momento che la Sindrome descritta da Rett difficilmente poteva soddisfare la necessità di una forte corrispondenza tra dato eziologico ed evidenza clinica, essa venne annessa genericamente alla famiglia dell’autismo senza ulteriori accertamenti. La prima identificazione ufficiale di questa patologia avvenne durante un convegno nei primi anni '80, quando il neurologo svedese Hagberg presentò sedici casi di bambine svedesi con un quadro clinico simile a quello precedentemente riconosciuto da Rett. Durante questo incontro con gli studiosi Aicardi, Dias e Ramos, Hagberg individuò circa trenta casi tra bambine provenienti da Svezia, Francia e Portogallo, caratterizzate da un profilo patologico che corrispondeva al quadro originariamente descritto da Rett. Questo contributo, presentato poco dopo, fu considerato come il riconoscimento ufficiale della Sindrome di Rett. In seguito, nel 1983, fu condotto uno studio su 35 pazienti che contribuì a distinguere questa Sindrome dall'autismo. È importante notare che la sintomatologia della RTT, specialmente nei primi due stadi, può inizialmente apparire vaga e con alcune caratteristiche autistiche. Questo fatto ha portato a diagnosi errate di autismo infantile in più del 70% dei casi di RTT, il che è comprensibile dato che le caratteristiche iniziali possono far sospettare una fase di ritiro autistico. Questi 35 individui coinvolti nello studio presentavano caratteristiche cliniche notevolmente simili, tra cui autismo progressivo, perdita di abilità motorie funzionali della mano, atassia e microcefalia acquisita. Dopo quel periodo, ci fu un incremento di studi sul fenomeno. Nel 1984, durante una conferenza internazionale a Vienna promossa dallo stesso Andreas Rett, furono riconosciuti i criteri diagnostici di inclusione ed esclusione, successivamente revisionati nuovamente nel 1988 dal Rett Syndrome Diagnostic Criteria Working Group (RSDCWG). Nel 1992, presso il laboratorio di Adrian Bird, il gene MeCP2 fu scoperto inizialmente come un fattore in grado di legare le citosine metilate seguite da guanina (CpG) e, in un secondo momento, rivelò la sua capacità di legare tutte le citosine metilate. Sebbene la cascata molecolare esatta attraverso cui la disfunzione di MeCP2 conducesse a fenotipi neuropsichiatrici non fosse ancora completamente chiara, era noto che la mancanza o la presenza di MeCP2 potesse innescare migliaia di cambiamenti nell'espressione genica. Solo nel 1999 fu confermata la causa genetica della Sindrome di Rett: la dottoressa Huda Zoghby, genetista americana, fu la prima a identificare il difetto nel gene MECP2, localizzato sul braccio lungo del cromosoma X (Xq28), come responsabile della forma classica della malattia. Tuttavia, vi sono ancora numerosi interrogativi riguardo il meccanismo eziologico con cui tale mutazione si manifesta (ipotesi metaboliche, genetiche o neurochimiche sono al vaglio dei ricercatori). Quindi oggi si può affermare che la Sindrome di Rett è una patologia congenita di origine genetica, anche se l’esordio è tardivo. Tale Sindrome è definita come un’encefalopatia neurodegenerativa a evoluzione progressiva ed è stata inclusa nel DSM-IV (1994) tra i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DGS) insieme ad: Autismo, Sindrome di Asperger, Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia ed il DGS Non Altrimenti Specificato, incluso l’autismo atipico. Con l'introduzione del DSM-5 nel 2013, la comunità scientifica trasferì la Sindrome di Rett dalla sezione dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo alla sezione delle patologie genetiche, e da quel momento la sindrome non è più considerata come parte dei disturbi dello Spettro Autistico.

 

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EPIDEMIOLOGIA ED INCIDENZA

La Sindrome di Rett è riconosciuta come la seconda causa più comune di ritardo mentale grave nella popolazione femminile, superata solo dalla Sindrome di Down. Spesso viene diagnosticata erroneamente come autismo o come un ritardo dello sviluppo non specificato, evidenziando la sfida nella corretta identificazione di questa condizione. Mentre nel 1986 i casi conosciuti di RTT in tutto il mondo erano circa 1.150, l’incidenza stimata ad oggi invece è di 1:8.000/15.000 femmine nate senza alcuna apparente specifica preferenza etnica o geografica, considerando l’esistenza di tutte le varianti oltre la forma classica. Sono rarissimi i casi di Sindrome di Rett che riguardano soggetti di sesso maschile, in quanto quasi sempre in questi casi la Sindrome è letale. La diagnosi di RTT risulta complessa a causa della mancanza di informazioni dettagliate sulla patogenesi e dell'assenza di marcatori biologici specifici. Inoltre, la descrizione di questa sindrome è stata disponibile nella letteratura medica in lingua inglese solo dal 1983, il che suggerisce che molti professionisti della salute potrebbero non essere stati pienamente a conoscenza della sindrome durante i primi studi epidemiologici. La Sindrome di Rett si manifesta tipicamente nella prima infanzia, soprattutto nelle femmine, con un'età di insorgenza compresa tra i 6 e i 18 mesi fino ai 2 anni. Dopo un periodo iniziale che sembra seguire uno sviluppo normale nella maggior parte dei casi, si manifesta un improvviso arresto dello sviluppo e la perdita delle abilità precedentemente acquisite. Questo porta gradualmente alla comparsa di un quadro clinico completo della malattia, caratterizzato da un grave deterioramento delle capacità motorie, cognitive, linguistiche e sensoriali. Queste bambine diventano progressivamente dipendenti dagli altri per tutto il corso della loro vita. Tuttavia, il contatto oculare è un loro punto di forza: la comunicazione spesso avviene principalmente attraverso gli occhi e lo sguardo, tanto che la sindrome è conosciuta anche come "malattia delle bambine dagli occhi belli".

 

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EZIOLOGIA E GENI COINVOLTI

Poiché quasi tutti i soggetti affetti dalla Sindrome di Rett sono di sesso femminile, inizialmente si ipotizzò una modalità di trasmissione X-linked dominante. Tuttavia, dato che il 99% dei casi è sporadico, è stato estremamente difficile individuare il locus della malattia attraverso l'analisi di linkage4  tradizionale. Attraverso informazioni e dati provenienti da casi familiari rari, nel 1999 Amir e colleghi, dopo 16 anni dedicati alla mappatura e al sequenziamento dei geni candidati, hanno identificato il primo gene coinvolto nella genesi della Sindrome di Rett. ovvero il gene che codifica per la Proteina di Legame alla Metil-CPG (MECP2), localizzato sul cromosoma Xq28. Gli studi condotti, compresi quelli su un bambino di sesso maschile gravemente colpito, hanno dimostrato che la RTT è causata da mutazioni dominanti X-linked in un gene soggetto all'inattivazione del cromosoma X (XCI). Queste mutazioni sono principalmente sporadiche, con il 99,5% dei casi risultanti da una mutazione de novo5, mentre lo 0,5% viene ereditato dalla madre o tramite mosaicismo somatico6. La scoperta è stata sorprendente in quanto il gene MECP2 non sembrava essere un candidato forte per un disturbo cerebrale primario. Questo perché la proteina si esprime in modo ubiquitario ed è associata a regioni ricche di eterocromatina contenenti 5-metilcitosina, suggerendo un potenziale coinvolgimento nel silenziamento genico globale. Dunque, la Sindrome di Rett è comunemente causata da mutazioni nel gene MECP2, che è responsabile della produzione della proteina 2 metil- citosina vincolante. Questa proteina svolge un ruolo cruciale nello sviluppo del cervello, agendo come un interruttore biochimico. La sua funzione include la regolazione dell'espressione genica, contribuendo a determinare quando attivare o disattivare altri geni e regolare la produzione di proteine uniche. Nella Sindrome di Rett, il gene MECP2 presenta mutazioni che portano a strutture anomale o a quantità insufficienti della proteina, causando un'alterata espressione di altri geni. Questi difetti possono avere impatti significativi sullo sviluppo e sul funzionamento del cervello. Sebbene il gene MECP2 sia comunemente associato alla Sindrome di Rett, è vero che non è l'unico gene coinvolto nell'insorgenza della patologia. Attualmente, si ritiene che la RTT, nelle sue diverse manifestazioni, possa derivare principalmente dalla presenza di mutazioni in uno dei seguenti tre geni:

a) Il gene MECP2 (MethylCpG Binding protein 2): è causa della malattia in circa il 95% delle pazienti con il fenotipo classico della Sindrome di Rett. Nei rari pazienti maschi con il fenotipo RTT classico che presentano mutazioni nel gene MECP2, è stato osservato un cariotipo XXY o la presenza della mutazione a mosaico. Attualmente, sono state identificate oltre 200 mutazioni del MECP2 nelle pazienti con Sindrome di Rett. Tra queste, otto alterazioni frequenti coinvolgono sequenze CpG (R168X, R255X, R270X, R294X, R106W, R133C, T158M e R306C) e rappresentano il 65% delle mutazioni puntiformi7. Oltre a quest’ultime, le delezioni estese del gene MECP2 sono anche una causa significativa della RTT, soprattutto nei casi con fenotipo classico. Questo gene è stato identificato anche in altre patologie, quali la Sindrome di Asperger, l’autismo, i DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), il ritardo mentale, condizioni simil Sindrome di Angelman8, ritardi mentali X- linked non sindromici, Sindrome PPM-X9 e le sindromi correlate ad esso. Questo gene è formato da quattro esoni ed è sottoposto a splicing alternativo10 che determina due isoforme proteiche: la prima, denominata MECP2_e2, ha il codone di inizio nell’esone 2, è costituita da 487 aminoacidi e rappresenta l’isoforma ubiquitaria, con espressione elevata nei fibroblasti e nelle cellule linfoblastoidi; la seconda, l'isoforma MECP2_e1, scoperta nel 2004, non contiene l'esone 2, inizia con il codone nell'esone 1, è composta da 498 aminoacidi ed è quella maggiormente espressa nell’encefalo. Il gene MECP2 è composto da circa 1500 basi che codificano per una proteina di circa 500 amminoacidi detta Proteina di Legame al Methyl-CpG 2 (Methyl-CpG binding protein 2). Anticamente, questa proteina era conosciuta per la sua capacità di agire come un silenziatore dell'espressione genica. Infatti, MECP2 si lega alle regioni CpG metilate del DNA e, attraverso il reclutamento di co-repressori e istone deacetilasi, è in grado di reprimere la trascrizione genica. Inoltre, è possibile affermare che MECP2 influenza preferenzialmente le modalità di splicing, la ritenzione degli introni e lo skipping degli esoni, e guida lo splicing alternativo di set distinti di geni in condizioni di base e dopo l'apprendimento. L'ana lisi comparativa del trascrittoma regolato da MECP2 con il pool di mRNA con giunzione alternativa, ha rivelato che l'interruzione di MECP2 altera l'abbondanza relativa di isoforme con giunzione alternativa senza influenzare i livelli complessivi di mRNA. Questi risultati rivelano come MECP2 regoli la funzione cerebrale, in particolare le capacità cognitive, e fanno luce sui meccanismi fisiopatologici della Sindrome di Rett.

Figura 1 - Struttura genomica di MECP2 e varianti di splicing. Le porzioni codificanti sono rappresentate in giallo.

Figura 1 - Struttura genomica di MECP2 e varianti di splicing. Le porzioni codificanti sono rappresentate in giallo.

Le mutazioni nel gene MECP2 possono manifestarsi attraverso diversi meccanismi. Una mutazione missenso coinvolge la sostituzione di una base del DNA con un'altra, portando alla sostituzione di un amminoacido nella sequenza proteica. D'altra parte, una mutazione nonsenso implica la sostituzione di una base che può interrompere prematuramente la sintesi della proteina, risultando in un gene MECP2 più corto. In alcune situazioni, potrebbe verificarsi una mutazione per inserzione, che comporta l'aggiunta di una o più basi nel gene, provocando una modifica nella sequenza degli amminoacidi della proteina. In alternativa, la mutazione per delezione implica la perdita di un segmento di DNA del gene, con una variazione nella lunghezza che può variare da una singola base a migliaia. Anche in questo caso, la delezione altera l'informazione contenuta nel gene e, di conseguenza, la proteina risultante.

b) Il gene CDKL5 (Cyclin Dependent Like 5 Kinase): è quasi sempre coinvolto nella patogenesi delle forme di Sindrome di Rett con epilessia precoce che si manifesta nei primi mesi di vita. Nel 2005 sono state riconosciute le prime mutazioni nel gene CDKL5, che rappresenta il secondo gene causante la Sindrome. Questo gene è localizzato in Xp22 e presenta diverse isoforme, tra cui l'isoforma I che contiene l'esone 1 con 21 frammenti ed è espressa in una vasta gamma di tessuti, e l'isoforma II che contiene gli esoni 1a e 1b con 22 frammenti ed è trascritta solo nei testicoli e, in quantità più basse, nell’encefalo fetale. Recentemente, sono state riconosciute due nuove isoforme: l'isoforma 16b, che contiene un esone aggiuntivo localizzato tra il vecchio esone 16 e il 17, e si trova in grandi quantità nei fibroblasti umani e nel cervello di topo; e l'isoforma più corta con soli 18 esoni, in cui l'esone 18 è più lungo a causa di una prolungata porzione non codificante di 170 nucleotidi. L'individuazione di nuove isoforme ha rilevanza dal punto di vista diagnostico poiché richiede un'analisi più completa che consideri anche queste regioni precedentemente non esaminate. Funzionalmente, il gene CDKL5 codifica per una proteina con attività chinasi, il che significa che può fosforilare11 altre proteine, inclusa sé stessa. Il gene CDKL5 viene espresso attivamente nel primo periodo postnatale e, a differenza di MECP2, nel cervello adulto si trova solo nei neuroni, ma non nelle cellule dell’astroglia12, è presente sia nel citoplasma delle cellule in divisione, sia nel nucleo e si trasferisce da un compartimento all’altro, in maniera differente a seconda dell’area del cervello e del momento dello sviluppo. Ad oggi sono state identificate in letteratura circa 80 pazienti con mutazione in CDKL5, fra cui anche 13 maschi. La maggior parte delle mutazioni, circa 50, sono puntiformi, cioè, interessano uno o pochi nucleotidi della sequenza e comunque sono evidenziabili tramite la tecnica del sequenziamento13. Si tratta di mutazioni missenso all’interno del dominio catalitico, mutazioni nonsenso causanti la terminazione prematura della proteina, distribuite lungo l’intera sequenza del gene, varianti di splicing e mutazioni frame-shift14. Le rimanenti 30 interessano delezione di regioni più estese, comprendenti uno o più esoni del gene, e non possono essere evidenziate con la tecnica precedente, ma con la tecnica dell’MLPA15 o della PCR quantitativa16. Le caratteristiche cliniche più comuni associate con le mutazioni di CDKL5 comprendono convulsioni ad esordio precoce (in genere 3 mesi di età), grave ritardo mentale e disabilità motoria grave. Inoltre, vari aspetti del viso sono stati descritti in pazienti con CDKL5 mutazioni, tra cui una fronte ampia, occhi infossati, naso ben pronunciato, dita affusolate e labbra carnose.

Questo fenomeno provoca uno spostamento nella lettura del codice genetico, portando alla traduzione di una sequenza di amminoacidi che non corrisponde a quella prevista nell'originale trascritto genetico.

c)  Il gene FOXG1 (Forkhead box G1): è un gene responsabile della codifica di una proteina nota come “Forkhead box G1”, si trova sul cromosoma 14q12 ed è associato alle forme di encefalopatia congenita. I ricercatori ritengono che questa proteina svolga un ruolo significativo nello sviluppo cerebrale, soprattutto in una determinata regione del cervello embrionale, il telencefalo17. Effettivamente, la proteina FOXG1 interagisce con JARID1B, un repressore trascrizionale, e con co-repressori trascrizionali globali della famiglia Groucho. Quest’interazione riveste un'importanza fondamentale nello sviluppo cerebrale precoce. La proteina FOXG1 è espressa in misura maggiore nelle fasi iniziali dello sviluppo, durante la vita embrionale, diversamente a MECP2 che invece raggiunge la sua massima espressione dopo la nascita. Potrebbe essere questo a spiegare l’insorgenza precoce dei sintomi rispetto alla forma classica. FOXG1 effettua un ruolo determinante nello sviluppo e nella regionalizzazione della parte anteriore dell’encefalo, nella laminazione corticale e nella formazione del corpo calloso18, nella promozione della proliferazione dei precursori neurali regolandone la differenziazione, ed equilibra i neuroni inibitori/eccitatori e i loro marcatori. Inoltre, favorisce anche la vitalità e l'allungamento dei neuriti nel neurone post-mitotico, preservando la plasticità neurale, l'arborizzazione dendritica19, fondamentali per una funzione di alto livello. Poiché le mutazioni nei geni MECP2 e FOXG1 provocano sintomi simili, è ancora oggetto di studio comprendere se e come queste due proteine interagiscano tra loro. A differenza dei geni MECP2 o CDKL5, il gene FOXG1 non è localizzato sul cromosoma X bensì su un autosoma, precisamente sul braccio lungo del cromosoma 14. Ecco perché la patologia in questo caso non è limitata al sesso femminile ed anche i pazienti di sesso maschile possono essere colpiti dalla variante congenita della RTT. Le alterazioni nel gene FOXG1 includono duplicazioni, delezioni, frame-shift e mutazioni puntiformi. La sintomatologia più severa è caratterizzata da microcefalia congenita, mancanza di contatto visivo e limitata capacità di controllo del capo. La sintomatologia più lieve si manifesta con un migliore contatto oculare, assenza di epilessia e lo sviluppo di alcune abilità motorie manuali. Tuttavia, definire una correlazione genotipo-fenotipo nei pazienti con mutazioni nel gene FOXG1 risulta difficile per via del limitato numero di casi descritti finora.

Grafico 1 - Distribuzione di patogenicità delle varianti (MECP2, CDKL5 e FOXG1).

Grafico 1 - Distribuzione di patogenicità delle varianti (MECP2, CDKL5 e FOXG1).

Negli ultimi anni sono state associate alla RTT e disturbi simili mutazioni in altri 69 geni, tra cui:

  • NTNG1 (Netrin G1): localizzato sul cromosoma 1, responsabile del fenotipo Rett-like.
  • MEF2C (Myocyte Enhancer Factor-2): situato sul cromosoma 5q14.3, responsabile del fenotipo Rett-like.
  • TCF4 (Transcription Factor 4): localizzato sul cromosoma 15 in un paziente con una forma atipica della Sindrome, la cui condizione clinica è andata poi a sovrapporsi con la Sindrome di Pitt-Hopkins20.
  • WDR45 (WD Repeat Domain 45): identificato sul cromosoma Xp11.23 in una bambina con manifestazioni cliniche Rett-like.
  • PTPN4 (Protein Tyrosine Phosphatase, Non-Receptor Type 4): posizionato nel cromosoma 2q14.2 in gemelli monozigoti con fenotipo Rett-like.
  • STXBP1 (Syntaxin-Binding Protein 1): localizzato nel cromosoma 9q34.11 in un paziente con fenotipo Rett-like.
  • SHANK3 (SH3 And Multiple Ankyrin Repeat Domains 3): situato nel cromosoma 22q13 in una ragazza con fenotipo Rett-like.
  • SCN1A (Sodium Channel Protein Type 1 Subunit Alpha): uno studio del 2018 ha documentato due bambine che presentano i criteri diagnostici per la Sindrome di Rett classica e che presentano mutazioni de novo nel gene SCN1A. Le mutazioni patogene nel gene SCN1A sono conosciute come la causa della Sindrome di Dravet21 e non della RTT classica. Tuttavia, a causa di caratteristiche atipiche nel profilo epilettico dei pazienti con Sindrome di Rett classica, come un esordio precoce delle convulsioni febbrili, potrebbe essere giustificato includere lo screening molecolare del gene SCN1A come parte della routine diagnostica per soggetti con RTT che risultano negativi per mutazioni nel gene MECP2 e presentano epilessia ad esordio precoce.
  • STK9 (Serine/Threonine Kinase 9): riconosciuto come altro causativo della variante RTT ad insorgenza precoce ed espressa entro il quinto mese di vita, in cui i pazienti mostrano un ampio spettro fenotipico.

La Sindrome di Rett può essere inizialmente diagnosticata principalmente attraverso l'osservazione clinica dei sintomi, ma per una diagnosi definitiva è necessario individuare un difetto in uno dei geni associati a questa sindrome tramite una mappatura cromosomica. In rari casi, non si rileva alcuna anomalia in tali geni, il che suggerisce la possibilità dell'esistenza di altri geni mutati che potrebbero determinare sintomi simili a quelli della Sindrome di Rett. Dagli studi finora effettuati, appare chiaro che la malattia si presenta principalmente in forma sporadica: non vi è evidenza di altre persone affette o portatrici della malattia all’interno della stessa famiglia. Quasi tutte delle mutazioni sono "de novo" (circa l’80%) e la sua insorgenza appare come un evento isolato, senza una chiara predisposizione genetica ereditata. Nonostante l'anomalia genetica sia più spesso presente nel cromosoma X di origine paterna, generalmente non si manifesta nel padre: è probabile che si sviluppi durante il processo di formazione degli spermatozoi (spermatogenesi).

Figura 2 - Modalità di trasmissione del gene MECP2 mutato.

Figura 2 - Modalità di trasmissione del gene MECP2 mutato.

Le femmine affette dalla Sindrome di Rett possiedono due copie del gene MECP2, una mutata ereditata dal padre e una normale ereditata dalla madre. In rari casi familiari, due o più membri della stessa famiglia possono risultare positivi per mutazioni nel gene MECP2. Tale fenomeno può verificarsi in due modi principali:

  • Mosaicismo Germinale: La madre è portatrice della mutazione in tutte le sue cellule, ma non mostra i sintomi tipici della Sindrome di Rett poiché, per un caso fortuito, la maggior parte delle sue cellule ha inattivato il cromosoma mutato. In questo caso, la madre è una portatrice "silente" della mutazione. Tuttavia, poiché alcune delle sue cellule riproduttive (uova) possono portare la mutazione, esiste una possibilità del 50% di trasmettere la mutazione ai suoi figli.
  • Mutazione nelle cellule uova: La madre presenterebbe la mutazione solo nelle sue cellule uova. L’encefalo dei suoi figli condividerà una proteina MECP2 non mutata e le probabilità di trasmettere la mutazione ai figli saranno del 50%.

In entrambi i casi, anche se la madre può trasmettere la mutazione ai figli, potrebbe non presentare i sintomi della sindrome stessa. Questi sono casi complessi in cui la genetica e il mosaico genetico giocano un ruolo chiave nella trasmissione della Sindrome di Rett. Gli studi condotti sui gemelli hanno rivelato che le gemelle monozigoti, ovvero i "gemelli identici," mostrano una concordanza quasi sistematica per la RTT, mentre le gemelle eterozigoti, o "gemelli non identici," manifestano una completa discordanza. Questo suggerisce che la malattia ha una forte componente genetica. Ulteriori prove a sostegno dell'ipotesi della trasmissione genetica della Sindrome di Rett provengono dalla ricerca condotta in diverse parti del mondo, tra cui Ungheria, Svezia e Italia. In un primo studio, sono state analizzate genealogicamente 22 famiglie con bambine affette da RTT nate tra il 1980 e il 1993. Questa ricerca ha rilevato un aumento significativo dei matrimoni consanguinei tra gli antenati delle bambine, oltre alla scoperta che queste famiglie provenivano dalla stessa zona geografica. Questi risultati suggeriscono una forte associazione tra la consanguineità e l'origine geografica delle famiglie e la Sindrome di Rett.

   

INDICE

INSORGENZA E MANIFESTAZIONI FENOTIPICHE NELLA FORMA CLASSICA

Questa patologia si manifesta con una normale crescita e sviluppo nelle primissime fasi della vita, a cui fa seguito un rallentamento delle tappe evolutive, con regressione delle abilità, perdita di utilizzo della mano a causa dei compulsivi movimenti di strizzamento, rallentamento della crescita di testa e cervello, convulsioni, difficoltà a camminare e disabilità intellettiva. Tra i sintomi più caratteristici della Sindrome di Rett vi sono le stereotipie manuali: il movimento di sfregamento continuo simile al lavaggio delle mani, da cui il termine “hand-washing”; i movimenti di battimento delle mani congiunte sulla linea mediana del corpo definiti “hand-clapping”; la torsione delle dita o “hand-wringing” con conseguente callosità e deformazioni delle stesse; il portare spesso le mani alla bocca o “hand-mouthing”. Un altro dato ricorrente è la presenza di microencefalia acquisita: dal secondo anno di vita, si osserva un rallentamento della crescita del cervello, risultando in una disabilità intellettiva. Tuttavia, la relazione tra l'evoluzione clinica della Sindrome di Rett e i processi di demenza non è ancora completamente compresa. Altri sintomi comuni includono scoliosi, disturbi dell'apparato respiratorio come apnea e iperventilazione, e problemi gastrointestinali.

Dal punto di vista emotivo sono ricorrenti gli sbalzi d’umore, che possono susseguirsi rapidamente e per un lungo periodo, contribuendo alle fluttuazioni dell’attenzione e del comportamento che queste pazienti manifestano. Da un’indagine condotta nel 1993 dal professore David Sansom sono emerse percentuali consistenti di cambiamenti dell’umore, di disturbi comportamentali come l’autolesionismo e attacchi di ansia. Un dato rassicurante è che questi elementi sembra tendano a migliorare con l’età e che disturbi depressivi cronici non siano poi così comuni. A ulteriore conferma dell’importanza rivestita dalla sfera emozionale, Molinari, Groppo e Torriani (1995) affermano che “le bambine con Sindrome di Rett mostrano alcune reazioni emozionali ai loro handicap: forse è per questo che cadono in profondi stati di angoscia o di rabbia”. Questo, se da un lato sollecita attente considerazioni circa il valore comunicativo che questi comportamenti, intesi come segnali di comunicazione non verbale, potrebbero assumere come “canali emozionali”, da un altro lato aumenta la necessità di intraprendere interventi di riabilitazione cognitiva e comunicativa su queste pazienti, per incrementare la qualità della loro vita e dei loro caregiver.

Dal punto di vista neurologico, la Sindrome di Rett è associata a gravi anomalie morfologiche del sistema nervoso centrale, tra cui una diminuzione generale delle dimensioni encefaliche e dei singoli neuroni. Studi autoptici hanno evidenziato una riduzione del 12% - 34% nel peso e nel volume cerebrale nelle bambine affette da Sindrome di Rett. Questo effetto è più evidente nelle aree prefrontali, frontali posteriori e anteriori, e nelle regioni temporali. È importante notare che, nonostante questa riduzione delle dimensioni, il cervello di queste pazienti non mostra segni evidenti di degenerazione, atrofia o infiammazione. Non sono presenti neanche segni di difetti di gliosi o migrazione neuronale.

LA SINDROME DI RETT - INSORGENZA E MANIFESTAZIONI FENOTIPICHE NELLA FORMA CLASSICA

STADI CLINICI DI ESORDIO E DECORSO DELLA PATOLOGIA

La manifestazione debilitante della malattia, evidenziata nella descrizione finora fornita, si manifesta attraverso un processo a fasi, identificato nel 1986 da Hagberg e Witt-Engerström, neuropediatra svedese, e attualmente universalmente riconosciuto come il modello e il profilo clinico evolutivo tipico della forma classica della RTT. È stato notato che la sindrome si caratterizza per la comparsa sequenziale di segni clinici. La suddivisione in queste fasi è utile solo per ottenere una comprensione genera le dell'andamento della malattia, poiché si osserva una notevole variabilità interindividuale nei tempi e nella gravità dei sintomi. I quattro stadi sono così distinti:

STADIO DELLA STAGNAZIONE PRECOCE (TRA I 6 E I 18 MESI) - DURATA: MESI

Piuttosto che assistere a una regressione delle abilità tipiche di questa fascia d'età, si osserva uno stallo difficilmente identificabile a causa di un inizio vago. Si manifestano, infatti, un rallentamento della crescita, ipotonia e un disinteresse per le attività ludiche, le interazioni sociali e l'ambiente circostante. Normalmente, entro i 6-18 mesi, le bambine iniziano a pronunciare le prime parole, a manipolare oggetti e alcune raggiungono la capacità di stare in piedi fino a compiere i primi passi. Sembrerebbe che non ci siano segni evidenti di alterazione, ma in realtà sono presenti una serie di segni e sintomi aspecifici e parafisiologici che possono passare inosservati. Questi includono eccessiva calma e silenziosità, tono muscolare debole e dissociazione dello sviluppo motorio, segnali che potrebbero suggerire un'alterazione dello sviluppo già nella prima infanzia. Questo periodo, definito preclinico, è difficilmente diagnosticabile: possono emergere difficoltà nell’acquisizione dell’andatura quadrupedica, nei passaggi posturali, e, nonostante l’apparente tranquillità, si possono presentare disturbi dell’alimentazione e del sonno con una certa variabilità soggettiva. I  sintomi possono includere minor  contatto  oculare, scarso interesse nei giochi, ritardi nel sedersi o nel gattonare, diminuzione della crescita del capo e strizzamento della mano. Le prime tappe di sviluppo possono essere ancora conquistate ma con un margine di ritardo; per esempio, il bambino può imparare a stare seduto, ma non a strisciare o stare in piedi . Possono comparire il babbling e le prime vocalizzazioni e, talvolta, le prime parole. I genitori possono notare un cambiamento nel comportamento interattivo del bambino, ma poiché il modello di sviluppo globale sembra ancora apparentemente fisiologico, essi spesso vengono rassicurati dai medici. La diagnosi clinica è, infatti, rara in questa fase.

 

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STADIO DELLA REGRESSIONE RAPIDA O FASE DISTRUTTIVA (DAI 18 MESI AI 4 ANNI) - DURATA: SETTIMANE/MESI

Dopo un primo periodo di "stagnazione dello sviluppo", che può durare anche solo poche settimane, si verifica il secondo stadio caratterizzato da un'evidente "regressione". Questa fase può iniziare bruscamente con un repentino cambiamento del comportamento: la bambina mostra un ridotto interesse per le persone e il contesto circostante, e lo sguardo diminuisce in partecipazione e vivacità. Gradualmente diminuisce l'utilizzo delle mani e gli oggetti, inizialmente trattenuti con sicurezza, cominciano a sfuggire di mano. In questo periodo iniziano anche a manifestarsi le prime attività stereotipe delle mani, un tratto distintivo della Sindrome di Rett: il più diffuso è il movimento di sfregamento continuo simile al lavaggio delle mani (hand-washing), ma risultano molto comuni anche il battito delle mani sulla linea mediana del corpo (hand-clapping), la torsione delle dita (hand-wringing) con conseguente callosità e deformazioni delle stesse e il portare frequentemente le mani alla bocca (hand-mouthing). A livello espressivo, un tratto significativo è la perdita della capacità di articolare le parole; insorgono, inoltre, disturbi ipercinetici come bruxismo22 e crisi oculogire23, nonché disturbi ipocinetici come scialorrea24, bradicinesia25  e rigidità. Le prime crisi convulsive possono emergere insieme ai primi segni di disturbi nella deambulazione, che diventa instabile e viene caratterizzata da movimenti bruschi e scatti involontari. Inoltre, possono manifestarsi altri sintomi, tra cui anomalie respiratorie, difficoltà nella masticazione, nell'atto di deglutire e nell'assimilazione del cibo, tutti contribuenti a una significativa riduzione del peso corporeo. Dal punto di vista emotivo sono frequenti gli sbalzi di  umore che, susseguendosi repentinamente sia nell’arco di poco tempo sia su un lungo periodo, potrebbero rendere conto in parte delle fluttuazioni dell’attenzione e del comportamento che queste bambine presentano. Sono frequenti anche i comportamenti aggressivi, episodi di pianto estremo, comportamenti autolesionistici e ansiosi, ma pare che questi fenomeni tendano a diminuire con l’età e che i disturbi di riduzione del tono dell’umore prolungati non siano poi così frequenti. Tutto questo è accompagnato da urla o risate immotivate e suscita una forte preoccupazione nei genitori. Più che di tipo autistico il disturbo comportamentale è assimilabile ad uno stato “attonito”, sub-stuporoso, con compromissione di funzioni attentive e di elaborazione e conseguentemente di interazione sociale, come in altri deterioramenti cognitivi su base psicorganica. La manifestazione di regressione neuro-comportamentale è un criterio fondamentale per la diagnosi di RTT. Anche se viene identificata una mutazione del MECP2 ma il bambino non mostra ancora alcun segno di regressione all'età di 5 anni, la diagnosi di Sindrome di Rett dovrebbe essere messa in discussione.

 

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STADIO PSEUDOSTAZIONARIO O FASE DI PLATEAU (DAI 2 AI 10 ANNI) - DURATA: MESI/ANNI

Successivamente, tra i 2 anni e i 10 anni, si arriva ad una fase di “pseudostazionarietà”, stadio in cui la bambina tende a stabilizzarsi. Vi è un recupero dell’emotività e dell’interazione sociale dimostrato da un nuovo interesse verso l’ambiente circostante, nonostante le attività stereotipe siano continue durante il giorno. L’iposviluppo somatico diventa più evidente. Dopo i tre anni può manifestarsi con evidenza crescente la scoliosi, che può raggiungere livelli di notevole gravità successivamente, a causa della postura asimmetrica spesso rapidamente progressiva, che richiede un trattamento chirurgico. I piedi e gli arti inferiori sono freddi, con o senza cambiamento di colore, e con o senza modifiche atrofiche. L’osteoporosi è frequente e quindi va considerato il rischio di fratture. È possibile osservare l'accorciamento del tendine d'Achille, che porta all'equinismo del piede e alla deformazione delle caviglie in posizione varo o valgo. Inoltre, le dita tendono ad essere tipicamente serrate. Alcune ragazze possono presentare una sintomatologia più lieve, con la possibilità di mantenere il linguaggio e/o l'uso funzionale delle mani. La coordinazione muscolare è compromessa. Le alterazioni del sistema neurovegetativo, spesso già iniziate durante il secondo stadio, emergono soprattutto a carico della respirazione, poi del sistema gastrointestinale ed infine del sistema cardiovascolare. Anche il sonno risulta disturbato, con la frequente tendenza delle pazienti a dormire di giorno e risvegli frequenti durante la notte, accompagnati da crisi di pianto e momenti di improvvisa agitazione. Le bambine, in questa fase, potrebbero riuscire a camminare o anche imparare quest’abilità. Si possono presentare frequenti attacchi epilettici. Talvolta, i sintomi come pianto, irritabilità e sintomi simili all'autismo possono diminuire durante questo periodo. Di contro, allerta, capacità di comunicazione, capacità di attenzione e interesse per l'ambiente circostante possono, invece, aumentare.

 

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STADIO DI DETERIORAMENTO MOTORIO TARDIVO (DAI 10 ANNI IN POI) - DURATA: ANNI

Nell’ultima fase, si osserva un ulteriore miglioramento dello stato emotivo e delle relazioni interpersonali, con una diminuzione dell'ansia e un progresso nella comunicazione non verbale. Anche i movimenti ripetitivi delle mani si fanno meno frequenti e meno intensi, e gli attacchi epilettici diventano più gestibili. Contemporaneamente, però, la regressione delle abilità motorie continua ad avanzare, con una progressiva diminuzione della mobilità e un peggioramento della scoliosi, fino a giungere alla perdita della capacità di camminare. Questa riduzione della mobilità porta all'atrofia muscolare26 e a una marcata rigidità, causando deformità agli arti distali, spesso risultando in caratteristiche simili a quelle del morbo di Parkinson in età avanzata. Tuttavia, rimane considerevole il mantenimento del contatto oculare e dei movimenti di eye-pointing. Dai dieci anni in poi, in alcune pazienti, può verificarsi una "regressione motoria tardiva", caratterizzata da una graduale perdita delle abilità motorie evidenziata da percorsi di deambulazione più limitati, che possono persino richiedere l'uso di un supporto posturale. Questo peggioramento può riguardare sia il trofismo muscolare che il tono muscolare, con frequenti manifestazioni di distonia27 e torsione. I piedi, spesso freddi, bluastri e gonfi, riflettono problemi di trofismo. In questa fase, si riscontrano spesso difficoltà legate all'alimentazione e alle necessità nutrizionali delle pazienti. Possono sorgere problemi di deglutizione, specialmente dei liquidi, e difficoltà nella masticazione. Movimenti anomali, alterazioni del tono muscolare della lingua, scoliosi, rigidità delle spalle e problemi neurologici generalizzati sono tutti fattori che partecipano al deterioramento dello stato nutrizionale, talvolta richiedendo trattamenti come la nutrizione parenterale o la gastrostomia (PEG) in alcuni casi.


Grafico 2 - Quadro di progressione della Sindrome di Rett.

Grafico 2 - Quadro di progressione della Sindrome di Rett.

  • SINDROME DI RETT CLASSICA per i soggetti che rientrano perfettamente nei criteri diagnostici;
  • SINDROME DI RETT PROVVISORIA per i soggetti da 1 a 3 anni che non soddisfano tutti i criteri diagnostici;
  • SINDROME DI RETT ATIPICA per i soggetti che non rientrano nei criteri diagnostici tipici (circa il 15% della totalità).

 

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DESCRIZIONE DELLE FORME ATIPICHE O VARIANTI

La Sindrome di Rett è caratterizzata da un’ampia eterogeneità clinica e, oltre alla forma classica, si riconoscono altre 6 varianti:

  • Variante a linguaggio conservato o variante Zappella (PSV): con fenotipo meno grave, geneticamente determinata dal gene MECP2. Si esplica attraverso quattro fasi consecutive e comprende la presenza di disprassia28 e movimenti ripetitivi delle mani nella seconda fase e all'inizio della terza fase. La regressione in questo caso inizia gradualmente dopo il terzo anno di età. Le bambine perdono gran parte dell'uso funzionale delle mani e possono sviluppare crisi epilettiche, ma conservano la capacità di camminare. Questa variante è caratterizzata da un percorso clinico più favorevole, nel quale è possibile recuperare la capacità di esprimersi con alcune parole o brevi frasi e, in parte, l'utilizzo delle mani. Tuttavia, le abilità linguistiche sono mantenute ma l'espressione verbale risulta raramente coerente. Dal punto di vista fisico, il fenotipo di questa variante spesso presenta obesità e/o una crescita eccessiva, mentre è importante notare che l'arresto della crescita è una delle caratteristiche distintive della Sindrome di Rett tipica.
  • Variante con convulsioni ad esordio precoce o variante di Hanefeld: associata a mutazioni nel gene CDKL5, si manifesta con la comparsa di crisi convulsive o epilettiche prima della fase di regressione. Di solito, queste crisi si manifestano entro i primi 6 mesi di vita. L'epilessia in questa variante si presenta spesso come un tipo di encefalopatia epilettica con un modello tipico caratterizzato da contrazioni toniche-vibratorie prolungate, seguite da una fase clonica con una serie di spasmi che gradualmente si trasformano in spasmi mioclonici distali ripetitivi. Alcuni studi suggeriscono che la gravità del decorso dell'epilessia è maggiore nei soggetti con mutazioni nel dominio catalitico del gene CDKL5. Tuttavia, attraverso dati fenotipici raccolti tramite il Database Internazionale della RTT (InterRett)29, è emerso che solo una bassa percentuale di soggetti con mutazioni CDKL5 soddisfa i criteri clinici per la variante con convulsioni ad esordio precoce di RTT, la quale richiede specificamente un periodo di regressione nello sviluppo.
  • Variante congenita o variante di Rolando: associata ad alterazioni nel gene FOXG1 situato sul cromosoma 14, questa variante si caratterizza per un ritardo psicomotorio evidente sin dai primi mesi di vita, accompagnato da anomalie elettroencefalografiche, ma senza segni evidenti di epilessia precoce. Tale forma è relativamente rara e si distingue dalla forma classica della sindrome di Rett perché manca del periodo di sviluppo psicomotorio fisiologico. In questa variante, l'alterato sviluppo è evidente fin dai primi mesi di vita. I soggetti con sintomi più severi possono presentare microcefalia congenita, mancanza di contatto oculare e scarsa abilità di controllare la testa. Nei casi meno gravi, il contatto visivo può essere migliore, l'epilessia è assente, e mantengono parzialmente l'uso funzionale delle mani, con alcune abilità preservate. Tuttavia, stabilire una relazione genotipo- fenotipo in pazienti con mutazioni nel gene FOXG1 è ancora difficile per via del numero limitato di casi descritti fino a oggi.
  • “Forme fruste”: sono caratterizzate da segni clinici più sfumati e sintomi meno gravi. L'esordio di tali forme avviene in ritardo, spesso dopo i quattro anni di età. Individui con forme fruste generalmente mostrano una riduzione meno marcata della circonferenza cranica, un utilizzo funzionale delle mani migliorato e, talvolta, manifestazioni più lievi di stereotipie delle mani.
  • Variante a regressione tardiva o variante Hagberg: è estremamente rara e si caratterizza per un periodo prolungato di disabilità intellettiva di grado medio. In età scolare, si potrebbe verificare una regressione e comparire la sintomatologia classica.
  • Sindrome di Rett  maschile: è una forma estremamente rara e grave. Quasi sempre, questa condizione è letale. La RTT è tradizionalmente associata alle mutazioni del gene MECP2, ma tali mutazioni sono molto meno comuni nei maschi, principalmente a causa del fatto che la maggior parte di esse è letale per i feti maschi, essendo non compatibili con la vita durante lo sviluppo fetale nel sesso maschile. Si tratta di una forma molto grave che si manifesta con encefalopatia postnatale, morte precoce o una bassissima aspettativa di vita, spesso limitata a un anno o meno. Le caratteristiche cliniche tipiche della Sindrome di Rett, che sono ben definite nelle femmine, spesso sono assenti nei maschi con questa variante. Recentemente, sono state riconosciute duplicazioni coinvolgenti il gene MECP2 in pazienti maschi affetti da grave disabilità intellettiva, ipotonia, spasticità progressiva, epilessia e infezioni respiratorie frequenti.

 

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CRITERI DIAGNOSTICI

La diagnosi della Sindrome di Rett coinvolge una combinazione di valutazioni fisiche e neurologiche, insieme a test genetici specifici per individuare eventuali mutazioni. Le valutazioni fisiche e neurologiche sono effettuate da un medico e comprendono esami sulla crescita del bambino, lo sviluppo e una revisione dettagliata della sua storia medica e familiare. Inoltre, per ottenere una diagnosi definitiva, viene eseguita una diagnosi differenziale. Questi test mirano a escludere altre condizioni che potreb bero manifestarsi con sintomi simili, come altri disturbi genetici, autismo, problemi visivi o uditivi, epilessia o danni cerebrali prenatali. La conferma genetica, attraverso l’analisi del DNA, è essenziale per stabilire una diagnosi accurata della Sindrome di Rett. I criteri diagnostici originali per la RTT furono inizialmente definiti tra la metà degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. Tuttavia, durante il primo decennio degli anni 2000, ci sono state revisioni significative nei criteri diagnostici, contribuendo a una maggiore precisione nella rilevazione e nella classificazione di tale Sindrome. Nel 2010, un gruppo di rinomati studiosi della Sindrome di Rett ha rivisto i criteri diagnostici su richiesta del Rett Search Consortium, con l'obiettivo di chiarire e semplificare la diagnosi. Oltre alla sua utilità nella gestione clinica, l'utilizzo di criteri diagnostici garantisce un elevato grado di omogeneità nelle popolazioni arruolate nei trial terapeutici e in altri studi clinici. Tuttavia, un potenziale punto debole consiste nella possibilità che alcuni individui vengano inclusi o esclusi in modo inappropriato dalla diagnosi. Per questo motivo, la comunità di RettSearch si è impegnata in un processo di continua rivalutazione di questi criteri, utilizzando le vaste popolazioni cliniche e i dataset a disposizione dei membri, per garantire che i criteri servano allo scopo dichiarato di fornire un quadro diagnostico semplificato che catturi la popolazione clinica di interesse. Il National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS)30  ha formulato le linee guida per accertare la diagnosi clinica della Sindrome di Rett. Queste linee guida dividono i criteri diagnostici clinici in principali, di supporto e di esclusione. La presenza di una mutazione nel gene MECP2 non è sempre sufficiente per diagnosticare la RTT, poiché alcune persone con queste mutazioni potrebbero non manifestare le tipiche caratteristiche della Sindrome. Inoltre, ci sono casi di RTT in cui non si riscontrano mutazioni nel gene MECP2, ma sono presenti mutazioni in altri geni associati a forme atipiche di Sindrome di Rett. Pertanto, oltre alla verifica genetica, è stata sviluppata una serie di criteri clinici per stabilire la diagnosi di RTT. La versione più recente di questi criteri, risalente al 2010, tiene conto di una vasta gamma di presentazioni cliniche della Sindrome, consentendo una diagnosi più precisa anche in assenza di mutazioni MECP2.

Requisiti per la diagnosi di RTT classica/tipica:

  1.  Un periodo di regressione seguito da recupero o stabilizzazione.
  2. Tutti i criteri principali e tutti i criteri di esclusione.
  3. Criteri di supporto non richiesti nonostante spesso presenti in soggetti con RTT tipica.

Requisiti per la diagnosi di variante RTT/RTT atipica:

  1. Un periodo di regressione seguito da recupero o stabilizzazione.
  2. Almeno 2 su 4 criteri principali.
  3. Almeno 5 su 11 criteri di supporto.

I criteri sono:

  • CRITERI DIAGNOSTICI PRINCIPALI:
    1. Parziale o completa perdita delle abilità manuali acquisite.
    2. Parziale o completa perdita del linguaggio espressivo acquisito.
    3. Anomalie nella deambulazione, come l'andamento sulle punte dei piedi o una camminata instabile, a base allargata o rigida.
    4. Movimenti  stereotipati  delle  mani:  hand  wringing/squeezing,  hand clapping/tapping, hand mouthing e hand washing/rubbing.
  • CRITERI DIAGNOSTICI DI ESCLUSIONE PER LA RETT CLASSICA: comprendono la presenza di altre patologie che causano una sintomatologia simile.
    1. Danni cerebrali dovuti a trauma peri o postnatale, a disturbi neuro metabolici o problemi neurologici causati da infezioni.
    2. Sviluppo psicomotorio anormale nei primi sei mesi di vita.
  • CRITERI DIAGNOSTICI DI SUPPORTO PER LE FORME VARIANTI: non sono previsti per la diagnosi di Sindrome di Rett ma possono manifestarsi in alcune bambine. Ad un soggetto con criteri di supporto, ma con nessun criterio principale non può essere riconosciuta la Sindrome di Rett.
    1. Disturbi del respiro al risveglio.
    2. Bruxismo al risveglio. 
    3. Pattern del sonno alterati.
    4. Tono muscolare anormale.
    5. Disturbi vasomotori periferici.
    6. Scoliosi/cifosi.
    7. Ritardo di crescita.
    8. Mani e piedi piccoli e freddi.
    9. Risa e urla inappropriati.
    10. Ridotta soglia del dolore.
    11. Intensa comunicazione visiva definita “eye pointing”.

Nella revisione dei criteri diagnostici, il rallentamento post-natale della crescita del cranio è stato rimosso come criterio essenziale poiché non è una caratteristica presente in tutti i soggetti con la forma tipica della Sindrome di Rett. Tuttavia, poiché questa caratteristica clinica può essere un segnale utile per i medici nell'ipotizzare una diagnosi potenziale e rappresenta un elemento distintivo del disturbo, è stata in serita come un preambolo ai criteri. In altre parole, è stato considerato come un segno che dovrebbe suscitare il dubbio per la diagnosi. Il principale obiettivo dei criteri di esclusione, come indicato nelle versioni del 2002, consiste nell’eliminare altre possibili cause di malattie neurologiche, come la prematurità che può portare a emorragie intraventricolari, meningite o cause perinatali che causano danni cerebrali. Gli altri criteri di esclusione riflettono il riconoscimento che i soggetti con RTT classica non mostrano deviazioni macroscopiche dal normale sviluppo nei primi sei mesi di vita. Se, nonostante il soddisfacimento di tutti i criteri essenziali, si riscontrano uno o più criteri di esclusione, la diagnosi di RTT, che comunque rimane in sospeso fino ai 2-5 anni di età, non può essere confermata.

 

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COMORBIDITÀ E PROGNOSI

  • Disturbi cardiologici: si manifestano con una mortalità maggiore rispetto alla popolazione generale, e possono configurarsi con una morte cardiaca improvvisa. Una delle cause più frequenti è un’alterazione dell’attività elettrica del cuore; alcuni studi dimostrano che ci sono fattori di rischio per la comparsa di aritmie potenzialmente fatali, come la fibrillazione ventricolare o la tachicardia ventricolare sostenuta.
  • Disturbi gastroenterologici: tra le manifestazioni cliniche più frequenti si riconoscono stipsi, reflusso gastroesofageo, scialorrea e problematiche nutrizionali. L’eventuale difficoltà nella deglutizione, che può arrivare sino alla disfagia, può necessitare di alimentazione tramite sondino nasogastrico o PEG (gastrostomia endoscopica percutanea)31.
  • Disturbi respiratori: non  è infrequente la possibilità di sviluppare delle polmoniti ab-ingestis per aspirazione di materiale salivare o alimentare a livello delle vie respiratorie, che appunto può determinare infezione. È frequente anche l’insorgenza di apnee sia notturne che diurne e fenomeni di iperventilazione specialmente in situazioni di intense emotività, dovute ad un disturbo di origina centrale nel centro regolatorio del respiro, oppure a livello periferico come alterazioni muscolari in corrispondenza dei muscoli della gabbia toracica o dei muscoli respiratori. Spesso è presente un inadeguato riflesso della tosse con conseguente difficoltà nell’espettorazione. Inoltre, l’eventuale ipoespandibilità della gabbia toracica facilita i meccanismi di stasi a livello polmonare, e quindi l’insorgenza di infezioni.
  • Disturbi scheletrici ed ortopedici: il fenotipo MECP2 si associa ad una clinica severa e a frequente riduzione del BMD (bone mineral density) femorale32; questo indica che le pazienti possono avere un’alta prevalenza di scoliosi, fratture ossee e disturbi della deambulazione.
    • La scoliosi rappresenta la condizione ortopedica più diffusa nella Sindrome di Rett, con possibili impatti negativi sulla qualità della vita e sulla salute delle persone colpite. Questa condizione può causare dolore, problemi di equilibrio, regressione delle abilità precedentemente  acquisite  e  sviluppo  progressivo  di  malattie polmonari. La scoliosi diventa visibile nella RTT tipicamente tra i 3 e i 18 anni di età. Se molto severa, può andare a compromettere la dinamica respiratoria perché comporta un accorciamento dei muscoli dell’emilato interessato e la compressione dei polmoni. In quasi tutti i casi di Sindrome di Rett si ha una deviazione del rachide di almeno 10°. Dal momento in cui si tratta di scoliosi progressive, l’approccio fisioterapico è il primo che si viene ad instaurare, e potrebbe essere consigliato anche l’utilizzo di un corsetto con l’obiettivo di ridurre o tardare la necessità di sottoporsi al trattamento chirurgico. Quando la curva scoliotica supera i 40-50°, diventa necessario ricorrere a un intervento chirurgico, finalizzato a migliorare la mobilità della colonna vertebrale, alleviare le difficoltà nella deambulazione e favorire la funzione respiratoria. È stato osservato che, dopo il trattamento chirurgico, si verifica un miglioramento generale del benessere delle pazienti, in particolare per quanto riguarda la posizione seduta e la funzione respiratoria. La prognosi per lo sviluppo della scoliosi è meno favorevole quando la condizione si manifesta prima dei 5 anni di età, quando c'è una grave ipotonia e la deambulazione non è possibile, o quando questa abilità viene acquisita e poi persa in età precoce.
    • Le ipercifosi dorsali sono più frequenti nelle pazienti che mantengono la capacità di deambulare ed un quadro di mobilità maggiore. Spesso però non configurano la necessità di intervento chirurgico, si potrebbe optare anche solo per il trattamento ortesico e fisioterapico. In questi casi la conseguenza può essere un accorciamento muscolare nella parte anteriore del torace: le posture che vengono mantenute forzatamente comportano l’accorciamento delle catene muscolari anteriori e vengono ad essere alterate tutte le funzioni.
    • L’instabilità dell’anca può essere una conseguenza della spasticità e può portare spesso a lussazione o sublussazione dell’anca, e anche in questo caso può compromettere la crescita ossea con alterazioni sia a livello degli arti inferiori sia a livello del posizionamento del bacino. La prevenzione di queste lussazioni può avvenire tramite il mantenimento della stazione eretta per più tempo, permettendo ai muscoli di abituarsi alla cavità articolare, dato che la posizione seduta forzata per molto tempo può portare ad instabilità.
    • Le deformità ai piedi: quando i muscoli gemelli (gastrocnemio33) sono ipertonici si può avere piede equino, e per compensare al posizionamento del piede inevitabilmente si viene ad instaurare una flessione graduale delle ginocchia e delle anche, al fine di garantire il mantenimento della stazione eretta. Un’alterazione dell’attivazione degli altri muscoli della deambulazione che agiscono sul piede a cascata da sotto a sopra, come il tibiale anteriore e/o posteriore o i muscoli peronei, possono determinare deformità importanti che possono anche richiedere l’intervento chirurgico.
    • Le fratture risultano essere molto frequenti a causa dei bassi livelli di densità ossea, la quale, unitamente all’ipomobilità, determina anche l’insorgenza precoce di osteoporosi. La gestione della paziente in questi casi prevede il trattamento farmacologico, il trattamento osteoporotico, strategie di prevenzione delle cadute per evitare l’insorgenza di fratture, training della postura e dell’equilibrio. Per prevenire, o almeno ridurre, l'osteoporosi in persone che non deambulano autonomamente, è consigliabile incoraggiarle a sorreggere il peso corporeo e a praticare la camminata assistita. Le bambine che non riescono a deambulare dovrebbero essere messe ogni giorno in posizione eretta, utilizzando ausili per supportarle. Queste pratiche possono contribuire a mantenere la densità ossea e a promuovere la salute scheletrica anche in assenza della normale attività di deambulazione.
    • Le retrazioni muscolo-tendinee riguardano più frequentemente gli arti inferiori, perché la rigidità e l’aumento degli adduttori possono comportare difficoltà, alterazioni dell’osso, spasticità dei retti femorali, rigidità dei flessori del ginocchio. Una volta instaurate queste retrazioni, la mobilità degli arti è ridotta e alterata, con ripercussioni sull’autonomia delle pazienti, un peggioramento della disabilità e della qualità della vita.
  • Disturbi della circolazione: altri disturbi frequenti sono quelli vasomotori periferici e a livello della termoregolazione periferica di mani e piedi.
  • Disturbi del sonno: oltre l'80% degli individui affetti da RTT presenta disturbi del sonno con deprivazione, con una prevalenza maggiore nei primi sette anni di vita e un certo grado di variabilità in correlazione all'età e al genotipo. I disturbi del sonno hanno un impatto importante sullo sviluppo del bambino e sulla sua gestione.
  • Disturbi neurologici: l’epilessia34 è una comorbidità significativamente alta per i soggetti portatori di Sindrome di Rett. La disfunzione del sonno e l'epilessia sono profondamente legate, in quanto la privazione del sonno potrebbe essere un fattore aggravante dell'epilessia. La prevalenza della RTT varia da circa il 50% al 90% nelle diverse casistiche, con una percentuale di resistenza ai farmaci di circa il 50%. Le crisi epilettiche solitamente esordiscono intorno ai 4 anni in quasi tutte le casistiche, mostrando una tendenza a manifestare forme più accentuate fino all'adolescenza. Dopo i 20 anni, circa la metà delle donne con RTT è esente da crisi e spesso non richiede più terapia farmacologica. Un aspetto rilevante da tenere in considerazione è la difficoltà nella diagnosi differenziale tra episodi parossistici epilettici e non epilettici in questa popolazione di pazienti. Infatti, episodi di natura motoria come spasmi, tremori, irrigidimenti, quelli di natura comportamentale come urla e agitazione, o quelli di natura respiratoria come apnee e tachipnee, possono talvolta risultare di dubbia interpretazione. Si conferma pertanto l’importanza dell’analisi video-elettroencefalografica per diagnosticare correttamente tali episodi e instaurare una terapia appropriata ove necessario. Nella Sindrome di Rett vengono descritti tipi eterogenei di crisi; ogni paziente presenta nella maggior parte dei casi uno o due tipi di crisi. Le crisi più frequentemente descritte sono le crisi parziali complesse35, le crisi tonico- cloniche36, le crisi toniche37 e le crisi miocloniche38. In circa un terzo dei casi le crisi possono presentarsi come stato di male epilettico (crisi prolungate o crisi in rapida successione, con brevi intervalli liberi tra una e l’altra). Le bambine che hanno presentato maggiori problemi motori nelle prime fasi del loro sviluppo neurologico e che non hanno mai acquisito la deambulazione autonoma sono risultate quelle maggiormente compromesse anche dal punto di vista epilettologico. A tal proposito, riferendoci alle terapie maggiormente efficaci, in letteratura i farmaci più utilizzati sono la Carbamazepina, l’Acido Valproico e la Lamotrigina. Questi farmaci sono tra i maggiormente impiegati sia in monoterapia sia come terapie di associazione in caso di farmacoresistenza. Pochi sono gli studi sull’efficacia di singoli farmaci in gruppi di pazienti con Sindrome di Rett. Gli effetti collaterali sono stati lievi (rash cutaneo, tremore), la tollerabilità è risultata buona in tutti i pazienti. Soprattutto nella letteratura americana vengono utilizzati per il controllo delle crisi, oltre ai farmaci tradizionali, la dieta chetogena e lo stimolatore vagale. La dieta chetogena è in grado di determinare una riduzione della frequenza delle crisi, migliora il comportamento e le capacità motorie e in quasi tutti i pazienti si è anche riscontrato un aumento di peso. Lo stimolatore vagale invece è in grado di ridurre la frequenza critica e ha determinato un aumento dell’attenzione e della reattività in tutti i casi esaminati.

Gli studi hanno indicato che una bambina affetta dalla Sindrome di Rett ha una probabilità del 95% di sopravvivere fino all'età di 20-25 anni, e questa probabilità aumenta al 98% se si fa riferimento alla popolazione femminile complessiva degli Stati Uniti. Tuttavia, tra i 25 e i 40 anni, il tasso di sopravvivenza scende al 69%, in confronto al 97% per la popolazione femminile statunitense. Nonostante ciò, l'aspettativa media di vita per una bambina con diagnosi di RTT può superare i 47 anni. Sebbene si conoscano casi di donne affette che hanno superato i 40 o i 50 anni, il numero di tali casi è ancora insufficiente per fare stime affidabili sulla sopravvivenza oltre i 40 anni. Inoltre, nonostante le statistiche indichino che l'aspettativa di vita nella Sindrome di Rett sia inferiore rispetto alla popolazione generale, essa non appare più così bassa come inizialmente considerato o come in alcune disfunzioni neurologiche simili. Queste bambine possono essere predisposte a morte improvvisa a causa di anomalie cardiache o autonomiche. Tuttavia, con il costante supporto di un team multidisciplinare, molte di loro possono sopravvivere in buone condizioni anche in età adulta. Deve essere fornito un programma di neuropsicomotricità, fisioterapia, logopedia e terapia occupazionale per gestire le abilità di auto-aiuto come l'alimentazione e il vestirsi, per la mobilità limitata, la difficoltà nella deambulazione e il deficit di comunicazione. Nonostante questi deficit accomunano la maggior parte delle pazienti, alcune di esse hanno mostrato abilità fisiche estremamente sviluppate, ci sono infatti rarissimi casi in cui le ragazze acquisiscono la capacità di andare in bicicletta, sciare ed utilizzare il trampolino.

 

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ASSOCIAZIONI

Sono diverse le associazioni italiane che supportano le bambine affette da RTT e i loro caregiver. Si riconoscono:

  • AIRETT - Associazione Italiana Rett: fondata nel 1990 con sede presso il Policlinico Le Scotte, ha l'obiettivo di sostenere la ricerca scientifica nel campo genetico, mirando a trovare quanto prima una cura per la Sindrome di Rett. L'associazione si impegna, inoltre, nella ricerca clinica per ottimizzare la qualità di vita delle bimbe affette da questa patologia. La sua creazione è stata guidata dalla volontà di genitori che, trovandosi a condividere la stessa realtà della malattia, hanno unito le forze per affrontare e affrontare insieme le sfide legate alla Sindrome di Rett. Oltre che finanziare mirati progetti di ricerca, si impegna a sostenere la formazione di medici e terapisti presso i centri leader internazionali per la RTT. Inoltre, l’organizzazione si impegna alla creazione in Italia di centri di riferimento specializzati nella RTT per la diagnosi, il monitoraggio e la definizione di programmi di riabilitazione e cura della sintomatologia. Si prefigge inoltre di essere continuamente informata sulla ricerca anche a livello internazionale, come membro della RSE (Rett Syndrome Europe).
  • CONRETT ONLUS: fondata a Napoli nel 2016 da genitori con figlie affette dalla Sindrome di Rett. Questi genitori hanno preso l'iniziativa di condividere tutte le informazioni relative ai centri ospedalieri regionali di riferimento, di fornire assistenza materiale e morale a pazienti e famiglie, e di sostenere terapisti e professionisti nella formazione e nell'individuazione di terapie specifiche per affrontare la RTT. Inoltre, l'organizzazione si impegna a sensibilizzare l'opinione pubblica su tale condizione e malattie simili, organizzando eventi e attività per migliorare l'interesse e la consapevolezza su questa patologia.
  • PRO-RETT Ricerca: altra associazione fondata nel 2004 da familiari di bambine con questa patologia nata soprattutto con l'obiettivo di finanziare e supportare la ricerca scientifica nazionale e internazionale sulla Sindrome di Rett. Pro-RETT Ricerca è una ONLUS (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) la quale si sovvenziona principalmente grazie a donazioni di privati cittadini e aziende con forte sensibilità sociale. Nel 2011 ha contributo ad aprire il primo laboratorio italiano dedicato esclusivamente alla Sindrome di Rett: il San Raffaele Rett Research Center presso l’Ospedale San Raffaele di Milano. Attualmente collabora con fondazioni internazionali impegnate esclusivamente nella ricerca di questa patologia, tra cui la Rettsyndrome.org e la Rett Syndrome Research, Trust contribuendo al finanziamento di importanti progetti di ricerca.
  • UNIRETT - Unione Italiana Rett: ONLUS fondata nel 2014 dai caregiver di questi pazienti allo scopo di unirsi per gestire le quotidiane problematiche sanitarie, educative e sociali che comporta tale condizione.

  

INDICE

CAPITOLO 2 - LA NEUROPSICOMOTRICITÀ IN PAZIENTI CON SINDROME DI RETT

NEUROPLASTICITÀ

Per diversi secoli, la scienza sostenne che i circuiti cerebrali erano immutabili, predefiniti fin dalla nascita, generando esiti che non potevano essere modificati attraverso l'apprendimento. Inoltre, con l'invecchiamento, si riteneva che ogni cervello subisse un inevitabile declino senza la possibilità di rallentarlo o invertirlo. Il concetto di neuroplasticità iniziò a svilupparsi nell’ambito scientifico tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. Tuttavia, in quest’epoca, erano già diverse le intuizioni innovative dell’anatomista e chirurgo Vincenzo Giacinto Malacarne che, attraverso lo studio coppie di animali nati dalla stessa cucciolata con lo scopo specifico di capire se “l’esercizio continuo e sommamente energico delle facoltà intellettuali non influisca sullo sviluppo primaticcio di alcune parti dell’encefalo”, ha riconosciuto che le circonvoluzioni cerebrali dell’animale più sottoposto ad addestramento e stimolazioni ambientali erano più sviluppate che nell’altro. Analogamente, anche Darwin, durante la seconda metà del XIX secolo, ha dimostrato come le dimensioni dell’encefalo del coniglio domestico fossero inferiori rispetto a quello della lepre e del coniglio selvatico. Tuttavia, si pensa che il primo che utilizzò il termine “neuroplasticità” in maniera strettamente moderna fu probabilmente lo psicologo William James nel suo libro “Principi di Psicologia” scritto nel 1890. Lui affermò che la plasticità cerebrale poteva essere compresa considerandolo un organo in cui "correnti" provenienti dai diversi organi di senso "si riversavano, creando percorsi che non scomparivano facilmente". Le sue due grandi intuizioni furono, innanzitutto, che i collegamenti neuronali possono essere costituiti o agevolati dall'uso e, secondariamente, che neuroni attivati contemporaneamente promuovono associazioni funzionali tra di loro. Nonostante ciò, James non ha ricevuto un ampio riconoscimento generale per l'introduzione del concetto di neuroplasticità in ambito scientifico. In realtà furono due psichiatri italiani, Eugenio Tanzi ed Ernesto Lugaro, sostenendo in maniera pionieristica la Teoria del Neurone del medico Santiago Ramon y Cajal (il sistema nervoso era considerato un insieme di neuroni separati da alcuni spazi), ad ipotizzare che le memorie associative e le capacità motorie correlate alla pratica, dipendessero da una facilitazione localizzata della trasmissione sinaptica. In particolare, Lugaro (nel 1900) avanzava l'innovativa intuizione riguardo alla natura biochimica della trasmissione sinaptica nel sistema nervoso centrale, collegando la plasticità alla modifica delle sinapsi. Anche Cajal aveva sottolineato qualche anno prima come le associazioni mentali potessero dipendere da nuove connessioni formate tra neuroni, basate sulla sincronizzazione delle loro attività. Nonostante queste prime intuizioni emerse agli albori del XX secolo riguardo al concetto di neuroplasticità e, soprattutto, la teoria sinaptica dell'apprendimento, queste idee furono successivamente soggette a critiche e attacchi da parte della comunità scientifica. Quest'ultimo riteneva che fossero espressione di una prospettiva eccessivamente psicologistica sul funzionamento del sistema nervoso centrale. La prospettiva mutò alla fine degli anni dimostrando che l'apprendimento può attivare geni in grado di cambiare la struttura neurale. Kandel ha condotto la sua ricerca analizzando il cervello di una lumaca di mare, l’Aplysia, che presenta 24 neuroni sensitivi e 6 neuroni motori per attivare l'azione riflessa di protezione della sua branchia. Insegnando all'Aplysia a ritirare la branchia quando riceve uno stimolo in una determinata parte del corpo, i neuroscienziati hanno identificato che lo stimolo ripetuto può attivare uno specifico gene, portando alla crescita di nuove connessioni tra neuroni sensoriali e motori. Questo processo rappresenta la base biochimica dell'apprendimento. Lo stesso meccanismo vale per gli esseri umani già da epoche precocissime della vita. L’utilizzo del cervello ne modifica continuamente l’architettura. Dice Kandel: “Dal momento che tutti noi siamo cresciuti in ambienti diversi, siamo stati esposti a differenti combinazioni di stimoli, abbiamo imparato cose diverse, e tendiamo a esercitare le nostre capacità motorie e percettive in modi variabili, l’architettura del nostro cervello ne risulterà modificata in modo unico”. Con il termine “neuroplasticità” si fa quindi riferimento alla capacità del sistema nervoso di modificare la propria struttura in risposta ad una gamma di fattori e di stimoli interni o esterni, includendo le situazioni patogene acute (come ictus cerebrali, emorragie, traumi). Il cervello è mutevole e malleabile ed è capace, grazie al pensiero, di arginare i circuiti danneggiati e costruire nuove reti neuronali. La neuroplasticità rappresenta il fondamento dell'apprendimento motorio, del controllo motorio e della ripresa delle abilità di movimento dopo un danno. Diversamente a molte altre cellule nel nostro corpo, i neuroni hanno limitate capacità di riproduzione. La neurogenesi, il processo di creazione di nuovi neuroni, si completa tipicamente nella prima adolescenza, intorno ai 13 anni. Di conseguenza, la plasticità neuronale costituisce l'unico meccanismo a nostra disposizione per modificare le caratteristiche morfologiche e funzionali del nostro cervello. La neuroplasticità si esplica attraverso vari processi:

  • Incremento del numero di sinapsi attraverso lo smascheramento di sinapsi latenti: ogni neurone riceve connessioni da centinaia di migliaia di sinapsi, ma solo alcune di esse sono attive, molte rimangono latenti. Quando un neurone cessa di funzionare, le sinapsi latenti possono essere riattivate per ristabilire il circuito connettivo.
  • Gemmazione dendritica o arborizzazione dei neuroni adiacenti: questo processo comporta la formazione di nuovi rami dendritici da parte di un neurone, creando così nuove sinapsi e connessioni con neuroni adiacenti. La crescita di questi rami può essere paragonata alla struttura di un albero, da cui il termine arborizzazione.
  • Rigenerazione assonale: è la capacità degli assoni di ricostruire la loro struttura. Si tratta di un meccanismo che avviene lentamente, soprattutto in caso di lesioni dei nervi periferici, con una media di circa 3-4 mm al giorno.
  • Neoangiogenesi: consente di creare nuovi vasi sanguigni per l’irrorazione di nuove aree di sostanza grigia cerebrale.
  • Modifica dell’eccitabilità dei neuroni.

Com’è possibile quindi attivare i processi di plasticità neuronale per poter favorire il recupero funzionale? Attraverso l’esercizio attivo, il quale agevola la neuroplasticità e risulta essere significativamente importante nella riorganizzazione delle mappe corticali. La neuroplasticità è, quindi, attivata e regolata dall'attività funzionale, e questa stimola, a sua volta, l'apprendimento motorio. Quest’ultimo (“motor learning”) è un processo legato alla pratica e all'esperienza che porta a modifiche definitive nelle abilità di eseguire movimenti mirati. I principi fondamentali per mirare all’attivazione dei meccanismi di plasticità neuronale sono:

  • Use it or lose it: i circuiti neuronali che non vengono attivamente impegnati nell'esecuzione di un compito per un lungo periodo di tempo tendono a degradare. Pertanto, è necessario coinvolgere costantemente il cervello in compiti funzionali, detti anche “task”, durante la riabilitazione.
  • Use it and improve it: la plasticità neuronale può essere ampliata attraverso allenamenti intensivi, portando così a un miglioramento delle capacità nell'esecuzione di un compito con la pratica.
  • Specificità: il tipo di training determina il tipo di plasticità, i training devono perciò essere sempre specifici e individualizzati.
  • Intensity matters: analogamente, anche l’intensità del training deve essere adeguata, sia in termini di frequenza che di carico. Il riallenamento deve essere intenso e sfidante.
  • Repetition matters: le ricerche moderne in neuroscienze indicano che per favorire la plasticità è necessario un numero elevato di ripetizioni.
  • Time matters: le diverse forme di plasticità si verificano in momenti diversi durante l'allenamento. È importante conoscere le tempistiche corrette e prolungare l'allenamento per il tempo necessario.
  • Salience matters: per favorire il riconoscimento dell’importanza di un task e quindi il coinvolgimento dei circuiti neuronali superiori, è utile utilizzare strategie come il feedback e il reward.
  • Transference: la plasticità che si verifica a seconda di determinati stimoli può facilitare l'acquisizione di abilità in comportamenti simili. Pertanto, l'allenamento dovrebbe essere il più simile possibile alle attività funzionali che si vorrebbero recuperare ed esercitare.
  • Age matters: l’attivazione dei meccanismi di plasticità neuronale riguarda tutti gli individui ma è più rapida e attiva negli individui giovani.
  • Interference: la plasticità che si verifica in risposta a specifici stimoli può ostacolare la conquista di altre abilità. Occorre stare attenti nel non coinvolgere troppi circuiti neuronali per evitare di intralciare l'apprendimento motorio.

Un fattore cruciale per migliorare la neuroplasticità, attraverso il rinforzo dell'apprendimento di determinate abilità o la riabilitazione di funzioni che sono andate perse, è la ripetizione della pratica che stimola la "mielinogenesi", così descritta dal neurobiologo e psichiatra Daniel Siegel nel suo testo 'Mappe per la mente' (p.8-4): "E' importante sottolineare come ogni neurone abbia in media diecimila connessioni sinaptiche con altri neuroni. Poiché ci sono cento miliardi di neuroni, le connessioni sinaptiche ammontano a centinaia di trilioni. [...] Sappiamo che, quando si acquisisce un'abilità dopo molte ore di pratica, gli oligodendrociti sintetizzano "mielina", una guaina ricca di lipidi che avvolge l'assone del neurone. In presenza di mielina, il passaggio del potenziale d'azione - ossia la condizione degli impulsi nervosi - lungo gli assoni avviene a una velocità cento volte maggiore. [...] Un circuito neuronale mielinizzato ha un funzionamento tremila volte più efficiente di uno non rivestito di mielina. Ecco perché gli atleti olimpionici riescono a compiere imprese che noi possiamo solo limitarci ad ammirare: noi, infatti, non abbiamo dedicato tanto tempo e disciplina per sviluppare mielina intorno agli stessi circuiti neurali alla base delle loro    abilità".    Come    scrive Daniel    Siegel    vi    sono    almeno    8    fattori   che, quotidianamente, inducono la neuroplasticità:

  1. Concentrazione: attenzionare un compito alla volta, evitando di fare molte cose contemporaneamente e resistendo alle distrazioni, può stimolare il rilascio di sostanze chimiche a livello locale e sistemico e stimolare i processi neuroplastici.
  2. Esercizio aerobico: l’attività fisica favorisce un continuo sviluppo cerebrale, qualora non vi siano controindicazioni per la salute.
  3. Dormire bene: riposare per un numero sufficiente di ore, con tante fasi o stati REM (rapid eye movement - ossia rapidi movimenti oculari) in cui si sogna, rinforza ciò che si è appreso durante il giorno.
  4. Alimentazione sana: sono necessari acqua e un buon nutrimento, tra cui fonti sufficienti di Omega 3, che garantiscano un funzionamento corretto dell'organismo.
  5. Relazioni: i legami interpersonali favoriscono il dinamismo e la plasticità cerebrale.
  6. Novità: uscire dalla routine, cercare nuovi stimoli e adottare un approccio giocoso e spontaneo sono modi efficaci per mantenere il cervello giovane e in continuo sviluppo.
  7. Tempo dell'interiorità: concentrare la riflessione sulla propria interiorità, focalizzandosi sulle sensazioni, le immagini, le emozioni e i pensieri, favorisce lo sviluppo di circuiti neurali integrativi e regolativi.
  8. Umorismo: studi preliminari affermano che ridere stimola uno sviluppo sano del cervello.

Vi sono due tipi principali di neuroplasticità:

  1. PLASTICITÀ FUNZIONALE: è la capacità del cervello di trasferire le funzioni da un'area danneggiata del cervello ad altre aree intatte.
  2. PLASTICITÀ STRUTTURALE: è la capacità del cervello di modificare realmente la sua struttura fisica come risultato dell'apprendimento.

I primi anni di vita di un bambino sono un periodo di rapido sviluppo cerebrale. Alla nascita, tutti i neuroni nella corteccia cerebrale hanno circa 2.500 sinapsi, o piccoli spazi tra i neuroni dove vengono trasmessi gli impulsi nervosi. All'età di tre anni, questo numero è aumentato fino ad arrivare all'enorme cifra di 15.000 sinapsi per neurone. L'adulto medio, tuttavia, ha solo circa la metà di quel numero di sinapsi, dal momento che man mano che acquisiamo nuove esperienze, alcune connessioni vengono rinforzate mentre altre si perdono. Tale processo è noto come potatura sinaptica: sviluppando connessioni nuovi ed eliminando quelle deboli, il cervello può adattarsi all'ambiente che cambia. I benefici della plasticità neuronale, sulla base di quanto esaminato finora, risultano quindi essere: la capacità di imparare abilità nuove, di ottimizzare le capacità cognitive esistenti, favorire il recupero da ictus e lesioni cerebrali traumatiche, rafforzare le aree in cui la funzione è persa o è diminuita. L’età, l’ambiente e la genetica risultano essere le variabili che sono più in grado di plasmare la plasticità cerebrale. È importante notare, tuttavia, che il cervello non è infinitamente malleabile: alcune aree cerebrali sono in gran parte responsabili di determinate azioni, ad esempio ci sono aree del cervello che svolgono ruoli critici nel movimento, nel linguaggio e nella cognizione. Danni in queste aree del cervello possono provocare deficit significativi perché, mentre in alcune un certo recupero può essere possibile, altre semplicemente non possono assumere completamente quelle funzioni che sono state colpite dal danno. I cambiamenti cerebrali sono spesso considerati dei miglioramenti, ma non è sempre così; talvolta, la struttura e la funzione del cervello possono essere influenzate o modificate negativamente. Ad esempio, la plasticità cerebrale può essere problematica quando consente cambiamenti dannosi causati dall'uso di sostanze stupefacenti, malattie, traumi (incluse lesioni cerebrali o esperienze traumatiche che provocano disturbo da stress post-traumatico o PTSD), avvelenamento da piombo, disturbi neurologici pediatrici come epilessia, paralisi cerebrali infantili, sclerosi tuberosa39 e Sindrome dell'X fragile40.

Figura 3 - Sviluppo delle connessioni sinaptiche. Da sinistra verso destra: circuiti neuronali di un bambino alla nascita, dopo 3 mesi, dopo 15 mesi e dopo 24 mesi.

Figura 3 - Sviluppo delle connessioni sinaptiche. Da sinistra verso destra: circuiti neuronali di un bambino alla nascita, dopo 3 mesi, dopo 15 mesi e dopo 24 mesi.

 

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SVILUPPO MOTORIO

Durante il periodo che va dalla nascita (probabilmente anche prima) all'adolescenza, si verifica un processo di integrazione costante e progressiva di strutture e connessioni neuromuscolari. Questo processo consente l'esecuzione di tutti i movimenti necessari per la specie. I tempi e le modalità possono variare, ma è possibile identificare nel processo una sequenza e una cronologia naturale di sviluppo. Nel contesto dello sviluppo motorio, si possono notare varie modifiche evolutive che vanno da movimenti più basici, basati su azioni riflesse, ad altri sempre più controllati cognitivamente, inclusi quelli più precisi e le sequenze di movimento apprese. Tuttavia, il modello maturazionista da solo non è sufficiente per spiegare lo sviluppo delle abilità motorie. Con l’evoluzione dei processi maturativi, lo sviluppo viene sempre più influenzato dall'ambiente, dalle esperienze e dalle opportunità di apprendimento. Lo sviluppo motorio non può essere considerato unicamente come un processo interno e naturale all'individuo, ma come un fenomeno che si esplica attraverso l'interazione costante con l'ambiente esterno. Sebbene la maturazione neuromuscolare progressiva sia un fattore essenziale per lo sviluppo delle abilità motorie, è altrettanto cruciale l'opportunità che il potenziale motorio innato alla nascita venga, mediante attività significative, spontanee, ludiche e intenzionali, guidato, strutturato e potenziato attraverso esperienze ambientali. Il legame tra maturazione e pratica è così connesso che una risposta che dipende dalla maturazione si manifesta dopo se non viene messa in atto. Inoltre, se il bambino non esercita gli schemi motori fondamentali (come strisciare, camminare, correre, afferrare, lanciare, ecc.) quando il sistema nervoso sarà maturo per tali attività, tali schemi potrebbero non sviluppare il loro massimo potenziale. Dunque, alcuni apprendimenti motori possono svilupparsi in modo più efficace, sia qualitativamente che quantitativamente, solo quando il soggetto raggiunge un livello di maturazione adeguato. Vari studi dimostrano che anticipare l'apprendimento di certe abilità prima che il bambino sia pronto dal punto di vista della maturazione può essere inefficace e privare il bambino di stimoli adeguati. Recenti ricerche epidemiologiche hanno identificato la piena maturità del processo motorio intorno ai 12 anni. Durante il periodo che va dalla nascita ai 12 anni, si verificano importanti apprendimenti motori che devono essere incoraggiati, consolidati e arricchiti per svilupparsi in condotte di movimento più specifiche in futuro. In questo periodo, diventa cruciale il tipo di attività proposta, il modo in cui viene svolta e il carico di lavoro associato. Lo sviluppo segue un continuum progressivo in cui gli schemi di movimento, inclusi quelli per la motricità generale e specifica, diventano più vari, sicuri e complessi. Il processo di mielinizzazione dei nervi motori, responsabili della trasmissione degli stimoli per il movimento, si completa verso i 3 anni, permettendo al bambino di avere un controllo sempre più preciso dei propri movimenti. Questa maturazione neuromuscolare graduale rappresenta la base necessaria allo sviluppo della motricità e, di conseguenza, all'acquisizione di una certa autonomia. Già a 3 anni risultano essere acquisite la prensione e la deambulazione, che consentono una varia attività esplorativa e costruttiva. Si assiste anche, nel corso dei primi 3 anni di vita, a notevoli progressi: due schemi motori di base possono essere combinati in varie modalità, consentendo, ad esempio, al bambino di camminare o correre mentre lancia o calcia contemporaneamente una palla. Parallelamente alla coordinazione di tali schemi, inizia a svilupparsi nell'infante un'immagine corporea più chiara, intesa come la percezione consapevole del proprio corpo, delle sue parti e delle specifiche posizioni che può assumere o desidera assumere. È importante sottolinearlo perché in campo motorio, alcune abilità necessitano di uno sviluppo costante anche sul piano cognitivo, come il riconoscimento delle principali parti del corpo, la consapevolezza della destra e sinistra su sé stessi, e la capacità di eseguire azioni e movimenti in risposta a imitazioni. Altre abilità richiedono competenze linguistiche per essere espresse, come denominare le parti del corpo o indicare la direzione destra e sinistra, o attuare azioni in risposta a istruzioni verbali. Questo sottolinea l'importanza per gli educatori e gli specialisti in riabilitazione motoria di considerare tutti gli aspetti interconnessi che caratterizzano lo sviluppo del bambino. In questo contesto, è fondamentale affrontare sia gli elementi motori che quelli cognitivi e linguistici in modo integrato, riconoscendo la complessità e l'interdipendenza di tali ambiti nello sviluppo complessivo del bambino. Verso i 6 anni, il bambino ha generalmente raggiunto una coordinazione neuro-motoria globale sufficiente. Ha stabilito definitivamente la sua lateralità, dimostrando un'indipendenza degli arti rispetto al tronco e un discreto controllo sulla respirazione. Inoltre, ha sviluppato un buon equilibrio sia statico che dinamico e ha acquisito una certa varietà di schemi motori. Tuttavia, potrebbe ancora non aver affinato completamente la capacità di controllare e guidare il movimento mediante il circuito interno cinestetico, ovvero la capacità di apprendere facendo qualcosa, piuttosto che sentendolo o vedendolo. Questo suggerisce che, nonostante i progressi significativi, vi è ancora spazio per il perfezionamento delle abilità motorie e il rafforzamento della connessione tra la percezione interna e l'esecuzione motoria. Stimolando i bambini attraverso giochi vari e divertenti, con proposte semplici e modificando le situazioni, si agevola il passaggio graduale da una rappresentazione iniziale approssimativa dell'abilità a una fase di coordinazione più avanzata, arricchita progressivamente da significative informazioni cinestetiche. Tra gli 8 e gli 11 anni, i bambini presentano caratteristiche abbastanza definite e dispongono di strutture cognitive, fisiologiche e psicologiche favorevoli allo sviluppo motorio. Hanno una buona coscienza di sé, facilitata dalla quasi completa strutturazione dell'immagine corporea, e una coordinazione neuro-motoria più matura che consente loro di realizzare movimenti in modo preciso e disinvolto. Consequenzialmente, si amplia la gamma di schemi motori che possono essere combinati in sequenze più lunghe e complesse. Questo periodo è spesso considerato l'età d'oro dell'apprendimento e dello sviluppo delle abilità, poiché c'è una maggiore propensione a reagire agli stimoli esterni con effetti evolutivi più positivi rispetto ad altri periodi. Le proporzioni del corpo più equilibrate, una capacità intellettiva più avanzata e una migliore capacità di osservazione influiscono positivamente sull'apprendimento motorio.

Chiaramente questa fisiologica evoluzione dello sviluppo non risulta essere presente nella Sindrome di Rett. Lo studio dello sviluppo motorio sulle pazienti ha evidenziato alterazioni di tono, alterazioni della deambulazione, alterazioni della funzionalità manuali ed un ampio di spettro di stereotipie motorie che inevitabilmente vanno a compromettere e limitare fortemente l’acquisizione di qualsiasi tipo di abilità e capacità motoria, soprattutto quelle motorio-prassiche, oculo-manuali, di coordinazione motoria e visuo-motorie. Effettivamente, fino ai 6-18 mesi, non emergono segni evidenti di alterazioni nella sequenza delle tappe evolutive. Le bimbe iniziano a muovere i primi passi, manipolare oggetti e pronunciare alcune parole. Il dubbio che siano coinvolte proprio le strutture ontogeneticamente precedenti nelle alterazioni dello sviluppo è alimentato dalla presenza di segni clinici precoci, spesso trascurati, come calma, silenziosità, tono muscolare debole e una dissociazione nello sviluppo motorio. Questi suggerirebbero un'alterazione nello sviluppo già nella prima infanzia. Infatti, numerosi studi recenti hanno indicato che alcuni segni della Sindrome di Rett possono essere presenti anche prima del periodo menzionato. L’alterazione motoria nella RTT si manifesta nelle fasi iniziali dello sviluppo con un'alterazione del tono muscolare in diminuzione (ipotono), che successivamente tende ad aumentare (ipertono) nelle fasi successive. Dal punto di vista neurofisiologico, l'atrofia e il ridotto sviluppo dendritico/sinaptico portano a un limitato sviluppo encefalico. Studi focalizzati sulle abilità motorie hanno identificato una correlazione tra la diminuita dimensione cerebrale e i deficit motori nella RTT. Infatti, ricerche condotte su topi con mutazioni nel gene MECP2, sono state correlate a deficit motori e a compromissioni neurologiche più pronunciate, specialmente nelle regioni cerebrali coinvolte nel controllo motorio (area prefrontale ed aree motorie) coinvolgendo anche i sistemi noradrenergico e serotoninergico41. Le varie caratteristiche neurologiche della Sindrome di Rett possono avere conseguenze significative sulle funzioni motorie. Tra queste, le principali includono l'ipotonia e la debolezza muscolare nei primi anni di vita, seguite da distonia e bradicinesia negli anni successivi. Nel quadro motorio della Sindrome, si osserva l'aprassia42, che coinvolge sia il livello fine-motorio con la perdita della funzione gesticolatoria, sia il livello grosso-motorio, specialmente riguardo alla deambulazione. L'andatura è caratterizzata da una base allargata con atassia-aprassia del tronco, e sono presenti tremori, disturbi dell'equilibrio, disorientamento spaziale, oscillazioni laterali e jerky ataxia43. La perdita di abilità manuali mirate è un aspetto significativo nella Sindrome di Rett. Attraverso l'analisi di 144 videoregistrazioni di ragazze e donne partecipanti ad uno studio sulla RTT condotto in Australia, è emerso che il 30% di loro non riusciva a prendere alcun oggetto, il 17% era in grado di tenere un oggetto se collocato nelle loro mani, mentre il 12% poteva afferrare un oggetto e mantenerlo utilizzando una presa cilindrica o sferica. Nel restante 41% si osservarono abilità di presa più raffinate che consentivano loro di afferrare, raccogliere e tenere oggetti anche di piccole dimensioni. Di questi, circa il 25% utilizzava una presa a rastrello, mentre il 75% utilizzava il lato radiale della mano. Inoltre, sembrava che le capacità funzionali delle mani fossero influenzate dall'età e dal genotipo: le persone con mutazioni specifiche come p.R168X o p.R270X tendevano ad avere una minore funzionalità delle mani, mentre coloro con mutazioni come p.R133C, p.R294X o p.R306C mostravano generalmente una funzionalità delle mani migliore. Inoltre, le abilità sembravano diminuire con l'età. È interessante notare che le abilità "normali" possono emergere in modo sorprendente quando viene fornito un forte incentivo motivante. Ad esempio, è stato notato che una paziente con capacità molto limitate nel trattenere e manipolare gli oggetti riusciva a bere autonomamente un bicchiere di Coca Cola posizionato sul tavolo. Questa abilità però si manifestava solo quando il bicchiere era pieno di Coca Cola, stimolo particolarmente motivante nel suo caso.

Grafico 3 - Modalità di utilizzo della teoria dell'apprendimento motorio come modello per progettare strategie terapeutiche per migliorare la funzionalità della mano.

Grafico 3 - Modalità di utilizzo della teoria dell'apprendimento motorio come modello per progettare strategie terapeutiche per migliorare la funzionalità della mano.

Altri sintomi neurologici contribuiscono a peggiorare il quadro motorio nella Sindrome di Rett, inclusi la spasticità degli arti inferiori e sintomi extrapiramidali quali atetosi44, distonia ed epilessia. Questi segni possono ostacolare o alterare l'esecuzione di azioni apparentemente semplici, come sedersi e rialzarsi da una sedia o dal pavimento, stare in piedi, accovacciarsi e camminare. È importante notare che la variabilità individuale è una caratteristica significativa in questa sindrome. Anche se tipicamente si osserva ipotonia muscolare in queste pazienti è possibile che ci siano variazioni individuali, e quindi, una bambina con RTT potrebbe avere un tono muscolare che rientra nei limiti della norma. Il tono muscolare, spesso sbilanciato e caratterizzato da atassia ed aprassia nella Sindrome di Rett, ha notevoli conseguenze negative sulla postura e la stabilità dell'individuo, compromettendo seriamente la sua possibilità di movimento. A causa del graduale cambiamento nel tono muscolare (ipotono → ipertono → distonia), possono svilupparsi posture asimmetriche, portando a contratture e retrazioni muscolari. Il gastrocnemio è tipicamente il primo muscolo colpito dall'ipertonia. Il risultato di un accorciamento di questo muscolo è la deambulazione sulle punte dei piedi, un'osservazione comune negli individui affetti da Sindrome di Rett. Questo cambiamento nella biomeccanica della deambulazione può limitare ulteriormente la capacità di movimento e influire sulla qualità della vita quotidiana delle persone con questa sindrome. La retrazione del tendine d'Achille, tipica nella Sindrome di Rett, può portare a una postura compensativa caratteristica, come l'antiversione del bacino. Questo può contribuire alla perdita della capacità di deambulare autonomamente, specialmente nei casi più gravi. Altri gruppi muscolari suscettibili all'accorciamento includono gli adduttori dell'anca. Per quanto riguarda le pazienti in sedia a rotelle, i flessori dell'anca sono anch'essi spesso colpiti. Un ulteriore gruppo muscolare influenzato è rappresentato dai muscoli anteriori del cingolo scapolare. Questo può essere dovuto all'assenza o alla carenza dell'uso funzionale delle mani, insieme a stereotipie delle stesse, che spesso vengono eseguite sulla linea mediana a livello del torace. Le stereotipie, di solito, si verificano durante attività quotidiane, possono coinvolgere la manipolazione di oggetti e possono arrivare a limitare notevolmente la funzionalità delle mani o, in alcuni casi, diventare autolesionistiche. Questo può manifestarsi attraverso azioni come l'eccessivo sfregamento della pelle, il mordersi le mani o il batterle sulla testa. Il controllo motorio rappresenta la capacità di regolare e dirigere i meccanismi necessari per il movimento, che includono la generazione e la coordinazione delle azioni di più articolazioni e muscoli per produrre movimenti funzionali. La generazione dei movimenti è influenzata dall'interazione dinamica di diversi fattori, che possono essere relativi all'individuo, all'ambiente circostante e alle caratteristiche specifiche del compito che viene eseguito. Pertanto, quando si analizza la performance di un compito motorio, è importante considerare come questi fattori interagiscono e bisogna considerare anche le percezioni dell'individuo, la memoria del compito, la pianificazione delle azioni da compiere e i dettagli specifici del movimento richiesto per il compito. Per migliorare l'apprendimento motorio, è importante offrire opportunità di pratica, feedback intrinseci basati sull'esperienza dell'individuo nel compiere il compito e feedback estrinseci sottoforma di incoraggiamenti ed elogi durante e dopo il completamento del compito. È anche importante programmare pause adeguate a prevenire l'affaticamento e sperimentare l'esecuzione del compito in condizioni diverse, comprese quelle che replicano l'ambiente in cui il compito verrà effettivamente eseguito nella vita reale. Per valutare le stereotipie e la funzionalità della mano nella Sindrome di Rett, il terapista deve condurre una valutazione neuro-muscoloscheletrica approfondita. A causa della presenza della disprassia, è fondamentale creare un ambiente rilassato e motivante durante la valutazione e dare al soggetto il tempo necessario per dimostrare le proprie competenze. Durante questa valutazione, è importante prestare attenzione alla postura corporea generale e al controllo del tronco, così come alla posizione delle mani e degli arti superiori. Questo aiuterà a identificare i meccanismi sottostanti alle stereotipie e alle difficoltà motorie. Vanno utilizzate strategie motivazionali adeguate a valutare la capacità del soggetto di eseguire diverse azioni, come premere un interruttore, utilizzare giocattoli o un computer, impiegare prese grossolane o a pizzicotto per manipolare oggetti e anche per valutare la capacità di nutrirsi con le dita o di utilizzare utensili/posate per mangiare e bere. Se, dopo un periodo sufficiente di osservazione e tentativi, il soggetto non riesce a completare un compito in modo indipendente, si dovrebbe valutare la possibilità di eseguire il compito con assistenza e documentare questa valutazione. Inoltre, dovrebbero essere considerati altri fattori che potrebbero influire sulle prestazioni, tra cui le attività motivanti per il soggetto, la struttura della routine quotidiana, eventuali cambiamenti nella terapia farmacologica, lo stato emotivo del bambino e la qualità del sonno notturno prima della valutazione. Infi ne, per valutare l'eventuale influenza della ridotta gamma di movimento articolare, del tono muscolare alterato e/o della distonia sulle capacità motorie, è possibile eseguire movimenti passivi degli arti superiori durante la valutazione. Questi elementi aiutano il terapista a ottenere una comprensione completa delle abilità motorie e delle sfide che il soggetto con Sindrome di Rett può affrontare. In letteratura, sono state proposte diverse misurazioni per valutare la disprassia, ma nessuna di esse è completamente adattabile alla complessa presentazione clinica della RTT. Di solito, le stereotipie non vengono ostacolate o limitate, ma ci sono situazioni in cui è necessario intervenire per migliorare la funzionalità o prevenire danni all'individuo. Questo è particolarmente importante nei casi in cui le stereotipie influenzano le abilità manuali, la socializzazione o altre abilità funzionali, come mangiare in autonomia o camminare, o quando si verificano comportamenti di autolesionismo o danni ai tessuti. Un esempio di intervento potrebbe essere l'uso di tutori per le mani, che è stato associato a un miglioramento delle capacità di autoalimentazione in alcuni casi. Inoltre, l'uso di tutori per il gomito può ridurre i comportamenti stereotipati della mano e aumentare l a partecipazione alle attività quotidiane. È importante notare che queste strategie di intervento prevedono l'uso di materiali morbidi e confortevoli e vengono applicate solo per i periodi di tempo in cui sono necessarie. L'obiettivo principale è migliorare la funzionalità e la qualità della vita dell'individuo con RTT, assicurando allo stesso tempo il massimo comfort possibile.

Grafico 4 - Algoritmo e strategie per la gestione delle stereotipie manuali.

Grafico 4 - Algoritmo e strategie per la gestione delle stereotipie manuali.

Dal punto di vista del trattamento riabilitativo occorre innanzitutto tenere a mente due leggi di sviluppo:

  • Legge cefalo-caudale: l'acquisizione del controllo motorio e posturale segue una direzione dal vertice verso il basso del corpo. In altre parole, lo sviluppo delle strutture e delle funzioni motorie ha inizio nella parte superiore del corpo e si propaga successivamente al tronco e alle gambe. Esempio: a partire dai 3 mesi il bambino inizia a sviluppare il controllo autonomo del capo e solo successivamente otterrà il controllo autonomo della stazione seduta.
  • Legge prossimo-distale: la regola che governa il controllo  dei segmenti muscolari procede dal centro del corpo verso l'estremità periferica. In altre parole, i muscoli più prossimi all'asse vertebrale sono i primi ad essere soggetti al controllo volontario. Un esempio di questo principio è evidente nell'uso sequenziale della spalla, seguito dal braccio e infine dalla mano.

Queste due leggi sono governate dalla legge della differenziazione, secondo la quale la motricità globale si specializza e si distingue in attività sempre più localizzate, precise e adattate. È fondamentale rispettare questa sequenza temporale quando si propongono attività alle bimbe affette dalla Sindrome di Rett. Questo implica la selezione di esercizi che, man mano, preservino le fasi precedentemente acquisite e contribuiscano al passaggio graduale alle fasi successive nel controllo posturale. con bambini pluridisabili, è cruciale adottare approcci specifici. Ad esempio, è consigliabile posizionarsi di fianco poiché utilizzano principalmente il campo visivo periferico anziché quello frontale. La comprensione di come posizionare il bambino è fondamentale per consentire una migliore percezione degli stimoli provenienti dall'ambiente circostante. L'efficacia del programma d'intervento dipende in larga misura dalla stretta collaborazione e coordinamento tra i vari membri del team multidisciplinare. È fondamentale adottare un approccio sinergico, che coinvolga attivamente tutti i professionisti coinvolti, inclusi i genitori e il paziente stesso. Un programma d'intervento fisico, attentamente progettato e attuato con l'approvazione di tutti gli interessati, riveste un'importanza cruciale per le pazienti affette dalla Sindrome di Rett. Questo programma mira a preservare o potenziare le funzionalità, prevenire deformità, facilitare il posizionamento e la mobilità, contribuendo in ultima analisi all'inclusione sociale delle pazienti. È essenziale tenere presente che, sebbene le bambine e le ragazze condividano molte somiglianze, le sfide e le risposte alla terapia possono variare notevolmente da caso a caso. Gli obiettivi di base della terapia fisica sono:

  • Mantenere o incrementare le capacità motorie.
  • Acquisire o mantenere capacità transitorie.
  • Prevenire o diminuire deformità.
  • Alleviare stati di sconforto e di irritabilità.
  • Incrementare l’indipendenza.

Il terapista deve condurre una valutazione attenta delle abilità individuali della paziente per poter identificare gli ostacoli che vincolano le sue funzioni. Tali vincoli possono essere affrontati mediante facilitazione del movimento, diminuzione delle attività faticose e bilanciamento delle reazioni/risposte. Un programma terapeutico intensivo dovrebbe essere integrato nelle attività quotidiane della bambina, fornendo chiare indicazioni su compiti da seguire per tutte le persone coinvolte nella sua cura. Sebbene il programma terapeutico sia importante, è essenziale considerare sempre la sopportabilità della paziente. Si dovrebbe prevedere la probabile resistenza al movimento o alla manipolazione, adattando il trattamento di conseguenza. L'approccio terapeutico deve essere flessibile e personalizzato per rispondere alle esigenze specifiche della paziente, garantendo al contempo un ambiente di cura che massimizzi il suo benessere e la sua partecipazione attiva. Nonostante le variabili di ogni singolo individuo, la terapia fisica può:

  • Contribuire alla normalizzazione del tono muscolare.
  • Incrementare l’ampiezza articolare del movimento.
  • Ridurre l’aprassia tramite esperienze funzionali ripetitive.
  • Migliorare l’utilizzo delle mani stimolando la bambina, anche fornendole dei prompt, ad attività tipo “arrampicare e nuotare”.
  • Migliorare l’equilibrio delle reazioni tramite esercizi e attività giornaliere.
  • Favorire un miglior coordinamento ed equilibrio facendole fare pratica in luoghi e situazioni diverse.
  • Ridurre la tendenza nello spostare indietro il proprio baricentro, propria dell’atassia, abituando costantemente la bambina a diversi e graduali cambiamenti posturali.
  • Incrementare la consapevolezza del corpo con stimoli profondi e movimenti attivi.
  • Favorire la comparsa di reazioni di difesa.
  • Contrastare l’avanzamento della scoliosi e delle retrazioni attraverso interventi appropriati.

Essendo l’intervento di terapia fisica sintomatico/indicativo, il programma terapeutico dovrà essere indirizzato ai problemi che la paziente manifesta e, di conseguenza, considerando che esistono 4 fasi si sviluppo della malattia, ognuna rappresentata da caratteristiche specifiche, il trattamento motorio va modulato di volta in volta. Nella prima fase della Sindrome di Rett, le bambine manifestano un rallentamento nello sviluppo psicomotorio, con una diminuzione della funzionalità delle mani e delle capacità di gioco e comunicazione. In questa fase, è realistico concentrarsi sullo sviluppo e il mantenimento della deambulazione, dato che molte bambine sembrano mantenerla per un periodo di tempo significativo dopo averla acquisita. In alcuni casi, si possono osservare miglioramenti, sebbene il declino graduale sia inevitabile. Nella seconda fase, il deterioramento rapido può portare a difficoltà di gestione da parte della famiglia e del terapista. Per mitigare le sfide della seconda fase, si consigliano esercizi che coinvolgono tecniche rilassanti e delicate manipolazioni al fine di diminuire i problemi sensoriali. Questo approccio è pensato per favorire uno sviluppo cerebrale ottimale. Nella terza fase, caratterizzata da un periodo di relativa calma, vengono implementati interventi mirati al progresso continuo. L’uso delle steccature, come strumento volto a diminuire la presenza delle stereotipie e l’intensità del loro uso, è controverso fra i vari specialisti. L'uso di steccature delle mani nelle pazienti con RTT è una pratica dibattuta e controversa. Alcuni professionisti ritengono che possa migliorare le funzioni e la consapevolezza della bambina verso l’ambiente circostante, specialmente nei casi in cui il continuo movimento mani/bocca porta a dermatiti o quando immobilizzando la mano meno attiva, la bambina aumenta il controllo dell'altra mano. Inoltre, l'uso delle steccature può essere utile quando le stereotipie disturbano le interazioni sociali della bambina, poiché impedisce il movimento mano/bocca e il lancio di oggetti, consentendo alla bambina di socializzare e di essere avvicinata dagli altri. Infine, nella quarta ed ultima fase, considerando il deterioramento motorio che la caratterizza, è fondamentale che il terapista estenda il supporto terapeutico ed educativo a tutti coloro che risultino essere coinvolti nelle cure della bambina con la Sindrome di Rett. Questo approccio collaborativo mira a gestire un esercizio giornaliero di routine con l'obiettivo di migliorare la mobilità, aumentare il raggio del movimento, facilitare il trasferimento di abilità, consentire il posizionamento e il sollevamento della bambina. Nel caso in cui la spasticità sia grave e rappresenti una costante limitazione funzionale, attività fisiche come l'idroterapia, che coinvolge movimenti delicati nell'acqua, lo stretching muscolare giornaliero e stimolazioni pressorie profonde potrebbero essere utili per gestire l'alto tono muscolare. Al fine di ridurre la possibilità di andare incontro all’insorgenza di deformazioni, dovute per esempio alle retrazioni tendinee, si consiglia vivamente di incorporare regolarmente periodi di permanenza in piedi e attività di camminata nel programma di intervento. Questo approccio mira a prevenire l'osteopenia e l'osteoporosi, condizioni spesso associate alla bassa densità minerale ossea caratteristica della malattia. Gli esercizi di stretching manuale e l'uso di stecche e tutori possono fornire benefici significativi e sono altamente raccomandati per gestire la spasticità muscolare nei casi di Sindrome di Rett. Nei casi più gravi, la chirurgia ortopedica può attuare interventi come l'uso di Botox (tossina botulinica) o persino la chirurgia correttiva. È importante notare che questi programmi terapeutici dovrebbero essere accompagnati da un'intensa terapia fisica. La camminata può avere notevoli benefici nella prevenzione dell'osteoporosi, nel rinforzo della muscolatura degli arti inferiori e nel miglioramento delle capacità cardiopolmonari. Inoltre, aiuta a mantenere le bambine in buona forma fisica. È una pratica importante per prevenire una vita inattiva e sedentaria, magari attraverso un programma di training giornaliero su “treadmill”/tapis roulant. Gli accessori di queste attrezzature prevedono sbarre più piccole, a seconda del peso della bambina, e fasce di velcro per un adeguato posizionamento delle mani e per una questione di sicurezza per la paziente. Le bambine con la Sindrome di Rett spesso camminano lentamente, fanno soste o cambiano direzione. Tendono ad appoggiarsi a chi le assiste. Per questi motivi, è consigliabile stabilizzare la bambina alle spalle senza fornire eccessivo sostegno. In caso di osteoporosi, è essenziale implementare un regime alimentare adeguato, promuovere programmi volti a incrementare la mobilità e la robustezza, considerando naturalmente le limitazioni specifiche della bambina. Inoltre, sono raccomandate frequenti esposizioni solari, mantenendo un equilibrio che consideri le esigenze individuali e delle precauzioni necessarie. Per le pazienti che non deambulano bisogna effettuare frequenti cambi di posizione per evitare la comparsa di ulcere da decubito, allineare in estensione le giunture delle estremità inferiori, mantenere ed incrementare il livello di calcio nelle ossa, migliorare la circolazione verso gli organi interni e promuovere le attività “trasferimenti camminando” diminuendo il bisogno di “trasferimenti trasportati”. L'approccio terapeutico dovrebbe sempre essere personalizzato in base alle esigenze specifiche del paziente e dovrebbe coinvolgere un team multidisciplinare di professionisti della salute che lavorano insieme per sviluppare un piano di trattamento completo e mirato. Gli studi retrospettivi che esaminano il comportamento motorio nelle persone con la Sindrome di Rett hanno evidenziato alcune potenziali opportunità di miglioramento. Ad esempio, in un caso di studio su una donna con Sindrome di Rett, l'introduzione della facilitazione dell'autoalimentazione supportata è iniziata all'età di 52 anni e, nel corso di quattro anni, ha portato allo sviluppo delle capacità di autoalimentazione. In un altro caso di studio su una bambina di tre anni, l'implementazione di sessioni settimanali di formazione sull'uso adattivo dei giocattoli ha portato allo sviluppo di nuove capacità di utilizzo mirato delle mani, dove in precedenza non erano presenti. Questi studi indicano l’esistenza di un potenziale per migliorare le capacità funzionali delle persone con Sindrome di Rett attraverso programmi di terapia attiva. Questi programmi spesso richiedono tempo e persistenza nel corso del tempo per ottenere risultati positivi. Nel campo della pratica basata sull'evidenza, è fondamentale considerare l'esperienza e il giudizio clinico, nonché le esigenze e i desideri specifici delle persone con RTT. Questi elementi contribuiranno a determinare le routine quotidiane e le attività specifiche che possono essere implementate per promuovere un migliore uso delle mani e migliorare la qualità della vita delle bambine affette dalla Sindrome di Rett.

 

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SENSIBILITÀ E PROPRIOCEZIONE

La complessità delle strutture e dell'organizzazione del sistema nervoso umano è dovuta alla sua natura di organismo costruito per interagire con l'ambiente circostante. Anche l'atto motorio più semplice comporta una intricata interazione tra sistemi sensoriali, funzioni cognitive e strutture dedicate al controllo motorio. Nonostante il suo ruolo non primario nelle funzioni motorie e sensoriali, il cervelletto è ritenuto una delle tre componenti fondamentali, insieme alla corteccia motoria e al complesso dei gangli della base, nel coordinamento e controllo del movimento. Il suo ruolo può essere paragonato a quello di un comparatore, che monitora e corregge gli errori confrontando il piano d'azione elaborato dalla corteccia motoria con il programma motorio e la performance durante e dopo la fase esecutiva. Un’altra struttura fondamentale in tal senso risulta essere anche la corteccia motoria, localizzata nel lobo frontale e formata da aree con funzionalità diversa, tra cui: l’area motoria primaria, l’area motoria supplementare e la corteccia premotoria. L'area motoria primaria del cervello è responsabile del controllo della forza, della velocità e della direzione dei movimenti complessi, come quelli coinvolti nell'afferrare degli oggetti. L'area supplementare e la corteccia premotoria hanno un ruolo più complesso e sono correlate all'apprendimento motorio. Uno studio condotto da Roland nel 1993 ha esaminato l'attivazione delle diverse aree cerebrali durante varie attività motorie. I risultati dell o studio indicano che, quando il compito è semplice, l'attivazione cerebrale è concentrata nelle aree motorie e sensoriali primarie del lato opposto del corpo coinvolto nel movimento. Tuttavia, quando il compito diventa più complesso, l'attivazione si este nde alle aree supplementari, alla corteccia prefrontale, ai gangli della base e al cervelletto sia nel lato controlaterale che nell'ipsilaterale del corpo rispetto al movimento. Quando a un individuo viene richiesto di immaginare una sequenza complessa senza eseguirla fisicamente, l'attivazione cerebrale coinvolge solo l'area motoria supplementare bilateralmente, non coinvolgendo l'area motoria primaria. Secondo tali studi, il ruolo dell'area motoria supplementare sembrerebbe essere orientato alla pianificazione di sequenze di movimenti complessi, partecipando all'assemblaggio di programmi motori centrali. D'altra parte, la corteccia premotoria svolge un ruolo funzionale essenziale nella fase di apprendimento di nuovi compiti che dipendono da informazioni esterne, come quelle visive, uditive o somatoestetiche. L'area premotoria è coinvolta nell'elaborazione e nel controllo di attività motorie guidate dall'esterno (external loop), mentre l'area motoria supplementare è focalizzata sulla pianificazione e il controllo di attività guidate dall'interno (internal loop). Le cortecce sensoriali, distinte a seconda delle varie informazioni provenienti dagli organi e recettori periferici, contribuiscono alla percezione e alla comprensione dell'ambiente circostante, e si distinguono in:

  • cortecce visive.
  • cortecce uditive.
  • cortecce somatosensoriali.
  • cortecce gustative.

A loro volta, queste si suddividono in aree primarie e di ordine superiore: le prime ricevono informazioni dirette dai recettori periferici attraverso le vie ascendenti, mentre nelle seconde le informazioni vengono analizzate in modo più complesso. La corteccia somatosensoriale si occupa dell'analisi delle informazioni somatiche provenienti dai recettori periferici. Nel sistema nervoso centrale, giungono simultaneamente dati relativi alla posizione corporea, all'ambiente circostante e alle relative relazioni spaziali. Infine, le cortecce associative, che costituiscono le aree più vaste della corteccia cerebrale, hanno il ruolo di integrare queste diverse informazioni. Il loro obiettivo è coordinare e orchestrare un'azione specifica, facilitando la comunicazione tra le cortecce sensoriali e motorie. Delle cortecce associative si evidenziano sostanzialmente tre aree distinte:

  • la corteccia associativa temporo-parieto-occipitale per la percezione.
  • la corteccia prefrontale per il movimento.
  • la corteccia limbica per la motivazione.

L'integrazione sensoriale è la capacità di ricevere, interpretare, selezionare e unificare le informazioni provenienti dai recettori del tatto, della gravità e del movimento (vestibolari), oltre che da quelli uditivi, visivi, gustativi e olfattivi. Questa capacità permette di rispondere in modo adeguato al contesto circostante. È fondamentale anche la capacità di modulare o regolare i livelli di input sensoriale per evitare ipo/iperstimolazioni. Nell'esecuzione e nella pianificazione del movimento, l'informazione visiva assume un’importanza particolare. Studi condotti da Von Hofsten (1979 e 1993) e Gordon (1994) suggeriscono che i bambini, fin dai primi giorni di vita, utilizzano informazioni visive per guidare la mano verso un oggetto. Con il termine “propriocezione” si intende la consapevolezza corporea, ovvero il senso di posizione dei propri arti e il movimento di specifiche parti del proprio corpo, che si ha indipendentemente dalla vista. Si tratta di una qualità cruciale per il controllo del movimento e della stazione eretta. Quest’informazione sensoriale è sempre attiva, anche in condizione di riposo, grazie all’azione di diversi tipi di recettori, detti propriocettori, che informano continuamente della posizione statica di un arto, della direzione e del suo movimento. Nel sistema sensoriale, diversi tipi di propriocettori forniscono informazioni al cervello sulla posizione e sul movimento del corpo. Ciò include recettori nella capsula articolare per rilevare il movimento delle articolazioni, organi muscolo-tendinei di Golgi per informazioni sulla tensione muscolare e fusi neuromuscolari per il controllo della contrazione muscolare. Questi segnali permettono al cervello di creare un'immagine precisa della posizione corporea e di regolare i movimenti per adattarsi a eventuali perturbazioni.

Tenendo in considerazione che quanto appena detto risulta essere tale in condizioni fisiologiche, sappiamo che purtroppo nella Sindrome di Rett questi sistemi e queste funzioni risultano essere deficitari. La rieducazione propriocettiva in questi casi serve per permettere all’individuo di riconoscere la posizione statica e dinamica delle articolazioni. Nonostante siano chiaramente diversi i criteri per i quali viene ad essere messo in atto questo allenamento propriocettivo, uno dei principi essenziali risulta essere la multifrequenza giornaliera, considerando che il sistema nervoso reagisce meglio a stimoli ravvicinati. Oltre a questo, è necessario tenere in considerazione la situazione psicologica della paziente, la sua motivazione, il contesto familiare, le limitazioni fisiche. Tra gli strumenti più validi e frequentemente utilizzati per allenare la propriocezione rientrano:

  • Fit ball: è un grande pallone utilizzato comunemente nei corsi di yoga e nella ginnastica posturale. La sua applicazione principale è quella di essere utilizzata come seduta, aggiungendo un elemento di instabilità all'allenamento. Questo metodo estende l'allenamento propriocettivo oltre l'arto inferiore coinvolgendo anche il tronco, rendendolo più complesso.
  • Pedana propriocettiva: è un dispositivo composto da un cuscino circolare di gomma rigida contenente aria o acqua. Tale strumento è progettato per creare una superficie instabile. Una volta che il paziente si posiziona sulla pedana, piede, caviglia, ginocchio ed anca devono adattarsi alla nuova condizione, impegnando e potenziando i meccanismi propriocettivi e di equilibrio. È utilizzata nel recupero anche dell'arto superiore.
  • Bosu: è uno strumento fitness a forma di semisfera che può essere utilizzato in due modi principali: come piattaforma di equilibrio sulla parte piana o come superficie di atterraggio quando la parte piana è a contatto con il suolo.
  • Tavoletta di  Freeman  o  tavoletta   propriocettiva:  è  uno  strumento ampiamente impiegato nella fase di riabilitazione e prevenzione, soprattutto per gli arti inferiori, ma può essere utilizzato anche per gli arti superiori. Questo dispositivo, denominato in onore del suo inventore, consiste in un piano di legno con forma rettangolare o rotonda. Esistono due varianti principali della tavoletta di Freeman: una che può poggiare su una base semisferica, consentendo oscillazioni in ogni direzione dello spazio, e un'altra che poggia su una base rettangolare, permettendo oscillazioni solo in due direzioni specifiche.

Nelle pazienti è inoltre molto comune riscontrare una significativa riduzione anche della sensibilità superficiale. In particolare, sono osservate ridotte reazioni al dolore e una diminuita percezione di profondità. Questi fattori devono essere presi in considerazione durante l'applicazione di manipolazioni fisiche passive. La difficoltà nel percepire la profondità può rendere particolarmente sfidante salire e scendere le scale, e quando si lavora su gradini, è importante che il terapista si posizioni frontalmente o di fronte alla paziente, soprattutto durante la discesa. Molte pazienti potrebbero manifestare ipersensibilità, in particolare nella zona del viso, specialmente attorno alla bocca. Inoltre, è stato osservato che alcune di loro reagiscono con rifiuto quando vengono toccate sull'avambraccio. Alcune bambine manifestano una paura del movimento, creando ostacoli nell'esecuzione di attività programmate nella terapia fisica. Per affrontare questa paura, potrebbe essere utile implementare un programma sensoriale. Questo programma dovrebbe iniziare coinvolgendo la bimba verbalmente, fornendole  rassicurazioni  verbali  per  alleviare  le  ansie  iniziali.  Durante  la manipolazione, è cruciale eseguire movimenti lenti, monitorando costantemente le reazioni della bambina attraverso l'osservazione del suo viso. Inoltre, è importante introdurre vari stimoli ambientali durante le attività terapeutiche, come giochi d'acqua, giocattoli mirati alla stimolazione sensoriale e specchi alle pareti.

 

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SVILUPPO LINGUISTICO

Lo sviluppo del linguaggio è un processo caratterizzato da una grande variabilità interindividuale. Ogni bambino, infatti, sviluppa le proprie capacità linguistico- comunicative secondo i propri tempi. Tuttavia, gli esperti identificano alcune tappe fondamentali che devono essere raggiunte per garantire uno sviluppo armonico del linguaggio. È importante sottolineare che tale sviluppo non si limita alla produzione verbale, ma coinvolge una serie completa di abilità, tra cui l'ascolto, il riconoscimento di suoni diversi (discriminazione), le competenze motorie, le competenze cognitive e lo sviluppo affettivo. La sviluppo delle abilità espressive e comunicative del bambino dipende quindi dall'integrazione di tutte queste competenze. Il fisiologico sviluppo del linguaggio, in bambini senza patologie neurologiche, sensoriali, cognitive o legate a sindromi genetiche, avviene attraverso diverse fasi comuni. Queste fasi seguono un ordine comune, sebbene ci sia una notevole variabilità individuale nei tempi, modi e strategie con cui ciascun bambino raggiunge livelli di competenza comunicativa e linguistica sempre più avanzati. In questo contesto, i concetti di continuità e variabilità nello sviluppo rivestono un'importanza particolare: le competenze acquisite nei periodi precedenti fungono da fondamenta per quelle successive, creando un collegamento continuo con conseguenze "a cascata". La fase prelinguistica, che precede l'emergere del linguaggio verbale, è molto complessa per lo sviluppo linguistico del bambino. Durante il primo anno di vita, il bambino apprende competenze comunicative attraverso comportamenti gestuali e vocali, come sorrisi, smorfie, pianti, vocalizzi e gesti. Questi comportamenti, inizialmente non intenzionali, diventano significativi attraverso l'interpretazione, il rinforzo e le risposte degli adulti. Il bambino impara a segnalare i propri bisogni e le emozioni, stabilendo connessioni tra segnali e risposte che lo aiutano a sviluppare una base comunicativa solida. L'assenza dei prerequisiti può influenzare negativamente l'emergere del linguaggio verbale, ritardandolo o impedendone la comparsa. Le prime produzioni vocali del bambino sono inizialmente di natura vegetativa, come gli sbadigli, o legate al pianto, grazie alle quali manifesta i suoi bisogni primari. Dai 3 mesi iniziano a emergere i primi vocalizzi, con una varietà di suoni che includono cinguettii, schiocchi, gorgheggi e pernacchie. Questi suoni sono stimolati dall'aumento della capacità di movimento della lingua. A partire da questa fase, il bambino, grazie a una migliorata percezione uditiva, presta maggiore attenzione alla voce umana e alle sue diverse intonazioni, sviluppando la capacità di ascolto e mostrando una preferenza per la voce rispetto ad altri suoni e rumori. Durante questa fase, si sviluppa un'importante abilità per il progresso comunicativo e linguistico del bambino: la fissazione dello sguardo. Il bambino dimostra la capacità di catturare e mantenere lo sguardo dell'adulto, consentendogli di interpretare ed identificare le espressioni facciali (comunicazione non verbale) e di prestare attenzione ai movimenti della lingua e delle labbra. A partire dai 6 mesi, le sue vocalizzazioni iniziano a conformarsi alle restrizioni fonologiche caratteristiche della lingua a cui è esposto. Si instaura così la fase del "babbling" o della "lallazione canonica", in cui il bambino ripete la stessa sillaba in sequenza. A queste sillabe il bambino non ha ancora associato un significato e non è consapevole di star parlando, ma il feed-back acustico che riceve dalla propria lallazione ha un elevato valore motivazionale per lui e questo col tempo lo spingerà anche a variarne l’intonazione, proprio come se stesse parlando. Il rinforzo dell'ambiente gioca un ruolo cruciale nell'incremento e nella diversificazione delle sillabe prodotte dal bambino. Verso gli 8-9 mesi, inizia la fase della "lallazione variata": le combinazioni sillabiche diventano più complesse, e il bambino ripete sequenze di sillabe diverse. A partire dai 9 mesi, si verifica una fase fondamentale nello sviluppo comunicativo: la transizione dalla comunicazione non intenzionale a quella intenzionale. Il bambino acquisisce consapevolezza delle sue capacità comunicative e impara gli effetti che i suoi comportamenti hanno sugli altri, utilizzandoli consapevolmente per raggiungere uno scopo specifico. Il bambino inizia a manifestare le prime intenzioni comunicative attraverso gesti deittici intenzionali, come indicare, dare e mostrare. Inizialmente, fa uso di questi gesti per richiedere o denominare un oggetto, spesso accompagnati da vocalizzazioni e sguardi rivolti all'adulto. Col tempo, sviluppa la capacità di utilizzare questi gesti anche per condividere esperienze e attirare l'attenzione dell'adulto su un evento. Circa verso l'anno di vita, emergono i primi morfemi, che sono unità sillabiche significative. In questo periodo, il bambino comprende la relazione tra ciò che vorrebbe e le sue espressioni vocali. L'emergere delle prime parole coincide con lo sviluppo del gioco simbolico, durante il quale il bambino impara a utilizzare un oggetto attribuendogli un significato diverso. Questa fase aiuta il bambino a comprendere il concetto di simbolismo, che si estende anche alle parole come mezzi di comunicazione. Durante questa fase iniziale, le parole prodotte spesso hanno una struttura sillabica semplice, poiché le capacità di articolazione del bambino sono ancora limitate. Di solito, si concentra su suoni come "m," "n," e su suoni occlusivi come "p," "b," "t," "d," "g," e "c" dure. Verso i 18 mesi, il bambino dovrebbe avere un vocabolario espressivo che include suoni onomatopeici, nomi di persone, cibi e oggetti familiari e di uso quotidiano. In questo periodo, è comune osservare l'uso dell'olofrase, dove il bambino usa una singola parola per svolgere diverse funzioni, come denominare, esprimere una richiesta, esclamare o descrivere un'azione. La variazione dell'intonazione contribuisce a trasmettere il messaggio desiderato. Inoltre, emerge un secondo tipo di gesti comunicativi, definiti referenziali: saluta con la manina, fa il gioco del cucù, batte le manine per elogiarsi. Questa fase della vita è contrassegnata da una notevole discrepanza tra la capacità di produzione e quella di comprensione: il bambino comprende molte più parole di quante ne sia in grado di esprimere e riesce a rispondere a richieste semplici e contestualizzate. A partire dai 18 mesi, si verifica un'esplosione del vocabolario: i bambini aumentano il numero di parole che pronunciano e imparano nuovi termini in tempi brevi. Giunto ai 24 mesi, un bambino può possedere un vocabolario di circa 200 parole. Nel corso del secondo anno di vita, le competenze linguistiche del bambino progrediscono rapidamente, e iniziano a emergere enunciati nucleari semplici. Queste prime frasi solitamente presentano una struttura basilare, come soggetto e verbo (ad esempio, "il bimbo gioca"), verbo e complemento oggetto ("gioca la palla") o soggetto e complemento ("bimbo palla"). Gli enunciati sono spesso costituiti da parole singole disposte in successione, con una tendenza a essere privi di verbo. Questa caratteristica è descritta come uno "stile telegrafico", ma permette comunque al bambino di esprimersi in modo significativo. A partire dai 30 mesi, si osserva una notevole riduzione delle parole singole in successione e l'emergere di frasi complesse ancora incomplete, come ad esempio "bimbo prende cucchiaio mangia minestra". Parallelamente, le competenze articolatorie del bambino si evolvono ulteriormente, includendo la pronuncia di suoni fricativi ed affricati come "f", "s", "v", "ci" e "gi", e potrebbe comparire il fonema "r". Tra i 3 e i 4 anni, il bambino acquisisce le strutture di base della lingua, rendendo il suo linguaggio molto simile a quello dell'adulto. In questa fase, il repertorio fonetico è quasi completo, sebbene potrebbero ancora mancare i fonemi "r" e "z", e i suoni sono prodotti senza distorsioni evidenti. Il bambino, in questa fase, dimostra la capacità di strutturare correttamente frasi relative, passive e interrogative, utilizzando adeguatamente le fondamentali regole grammaticali e sintattiche. È importante sottolineare che, durante l'età scolare, il bambino continuerà ad arricchire il suo vocabolario, a perfezionare le sue competenze linguistiche e a sviluppare la funzione pragmatica del linguaggio, utilizzandolo sempre più come uno strumento di pensiero e comunicazione complesso.

Nella Sindrome di Rett le capacità linguistiche variano molto in base alla severità dell’alterazione genetica. In alcune pazienti affette da RTT, si osserva una perdita completa della capacità di produrre suoni verbali funzionali alla comunicazione, mentre in altre la funzione linguistica viene conservata in misura variabile. I deficit linguistici tendono a insorgere generalmente subito dopo la fase di regressione rapida. Prima di questo periodo, le bambine con Sindrome di Rett presentano uno sviluppo del linguaggio che segue un percorso molto simile a quello fisiologico, con babbling e abbinamento fonologico che non risultano gravemente compromessi, a meno che non si tratti di varianti a insorgenza precoce o congenite della RTT. Le bambine con Sindrome di Rett possono avere sottili anomalie nelle loro vocalizzazioni prelinguistiche, ma l'individuazione di queste è difficile, essendo le loro evidenti vocalizzazioni evidenti spesso intervallate da altre poco appariscenti. I livelli di competenza linguistica residuale nelle pazienti affette sembrano essere correlati positivamente con il grado di sviluppo delle abilità linguistiche precedentemente acquisite prima della fase di regressione. Inoltre, alcuni studi ritengono lo sviluppo delle capacità linguistiche residue come predittore dell'outcome della Sindrome dopo la fase di regressione. In particolare, nelle pazienti con un maggior livello di competenza nella produzione verbale prima della regressione, sono state riscontrate maggiori possibilità di riacquisire o mantenere la produzione verbale funzionale per scopi comunicativi e interattivi. La correlazione tra l'impairment delle capacità di produzione verbale nella Sindrome di Rett e le alterazioni nel controllo motorio e nella coordinazione respiratoria sembra derivare dalla compromissione delle medesime basi neurologiche. Il controllo respiratorio e la coordinazione tra gli organi coinvolti nella produzione del linguaggio sono entrambi regolati dai nuclei presenti nel tronco encefalico, e risultano essere compromessi nella Sindrome di Rett. Gli studi che si concentrano sul miglioramento delle capacità comunicative residuali potrebbero contribuire a facilitare l'interazione tra i pazienti, i familiari e i caregiver, considerando le sfide motorie e linguistiche associate alla sindrome. L'accento prioritario nella gestione della Sindrome di Rett è posto sull'uso della comunicazione verbale nonostante le sfide motorie che la condizione comporta. Questo obiettivo è mirato a migliorare l'interazione tra le pazienti e i loro genitori, fornendo loro un mezzo per esprimere i bisogni e partecipare attivamente alla comunicazione. Al contrario, l'uso di gesti funzionali alla comunicazione non è emerso come una soluzione adeguata. Uno studio condotto da Marschik e colleghi nel 2012 ha sottolineato che lo sviluppo del repertorio gestuale, pur non completamente compromesso, manca di funzionalità e flessibilità. La variante di Zappella (PSV) sotto il punto di vista linguistico- comunicativo risulta sicuramente essere la più preservata; infatti, questa forma atipica della Sindrome mostra dopo alcuni anni, si osserva un miglioramento graduale sia nell'uso delle mani che nella comunicazione, culminante con l'insorgenza successiva del linguaggio, rappresentato da singole parole, ma talvolta anche da frasi complete e complesse. Ai fini riabilitativi, soprattutto nelle pazienti cognitivamente meno compromesse, risulta essere valida la Comunicazione Aumentativa e Alternativa: si tratta di un insieme di conoscenze, tecniche, strategie e tecnologie volte a semplificare ed aumentare la comunicazione nei soggetti con difficoltà nell’utilizzare i più comuni canali comunicativi, specialmente per il linguaggio orale e la scrittura. La C.A.A. non ha l'obiettivo di sostituire il linguaggio verbale, bensì di agire come strumento aggiuntivo. Si propone di coesistere con il linguaggio orale standard, facilitando la comunicazione attraverso l'uso simultaneo di un mezzo alternativo e del linguaggio verbale. In questa modalità, il simbolo diventa un supporto che accompagna e amplifica lo stimolo verbale, sia visivamente che oralmente, con l'assistenza del partner comunicativo che pronuncia il simbolo ad alta voce. L'approccio della C.A.A. non mira a inibire la produzione verbale, ma piuttosto a potenziarla, fornendo un supporto utile sia in ingresso che in uscita. Questo approccio mira a creare opportunità di comunicazione autentica e coinvolgimento effettivo della persona; di conseguenza, deve essere flessibile e personalizzato in base alle esigenze della persona stessa. La Comunicazione Aumentativa e Alternativa è, quindi, multimodale, consentendo l'utilizzo di diverse modalità espressive. Uno dei sistemi più noti di C.A.A. è probabilmente il sistema di scrittura in simboli. L'efficacia dell'utilizzo di questo approccio si manifesta appieno dopo aver stabilito e consolidato le basi per una competenza comunicativa iniziale. Questo è particolarmente cruciale, considerando che, a causa dei deficit linguistici e cognitivi, la competenza comunicativa potrebbe non svilupparsi in modo spontaneo. In questa prospettiva, l’approccio in questione non solo fornisce strumenti comunicativi alternativi, ma si propone anche di sviluppare le abilità di comunicazione essenziali, che comprendono il desiderio di comunicare, e di offrire gli strumenti appropriati per facilitare e promuovere la comunicazione stessa. L'intervento della Comunicazione Aumentativa e Alternativa non richiede prerequisiti specifici, tranne la possibilità di creare occasioni di comunicazione. Queste occasioni possono riguardare espressione di bisogni primari, scelte, preferenze e la capacità di dare voce ai propri pensieri e desideri. Pertanto, l'uso della C.A.A. consente l'autodeterminazione e l'azione sull'ambiente circostante. È fondamentale che l'ambiente e i partner comunicativi che interagiscono con la persona con bisogni comunicativi complessi siano comprensivi, informati e adeguatamente addestrati nel suo utilizzo. L'intervento della Comunicazione Aumentativa e Alternativa non può limitarsi alle poche ore di riabilitazione settimanali, altrimenti sarebbe considerato solo come una forma di riabilitazione clinica. Affinché la C.A.A. possa impattare positivamente su vari aspetti della vita quotidiana di una persona con bisogni comunicativi complessi, è essenziale coinvolgere tutto l'ambiente circostante, inclusi contesti meno familiari come la scuola, gli ambienti ricreativi e i luoghi pubblici. L'efficacia di quest’intervento si realizza appieno solo se l'intera rete di supporto collabora e partecipa attivamente a questo tipo di comunicazione. Ultimamente sono aumentate le conoscenze riguardo ai benefici portati dall’uso della C.A.A. per le pazienti con Sindrome di Rett, e sono state superate molte errate considerazioni che tendevano a considerare le bimbe affette da questa sindrome non ancora in grado di utilizzare la C.A.A. ed in particolar modo i suoi strumenti di tipo simbolico. Ad oggi sono molte le bambine che subito dopo la diagnosi iniziano un intervento di Comunicazione Aumentativa e Alternativa. Dal 1990 il gruppo di lavoro dell’Università Cattolica, con la supervisione scientifica della psicologa e Presidente dell’Associazione Italiana di Potenziamento Cognitivo Rosa Angela Fabio e la coordinazione scientifica e applicativa della pedagogista Samantha Giannatiempo, ha condotto percorsi volti al potenziamento cognitivo nella Sindrome di Rett in tutta l’Italia. I risultati delle iniziative documentate su riviste nazionali e internazionali confermano il successo delle attività di empowerment cognitivo nelle pazienti affette dalla Sindrome di Rett. Grazie a tali interventi, queste persone hanno dimostrato notevoli miglioramenti nelle capacità attentive, nel controllo intenzionale dello sguardo e nell'apprendimento e mantenimento di concetti e contenuti nel lungo periodo. Ancora più significativo, è emerso che sono riuscite a utilizzare immagini come strumento di comunicazione per esprimere i loro bisogni, superando persino il livello simbolico e arrivando a comunicare attraverso il codice alfabetico. L’approccio combinato di potenziamento cognitivo e Comunicazione Aumentativa e Alternativa è ritenuto cruciale e dovrebbe essere avviato simultaneamente e precocemente. La comunicazione con le bambine affette dalla Sindrome di Rett ha inizio fin dai primi contatti oculari, e non ci sono prerequisiti specifici necessari per avviare un percorso di questo tipo. È importante sottolineare che l'uso della C.A.A. non interferisce con lo sviluppo verbale potenziale delle bambine e non mira a sostituire gesti o fonemi a cui è stato attribuito un significato. Al contrario, le pazienti useranno la modalità più efficiente e compatibile con le loro capacità per comunicare, indipendentemente dalla forma che questa assuma. Tuttavia, a causa delle loro difficoltà nel movimento intenzionale delle mani e delle stereotipie caratteristiche della Sindrome, le bambine potrebbero avere difficoltà ad indicare selettivamente i simboli; risulta quindi essere più motivante e valido ai fini comunicativi, comunicare bisogni, preferenze e quant’altro attraverso l’uso dello sguardo. Sono vari gli studi clinici che hanno sottolineato come l’utilizzo degli occhi e di ausili di puntamento oculare aumentino le possibilità di comunicazione delle pazienti RTT. I progressi ottenuti dalle bambine che seguono in modo costante e sistematico il potenziamento cognitivo, con conseguente miglioramento delle capacità comunicative tramite sistemi "low-tech" basati su immagini o parole funzionali, hanno aperto la strada a sperimentazioni di successo nell'uso di ausili per accelerare la comunicazione e permettere un'interazione più immediata. Un esempio di ciò è l'E-tran, il cui nome deriva dalla combinazione di "eye" e "transfer", indicando uno "scambio con lo sguardo". Questo strumento si è dimostrato efficace nel potenziare le possibilità espressive attraverso l'i ndicazione visiva. Tale ausilio, essendo facilmente adattabile alle necessità individuali di ciascuna bambina, offre anche l'opportunità di allenarle all'eventuale utilizzo di strumenti high- tech, come l'eye-tracker, un sistema informatico a controllo oculare che attualmente viene valutato per il suo impiego nel contesto della Sindrome di Rett. Al fine di registrare le risposte oculari delle pazienti alle stimolazioni visualizzate sullo schermo del computer, viene impiegato un ausilio informatico a controllo oculare dedicato alla comunicazione e alla gestione ambientale (iAble-MyTobii, SRLabs). Questi dispositivi registrano vari parametri dei movimenti oculari, tra cui il tempo, la durata, il numero di fissazioni (ovvero quante volte e per quanto tempo l'occhio si ferma su un oggetto di interesse) e i movimenti saccadici (rapidi movimenti degli occhi tra ciascuna fissazione). Le versioni più moderne degli eye-tracker impiegano un sistema di illuminazione a infrarossi per delineare meglio il contorno della pupilla e ottenere uno o più riflessi. La luce infrarossa, essendo a una bassa frequenza, è invisibile all'occhio umano, ma è rilevata dalla telecamera dell'eye-tracker. Quest’ultima utilizzando il riflesso infrarosso come punto di riferimento, insieme alla posizione della pupilla, determina la direzione dello sguardo del soggetto. Si riconoscono due tipologie di eye-tracker:

  • Eye-tracker attivo: il controllo di applicazioni, anche molto complesse, e la risposta sonora o visiva vengono effettuate dal computer.
  • Eye-tracker passivo: il computer coglie la direzione dello sguardo senza fornire nessun feedback.

Il sistema è costituito da un eye-tracker ad alte prestazioni, un computer e un software specializzato capace di registrare il punto fisso dello sguardo, il diametro della pupilla e la posizione del bulbo oculare. L'interfaccia si presenta come una struttura unica con uno schermo integrato, che include una telecamera ad alta definizione e quattro LED a luce infrarossa essenziali per il rilevamento della posizione dello sguardo. Nel processo di selezione o comando, l'interazione avviene esclusivamente attraverso il controllo dello sguardo, senza l'utilizzo di pulsanti o schermi touch. Per agevolare la concentrazione delle bambine sull'eye-tracker, le prove sono state condotte in un ambiente privo di stimoli e con illuminazione soffusa, con la sola presenza della sperimentatrice. Inizialmente, lo sperimentatore posiziona la paziente ad un'adeguata altezza per far sì che gli occhi, visibili attraverso il Track-status (controllo del tracciamento oculare), siano centrati esattamente sul monitor. Gli infrarossi sono posizionati in alto e in basso per consentire allo strumento di rilevare lo sguardo nonostante i costanti movimenti stereotipati delle bambine. Successivamente, ogni paziente deve eseguire una calibrazione in cui deve fissare un'immagine in movimento che attraversa l'intero schermo, toccando in particolare cinque punti. Questa fase è essenziale per permettere al dispositivo di leggere con precisione il comportamento visivo di ciascuna partecipante. Poiché l'immagine si sposta rapidamente, nel caso delle ragazze con Sindrome di Rett è stato necessario eseguire una calibrazione manuale. Dunque, l'operatore sposta manualmente l'immagine solo quando la bambina fissa un punto. Dopo aver completato questa fase preparatoria, si procede all'osservazione e registrazione delle modalità con cui le bimbe affette dalla Sindrome di Rett sono in grado di riconoscere e successivamente di indirizzare lo sguardo verso lo stimolo visivo richiesto dallo sperimentatore. Ciascuna immagine visualizzata rimane fissa sullo schermo per circa 10 secondi. I parametri di misura relativi alle tre prove di riconoscimento, di categorizzazione e appaiamento di stimoli sono:

  • numero di fissazioni corrette.
  • durata delle fissazioni oculari, espressa in secondi.

I sistemi di puntamento oculare possono rappresentare uno strumento eccellente per l'ambiente scolastico, facilitando l'apprendimento, lo svolgimento dei compiti e l'interazione sociale a scuola. Tuttavia, molte famiglie riferiscono che tali sistemi risultano ingombranti nell'ambito delle attività comunicative domestiche, richiedendo spostamenti da una stanza all'altra, frequenti calibrazioni e talvolta limitando la spontaneità nella comunicazione. In contesti meno strutturati, è cruciale tenere presente che esistono alternative comunicative e che un approccio multimodale risulta più adatto per promuovere la comunicazione e l'interazione. Quando si avvia un programma di insegnamento sull'alfabetizzazione e il linguaggio con queste pazienti, la principale sfida spesso è rappresentata dalla mancanza di fiducia nelle loro potenzialità da parte degli insegnanti, terapisti e medici.

Molti pensano che la Sindrome di Rett sia associata a una svariata serie di bisogni educativi speciali, ma questo non implica che le bambine non possano imparare.

Utilizzare strumenti, tecnologie e conoscenze specializzate è sicuramente importante, ma la fiducia nell'abilità di ciascuna bambina di imparare e progredire è il motore principale per un efficace processo di insegnamento e apprendimento. Uno studio condotto da Baptista, Mercadante, Macedo e Schwartzman (2006), utilizzando la tecnologia Eyegaze (un ausilio computerizzato a controllo oculare), ha esplorato la capacità di risposta delle bambine con Sindrome di Rett a semplici richieste verbali, riconoscimento, categorizzazione e associazione di stimoli simili. I risultati hanno sottolineato non solo la loro capacità di effettuare scelte specifiche, ma anche di eseguire compiti di appaiamento e comparazione. Queste scoperte sono di particolare rilevanza poiché rappresentano la prima analisi scientifica delle reali abilità cognitive delle bambine affette dalla Sindrome di Rett. Nel 2001 venne effettuato un altro studio, da parte della Tobii, un'azienda svedese di alta tecnologia che sviluppa e vende prodotti per il rilevamento degli occhi e il calcolo dell'attenzione, introducendo la tecnologia dell’eye-tracking, che ha dimostrato che le pazienti con Sindrome di Rett sembrano avere significative strategie di ricerca visiva, nonché gli stessi schemi di fissazione dei soggetti non affetti; dunque, non sono state trovate differenze rilevanti tra i due gruppi (portatori della Sindrome e non). Inoltre, è interessante notare che le bimbe con la Sindrome di Rett sembrano osservare i punti focali delle immagini in modo simile ai bambini tipici. Nonostante l'aprassia, che le rende incapaci di utilizzare le mani in modo funzionale, la capacità di dirigere lo sguardo in precise direzioni sembra rimanere intatta (anche se richiede allenamento, con alcune ritardate selezioni). Di conseguenza, la ricerca si è orientata verso l'utilizzo dello sguardo come base per sviluppare una serie di attività volte a migliorare progressivamente i livelli di comunicazione.

 

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SVILUPPO COGNITIVO

La psicologia dello sviluppo esplora i cambiamenti che caratterizzano la vita di un individuo nel corso del tempo, concentrandosi anche sullo sviluppo cognitivo del bambino. Quest'ultimo aspetto si riferisce alla sua abilità di acquisire conoscenza, comprendere il mondo circostante e gestire l'ambiente con consapevolezza. Lo sviluppo cognitivo è plasmato da diversi fattori, tra cui genetica, temperamento, personalità e modalità di apprendimento. Gli stadi principali di questo processo includono ragionamento, intelligenza, linguaggio e memoria. Ogni elemento che attira l'attenzione del bambino, che sia il gioco, l'ascolto dei genitori, la lettura di un libro o la visione televisiva, rappresenta un prezioso contributo nello sviluppo cognitivo. Quest'ultimo si arricchisce gradualmente, giorno dopo giorno, grazie agli stimoli ricevuti e alle esperienze acquisite. Nel contesto della psicologia dello sviluppo, una figura di rilievo è Jean Piaget, il quale, attraverso i suoi studi, ha fornito risposte concrete contribuendo in modo significativo alla teoria dello sviluppo cognitivo. Secondo Piaget, tale sviluppo è un processo personale influenzato da fattori esterni, quali l'ambiente circostante e le interazioni sociali. L'assimilazione e l'accomodamento, definite "invarianti funzionali" da Piaget, sono due processi fondamentali che caratterizzano il percorso formativo dell'individuo e contribuiscono a promuovere lo sviluppo mentale, cercando di mantenere un equilibrio tra l'acquisizione di nuove conoscenze e l'adattamento di quelle preesistenti. L'assimilazione rappresenta il processo attraverso il quale l'individuo apprende e incorpora nuove informazioni ed esperienze nella sua struttura cognitiva esistente. D'altra parte, l'accomodamento è il processo in cui l'individuo modifica o estende le sue strutture cognitive esistenti per integrare nuove informazioni o esperienze che non possono essere completamente assimilate. Piaget ha sviluppato la teoria dello sviluppo cognitivo e identificato quattro fasi principali. Queste fasi rappresentano i diversi stadi di crescita e apprendimento attraverso cui passano gli individui nel corso della loro vita. Si riconoscono:

  • Fase senso-motoria: da 0 a 2 anni. Il bambino attraverso i suoi sensi e le sue capacità motorie esplora l'ambiente circostante e stabilire le prime relazioni con esso. Questo processo gli consente di coordinare due dei suoi riflessi innati più cruciali: la vista e la prensione.
  • Fase pre-operatoria: dai 2 ai 7 anni. In questo periodo, si osserva l'insorgere del gioco simbolico, dove un oggetto o un'identità possono rappresentare un'altra. Un esempio di questo sviluppo è rappresentato da una bambina che, giocando con le sue bambole, si immedesima nel ruolo di una mamma.
  • Fase operatorio-concreta: dai 7 agli 11 anni. In questa fase inizia a svilupparsi il pensiero logico e il bambino inizia a risolvere semplici problemi.
  • Fase operatoria-formale: fino ai 12 anni. Durante questa fase, il ragazzino inizia a formulare ipotesi e a effettuare verifiche, sviluppando il pensiero ipotetico-deduttivo. L'importanza dell'immedesimazione, riscontrata nella fase precedente, viene ridimensionata, e il giovane non si limita più a elaborare il mondo astratto, ma riesce anche a visualizzare quello reale. Il suo pensiero si avvicina sempre di più a quello di un adulto.

È importante instaurare una relazione che favorisca il bisogno di esplorazione tipico dei primi anni di vita del bambino. Stimolare la sua natura e considerare le caratteristiche del pensiero infantile è fondamentale per evitare di attribuire al bambino intenzioni che non sono in linea con la sua fase di sviluppo attuale. È doveroso rispettare i tempi del bambino, consentendo che l'evoluzione cognitiva avvenga in modo spontaneo. Bisogna creare le condizioni materiali e affettive che stimolino la curiosità del bambino, incoraggiandolo a esplorare e sperimentare le proprie capacità motorie nel mondo circostante. Ad esempio, sia la casa che la scuola devono essere luoghi sicuri in cui il bambino possa esplorare liberamente. L’ambiente in cui il bambino cresce deve sicuro, garantendo al contempo la piena libertà fisica e psicologica, ma nel rispetto di regole ben precise. Il termine “cognizione” deriva dalla parola latina "cognoscere" (conoscere). Questo termine si riferisce alla sfera della mente che coinvolge la capacità di elaborare, acquisire, memorizzare, recuperare e utilizzare le informazioni. Questo processo cognitivo è influenzato da vari fattori, inclusi gli stimoli provenienti dalla percezione, l'esperienza soggettiva, la conoscenza acquisita e la capacità di integrare tutte queste informazioni per  comprendere e interpretare il mondo che ci circonda. Il termine “cognitivo”, quindi, rappresenta l'attività psichica o mentale attraverso la quale un organismo acquisisce, elabora e utilizza informazioni sull'ambiente per guidare il proprio comportamento. Le diverse funzioni cognitive svolgono ruoli cruciali in questo processo e includono il linguaggio, la rappresentazione dei gesti, la memoria, la percezione del corpo, l'identificazione degli oggetti, l'attribuzione di significato, la comprensione dello spazio e le capa cità di apprendimento. Fatta eccezione per la memoria, tutte le funzioni menzionate sono considerate funzioni strumentali. Queste funzioni esecutive complementari permettono la generazione e il controllo di comportamenti volontari diretti verso un obiettivo. Analogamente a un direttore d'orchestra che coordina la melodia del pensiero, la vigilanza e l'attenzione svolgono un ruolo fondamentale nell'orchestrare le funzioni strumentali. Le funzioni esecutive rappresentano le capacità cognitive necessarie per eseguire comportamenti complessi, adattandosi a variazioni e richieste ambientali. Queste funzioni comprendono la capacità di pianificare e prevedere gli esiti delle azioni, evidenziando la flessibilità cognitiva. Inoltre, coinvolgono la capacità di concentrare le risorse attentive per affrontare eventi non routinari, insieme alle competenze di automonitoraggio e autoconsapevolezza necessarie per eseguire comportamenti appropriati. Il modello gerarchico proposto da Norman e Shallice delinea il funzionamento dell'esecutivo centrale. Al livello più basso (livello 1), sono presenti i processi automatici, i quali sono controllati da schemi situazionali più ampi (livello 2). Questi processi possono essere attivati contemporaneamente in varie situazioni, come la pianificazione, la presa di decisioni, l'azione innovativa, la correzione degli errori, l'inibizione di risposte apprese ma inadeguate e la gestione di situazioni complesse. Inoltre, i meccanismi di regolazione semiautomatici sono governati dal Sistema Attentivo Supervisore (SAS), un sistema superiore di controllo volontario e consapevole che opera a un livello superiore (livello 3). Il SAS non controlla direttamente il comportamento, ma agisce modulando i livelli inferiori del sistema nervoso centrale attraverso l'attivazione o l'inibizione di specifici schemi comportamentali. Nonostante non sia stato raggiunto un accordo in letteratura sul numero di fattori individuati, le funzioni esecutive a cui si è più spesso fatto riferimento comprendono:

  • L’attivazione e la regolazione dei processi attentivi volontari.
  • Le capacità di astrazione e di ragionamento.
  • La programmazione di strategie per la risoluzione di un compito (problem solving).
  • La flessibilità cognitiva.
  • Le abilità di pianificazione.
  • L’inibizione di comportamenti automatici per far fronte a eventi nuovi e inattesi.
  • La memoria di lavoro e la regolazione del comportamento emotivo.

Tutte queste componenti sono a loro volta modulate da funzioni neuropsicologiche di base, tra cui l’attenzione, la memoria, l’intelligenza verbale e l’intelligenza di performance. L’attenzione è un processo psicologico che consente alle persone di essere selettivamente consapevoli di una parte o di un aspetto dell'ambiente sensoriale. Questo processo permette la concentrazione su specifici stimoli e la risposta mirata a determinate informazioni. L'ambiente circostante invia all’encefalo una vasta gamma di informazioni visive, acustiche, tattili e olfattive, e l'attenzione ci permette di focalizzarci su ciò che è rilevante in un dato momento. Tuttavia, poiché il nostro sistema cognitivo dispone di risorse limitate, è necessario un processo di selezione per evitare un sovraccarico di informazioni. Solo una parte delle molte informazioni in ingresso viene elaborata in modo approfondito, diventando così parte della nostra coscienza. Questa capacità di selezionare gli stimoli rilevanti all'interno del flusso costante di informazioni è cruciale, poiché ci permette di controllare l'ambiente e adattare il nostro comportamento alle diverse situazioni. Le prime teorie sull'attenzione concepivano questa funzione come un "filtro" operante ai primi livelli di elaborazione sensoriale dell'informazione, consentendo solo il passaggio delle informazioni significative. Tuttavia, le evidenze sperimentali hanno contraddetto questo modello, suggerendo che, in una prima fase, tutte le informazioni vengano elaborate, per poi selezionare solo i segnali più rilevanti. Le altre informazioni rimangono disponibili e possono essere richiamate in altre circostanze. Formulazioni teoriche successive hanno abbandonato completamente l'idea del filtro attentivo, suggerendo invece che ogni individuo disponga di una quantità fissa di attenzione, allocata in base alle richieste del compito. L'attenzione svolge un ruolo fondamentale come un sistema specializzato per orchestrare e supervisionare i processi cognitivi in conformità con gli obiettivi dell'individuo. Il suo scopo principale è quello di prevenire che stimoli contrastanti possano interferire con il funzionamento cognitivo, assicurando così un'elaborazione efficace e mirata delle informazioni. L'arousal o stato di attivazione fisiologica dell'individuo può essere suddiviso in due componenti principali. L'allerta tonica si riferisce alla capacità di mantenere un adeguato livello di prestazione per un period o prolungato. D'altra parte, l'allerta fasica indica un aumento immediato della capacità di risposta in risposta all'apparizione di un segnale di avvertimento. L'attenzione selettiva è la capacità di selezionare una parte specifica degli stimoli in ingresso per un'elaborazione più approfondita, mentre gli altri vengono elaborati solo parzialmente e superficialmente. Solitamente, ci concentriamo sulle informazioni rilevanti per l'attività in corso e per i nostri obiettivi. L'attenzione divisa è, invece, la capacità di attenzionare più stimoli simultaneamente. Il paradigma del doppio compito, utilizzato nello studio dell'attenzione divisa, coinvolge i partecipanti in due attività contemporaneamente, spesso di diversa difficoltà o che richiedono abilità differenti. In genere, l'osservazione mostra che le prestazioni nei due compiti cognitivi sono migliori rispetto a quando i due compiti vengono eseguiti separatamente. Invece, l'attenzione sostenuta è la capacità di mantenere l'attenzione su un campo specifico di stimoli per un periodo prolungato. L'attenzione sostenuta si differenzia dalle altre componenti attentive per le prestazioni su una singola attività nel corso del tempo e per le fluttuazioni della capacità complessiva di mantenere stabile la prestazione di un compito all'interno di un individuo. Per quanto riguarda la memoria, le abilità mnestiche sono organizzate in diversi moduli che sono funzionalmente e strutturalmente autonomi, seppure interagenti tra di loro. La memoria è suddivisa in due magazzini distinti: uno a breve termine (MBT) e uno a lungo termine (MLT). La differenza principale tra i due riguarda la capacità di ritenzione, con la MBT limitata a pochi elementi e la MLT praticamente illimitata. La codifica dell'informazione nella MBT è prevalentemente fonologica, mentre nella MLT si basa su un'elaborazione semantica. La traccia mnemonica nella MBT ha una velocità di decadimento limitata a pochi secondi senza la ripetizione, mentre nella MLT è variabile ma generalmente lenta. Un modello cognitivo della Memoria di Lavoro (ML), particolarmente rilevante, è stato sviluppato da Alan Baddeley e Graham Hitch nel 1974 e successivamente perfezionato da Baddeley nel 1986. La Memoria di Lavoro è un sistema mnestico con capacità limitata che momentaneamente conserva le informazioni per permettere una successiva manipolazione. A differenza di un magazzino unitario, la Memoria di Lavoro è articolata in diversi sottocomponenti, tra cui:

  • Il sistema esecutivo centrale: può essere equiparato ad un elaboratore centrale a capacità limitata, in grado di elaborare informazioni provenienti da diverse modalità sensoriali, e che controlla e regola i processi cognitivi.
  • Il sistema del taccuino visuo-spaziale: è un sistema specializzato nel processamento e nel mantenimento di materiale visivo e spaziale.
  • Il loop articolatorio:  questo   sistema è  specializzato   nella ritenzione temporanea di materiale verbale. È composto da un magazzino fonologico, che consente la ritenzione di informazioni verbali, e da un meccanismo di ripasso subvocalico ("refreshment"), il cui compito è prevenire il decadimento delle informazioni memorizzate.

Attualmente, il termine "architettura cognitiva" si riferisce a insiemi di regioni cerebrali che collaborano per eseguire attività correlate o funzioni specifiche. Queste architetture sono spesso descritte come reti, come ad esempio i network dell'attenzione.

In un recente articolo pubblicato sul Journal Pediatric Neurology, Ahonniska-Assa e collaboratori hanno condotto uno studio mirato ad analizzare in modo più diretto le capacità cognitive di ragazze affette dalla Sindrome di Rett. Per farlo, hanno apportato modifiche a un test standard del vocabolario ricettivo, il Peabody Picture Vocabulary Test, coinvolgendo un gruppo di 17 ragazze affette dalla Sindrome di Rett. Nonostante il test non richieda una risposta verbale, le pazienti dovevano indicare l'immagine tra quattro opzioni associata a un prompt suggerito dal somministratore del test. I risultati hanno rivelato che quasi un terzo delle ragazze con RTT aveva un vocabolario ricettivo che indicava lievi deficit cognitivi o rientrava nell'intervallo normale, un risultato significativo considerando che molte di loro non erano abituate all'uso di dispositivi per lo sguardo. D'altra parte, ulteriori ricerche sulla memoria di riconoscimento suggeriscono che, pur essendo in grado di riconoscere schemi semplici, volti e alcune espressioni emotive, le prestazioni delle ragazze con  Sindrome di Rett risultano significativamente inferiori rispetto a quelle dei bambini con sviluppo tipico. Inoltre, è stata osservata un'attenzione atipica, caratterizzata da una distribuzione e un livello di attenzione meno adeguati nelle aree chiave durante l'esecuzione di compiti, e questa è associata a una memoria più debole nelle ragazze con RTT. Il deficit di attenzione riscontrato nelle ragazze con la Sindrome di Rett riveste un'importanza notevole, considerando il suo impatto in diverse aree, compresa la memoria di lavoro e l e funzioni cognitive più complesse, come il linguaggio e le funzioni esecutive. Le bambine con RTT sembrano mantenere l'attenzione su uno stimolo attraverso il loro sguardo caratteristico, spesso identificato come una peculiarità della malattia, ma potrebbero presentare difficoltà nell'orientare rapidamente l'attenzione quando compare un bersaglio ben visibile. In ogni caso, emerge una notevole difficoltà nel prevedere eventi e nell'uso di un'attenzione di tipo endogeno, con conseguenze negative per il funzionamento esecutivo. La mancanza di anticipazione nei movimenti saccadici delle pazienti affette dalla Sindrome di Rett suggerisce una sfida fondamentale nella loro capacità di formare rappresentazioni interne delle regole che guidano l'aspetto dei bersagli e di agire in base a queste rappresentazioni. Questa difficoltà nell'instaurare o utilizzare tali rappresentazioni interne, cruciali per le funzioni esecutive, le colloca in una posizione svantaggiata nella pianificazione delle risposte all'ambiente circostante. In pratica, ciò significa che queste bambine potrebbero avere difficoltà a stabilire obiettivi interni e a gestire le dinamiche delle interazioni sociali. I risultati degli studi mostrano chiaramente che, nelle persone con la Sindrome di Rett, i cambiamenti nell'attenzione esecutiva, che includono le anticipazioni, sono significativamente compromessi. Tuttavia, è interessante notare che la risposta dell'attenzione a stimoli esterni, noti come spostamenti di attenzione esogeni, sembra essere meno influenzata e mantiene una certa integrità. Nonostante la minore capacità di attenzione sostenuta rispetto ai bambini tipici, le ragazze con Sindrome di Rett mostrano comunque un grado considerevole di attenzione sostenuta, rappresentando circa il 75% del tempo disponibile dedicato a guardare l'obiettivo. Ciò suggerisce la possibilità di potenziare le loro abilità nel prevedere eventi imminenti e nel ridurre il tempo di risposta, aprendo la strada a potenziali interventi volti a migliorare tali capacità. Qualora le bambine con RTT presentassero un’alterazione lieve del funzionamento cognitivo, o che rientra nel normale intervallo di intelligenza, è consigliabile adottare strategie educative, riabilitative e supporti comunicativi quotidiani adeguati, sia per rallentare e contrastare l’inevitabile deterioramento cognitivo caratteristico della Sindrome, sia per potenziare le capacità cognitive delle ragazze. Dal punto di vista mnestico, le bimbe con RTT potrebbero riconoscere volti e schemi, anche se, rispetto al confronto con l'età dei pari, il loro riconoscimento risulta essere più scarso. Durante uno studio condotto con l'eye-tracking, è emerso che il gruppo di ragazze con Sindrome di Rett ha manifestato un notevole interesse per i volti, dedicando circa il 70% del tempo di familiarizzazione disponibile a osservarli. Inoltre, hanno dimostrato una chiara preferenza per gli occhi rispetto al naso e alla bocca, a differenza dell’interesse dimostrato dai bambini normotipici che invece era più generalizzato. L'attrazione per il sociale, la risposta agli stimoli e l'attenzione focalizzata sugli occhi, osservate nelle ragazze con Sindrome di Rett, rappresentano un elemento contrastante con ciò che si osserva nell'autismo, dove l'interesse per i volti è spesso ridotto e il contatto visivo viene evitato. Questi risultati suggeriscono che l'utilizzo della tecnologia eye-tracking, insieme a compiti non verbali, ha il potenziale per aprire nuove prospettive sul mondo cognitivo delle persone affette da RTT. L'analisi statistica dei dati provenienti dagli studi indica che, quando le stereotipie sono controllate o ridotte, le bambine RTT mostrano un tasso di apprendimento più rapido rispetto alle bambine in cui queste stereotipie non sono state contenute. Da quest'analisi emerge che, nella riabilitazione delle bambine con Sindrome di Rett, è possibile lavorare con successo sul potenziamento cognitivo. Le bambine possono apprendere stimoli complessi e di discriminare il loro contenuto. Inoltre, l'implementazione di strategie di Comunicazione Aumentativa Alternativa potrebbe essere un approccio valido per facilitare la comunicazione in questo contesto. In conclusione, è importante considerare alcune strategie metodologiche per interagire efficacemente con le bambine affette dalla Sindrome di Rett. Dato il loro deficit nell'attenzione selettiva, è consigliabile implementare il controllo della postura e, in determinate attività, adottare il contenimento fisico. Queste misure mirano a ridurre le autostimolazioni (come le stereotipie) e a eliminare stimoli non pertinenti che potrebbero compromettere la concentrazione sullo stimolo rilevante. La creazione di un ambiente privo di distrazioni, limitando il materiale alla sola attività necessaria, è un approccio efficace. Sedersi in modo composto, con delicatezza tenere le mani della bimba, consente di focalizzare tutta la sua attenzione sugli stimoli presentati. Un'organizzazione accurata del materiale, insieme a una modulazione personalizzata dei tempi e delle modalità di lavoro, contribuisce a ottimizzare l'efficacia dell'interazione.

 

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TEORIA DELLA MENTE

L'espressione "Teoria della Mente", coniata per la prima volta dagli psicologi David Premack e Guy Woodruff nel 1978, si è sviluppata negli anni Ottanta come un filone specifico di ricerca, raggiungendo il suo apice negli anni Novanta. Questo concetto riguarda la capacità di un individuo di attribuire stati mentali a sé stesso e agli altri, permettendo di anticipare, sulla base di tali stati mentali, il proprio comportamento e quello degli altri. Quindi, avere una teoria della mente implica la capacità di attribuire stati mentali come credenze, emozioni, desideri, intenzioni e pensieri a sé stessi e agli altri. Questa abilità consente di comprendere e prevedere il comportamento basandosi su tali presupposti, facilitando la gestione degli stati mentali interni e delle relazioni sociali. La teoria della mente è un elemento essenziale per spiegare, anticipare e influenzare il proprio e l'altro comportamento, ed è ampiamente impiegata nella vita quotidiana per navigare le dinamiche sociali. Tale teoria si sviluppa nei primi anni di vita attraverso interazioni sane con le figure di riferimento. Non è una capacità innata, ma si forma nel tempo grazie a attitudini acquisite e esperienze durante l'infanzia. Questo processo porta alla creazione di rappresentazioni mentali, sia di sé stessi che degli altri, che influenzano il comportamento sociale del bambino e, successivamente, dell'adulto. Tra i fattori che favoriscono la formazione di una teoria della mente nel bambino in interazione con un adulto, si riconoscono:

  • Attenzione Condivisa: concentrarsi contemporaneamente su una stessa cosa o gioco.
  • Imitazione Facciale: riproduzione di particolari mimiche facciali.
  • Gioco di Finzione: simulare finti giochi tra adulto e bambino.

Padroneggiare la teoria della mente è una funzione altamente adattiva per il bambino perché, quando sarà in grado di attribuire stati mentali agli altri, potrà dare un senso al comportamento e prevedere reazioni emotive in relazione al proprio comportamento e a quello degli altri. Questa abilità consente di adottare comportamenti adeguati a diverse situazioni sociali. Questi modelli di rappresentazione del funzionamento di sé e degli altri consentono all'individuo di adattarsi in modo funzionale alle situazioni al fine di raggiungere obiettivi propri e altrui. Questo sviluppo include due abilità chiave: l'autoconsapevolezza, che è la consapevolezza delle proprie capacità mentali, e la riflessività, che è la capacità di riflettere sui propri processi mentali . La teoria della mente, secondo gli psicologi Fonagy e Target, fornisce una funzione protettiva per coloro che affrontano difficoltà oggettive o che hanno subito traumi. Questa capacità consente loro di mantenere un'integrità cognitiva ed esperienziale, permettendo loro di gestire e determinare il proprio comportamento. Il gioco simbolico rappresenta un antecedente fondamentale della teoria della mente, poiché si fonda sulla capacità di attribuire significato a oggetti o situazioni che rappresentano altri oggetti o persone non attualmente presenti. È evidente che il linguaggio emotivo gioca un ruolo cruciale nello sviluppo della consapevolezza di sé, della teoria della mente e degli atteggiamenti pro-sociali ed empatici durante l'infanzia. È interessante notare che il tipo di linguaggio che facilita questo sviluppo non è quello rigido e prescrittivo spesso utilizzato dalle madri per favorire l'apprendimento verbale. Invece, si tratta di un linguaggio ricco di connotazioni emotive e sfumature psicologiche, orientato a condividere stati d'animo, impressioni e cognizioni. È stato infatti dimostrato che l'uso di un linguaggio arricchito da riferimenti a stati emotivi favorisce la comprensione degli stati mentali psicologici nei bambini. Questo tipo di linguaggio contribuisce a sviluppare la capacità di raffigurarsi mentalmente gli stati emotivi, consentendo ai bambini di predire le emozioni, sia proprie che altrui. Come ben riassume lo psicologo Piergiorgio Battistelli (1995), la sequenza delle tappe per lo sviluppo della Teoria della Mente si snoderebbe nel seguente ordine:

  • Psicologia del desiderio: verso i 2 anni.
  • Desiderio e credenza: verso i 3 anni.
  • Falsa credenza riguardo ad un valore o ad un dato di fatto: verso i 4-5 anni (falsa credenza di primo ordine).
  • Falsa credenza riguardo ad una falsa credenza: verso i 7-8 anni (falsa credenza di secondo ordine).

Lo sviluppo della teoria della mente è strettamente legato ai contesti interattivi che sono connotati da elementi affettivi e sociali, in cui il bambino è coinvolto fin dalla tenera età. È attraverso la partecipazione attiva in relazioni e conversazioni che l’individuo entra in contatto con la mente degli altri. Grazie a questa consapevolezza dell'esistenza di stati mentali altrui, il bambino sviluppa anche un'autocoscienza riflessiva. Dagli studi finora effettuati è dimostrata la plausibilità di inserire, nei trattamenti a cui sono sottoposti soggetti RTT, training volti ad insegnare la “lettura” della soggettività, obiettivo che si è dimostrato essere non solo perseguibile ma anche foriero di risultati soddisfacenti.

Dato che la Sindrome di Rett è una malattia generata da una proteina difettosa geneticamente, sarà necessario scoprire e studiare tutte le mutazioni a carico del gene MECP2, poiché è dalla posizione della mutazione del gene in questione che si potrà collegare il grado di affezione della malattia sul soggetto o il genere di sintomi che questo presenta. Potrebbe essere ipotizzabile che, a seconda della gravità della sindrome, vi siano soggetti in grado di sviluppare competenze o abilità anche senza training specifici ed altri in cui sia auspicabile l’uso di un training per conseguire diversi obiettivi: acquisire abilità specifiche o anche solo rendere manifeste capacità che sono sì presenti nelle bambine, ma che le disfunzioni della malattia impedisce loro di esprimere ed a chi interagisce con loro di riconoscere ed interpretare. Dagli studi esaminati emerge che la spinta motivazionale in queste bambine favorisce l’elaborazione del compito dando origine a piani capaci di regolare il comportamento, definire le priorità e i sistemi di risposte. È stato osservato che attraverso stimolazioni adeguate, le bimbe mostrano processi di autoregolazione: le stereotipie diminuiscono, mentre l'attenzione selettiva e sostenuta aumentano. I risultati ottenuti ci portano a concludere che le bambine con Sindrome di Rett sono in grado di avviare processi mentali di riconoscimento, astrazione e generalizzazione. Questo conferma come il potenziale evolutivo residuo presente possa distanziarsi significativamente dal livello manifesto di funzionamento attuale e come possa essere ampiamente sostenuto attraverso la mediazione ricevuta, addestrando la mente a essere flessibile. Le bimbe hanno dimostrato la capacità di comprendere situazioni rappresentate tramite immagini e di associarle a stati mentali emotivi corrispondenti, confermando così la presenza di una vera e propria teoria della mente. Un percorso educativo che miri sia a permettere la comprensione dell'ambiente circostante, sia a favorire il processo di socializzazione con le persone vicine a loro, si rivela un supporto prezioso. Tale approccio facilita la comunicazione attraverso le immagini, dando vita a vere e proprie "conversazioni" tra il mediatore e le bimbe, ottimizzando i processi di apprendimento.

 

INDICE

VALUTAZIONE, SCALE E TEST STANDARDIZZATI

Vista la grande varietà clinica delle pazienti RTT, la valutazione di queste ragazze richiede strumenti che ricoprano tutti gli ambiti di competenza che queste bambine possono presentare. La complessità intrinseca della Sindrome di Rett necessita di un approccio terapeutico e riabilitativo che sia multifocale, considerando non solo le sfide e le fragilità della bambina, ma anche i suoi punti di forza e le aree in cui manifesta una maggiore funzionalità. Per questo motivo, è essenziale iniziare la stesura de l progetto riabilitativo e del piano terapeutico con una valutazione completa e approfondita. Questa valutazione dovrebbe coprire un ampio spettro di aspetti funzionali della paziente, utilizzando scale e strumenti clinici di natura qualitativa. La valutazione dovrebbe posizionare la paziente all'interno di una "campana di Gauss", rappresentando la distribuzione dei punteggi ottenuti da una popolazione con lo stesso strumento di valutazione. Le modalità di somministrazione sono uguali per ogni bambina e non vengono forniti rinforzi che potrebbero condizionare la performance. Le modalità di raccolta dati per la Sindrome di Rett, nell'elaborazione di un progetto riabilitativo, seguono le recenti direttive degli approcci valutativi per patologie complesse. L'approccio multidisciplinare è fondamentale, coinvolgendo diverse figure professionali per condividere informazioni e opinioni sullo stato e le necessità della paziente. La raccolta dei dati riguardanti l’assessment di individui con Sindrome di Rett prevede:

  • Diagnosi clinica o genetica ad opera del medico.
  • Valutazione neurologica e fisiatrica finalizzate alla raccolta di dati clinici sullo stato fisiologico della paziente, all’indirizzamento verso servizi medici o riabilitativi individuati sulla base dei dati raccolti e alla prescrizione di ausili .
  • Eventuale indagine strumentale per approfondimento di aspetti specifici (EEG, PEV, Gait Analisis, polisonnografia) in modo da indagare ad esempio gli aspetti respiratori, lo stato nutrizionale attraverso la misurazione del BMI, l’eventuale osteopenia tramite densitometria ossea ecc.
  • Valutazioni dei medici specialisti, nei relativi campi di competenza, su indirizzamento delle problematiche che insorgono durante la crescita (visite cardiologica, gastroenterologica, neuroftalmologica).
  • Valutazione delle caratteristiche funzionali della paziente da parte di professionisti in discipline diverse, ma rilevanti per la gestione della ragazza, come fisioterapisti, neuropsicomotricisti e logopedisti. Nelle rispettive competenze, essi esamineranno aspetti quali la motricità, le abilità comunicative e relazionali, le funzioni adattive, l'adozione di eventuali strategie compensative, la capacità di affrontare problemi e ostacoli, le modalità di esplorazione dello spazio e degli oggetti, le dinamiche motivazionali e le caratteristiche neuropsicologiche. Le informazioni raccolte saranno oggetto di condivisione in un team composto da personale riabilitativo, il medico e i genitori.

Questa forma di valutazione è finalizzata a delineare un profilo funzionale della paziente, evidenziando le sue caratteristiche cliniche. L'analisi si concentra sia sulle difficoltà che sui punti di forza della ragazza, consentendo la formulazione di obiettivi riabilitativi realistici e orientati al massimo benessere della paziente. È importante notare che le scale standardizzate disponibili per la valutazione degli individui con la Sindrome di Rett sono limitate. Le caratteristiche della Sindrome di Rett presentano notevoli sfide nell'indagine delle funzioni neuropsicologiche, specialmente per quanto riguarda gli aspetti relazionali, attentivi e ricettivi delle pazienti. Questi indicano un livello di funzionamento potenzialmente più elevato rispetto a quello effettivamente espresso. Le componenti disprassiche e dispercettive, unite alle stereotipie manuali e all'assenza di linguaggio,  complicano  ulteriormente la valutazione delle funzioni superiori. Le specifiche sfide riscontrate nelle pazienti con Sindrome di Rett, come l'ampia latenza delle risposte, la confusione sensoriale, la disprassia, la lentezza e la fluttuazione nella processazione delle informazioni visive e uditive, compromettono l'adeguata applicazione dei test convenzionali. Di conseguenza, è essenziale personalizzare i test di valutazione per rispondere alle esigenze specifiche di queste bambine. Questo adattamento dovrebbe includere un'integrazione di osservazioni strutturate e non strutturate, oltre all'utilizzo di interviste con i genitori. Una componente essenziale della valutazione comprende l'analisi delle caratteristiche emotive e comportamentali del disturbo. Questo approccio mira a considerare, all'interno degli interventi, gli aspetti psicologici associati alla sindrome. Inoltre, si propone di prevedere una gestione attenta dei comportamenti problematici, avvalendosi di adeguate tecniche cognitivo-comportamentali. In letteratura, sono disponibili vari studi che trattano della valutazione e della raccolta di dati riguardanti bambine affette dalla Sindrome di Rett. La valutazione riveste un ruolo centrale nell'intervento, fungendo da punto di partenza cruciale per l'identificazione di obiettivi e traguardi adeguati. Ciò costituisce la base per la formulazione di piani d'intervento individualizzati, orientati alla specifica situazione e alle esigenze della paziente. Tra questi verranno elencate le scale di valutazione principali e di più frequente uso:

  • R.A.R.S. (Rett Assessment Rating Scale): nel 2005, un team italiano, sotto la direzione della Dr.ssa Fabio, ha sviluppato la R.A.R.S. (Rett Assessment Rating Scale) per valutare la gravità delle disabilità nelle pazienti affette dalla Sindrome di Rett. Questa scala è stata creata prendendo spunto dal modello della scala di classificazione utilizzata per i bambini con autismo, nota come C.A.R.S. (Childhood Autism Rating Scale). La progettazione e l'identificazione degli elementi da includere nella R.A.R.S. sono stati condotti utilizzando dati provenienti dalla letteratura sulla Sindrome di Rett, nonché dalle indicazioni fornite dal DSM-IV. La taratura della R.A.R.S. è stata condotta attraverso la somministrazione del test a un campione composto da 5 madri di bambine affette da RTT e a 10 terapisti con esperienza nel trattamento di bambine colpite o con conoscenza della malattia. Sulla base di questa calibrazione, sono stati apportati alcuni cambiamenti rispetto alla versione originale dello strumento. In particolare, sono state apportate modifiche su alcuni item dell'area cognitiva e sono stati aggiunti nuovi item relativi alla scoliosi, ai problemi ai piedi e alla tensione muscolare, elementi che non erano presenti nella prima versione. Nell'area delle emozioni, inizialmente era contemplato un unico item denominato "emozioni di base", che includeva sia l'aspetto espressivo che quello receptivo delle emozioni. Successivamente, si è optato per una separazione degli item in due categorie distinte: "emozioni di base", focalizzato sulle capacità espressive delle ragazze, e "emozioni altrui", incentrato sulla capacità di comprendere le emozioni degli altri. Inoltre, sono stati modificati alcuni termini ritenuti di difficilmente comprensibili, come l’item “comunicazione non verbale” che è stato spiegato utilizzando la frase “sa esprimersi con gesti ed espressioni del viso”; il termine “deambulare” è stato spiegato dalla parola “camminare”. Inoltre, sono stati spiegati i termini “crisi di dispnea”, “iperattività”, “bruxismo”, “crisi oculogiriche” e “aerofagia”. La R.A.R.S. è stata somministrata ai genitori di 195 bambine affette dalla Sindrome di Rett. Lo strumento è stato distribuito mediante spedizione postale a indirizzi in tutte le regioni d'Italia, identificati grazie alla collaborazione dell'Associazione Italiana Rett. È pertanto confermato che tutte le bambine coinvolte nello studio possiedono una diagnosi certa di Sindrome di Rett. La somministrazione della R.A.R.S. è stata accompagnata da una lettera di presentazione della ricerca e preceduta da istruzioni chiare su come compilare il questionario. Ad ogni item è attribuito un punteggio da 1 a 4, e per la compilazione i genitori dovevano selezionare la voce scelta apponendo una X sul numero corrispondente. È anche possibile selezionare “1.5” o “2.5” o “3.5” se l’osservazione risultava intermedia tra due voci. Alla versione attuale risulta essere suddivisa in 31 items relativi alle diverse aree comportamentali e il valore assegnato permette di individuare un punteggio totale che indica il livello di gravità della paziente in esame. Per la R.A.R.S., sono stati calcolati inizialmente gli indici di discriminatività al fine di escludere possibili effetti tetto o effetti pavimento. Questi effetti potrebbero derivare da item considerati troppo complessi o troppo semplici dai genitori delle ragazze con la Sindrome di Rett. Tuttavia, dall'analisi della discriminatività non sono stati ottenuti dati che suggeriscano la presenza di effetti tetto o effetti pavimento. Pertanto, tutti i 31 items inizialmente previsti per lo strumento sono stati mantenuti nell'ulteriore elaborazione. I 31 Items e sono stati raggruppati in 6 aree:
    • Area Cognitiva: il livello cognitivo comunemente associato alla Sindrome di Rett è spesso caratterizzato da un grave ritardo mentale. Valutare con precisione la disabilità intellettiva risulta difficile a causa della gravità dei sintomi della malattia. Tuttavia, alcuni indicatori possono essere utilizzati per valutare le capacità cognitive e adattative. Vanno ad essere considerate, ai fini valutativi, le capacità attentive, l’orientamento spaziale e temporale, la memoria, la capacità di mantenere il contatto visivo e l’attenzione condivisa, la presenza della risposta al sorriso, la capacità di comunicare verbalmente, la capacità di comunicazione non verbale. La media del punteggio è 15,94 con una deviazione standard pari a 4,87. Per valutare la normalità della distribuzione delle varie aree vengono calcolati gli indici di simmetria e di curtosi. Il primo, in questo caso, ha un valore pari a 0,271, con un errore standard pari a ± 0,174. Il secondo, invece, è pari a 0,822 con un errore standard pari a ± 0,346. Successivamente, è stata condotta una trasformazione lineare dei punteggi grezzi medi dell'area cognitiva, identificando i valori estremi che definiscono il grado di gravità dell'area cognitiva del campione analizzato. Dai risultati ottenuti, emerge che la gravità media dell'area cognitiva nella Sindrome di Rett, stabilita tramite l'uso della R.A.R.S., è pari a 15,94 ± 1 deviazione standard. Valori inferiori a questo dato indicano una gravità lieve, mentre valori superiori alla media indicano una gravità elevata, così come per tutte le altre aree.

Figura 4 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area cognitiva R.A.R.S.

Figura 4 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area cognitiva R.A.R.S.

    • Area sensoriale: le ragazze con la Sindrome di Rett possono manifestare problematiche alla vista,  caratterizzata da uno sguardo periferico, e all’udito, caratterizzato dall’alternanza di ipersensibilità e iposensibilità uditiva. Queta parte di valutazione contiene infatti 2 items, uno per la vista e uno per l’udito. La media del punteggio è 3,96 con una deviazione standard pari a 1,57. L’indice di simmetria ha un valore pari a 0,374, con un errore standard pari a ± 0,174. L’indice di curtosi è pari a 0,927 con un errore standard pari a ± 0,346. Dai risultati ottenuti, la gravità media dell’area sensoriale risulta essere pari a 3,96 ± 1 deviazione standard.

Figura 5 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area sensoriale R.A.R.S.

Figura 5 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area sensoriale R.A.R.S.

    • Area motoria: le difficoltà motorie delle pazienti con la Sindrome di Rett riguardano soprattutto la capacità di deambulare e le stereotipie delle mani; infatti, tra i criteri di inclusione della RTT, si trovano “la comparsa delle stereotipie a carico delle mani, quali “hand-washing”, “hand-clapping”, “hand-wringing”; e la comparsa di andatura atassica e di atassia-aprassia del tronco”. I criteri di supporto della Sindrome di Rett comprendono scoliosi e problema dei piedi. Per questo, nell’area motoria della R.A.R.S. sono stati inseriti gli items: “corpo”, “mani”, “scoliosi” e “piedi”, basandosi appunto sui criteri identificati dal Diagnostic Criteria Working Group nel 1988. La media del punteggio è 9,65 con una deviazione standard pari a 3,12. L’indice di simmetria ha un valore pari a 0,282, con un errore standard pari a ± 0,174. L’indice di curtosi è pari a 0,989 con un errore standard pari a ± 0,346. Dai risultati ottenuti, possiamo affermare che la gravità media dell’area motoria, stabilita attraverso la R.A.R.S., è pari a 9,65 ± 1 deviazione standard.

Figura 6 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area motoria R.A.R.S.

Figura 6 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area motoria R.A.R.S.

    • Area delle emozioni: si considerano le emozioni definite “di base” (felicità, tristezza, sorpresa, disgusto, paura, dolore, rabbia). Si indaga se le bambine sono in grado di esprimere le proprie emozioni e comprendere le altrui. Le persone in contatto con le bambine con la Sindrome di Rett riferiscono che è molto facile entrare in contatto con loro: rispondono agli stimoli sociali, ai sorrisi e il loro sguardo è intenso. I loro stati emotivi sono solitamente legati allo stato di benessere. Appartenenti all’area delle emozioni sono anche altri due items: “sbalzi d’umore” e “ansia”, frequenti nei soggetti affetti dalla Sindrome. Il punteggio medio ha un valore di 7,43 con una deviazione standard pari a 2,05, mentre l’indice di simmetria è pari a 0,703, con un errore standard pari a ± 0,174. L’indice di curtosi corrisponde a 0,037 con un errore standard pari a ± 0,346. Dai risultati ottenuti, è possibile affermare che la gravità media dell’area emotiva, stabilita attraverso la R.A.R.S., è pari a 7,43 ± 1 deviazione standard.

Figura 7 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area delle emozioni R.A.R.S.

Figura 7 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area delle emozioni R.A.R.S.

    • Area delle autonomie: sono inclusi in questa sezione gli items relativi al controllo sfinterico, all’alimentazione autonoma, all’abilità di lavarsi e di vestirsi. La media del punteggio è 10,77 con una deviazione standard pari a 1,60. L’indice di simmetria ha un valore pari a 1,64, con un errore standard pari a ± 0,174. L’indice di curtosi è pari a 2,63 con un errore standard pari a ± 0,346. Dai risultati ottenuti, è possibile affermare che la gravità media dell’area sensoriale, stabilita attraverso la R.A.R.S., è pari a 10,77 ± 1 deviazione standard.

Figura 8 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area delle autonomie R.A.R.S.

Figura 8 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area delle autonomie R.A.R.S.

    • Caratteristiche comportamentali: la media del punteggio è 9,98 con una deviazione standard pari a 2,10. L’indice di simmetria ha un valore pari a 0,711, con un errore standard pari a ± 0,174. L’indice di curtosi è pari a 1,386 con un errore standard pari a ± 0,346. Dai risultati ottenuti, è possibile affermare che la gravità media dell’area delle caratteristiche tipiche di comportamento, stabilita attraverso la R.A.R.S., è pari a 9,98 ± 1 deviazione standard.

Figura 9 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area delle caratteristiche comportamentali R.A.R.S.

Figura 9 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area delle caratteristiche comportamentali R.A.R.S.

    • Caratteristiche tipiche della Sindrome: sono elementi importanti da considerare poiché contribuiscono alla gravità della malattia. Possono essere divisi in caratteristiche di malattia (sbalzi d’umore, ansia, epilessia, convulsioni, crisi di apnea e areofagia) e caratteristiche di comportamento (iperattività, aggressività, bruxismo, preferenze alimentari, crisi oculogiriche, tensione muscolare). La media del punteggio è 6,96 con una deviazione standard pari a 2,31. L’indice di simmetria ha un valore pari a 0,866, con un errore standard pari a ± 0,174. L’indice di curtosi è pari a 0,637 con un errore standard pari a ± 0,346. Dai risultati ottenuti, possiamo affermare che la gravità media dell’area delle caratteristiche tipiche di malattia, stabilita attraverso la R.A.R.S., è pari a 6,96 ± 1 deviazione standard.

Figura 10 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area delle caratteristiche tipiche della Sindrome R.A.R.S.

Figura 10 - Schema indicativo dei livelli di gravità dell’area delle caratteristiche tipiche della Sindrome R.A.R.S.

    • Infine, è incluso un item che riguarda l'impressione generale che chi compila ha sulla gravità della malattia nella bambina.

La somma dei punteggi che vengono a generarsi determina la gravità della sintomatologia della paziente. Viene definita una gravità media con un intervallo compreso tra 55 e 81, valori più alti indicano una gravità più elevata e valori più bassi una compromissione più lieve. Per valutare l'affidabilità interna, è stato utilizzato il coefficiente alfa di Cronbach sui 31 elementi dell'intero test, ottenendo un valore di alfa pari a 0.90. Tale risultato suggerisce che gli elementi diversi del test mostrano un alto grado di coerenza. Le dimensioni cognitive, sensoriali e motorie manifestano una coerenza interna elevata. Tuttavia, nelle dimensioni delle emozioni, dell'autonomia e delle caratteristiche tipiche della sindrome, l'alfa mostra un valore relativamente basso, indicando una coerenza interna parziale in questi specifici contesti. L'analisi fattoriale condotta sui 31 elementi della R.A.R.S. rivela che i primi 7 fattori complessivamente spiegano circa il 60% dell'intera varianza globale. In particolare, l'analisi fattoriale del primo fattore, eseguita mediante il metodo PCA (Principal Component Analysis), mostra una percentuale di varianza spiegata del 26,36%. Gli altri fattori presentano percentuali di varianza spiegata significativamente inferiori: il secondo fattore con il 9,30%, il terzo con il 6,59%, il quarto con il 5,40%, il quinto con il 4,49%, il sesto con il 3,50%, e il settimo con il 3,40%. Per esaminare la normalità della distribuzione della R.A.R.S., sono stati sommati i punteggi di tutti gli elementi. La media risultante è 67,65, con una deviazione standard di 12,9. Per valutare la normalità, sono stati calcolati gli indici di simmetria e curtosi. L'indice di simmetria mostra un valore di 0,228, con un errore standard di ± 0,174, mentre l'indice di curtosi è pari a 0,339, con un errore standard di ± 0,346. Dato che entrambi gli indici si avvicinano allo zero e considerando che media, mediana e moda mostrano una tendenza a coincidere, si può inferire che la distribuzione tende ad essere approssimativamente normale. Successivamente, è stato eseguito il processo di trasformazione lineare dei punteggi grezzi medi di ciascuna categoria, identificando gli estremi che determinano l'entità della gravità della Sindrome di Rett tramite la R.A.R.S. Dai risultati ottenuti, è possibile affermare che la gravità media della RTT, stabilita tramite la R.A.R.S., è di 67,65 con una deviazione standard di ±1. Al di sotto di questo valore si classifica come lieve gravità, mentre al di sopra della media considerata, si classifica come alta gravità.

Figura 11 - Schema indicativo del livello di gravità generale riferito alla Sindrome di Rett secondo i criteri di valutazione della scala R.A.R.S.

Figura 11 - Schema indicativo del livello di gravità generale riferito alla Sindrome di Rett secondo i criteri di valutazione della scala R.A.R.S.

  • Rett Syndrome Gross Motor Scale: è una misurazione osservativa sviluppata da Downs e colleghi, basato originariamente sulla Gross Motor Function Measure (GMFM), che valuta le capacità motorie grossolane in individui con Sindrome di Rett. L'RSGMS è un test di facile somministrazione,  in  cui l'individuo è incoraggiato a svolgere diverse attività motorie grossolane e riceve    tutta   l'assistenza   e   l'incoraggiamento   necessari. Si   concentra sull'esecuzione di abilità motorie grossolane predefinite che vengono videoregistrate dai genitori nell'ambiente quotidiano dell'individuo e che possono quindi essere osservate da un fisioterapista. Questa scala di valutazione motoria è formata da 15 items, raggruppati in macroaree: posizione seduta, stazione eretta, cammino e trasferimento.
  • Hand Apraxia Scale: nel 2010, Downs e il suo team svilupparono una scala per valutare la funzionalità manuale, assegnando valori da 1 (assenza di funzionalità manuale) a 8 (adattamento della mano alle caratteristiche dell’oggetto). Questa scala, tuttavia, ha dimostrato limitazioni nella pratica clinica, in quanto assegna un unico punteggio senza considerare né la lateralità né la possibilità di miglioramento funzionale mediante l'uso di una sola delle due mani.
  • PBZ (Pini, Bonuccelli, Zappella): è una scala di valutazione appositamente sviluppata per valutare la gravità nella Sindrome di Rett e nelle sue varianti. Questa scala dimostra sensibilità non solo nel rilevare cambiamenti clinici anche minimi nella sintomatologia durante nuove terapie, programmi riabilitativi e miglioramenti ambientali, ma anche nell'indicare la gravità nei singoli gruppi clinici e genetici. In confronto ad altre scale utilizzate finora, la PBZ si dimostra particolarmente preziosa per la sua sensibilità nel rilevare modifiche sintomatologiche sia nell'ambito osservazionale che nei trial clinici e farmacologici. È uno strumento efficace anche nel monitorare l'evoluzione durante programmi riabilitativi e miglioramenti ambientali. Si tratta quindi di una scala di valutazione con un fine valutativo, ma ha anche una funzione nell’evoluzione, nell’attività del trattamento. Questa scala consiste di 26 items raggruppati in 3 domini funzionali: l’area motoria (mimica facciale, contatto oculare, prassie, stereotipie, deambulazione, posizione seduta, tono muscolare, trofismo e distonie), l’area comunicativo-sensoriale (espressione del linguaggio, comprensione) e l’area dedicata alla vita quotidiana (salire e scendere le scale, autonomia nell’autonomia e nella deglutizione, cadute non correlate a crisi epilettiche). I valori di ciascuna sono compresi fra 0 (fisiologico) e 4 (patologico). La somma dei punteggi finali che rientra nel range tra 0 e 35 indica uno stato di compromissione lieve, tra 36 e 70 medio e tra 71 e 104 grave. La valutazione di tutti questi aspetti ci permette di ottenere una dimensione oggettiva del paziente in quel momento.

Inoltre, nel 2001, Kerr e altri autori introdussero linee guida per la raccolta dei dati clinici relativi ai pazienti affetti da Sindrome di Rett, proponendo una griglia di valutazione. Questo strumento è stato progettato per fornire una visione completa della situazione della paziente. La sua utilità si è estesa oltre la semplice comparazione tra pazienti, riguardando anche la valutazione dell'evoluzione dei processi terapeutici. La scheda viene compilata dal clinico durante la valutazione ed è composta da 20 item, ciascuno dei quali è correlato a un aspetto specifico della sindrome: circonferenza cranica nel primo anno, sviluppo nel primo anno di vita, circonferenza cranica attuale, peso, altezza, tono muscolare, scoliosi, contratture articolari, cammino, stereotipie manuali, altri movimenti involontari, funzionalità manuale, difficoltà oro-motorie, deficit intellettivo, linguaggio, epilessia, problematiche respiratorie, microcircolazione distale, disturbi dell’umore, disturbi del sonno. Ciascun elemento della griglia riceve un punteggio compreso tra 0 e 2 (0 = normale/assente, 2 = manifestamente al di fuori della norma/grave), generando così un punteggio totale che riflette lo stato generale della paziente. Tuttavia, è importante sottolineare che, per ottenere una comprensione più approfondita, questo strumento dovrebbe essere integrato con dati più specifici nelle aree più rilevanti per la valutazione clinica. La valutazione neuropsicologica delle bambine con la Sindrome di Rett presenta notevoli sfide, come precedentemente menzionato. Queste sfide derivano dalla complessità intrinseca della sindrome e dal quadro clinico che spesso rende le ragazze affette incapaci di comunicare verbalmente o attraverso movimenti manuali e corporei. Una valutazione del quoziente intellettivo è stata tentata dal team della Dr.ssa Fabio attraverso l’uso di una versione riadattata delle “Matrici di Raven” per bambini (Coloured Progressive Matrices), utili per valutare se un soggetto possiede la capacità di fare confronti, di ragionare per analogia, di stimare l’attitudine attuale del soggetto al ragionamento astratto e le possibilità di sviluppo. Le matrici colorate, in particolare, si utilizzano per rendere più gradevole e accattivante il compito al bambino. Il test è costituito da 36 figure, raggruppate in 3 serie di difficoltà crescente, ognuna costituita da 12 item. Gli item sono disposti in ordine di difficoltà crescente sia all’interno di ogni scala che tra le scale, richiedendo una crescente capacità di analisi, codifica, interpretazione e comprensione degli item. Ogni item consiste di un disegno astratto colorato con un pezzo mancante e in ogni serie viene richiesto di completare la serie di figure con il pezzo mancante. L’utilizzo delle normali scale di sviluppo, come la Scala Bayley45, la scala Griffiths46, la scala Gesell47 e di indagine intellettiva, come la WISH-41748, viene compromesso dalla richiesta dell’uso di linguaggio; tuttavia, l’utilizzo degli items che le compongono può fornire informazioni in aree specifiche, dato che in queste scale sono standardizzati anche i punteggi relativi ai singoli items. Lo stesso vale per la somministrazione di scale non verbali dove è previsto l’uso delle mani per risolvere compiti, come nel caso della Leiter-R49. È importante sottolineare l'importanza di valutare anche il livello di stress riportato dalle famiglie nell'affrontare le sfide legate alla cura delle ragazze affette dalla sindrome. Un test utile a questo fine è il “Parental Stress Index”, un test pensato per l’identificazione precoce delle caratteristiche che possono compromettere il normale sviluppo del bambino, come disturbi emotivi e comportamentali e genitori che rischiano di vivere in modo disfunzionale il proprio ruolo. Lo strumento si fonda sull'assunzione che lo stress genitoriale derivi da una combinazione di caratteristiche soggettive e da una serie di situazioni strettamente connesse al ruolo di genitore. Questo questionario si distingue per la sua rapida applicazione e l'alta affidabilità. La sua peculiarità risiede nella possibilità di effettuare somministrazioni ripetute in brevi intervalli di tempo, evitando il rischio di assuefazione o perdita di sensibilità del soggetto alla misurazione. Per quanto riguarda le misure di outcome comportamentali, sono disponibili scale di valutazione abbastanza efficienti come il Rett Syndrome Behaviour Questionnaire50. Tra le scale di valutazione della qualità di vita sono utili il Child Health Questionnaire51 ed il Primary Caregiver Questionnaire52, così come anche il PROMIS, un sistema di misurazione degli outcome riportati dal paziente o dai familiari che va a valutare le funzioni motorie (come mobilità ed utilizzo delle mani), il dolore, l’astenia e i disturbi dell’umore. Infine, la percezione che hanno le famiglie delle cure ricevute può essere indagata mediante l’utilizzo del questionario per la “Perceptions of the Process of Care” elaborato da Yagal e colleghi nel 2007. Con questo strumento si può constatare se il piano terapeutico viene svolto in modo soddisfacente per le famiglie. Chiaramente le scale di valutazione utilizzate devono essere disponibili in tutte le lingue, poiché somministrare un test in una lingua diversa dalla madrelingua della paziente potrebbe influenzarne la valutazione e l’accuratezza dei risultati. Dalle informazioni fornite emerge chiaramente che, per ottenere una raccolta dati completa sulle condizioni delle pazienti, è essenziale utilizzare strumenti di indagine appositamente sviluppati per affrontare le specifiche sfide e caratteristiche delle ragazze affette dalla Sindrome di Rett Attualmente, infatti, sono disponibili pochi strumenti adeguati a misurare gli aspetti cognitivi e comportamentali e pochissimi sono stati validati specificatamente per la Sindrome di Rett.

Grafico 5 - Distribuzione della gravità della Sindrome di Rett.

  Gravità lieve  Gravità moderata  Gravità elevata

Grafico 5 - Distribuzione della gravità della Sindrome di Rett.

  

INDICE

CAPITOLO 3 - PRESENTAZIONE DEL CASO CLINICO

ANAMNESI PERSONALE

Dagli studi fino ad ora attenzionati è possibile affermare che la Sindrome di Rett purtroppo non è semplice da diagnosticare. La ragione di ciò risiede nel fatto che i sintomi iniziali e i segni clinici distintivi della malattia non emergono prontamente nelle pazienti colpite. Inoltre, una delle peculiarità della Sindrome è rappresentata da una storia gestazionale completamente normale, almeno per quanto riguarda la forma classica. Nel caso clinico di riferimento di questo elaborato di tesi verrà attenzionata la storia di Delia, la quale si discosta dal decorso della forma classica.

Delia è nata dopo una gravidanza prolungata di 41 settimane con il peso di 3.180 grammi, da genitori non consanguinei. La durata fisiologica di una gravidanza dovrebbe essere compresa tra le 38 e le 40 settimane; una nascita che non rispecchia questo lasso di tempo potrebbe fare riferimento alla prematurità o ai cosiddetti “neonati late-term” (nati tra la 41° e la 42° settimana di gestazione) o “post-term” (nati dopo la 42° settimana di gestazione) ed in questi casi le possibilità di andare incontro a complicazioni purtroppo aumentano. Delia risulta essere la primogenita, anche se prima di lei la madre dovette affrontare due aborti a causa della trombofilia congenita53 della quale risulta essere portatrice. Tuttavia, successivamente alla nascita di Delia, è nato un fratellino in perfetta salute.

Figura 12 - Albero genealogico rappresentativo della discendenza ed ereditarietà di Delia.

Figura 12 - Albero genealogico rappresentativo della discendenza ed ereditarietà di Delia.

Durante l’epoca gestazionale la bambina presentava movimenti attivi fetali (MAF) ridotti, e questo è da considerarsi un campanello d’allarme perché è importante che il feto mostri un'adeguata attività motoria, in quanto il movimento in epoca prenatale è indice di benessere. Fisiologicamente questi movimenti fetali vengono percepiti dalla mamma dalla 18° settimana di gestazione alla 25° circa, diventando sempre più evidenti man mano che la gravidanza progredisce. Chiaramente la frequenza e la tipologia dei MAF possono variare ogni giorno, ma vanno assolutamente monitorati perché la loro assenza, il loro arresto o la loro diminuzione significativa potrebbe essere un segnale di allarme e richiedere assistenza medica immediata. La gravidanza venne poi complicata da una colica renale della madre riscontrata durante l’ottavo mese, che venne trattata con Cardioaspirina e Seleparina fino al parto, farmaci utilizzati per gestire la trombosi venosa profonda (DVT) della madre. Il parto fu distocico, a causa della presenza di liquido amniotico tinto di meconio (il primo materiale fecale prodotto dal feto), che rappresenta l’indice di un possibile stress fetale. Alla nascita, l’Indice di Apgar54 riferì un punteggio pari a 9 al primo minuto di vita e un punteggio pari a 10 al quinto minuto, valori assolutamente ottimali e fisiologici. Al momento della nascita Delia non presentava particolari dismorfismi corporei, se non un impianto auricolare basso, orecchie ruotate posteriormente con i lobi auricolari rivolti verso l’alto, bocca e mento piccoli e un incostante strabismo convergente dell’occhio destro. Venne riconosciuto già nei primi mesi di vita di Delia una tipologia di pianto scarsamente consolabile e facile irritabilità, nonché un ritardo nell’acquisizione delle prime tappe di sviluppo toniche-posturali, la bambina infatti ha iniziato a reggere il capo a 6 mesi (fisiologicamente questo controllo dovrebbe avvenire intorno ai 3-4 mesi) e ha raggiunto il parziale controllo della posizione seduta a 7 mesi. A 8 mesi il suo quadro clinico era caratterizzato da:

  • Grave ipotonia a tronco e arti.
  • Riflessi arcaici assenti.
  • ROT (riflessi osteotendinei) lenti all’elicitazione.
  • Riflessi di difesa assenti in tutte le direzioni.
  • Non portava alla bocca nessun oggetto.
  • Assente il rotolamento.
  • Incapacità nel passare autonomamente dalla posizione supina a quella seduta, ma se sostenuta riusciva a mantenere la stazione seduta controllando tronco e capo.
  • In posizione prova riusciva a ruotare la testa da entrambi i lati ma senza sollevare il tronco.
  • Alimentazione tramite esclusivamente l’allattamento materno.
  • Relazioni sociali esclusivamente con i genitori.

Furono questi campanelli d’allarme a far iniziare un trattamento fisioterapico con cadenza bisettimanale. Già dopo solamente 4 mesi i risultati ottenuti furono più che positivi, finalmente Delia infatti ad 1 anno poté:

  • Eseguire il rotolamento verso destra e verso sinistra.
  • Eseguire il pivot (movimento rotatorio o di sollevamento) in posizione prona verso destra e verso sinistra.
  • Raggiungere la posizione seduta e mantenerla partendo dalla posizione supina (anche se raramente).
  • Accennare in posizione prona, con l’aiuto degli arti inferiori, lo strisciamento ma senza sollevare il capo.
  • Prendersi i piedini con le mani.
  • Iniziare a relazionarsi anche con altri parenti, nonostante il linguaggio comunque inadeguato per l’età.
  • Effettuare lo svezzamento.
  • Comparirono i primi segni di reazioni di difesa lateralmente.

Sulla base di questi progressi, seguì il mese successivo una visita fisiatrica con il seguente esito: “la relazione appare sufficientemente adeguata ma poco indipendente nell’esplorazione dello spazio; dalla posizione supina rotola fino a quella prona ma non ha acquisito a pieno la posizione e la locomozione quadrupedica; la posizione seduta, seppur sufficientemente mantenuta, è a rischio di caduta all’indietro per la mancanza di reazioni di balance; si apprezza una consistenza pastosa della muscolatura degli arti inferiori e superiori, ipersensibilità articolare distale e ipotonia con ipoevocabilità OT”.

Delia ad 11 mesi è stata poi ricoverata per accertamenti in ospedale per una settimana. L’esame neurologico effettuato durante la degenza ha confermato infatti il ritardo nell’acquisizione delle tappe di sviluppo e la presenza di ipotonia. Durante il ricovero è stata anche sottoposta ad esami strumentali, quali elettroencefalogramma, ecografia addominale ed encefalica e valutazione clinica neurologica, risultati tutti nella norma. La risonanza magnetica encefalica mostrò un encefalo in fase di mielinizzazione con la presenza di una dilatazione simmetrica e uniforme dei compartimenti subaracnoidei della volta e della base cerebrale, specie in sede temporo-polare, oltre ad un'alterazione diffusa e sfumata della sostanza bianca periventricolare sottocorticale in entrambi gli emisferi e venne notata anche una sottile stria a contenuto liquorale che dalla sostanza bianca periventricolare posteriore destra si portava con andamento serpiginoso in prossimità delle circonvoluzioni occipitali (da rivalutare a mielinizzazione completa). Durante la degenza erano inoltre emersi un aumento del lattato, del colesterolo, dell’alanina al dosaggio degli amminoacidi plasmatici e un aumento degli acidi piruvico, lattato, fumarico e adipico al dosaggio degli acidi organici urinari, successivamente ridotti progressivamente. Fu notata anche una lieve riduzione della IgA, le immunoglobuline che svolgono un ruolo critico nella difesa dell’organismo contro le infezioni batteriche e virali, impedendo agli agenti patogeni di aderire alle cellule epiteliali. Durante la degenza Delia fu sottoposta anche a visita specialistica foniatrica e a videoendoscopia con test di deglutizione, il cui esito fu quello di una deglutizione nei limiti della norma in corso di esame. Sulla base di questi campanelli d’allarme Delia venne poi ricoverata all’età di 17 mesi. Tra le varie valutazioni che vennero effettuate, venne somministrata anche la scala di valutazione CIRS55. Quest’ultima indicò un indice di severità della comorbidità pari a 24/13 e un indice di comorbidità complessa pari a 3; questi punteggi fanno riferimento ad un grado moderato, ovvero una condizione in cui la menomazione interferisce con la normale attività quotidiana. La valutazione indicò inoltre che erano necessarie cure per la bambina ma la prognosi risultò buona. Delia venne subito sottoposta ad esame neurologico, il quale evidenziò:

  • Riflesso del grasping56 palmare inibito.
  • Riflesso del grasping plantare assente.
  • Riflesso di Babinski57 assente.
  • Riflesso rotuleo iporeflesso.
  • Motricità spontanea ipocinetica.
  • Tono muscolare patologico.
  • Trofismo muscolare fisiologico.

A 18 mesi Delia era in grado, in posizione prona, di liberare le vie aeree, sollevare il capo, poggiarsi sulle mani e sugli avambracci; alla manovra alla trazione mostrava un’anticipazione del capo sul tronco; aveva acquisito i passaggi posturali del rotolamento da prono a supino e viceversa e da seduto a prono; la prensione era di tipo palmare o a pinza superiore, riusciva a prendere gli oggetti e a passarseli da una manina all’altra; l’inseguimento oculare era spesso sfuggente; le sue capacità comunicative si limitavano al sorriso intenzionale, ai vocalizzi e alla lallazione. La prima diagnosi che la bambina ricevette, all’età di 19 mesi, fu quella di un ritardo dello sviluppo psicomotorio. Da un referto sempre del medesimo ospedale, facente riferimento ad un esame obiettivo neurologico effettuato all’età di 23 mesi, si afferma che la bambina mostra un contatto oculare, sebbene fugace, accetta volentieri l’interazione e il contatto fisico. L’ipercinesia e gli shift attentivi apparirono frequenti, assente la risposta al nome ma sorrideva al volto ed era presente anticipazione quando veniva presa in braccio. Erano presenti stereotipie manuali di tipo hand play subcontinue e manierismi sovente  su   imitazione,   oltre alla  tendenza  nel  portarsi  le mani  alla  bocca centralizzandole. Il linguaggio risultava essere caratterizzato da vocalizzi frequentissimi e qualche ripetizione bisillabica, talora apparentemente per richiedere qualcosa (diceva “acca” non appena la madre le porgeva la bottiglietta d’acqua e mostrava contentezza). Si evinceva inoltre anche una scarsa percezione del dolore, l’assenza di clono e del segno di Babinski, mentre invece i ROT apparirono sporadicamente elicitabili agli AAII e ipoelicitabili agli AASS. Sempre intorno ai 2 anni di età iniziarono a svilupparsi anche disturbi del sonno notturno, in particolare con difficoltà nell’addormentamento (che poteva richiedere anche 2/3 ore), il sonno appariva agitato con una movimentazione continua e lamentosità ogni circa 2 ore, viceversa vi era la tendenza a dormire molto durante la mattina. Infatti, non risultano purtroppo essere rare le alterazioni del ritmo circadiano sonno-veglia nelle bambine con Sindrome di Rett. A 23 mesi venne anche sottoposta alla somministrazione della scala di sviluppo psicomotorio Brunet-Lezine58, dalla quale si è evinto un funzionamento cognitivo che segue le potenzialità senso-motorie delle reazioni circolatorie terziarie. Solamente all’età di 26 mesi a Delia venne poi diagnosticata la Sindrome di Rett, sempre grazie alle valutazioni effettuate a Genova: l’analisi molecolare del gene MECP2 risultò positiva nella variante C.880 C>T, la quale determina la presenza di un codone di STOP in posizione 294 del trascritto genetico. In altre parole, l’indagine genetica eseguita per la diagnosi ha evidenziato la sostituzione del nucleotide C con il nucleotide T in posizione 880 della sequenza codificante del gene MECP2 allo stato eterozigote. Questa specifica variante della quale Delia è portatrice è riportata nel registro internazionale delle mutazioni pubblicate in letteratura in associazione con Sindrome di Rett e determina l’introduzione di un sito di STOP prematuro nel trascritto (precisamente in posizione 294) e la formazione di una proteina alterata. Si tratta di una variante con origine de novo. Sulla base di questa raccolta di dati anamnestici è possibile affermare che il quadro evolutivo descritto e molte caratteristiche neuropsicomotorie della bambina appaiono atipiche per un quadro di Sindrome di Rett classico, motivo per il quale si restò comunque in attesa dell’esame genetico per diagnosticare la presenza di un’eventuale encefalopatia ad esordio precoce, ipotesi che poi venne scartata. Durante questo periodo di esami e valutazioni venne somministrato anche un test di deglutizione, il quale risultò positivo per una lieve disfagia orale associata ad una deglutizione infantile caratterizzata da spinte linguali interdentali. In particolare, Delia manifestava eccessiva lentezza nell’assunzione del pasto (circa 1 ora di tempo), erano presenti occasionali difficoltà nella deglutizione di liquidi e scarsa masticazione del bolo alimentare, solamente qualche episodio saltuario di colpi di tosse durante il pasto, mostrava particolare ipersensibilità verso alcuni cibi cremosi (soprattutto i formaggi) e la masticazione doveva essere stimolata mediante attività specifica. Il referto in questione consigliava infatti di avviare un training masticatorio finalizzato ad una più corretta gestione del bolo in fase orale e faringea, con riduzione progressiva dell’ipersensibilità verso alcune consistenze specifiche. Due mesi dopo venne effettuato anche un esame elettroencefalografico (procedura utilizzata per monitorare l’attività elettrica cerebrale), il quale evidenziò, durante la fase del sonno, un’attività di base costituita da un ritmo complesso nel range di frequenza di 6-8 Hz frammisto a fasi di ritmi più lenti. Erano presenti gli elementi fisiologici del sonno, come le onde al vertice e l’attività fusale, ma per la prima volta si notò anche la comparsa di grafoelementi aguzzi (complessi punta-onda sincroni ed asincroni) sulle regioni occipitali e temporali di entrambi gli emisferi. Questi picchi possono avere varie cause, tra cui attività epilettica o altre anomalie dell'attività cerebrale; come già descritto infatti non è raro purtroppo riscontrare convulsioni o crisi epilettiche in pazienti RTT.

Figura 13a - Tracciato EEG di Delia che mostra la comparsa di grafoelementi cerebrali anomali.

Figura 13a - Tracciato EEG di Delia che mostra la comparsa di grafoelementi cerebrali anomali.

Figura 13b - Tracciato EEG di Delia che mostra la comparsa di grafoelementi cerebrali anomali.

Figura 13b - Tracciato EEG di Delia che mostra la comparsa di grafoelementi cerebrali anomali.

Furono questi i segni e i sintomi che spinsero i genitori a procedere con ulteriori accertamenti, e Delia venne sottoposta ad analisi SNG59 per epilessie. Questa valutazione evidenziò la presenza di eterozigosi per due varianti potenzialmente patogenetiche che potrebbero correlare, e dunque spiegare, le anomalie elettroencefalografiche:

  • Variante Missense c.889 G>A del gene MTOR.
  • Variante Missense c.2357°>C del gene ADGRV1.

Successivamente, a distanza di 21 mesi dalla prima ed unica valutazione CIRS fino a quel momento effettuata, venne nuovamente somministrata, al fine di monitorare l’evoluzione del quadro clinico. Delia a quel punto aveva 38 mesi e i punteggi finali della valutazione furono diversi: l’indice di severità della comorbidità risultò essere di 25/13 e l’indice di comorbidità complessa pari a 2. Questi valori corrispondono ad un grado lieve, nel quale la menomazione non interferisce con la normale attività quotidiana, non sempre sono richieste cure e la prognosi risultava essere positiva. Questa stessa valutazione venne poi ripetuta a distanza di ulteriori 10 mesi, ma purtroppo i risultati che ne derivarono non furono positivi come la volta precedente. Nel dettaglio: l’indice di severità della comorbidità fu pari a 28/13, l’indice di comorbidità complessa fu pari a 4. Questi punteggi risultano compatibili con un grado grave, nel quale la menomazione è invalidante per le attività della vita quotidiana, le cure sono urgenti e la prognosi è incerta. Risulta interessante sottolineare che vi sono stati degli elementi comuni in queste 3 valutazioni effettuate con la scala CIRS: l’items 11 (facente riferimento a caratteristiche cutanee e muscolo-scheletriche), l’items 12 (facente riferimento a caratteristiche neurologiche, escluse le demenze) e l’items 14 (facente riferimento a caratteristiche cognitive, psichiatriche e comportamentali) vennero sempre valutati con un punteggio di 4/5; è possibile quindi affermare che nei primi quattro anni di vita Delia ha mantenuto costante lo stato di queste specifiche aree. All’età di 3 anni e 3 mesi fu condotta anche una valutazione e un prelievo per sospetta Sindrome di Ehlers-Danlos60, che però venne subito scartata. All’età di 4 anni Delia viene poi sottoposta a visita fisiatrica, con il seguente esito: la bambina all’esame clinico funzionale presenta attività motoria ai quattro arti, a volte in modo scoordinato e stereotipato, con iperlassità legamentosa ed ipotonia generalizzata. Delia non presentava linguaggio, non emetteva suoni, non raggiungeva la postura eretta sulle ginocchia, con le quali però si sposta autonomamente senza difficoltà, sia gattonando che con il tronco eretto. È impossibilitata nel mantenimento della postura eretta sui piedi per via del marcato recurvatum delle ginocchia e l’estensione dell’articolazione tibio-tarsica, come se non riconoscesse l’utilità e la presenza di gambe e piedi. Il referto in questione proponeva l’utilizzo di ausili theratogs61 per il tronco e per gli arti inferiori, in associazione ad un tutore AFO62 con rialzo sul tallone per compensare il recurvatum e favorire la postura eretta. Contestualmente Delia inizia anche ad assumere il Nopron63 5 ml la sera al fine di gestire con meno difficoltà la fase dell’addormentamento e del sonno. Pochi mesi dopo Delia venne nuovamente sottoposta a risonanza magnetica nucleare ad encefalo e midollo, con il seguente esito: “riscontrato un modico ampliamento degli spazi liquorali a livello fronto-temporale bilateralmente; la focale ectasia degli spazi perivascolari a sede parietale posteriore destra appare immodificata rispetto al precedente esame. È stata riscontrata anche una sfumata tenue iperintensità di segnale della sostanza bianca periventricolare posteriore, da riferire ad aree di residua mielinizzazione terminale. Presente anche iperintensità di segnale di significato flogistico ai seni mascellari e alle mastoidi bilateralmente”. Lo sviluppo di Delia proseguì costante per l’anno seguente, finché purtroppo all’età di 4 anni e 9 mesi affrontò il suo primo episodio critico tonico-clonico generalizzato, della durata <1 minuto a risoluzione spontanea. Dopo qualche ora dall’evento comparirono anche episodi a cluster della durata di circa 30 secondi caratterizzati da mioclonie dell’emilato destro, fissità dello sguardo e perdita di contatto con l’ambiente. Risultò doveroso a quel punto, iniziare anche un trattamento in grado di prevenire altri eventuali attacchi epilettici, ed è per questo che Delia iniziò ad assumere Carbamazepina64 s.o. al dosaggio di 50 mg x 2v/die (6.3 mg/kg/die). Inoltre, sempre in questo periodo e a distanza di 8 mesi dalla precedente, Delia venne poi sottoposta ad una nuova visita fisiatrica. Questa, confermò l’instabilità posturale, la marcata lassità legamentosa e l’ipotonia muscolare già precedentemente diagnosticate. In aggiunta poi, tramite radiografia al bacino e alle anche, si notò anche un lieve slivellamento bilaterale della linea di Shenton65, specie a sinistra, e un aumento dell’angolo cervico-diafisario da entrambi gli emilati. Gli angoli acetabolari e i nuclei di ossificazione cefalici apparvero invece regolari e centrati nelle cavità acetabolari, con regolare profilo ipofisiario.

All’età di 5 anni Delia si trovava ad utilizzare già diversi presidi sanitari, al fine di gestire meglio le complicanze muscolo-scheletriche, tra cui:

  • Tutore gamba-piede a valva destra e sinistra.
  • Cuscinetto di contenzione.
  • Rivestimento morbido interno.
  • Calzature ortopediche.
  • Ortesi plantare in calco con sostegno della volta longitudinale, avvolgente sovramalleolare, con l’aggiunta di 7 mm di rialzo per entrambi i talloni.

Grazie all’utilizzo di questi ausili, è stato possibile notare diversi miglioramenti. Da un referto emesso 8 mesi dopo l’aver introdotto l’utilizzo di questi strumenti, si attestò infatti che la bambina aveva compiuto progressi consistenti soprattutto nell’utilizzo del deambulatore “Grillo”66 in maniera autonoma ed attenta. Tuttavia, oltre all’ipotonia e all’iperlassità legamentosa che comunque permanevano, il tendine d’Achille risultò accorciato bilateralmente. Tramite l’utilizzo di sistemi di stabilizzazione si riuscì poi ad assestare il tendine arrivando a 90° stabilizzando il retropiede.

Figura 14 (sinistra) - Tutori AFO e calzature ortopediche attualmente utilizzati da Delia per il mantenimento della stazione eretta.

Figura 14 (sinistra) - Tutori AFO e calzature ortopediche attualmente utilizzati da Delia per il mantenimento della stazione eretta.

Figura 15 (destra) - Deambulatore “Grillo” attualmente utilizzato da Delia per i suoi spostamenti.

Figura 15 (destra) - Deambulatore “Grillo” attualmente utilizzato da Delia per i suoi spostamenti.

Purtroppo, all’età di 5 anni e 9 mesi, il suo quadro clinico venne ulteriormente compromesso dall’esito negativo di una consulenza reumatologica pediatrica, eseguita in regime di day-hospital presso il medesimo centro ospedaliero nell’ambulatorio di malattie metaboliche: un’ecografia addominale documentò la presenza di microspot iperecogeni (aree all'interno di un'immagine ecografica che appaiono più luminose rispetto ai tessuti circostanti) a sede pielica e l’assenza di dilatazione calico-pielica da entrambi i lati. Gli esami ematochimici di supporto mostrarono la presenza di un’anemia iporigenerativa normocitica67 e lieve leucopenia con neutrofilia relativa68, nonché un marcato aumento degli indici di flogosi69. Questi segni clinici risultarono compatibili con la diagnosi di una patologia autoimmune, ovvero la Sindrome da Attivazione Macrofagica (SAM), nota anche come Emofagocitica Linfocitaria (HLH). È una rara e grave condizione medica che coinvolge un'attivazione eccessiva e disfunzionale dei macrofagi, la tipologia di globuli bianchi responsabili della distruzione delle cellule infettate e del controllo dell'infiammazione. Se ne riconosce una forma primaria o congenita e una secondaria o acquisita. Tra i sintomi più comuni che comporta si riconoscono: febbre persistente ad alta temperatura, ingrossamento della milza e del fegato, anemia, trombocitopenia, alterazioni neurologiche come irritabilità o convulsioni, insufficienza multiorgano, emorragie e ictus. Il trattamento della SAM di solito comporta l'uso di farmaci immunosoppressori, corticosteroidi e chemioterapici per sopprimere l'infiammazione e normalizzare la risposta immunitaria. In alcuni casi gravi, potrebbe essere necessario un trapianto di midollo osseo per correggere la disfunzione del sistema immunitario. La prognosi varia a seconda della gravità e della risposta al trattamento, ma è importante diagnosticare e trattare precocemente la SAM per migliorare le probabilità di successo terapeutico.

Grazie agli interventi fisioterapico e neuropsicomotorio precoci ai quali Delia è stata sottoposta, i successivi 2 anni sono progrediti in maniera costante senza particolari problematiche. Allo stato attuale, Delia ha 8 anni e presenta delle condizioni generali discrete, la sua facies è stata descritta “di aspetto Cushingoide” (facendo riferimento alle caratteristiche fenotipiche della Sindrome di Cushing70) con micrograzia, ipotonia generalizzata e stereotipie manuali frequenti. Ha acquisito il controllo della stazione seduta e parzialmente anche quello della stazione eretta (se posizionata mantiene la postura eretta anche per diversi minuti consecutivamente) ma non la deambulazione autonoma. L’aggancio visivo permane scarso e dal punto di vista della produzione verbale si riconoscono solo gorgheggi privi di senso compito. Tuttavia, Delia riesce comunque a comunicare attraverso la mimica facciale i propri stati d’animo ed è anche in grado di compiere una scelta tra due stimoli target, qualora le vengano messi di fronte, allungando le mani verso quello da lei preferito o manifestando un contatto visivo più prolungato. Inoltre, è importante specificare anche che durante la valutazione della commissione medica per l’accertamento dell’handicap, alla piccola è stata riconosciuta una condizione di disabilità intellettiva di grado moderato.

 

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CERTIFICAZIONE DELLA DISABILITÀ

Nella legge 104 del 1992, articolo 3 comma 1, il concetto di handicap si riferisce al grado effettivo di partecipazione sociale della persona, facendo riferimento a difficoltà soggettive, oggettive, sociali e culturali. La definizione di persona con handicap si riferisce a chi presenta una limitazione fisica, psichica o sensoriale, che può essere stabile o progredire nel tempo. Questa limitazione causa difficoltà nell'apprendimento, nelle relazioni o nell'integrazione lavorativa, portando a un processo di svantaggio sociale ed emarginazione. La valutazione dell'handicap, a differenza di quella per l'invalidità civile, si basa su criteri medico-sociali anziché su criteri medico-legali o percentuali. La Legge 104 prevede inoltre una condizione aggiuntiva chiamata "handicap in situazione di gravità" (articolo 3 comma 3). Questo stato si verifica quando la limitazione, sia essa singola o multipla, ha ridotto l'autonomia personale in modo tale da richiedere un intervento assistenziale permanente, continuo e completo, sia nella sfera individuale che in quella relazionale, in relazione all'età del soggetto. È importante sottolineare che non esiste una correlazione automatica tra una percentuale del 100% di invalidità e la certificazione di handicap grave. Allo stesso modo, una persona con una percentuale di invalidità inferiore al 100% potrebbe comunque ricevere la certificazione di handicap grave. La certificazione di disabilità costituisce la base per l'assegnazione di misure di sostegno e integrazione agli studenti con disabilità. La valutazione non si limita alla percentuale di invalidità, ma tiene conto di diversi criteri medico-sociali per determinare il grado di handicap e la necessità di supporto. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23/02/2006 numero 185, Regolamento recante modalità e criteri per l’individuazione dell’alunno come soggetto in situazione di handicap, ai sensi dell’articolo 35 comma 7, della legge 27 dicembre 2002 numero 289, all’art. 1 individua per la certificazione dell’alunno con disabilità un organismo collegiale appartenente al Servizio Sanitario Nazionale. È rilevante notare l'articolo 2 del DPCM menzionato, che stabilisce che le diagnosi funzionali dovrebbero essere effettuate in conformità con le classificazioni internazionali dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Queste classificazioni non solo devono identificare la patologia in questione, ma anche valutare e segnalare la possibile gravità particolare della condizione. Nel caso specifico di Delia, la commissione medica che esaminò il suo caso clinico espresse un giudizio conclusivo unanime riconoscendo l’interessato come portatore di handicap in situazione di gravità (art. 3 comma 3). Ai requisiti dell’articolo 4 del Decreto Legislativo del 09/02/2012 n.5 Delia è stata ritenuta invalida con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta (articolo 381 del DPR numero 495 del 1992). La Legge 104/1992, nota anche come "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate", è una legge italiana che stabilisce una serie di diritti e benefici per le persone con disabilità e le loro famiglie. Questa legge è stata promulgata con l'obiettivo di garantire un sostegno adeguato alle persone con disabilità e di promuovere la loro piena partecipazione nella società, e con il corso del tempo è stata integrata ad altre normative per migliorare i diritti e il supporto alle persone con disabilità in Italia. Di seguito sono elencati alcuni dei principali aspetti della Legge 104:

  • Riconoscimento della  disabilità:  la  Legge  stabilisce  criteri  per  il riconoscimento della disabilità e definisce le categorie di disabilità, come disabilità motorie, sensoriali, intellettive o psichiche.
  • Assistenza domiciliare: la Legge prevede misure per favorire l'assistenza domiciliare delle persone con disabilità, consentendo loro di vivere il più possibile nelle proprie case e ricevere assistenza adeguata.
  • Congedi e permessi: la Legge prevede congedi retribuiti e permessi speciali per i familiari che si occupano di persone con disabilità, consentendo loro di assistere il loro congiunto senza dover rinunciare al lavoro.
  • Benefici fiscali: la Legge prevede alcuni benefici fiscali per le famiglie con disabilità a carico, come deduzioni fiscali e agevolazioni.
  • Prestazioni sanitarie:  la  Legge  prevede  l'accesso  a  servizi  sanitari specializzati e prestazioni mediche gratuite o scontate per le persone con disabilità.
  • Educazione e formazione: la Legge 104 garantisce l'accesso all'istruzione inclusiva per i bambini con disabilità, nonché l'accesso a programmi di formazione e riabilitazione.
  • Inserimento lavorativo: la Legge promuove l'inserimento lavorativo delle persone con disabilità attraverso quote di assunzione obbligatorie per le aziende.
  • Trasporti pubblici: la Legge fornisce agevolazioni per il trasporto pubblico a persone con disabilità.
  • Agevolazioni per l'acquisto di attrezzature: la Legge prevede sconti e agevolazioni per l'acquisto di attrezzature e ausili necessari alle persone con disabilità.
  • Accessibilità: la Legge promuove l'accessibilità fisica degli edifici e dei mezzi di trasporto pubblici per garantire l'accesso alle persone con disabilità.

 

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DIAGNOSI FUNZIONALE

Una diagnosi funzionale è una descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psico-fisico dell'alunno in situazione di handicap, come definita nel D.P.R. del 24/02/1994. Si tratta di un documento che espone in dettaglio le modalità di funzionamento delle abilità del soggetto oggetto dell'analisi. Queste informazioni vengono poi sintetizzate all'interno di un "quadro" psicologico-funzionale, il quale permette di comprendere l'ambito della patologia riscontrata al momento della valutazione. La diagnosi funzionale emerge come uno strumento informativo che, partendo dalla menomazione e dai suoi impatti sul soggetto, si propone di identificare:

  • L’insieme delle disabilità e delle difficoltà derivanti dalla menomazione o influenzate da modelli ed atteggiamenti culturali e sociali.
  • La panoramica delle capacità, con particolare riguardo alla recuperabilità, ai residui funzionali, ai settori vicarianti.
  • Una prospettiva di tipo evolutivo che metta in rilievo le potenzialità evolutive per ciascun soggetto, previsione di notevole importanza per il successivo intervento educativo.

La diagnosi funzionale è organizzata in diverse aree, al fine di analizzare in modo dettagliato la relazione tra la menomazione e i seguenti aspetti del comportamento complessivo del soggetto:

  • Cognitivo: valutato in termini di livello di sviluppo raggiunto e capacità di integrazione delle competenze.
  • Affettivo-relazionale: valutato in termini di autostima e rapporto con gli altri.
  • Linguistico: valutato nelle componenti di comprensione, produzione e utilizzo di linguaggi alternativi.
  • Sensoriale: valutato nelle componenti di tipo e grado di deficit, con particolare attenzione alla vista, all'udito e al tatto.
  • Motorio-prassico: valutato nelle componenti di motricità globale e fine.
  • Autonomia personale e sociale.
  • Neuro-psicologico: esaminato nelle componenti: memoria, attenzione e organizzazione spazio-temporale.

La diagnosi funzionale è effettuata da un'unità multidisciplinare composta da diversi professionisti. Questa squadra include il medico specialista nella specifica patologia segnalata, uno specialista in neuropsichiatria infantile, un terapista della riabilitazione e operatori sociali impiegati presso l'A.S.L. o in regime di convenzione con essa. La diagnosi funzionale viene formulata quando il soggetto in situazione di handicap accede alla struttura sanitaria per beneficiare degli interventi previsti dagli articoli 12 e 13 della Legge 104/92. Questa diagnosi sarà presentata all'inizio dell'anno scolastico durante un incontro interprofessionale. Questo incontro è convocato e presieduto direttamente dal Capo dell'Istituto o da un suo delegato. Partecipano all'incontro tutti gli operatori coinvolti nel progetto di inclusione, tra cui insegnanti di classe e di sostegno, insegnante psicopedagogista, operatori dell'équipe e i genitori dell'alunno in situazione di handicap (conformemente a quanto previsto dal C.M.258/83). La diagnosi funzionale svolge un ruolo cruciale nel comprendere i processi di apprendimento e adattamento utilizzati da persone con problemi cognitivi e relazionali. Questa diagnosi fornisce informazioni dettagliate sulle strategie impiegate, sulle abilità residue o compromesse, sulle potenzialità e sui livelli di sviluppo degli individui interessati. Oltre alla sua finalità descrittiva e analitica delle sfide evidenti, la diagnosi funzionale dovrebbe anche cercare di interpretare le cause sottostanti che hanno contribuito a tali difficoltà, e che possono continuare a influenzarle. L'aspetto analitico e descrittivo della diagnosi dovrebbe pertanto essere integrato in uno sforzo interpretativo ed eziologico. Questa comprensione più profonda è fondamentale per la formulazione di una programmazione didattico-educativa mirata e personalizzata, una responsabilità che ricade sulla scuola. Il documento, in ottemperanza alla normativa vigente sul segreto professionale per gli operatori e sul consenso informato per gli utenti, si propone come obiettivo primario la conoscenza approfondita e completa dell'alunno in difficoltà da parte dei Servizi Territoriali. Questa conoscenza deve essere funzionale in senso estensivo, ossia deve contribuire concretamente e quotidianamente alla realizzazione di attività didattiche ed educative adeguate, significative ed efficaci. In sintesi, la Diagnosi Funzionale dovrebbe fornire, attraverso l'utilizzo di un linguaggio condiviso tra le diverse figure professionali, un quadro clinico in grado di guidare eventuali decisioni riabilitative, terapeutiche, educative e didattiche. Nel dettaglio, per quanto riguarda il caso clinico di riferimento, dalle valutazioni effettuate durante i primi anni di vita della piccola, le varie diagnosi funzionali hanno descritto un quadro clinico caratterizzato da:

  • Ipotonia assiale e appendicolare.
  • Lassità legamentosa.
  • Carenti reazioni di paracadute anteriore e laterale.
  • Riflessi osteotendinei ipoelicitabili.
  • Assente lo strisciamento.
  • Parziale il rotolamento.
  • Capacità di mantenere la stazione seduta ed eretta con sostegno.
  • Capacità di assumere la posizione quadrupedica a partire dalla posizione prona e spostarsi sulle ginocchia.
  • Motricità spontanea ipocinetica e afinalistica.
  • Aggancio visivo ed orientamento dello sguardo presenti ed utilizzati ai fini sociocomunicativi ma incostanti.
  • Capacità di prensione degli oggetti con entrambe le mani portandoli in linea mediana, anche se con difficoltà ad attivare un approccio conoscitivo delle caratteristiche funzionali o strutturali.
  • Difficoltosa ma possibile tramite guida l’utilizzo degli oggetti in maniera funzionale tramite prensione.
  • Assenza di linguaggio verbale ma vocalizzi in emergenza.
  • Incapacità nel rispondere ai comandi vocali.
  • Deficit delle abilità di decodifica.
  • Stereotipie motorie.
  • Agiti autolesionistici (morsi alle mani).
  • Bruxismo.
  • Difficoltà nel sonno.

AREA DELL’APPRENDIMENTO: il livello generale di funzionamento cognitivo di Delia è influenzato da comportamenti di dispersione dell’attenzione selettiva sostenuta e da stereotipie motorie (specialmente clapping, hand-mouthing, bruxismo, morsi alle mani) e stereotipie foniche. Il suo livello di sviluppo generale è assimilabile allo stadio sensomotorio. La sua evoluzione nella Sindrome è atipica: Delia non ha mai presentato la classica regressione della Sindrome di Rett tipica. La bambina mostra un potenziale di apprendimento medio. Gli indici che avvalorano il potenziale sono la capacità di prestare attenzione selettiva, la capacità di effettuare discriminazioni specifiche, la capacità di scelta attraverso l’atto motorio e le abilità mnestiche che le permettono di riconoscere ed essere consapevole dei luoghi e degli ambienti in cui è stata. Non risultano essere altrettanto sviluppate la capacità di discriminazione dei concetti temporali e topologici, le abilità grafo-motorie, le abilità prassiche e manipolative e la percezione dello schema corporeo. Delia è in grado di identificare, su richiesta, alcuni oggetti, purché la discriminazione avvenga sulla base di soli due input, e comunque tramite l’aiuto del genitore o del terapista che faciliti la canalizzazione dell’attenzione e lo sguardo.

AREA SENSORIALE: le funzionalità uditiva, visiva e tattile risultano rispettare i range di normalità. Tuttavia, Delia presenta ipersensibilità sia a livello uditivo che visivo, infatti i suoi livelli di arousal sono molto alti, e questo influisce sull’ipersensibilità. Delia è in grado di andare alla ricerca di un oggetto qualora questo scomparisse dal suo campo visivo e percettivo, e di seguire con lo sguardo il suo spostamento nello spazio.

AREA EMOTIVO-AFFETTIVA: nel contesto sociale Delia presenta il contatto oculare sia spontaneo che su richiesta, ma in modo discontinuo e fugace. Mostra un tipo di affettività estroflessiva ma i rapporti interpersonali risultano essere superficiali. La bambina, infatti, pur non manifestando difficoltà relative alla presenza dell’interlocutore, non manifesta né particolari interazioni né il sorriso sociale, nemmeno a seguito di stimolazioni di natura affettiva. A causa dei continui sbalzi d’umore può manifestare isolamento. Spesso il suo tono dell’umore appare soggetto ad improvvise variazioni senza una motivazione oggettivamente significativa. Assente il pointing. Sembra aver automatizzato il pianto come strategia di autostimolazione e rifiuto, che nel tempo si presenta spesso. Delia, infatti, comunica il rifiuto degli stimoli col pianto o con comportamenti autolesionistici, come i morsi alle mani o sbattendo la testa. Riesce a calmarsi tramite il rinforzo alimentare e solo parzialmente con il rinforzo sociale. Riesce invece a comunicare accettazione tramite il sorriso ed eseguendo parziali imitazioni. Gradisce moltissimo le carezze e il contatto corporeo: già durante la scuola materna reagiva positivamente alle coccole dei compagni. Nel corso dei mesi successivi a queste prime valutazioni, furono poi rilevate lievi evoluzioni in merito al versante relazionale: Delia iniziò a mantenere leggermente più a lungo il contatto oculare con l’interlocutore, sebbene sia ancora fugace, e ad esibire il sorriso in risposta a stimolazioni affettive, anche se in maniera incostante. Diventò più frequente la triangolazione di sguardo e aumentò l’interesse per l’ambiente circostante. Iniziò a rispondere al saluto con la mano, a scuotere oggetti sonori per riprodurre il relativo suono e manifestò interesse per la propria immagine riflessa sullo specchio e sembra riconoscerla.

AREA NEUROPSICOLOGICA: Delia presenta livelli di arousal attivati; questa condizione favorisce la capacità di cogliere elementi e stimoli dal mondo esterno. Tuttavia, la sua attenzione selettiva è però intaccata dalla presenza delle stereotipie, che risultano essere molto pervasive, e delle autostimolazioni. Se stimolata, l’attenzione selettiva può essere mantenuta protratta nel tempo. Risultano essere deficitarie anche le sue capacità attentive e di concentrazione, mentre la memoria a lungo termine è abbastanza conservata. Non risultano adeguate né l’attenzione congiunta né l’interazione. Assente il gioco simbolico e scarso l’interesse per l’altro e per l’oggetto, che difficilmente viene esplorato. Si evince un funzionamento cognitivo valutabile come disabilità intellettiva di entità media. Il suo funzionamento cognitivo segue schemi sensomotori delle reazioni circolari terziarie e la causalità appare connessa al senso di efficacia soggettiva. Risultano assenti le abilità neurocognitive di discriminazione e di associazione percettivo-concreta. Relativamente alle funzioni esecutive di tipo imitativo ed associativo, la bambina riesce ad associare soltanto il cerchio, a seguito di insistenti e molteplici dimostrazioni mediante, ad esempio, la tavola degli stampi. Non è in grado di sovrapporre dei cubi tra loro, come per formare una torre. All’età di 4 anni e 10 mesi venne sottoposta a valutazione psicologica mediante l’utilizzo della scala Vineland (Adaptive Behaviour Scales) e tramite questa si evinse un’età mentale corrispondente a quella di una bambina di 12-18 mesi. Il confronto con la popolazione di riferimento evidenziò che tutte e quattro le aree analizzate (comunicazione, abilità quotidiane, socializzazione e abilità motorie) risultarono inferiori alla media. Il confronto tra l’età cronologica e il rendimento ottenuto dalla valutazione mediante scala Vineland ha permesso di ipotizzare una condizione di disabilità intellettiva grave, secondo i criteri del DSM-V, a differenza delle altre valutazioni che invece collocavano il funzionamento cognitivo di Delia all’interno del range delle disabilità intellettive medie.

AREA LINGUISTICA: dal punto di vista della produzione verbale Delia è in grado di imitare il movimento della bocca grazie al prompt fisico “A”. Produce suoni spontanei e vocalizzazioni non finalizzate. Anche se il linguaggio verbale è assente, l’espressività mimico-gestuale risulta essere parzialmente adeguata, così come anche la comprensione. A distanza di circa un anno dall’inizio del trattamento neuropsicomotorio, si riscontrarono notevoli progressi: la produzione di vocalizzi aumentò significativamente e si rilevò anche la produzione di alcune paroline (“De” per “Delia”).

AREA MOTORIA: Delia non presenta la classica regressione prevista dalla forma tipica della Sindrome, bensì uno sviluppo rallentato; sia il controllo del capo che il mantenimento della stazione seduta in autonomia sono state acquisite in ritardo. Inoltre, solamente dopo lo svezzamento è riuscita a sviluppare la stazione eretta e l’utilizzo delle mani. Delia presenta 8 tipi diversi di stereotipie, ma le più frequenti sono quella fonica (come il pianto), il clapping, il bruxismo e l’autolesionismo (come i morsi successivi all’hand-mouthing). Presenta una dominanza laterale destra. Le sue abilità legate alla motricità fine si limitano al toccare gli oggetti con le palme delle mani, senza capacità di trattenerli se non per pochi secondi. Riesce a prendere il cibo con la presa a pinza. Se guidata in maniera direttiva, Delia afferra un oggetto ma non è in grado di manipolarlo al fine di saggiarne le caratteristiche strutturali o funzionali. Possibile ma sporadico il passaggio dell’oggetto da una mano all’altra. Dal punto di vista della motricità grosso-motoria è invece in grado di gattonare e mantenere la posizione da seduta. A tappeto, se stimolata, riesce a rotolare da supina a prona e viceversa su entrambi i lati; non striscia né gattona, solo se sostenuta riesce a mantenere la posizione quadrupedica ma presentando iperestensione dei gomiti. Spesso Delia tende a chiudere la manina sinistra e a sedersi poggiando il sedere sui talloni, accentuando purtroppo la flessione d’anca; questo spiega perché questa posizione va evitata e prevenuta. Dalla posizione seduta riesce a spostarsi con le gambe ruotando su sé stessa per andare a prendere un giochino. Dalla valutazione fisiokinesiterapica effettuata emergono le seguenti caratteristiche:

  • Capo:
    • In decubito prono: iperesteso.
    • In decubito supino: allineato.
    • In posizione seduta: ruotato lievemente a sinistra.
    • In posizione eretta: non valutabile perché non assunta autonomamente.
  • Tronco:
    • In decubito prono: allineato.
    • In decubito supino: allineato.
    • In posizione seduta: allineato.
    • In posizione eretta: non valutabile perché non assunta autonomamente.
  • Arti superiori:
    • In decubito prono: iperestesi.
    • In decubito supino: flessi.
    • In posizione seduta: estesi.
    • In posizione eretta: non valutabili perché non assunta autonomamente.
  • Arti inferiori:
    • In decubito prono: estesi ed extraruotati.
    • In decubito supino: estesi ed extraruotati.
    • In posizione seduta: estesi.
    • In posizione eretta: non valutabili perché non assunta autonomamente.
  • Controllo dell’equilibrio tramite riflessi posturali anticipatori da seduto:
    • Anteriori: parziali.
    • Posteriori: assenti.
    • Laterali sx: parziali.
    • Laterali dx: parziali.
  • Controllo dell’equilibrio tramite risposte posturali reattive da seduto:
    • Anteriori: parziali con reazioni non sufficienti.
    • Posteriori: assenti senza reazioni.
    • Laterali sx: parziali con reazioni non sufficienti.
    • Laterali dx: parziali con reazioni non sufficienti.

VALUTAZIONE R.A.R.S: all’età di 3 anni e 7 mesi Delia fu sottoposta per la prima volta a valutazione mediante la scala standardizzata R.A.R.S. I suoi risultati corrisposero ad un punteggio pari a 83.5, indice di una compromissione grave. Nel dettaglio:

  • Area cognitiva: 20
  • Area sensoriale: 6
  • Area motoria: 10
  • Area delle emozioni: 10.5
  • Area delle autonomie: 15.5
  • Caratteristiche simili alla Sindrome: 4
  • Caratteristiche comportamentali: 15
  • Impressioni generali: 2.5

Grafico 6 - Schema riassuntivo delle varie aree valutate dalla scala R.A.R.S. all’età di 3 anni e 7 mesi.

Grafico 6 - Schema riassuntivo delle varie aree valutate dalla scala R.A.R.S. all’età di 3 anni e 7 mesi.

A distanza di 4 anni e 5 mesi, ovvero all’età di 8 anni, questa valutazione venne ripetuta nuovamente. I risultati ottenuti furono:

  • Area cognitiva: 25
  • Area sensoriale: 7
  • Area motoria:12
  • Area delle emozioni: 10
  • Area delle autonomie: 12
  • Caratteristiche simili alla Sindrome: 9.5
  • Caratteristiche comportamentali: 14.5
  • Impressioni generali: 3

 Grafico 7 - Schema riassuntivo delle varie aree valutate dalla scala R.A.R.S. all’età di 8 anni.

Grafico 7 - Schema riassuntivo delle varie aree valutate dalla scala R.A.R.S. all’età di 8 anni.

Il punteggio totale risulta attualmente essere dunque pari a 93, indice di un livello di compromissione molto grave. Dal confronto di queste due valutazioni, risulta possibile affermare che Delia ha mantenuto uno sviluppo pressoché costante nelle seguenti sezioni: area sensoriale, area delle emozioni, caratteristiche comportamentali e impressioni generali. Il suo quadro clinico è migliorato se si considera l’area delle autonomie, mentre purtroppo l’area cognitiva, l’area motoria e la parte relativa alle caratteristiche simili alla Sindrome sono risultate più compromesse rispetto alla valutazione precedentemente effettuata; d’altronde, sappiamo bene che la regressione e il deterioramento delle capacità precedentemente acquisite è una caratteristica primaria di tale condizione. È doveroso sottolineare che, senza un tempestivo ed ottimale percorso riabilitativo molto probabilmente tali aree sarebbero risultate maggiormente deficitarie e non sarebbe stato possibile mantenere costanti nel tempo questi risultati, proprio perché l’intervento terapeutico precoce in questi casi è impattante e cruciale nel rallentare il decorso.

 

INDICE

TERAPIE, APPROCCI RIABILITATIVI ED OBIETTIVI

Il management ottimale da attuare sarebbe un approccio a 360° di tutte le alterazioni, integrando la fisioterapia, la neuropsicomotricità, la logopedia e la cura nutrizionale. A fronte di una schematicità delle fasi e dei sintomi della patologia, il quadro è abbastanza variegato sia in termini di presenza di sintomi sia in termini di intensità di questi, e in base a queste variabili va adattata la terapia alla paziente. Il terapista, al fine di sviluppare un adeguato programma riabilitativo, deve possedere una conoscenza approfondita dei complessi problemi associati alle quattro fasi della malattia, poiché è a partire da queste che poi diventa possibile delineare i relativi obiettivi di intervento. Data la variabilità di ciascuna fase, vi sono diverse strategie di trattamento che possono essere applicate a seconda del contesto, ognuna delle quali può essere d’aiuto nell’acquisire o nel mantenere un livello d’indipendenza in una determinata area funzionale. È importante tenere presente che il programma d'intervento dovrebbe essere flessibile e continuamente adattato allo stato emotivo della bambina, date le oscillazioni umorali frequenti e il decorso non lineare della patologia. Prima dell’inizio di ogni intervento, il terapista dovrebbe familiarizzare con la paziente ed è sempre consigliabile iniziare con un “breve rituale”, come ad esempio mettere delle canzoncine che facciano da sottofondo al setting terapeutico. Durante la sessione, è opportuno concedere alla bambina il controllo della situazione, permettendole di scegliere la sua attività preferita attraverso un adeguato mezzo di comunicazione, come potrebbe essere lo sguardo. Per una migliore gestione ed organizzazione, gli obiettivi del trattamento vengono distinti in: obiettivi a breve termine (O.B.T.), obiettivi a medio termine (O.M.T.) ed obiettivi a lungo termine (O.L.T.). Ricordando che, in patologie degenerative anche il mantenimento di una capacità può essere un grande risultato, qualora nella storia naturale della malattia quell'abilità può essere persa, gli obiettivi generali e macroscopici da porci:

  • Mantenere un tono muscolare fisiologico.
  • Prevenire o ridurre le deformità articolari.
  • Mantenere o migliorare le capacità motorie.
  • Aumentare, per quanto possibile, o mantenere la resistenza allo sforzo.
  • Migliorare il controllo del tronco e dell’equilibrio: le pazienti spesso perdono la capacità di deambulare ed inevitabilmente la postura più prolungata durante il giorno diventerà quella seduta.
  • Stimolare le reazioni di equilibrio.
  • Minimizzare i disagi della paziente: una paziente con difficoltà a comunicare che passa la maggior parte della giornata seduta, se sviluppasse una piaga da decubito, manifesterà irritabilità, pianto e alterazioni comportamentali.
  • Migliorare, per quanto possibile, l’indipendenza della paziente.

A fronte di una grande variabilità genotipica ci può essere una grande variabilità fenotipica di manifestazioni e intensità dei sintomi anche a carattere multi -sistemico. Quindi, l'approccio che dovrà essere messo in atto sarà globale, con una valutazione che miri a ridurre la disabilità, migliorare le capacità funzionali e globali della paziente, migliorare le autonomie e la sua qualità della vita. Gli interventi che possono essere offerti sono molteplici, possono esserci interventi dal punto di vista: motorio, dell'equilibrio, della mobilità, degli spostamenti, possono essere offerte attività giornaliere, di stimolazione di attività sociali di gruppo che possono favorire un aspetto sociale, di stimolazione sensoriale (visivo, con un testo, con della musica) con vantaggi anche sull'aspetto cognitivo. L'ideale sarebbe che la bambina entri in contatto con un team multidisciplinare formato da più figure di vari settori e competenze e ognuna delle discipline coinvolte può utilizzare i diversi approcci finalizzati al miglioramento della qualità della vita della paziente; quindi, bisognerà fare un quadro globale con tutte le figure, chiaramente confrontandosi con i caregiver, i genitori. Loro avranno un ruolo cruciale nel percorso terapeutico, perché è opportuno stimolare la bambina anche al di fuori del setting terapeutico, per fare in modo che ci sia una coerenza educativa e riabilitativa e aumentare le possibilità di raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il progetto dovrebbe includere due ore al giorno di attività motoria che comprenda passaggi posturali, cammino e postura, con l'obiettivo di ritardare le varie sintomatologie e comorbidità. In generale, le attività che coinvolgono l'aspetto motorio dovrebbero essere intese come attività di benessere, perché le attività che provocano piacere nella paziente saranno più efficaci e motivanti. È importante porsi degli obiettivi ragionevoli, devono essere verosimili, per esempio in una paziente che non ha mai acquisito la capacità di camminare autonomamente o che l’ha già persa, sarebbe poco realistico e fattibile considerare l’abilità del cammino un obiettivo da raggiungere. La natura fluttuante della patologia potrebbe portare a momenti di miglioramenti o peggioramenti fluttuanti nel tempo, i quali inevitabilmente richiedono un riadattamento in termini di intensità o del tipo di attività svolta in terapia. In ogni caso, tra i fattori di rischio più frequenti che purtroppo vanno ad impattare negativamente sul loro sviluppo, ritroviamo la sedentarietà e l'immobilità, ovvero situazioni in cui la paziente si ritrova per circa 2/3 della giornata; inoltre, più grave è il quadro clinico, maggiore sarà il tempo che la paziente passerà sul letto o sulla sedia, quindi con una dipendenza totale dal caregiver o dai genitori. Proprio per questo i comportamenti sedentari sono da evitare e bisogna stimolare le pazienti quanto più possibile; se ci si muove poco è più probabile andare incontro allo sviluppo di complicanze, tra cui soprattutto deformità articolari e retrazioni tendinee. A seconda della fase della patologia possiamo distinguere vari tipi di interventi riabilitativi e conseguenti obiettivi:

  • Prima fase: l'intervento dovrà essere volto a finalizzare l'acquisizione delle tappe dello sviluppo psicomotorio, lo sviluppo delle funzioni della mano, le abilità del gioco e della comunicazione. È importante in questo momento, una volta fatta la diagnosi, tentare di far acquisire la stazione eretta e la deambulazione come tappe dello sviluppo motorio, in quanto rappresenta l'elemento protettivo per evitare perdite di abilità o che comunque aiuta a ritardarle.
  • Seconda fase: in questo stadio la perdita più significativa è rappresentata dalla perdita delle capacità linguistiche e motorie. Di conseguenza, in questo caso l'obiettivo principale sarà quello di inserire la paziente in un programma terapeutico al fine di cercare di mantenere le capacità che possiede in quel momento per più tempo possibile, contrastando il decadimento previsto dal decorso della malattia. In questa fase di cambiamento rapido e caotico potrebbero essere utili tecniche di rilassamento, oltre a ridurre l'intensità del programma terapeutico, perché chiaramente diventa inutile proporre attività intensive proprio durante la fase in cui inevitabilmente si ha la perdita di attività motorie e cognitive, senza considerare il fatto che comunque la paziente non potrà essere nelle condizioni di portarle a termine.
  • Terza fase: in questa fase, la più lunga, si può iniziare a parlare realmente degli obiettivi e dei miglioramenti che ci si può aspettare dalla paziente. È possibile cominciare a parlare ed approcciarci per il possibile sviluppo di deformità, contratture e alterazioni posturali. L'igiene posturale diventa quindi l'obiettivo principale già da questa fase.
  • Quarta fase: è caratterizzata da un peggioramento della deambulazione fino alla perdita della stessa, ammesso che si sia sviluppata. In questi casi le pazienti devono essere in grado di lavorare sui passaggi posturali sia in modalità attiva (cercando di renderle autonome) sia con assistenza. Anche in questa fase bisognerà dedicare la propria attenzione alle progressioni delle deformità ortopediche. Durante questa fase gli obiettivi del trattamento in generale saranno il miglioramento della mobilità, il mantenimento e il miglioramento del ROM articolare, evitare le retrazioni articolari anche tramite la mobilizzazione attiva, passiva e assistita degli arti, il mantenimento della posizione seduta ed eventualmente il mantenimento della stazione eretta o della deambulazione.

Nel momento in cui vengono proposte attività alle ragazze con Sindrome di Rett, bisogna scegliere esercizi che permettano e favoriscano il mantenimento delle abilità acquisite, possibilmente puntando all'abilità successiva. Sarebbe opportuno mettersi di fianco alle pazienti, dal momento in cui spesso utilizzano il campo visivo periferico, non   riuscendo   a  contattare  con   lo   sguardo   l'interlocutore  e  avendo   spesso problematiche visive correlate alla Sindrome. È importante comprendere le capacità della bambina in modo che possa ricevere gli stimoli del contesto circostante, non solo dall'operatore. Si può rendere un ambiente di terapia più stimolante tramite il gioco, la musicoterapia, stimoli sensoriali. La fisioterapia ha dimostrato come in queste pazienti ci sia, dopo il trattamento, una diminuzione dei movimenti stereotipati, un miglioramento delle abilità manuali e di alimentazione, di equilibrio e di cammino e migliora l'interazione con l'ambiente. Inoltre, molti studi dimostrano l'importanza dell'acqua come ambiente di mediazione e di stimolo per queste pazienti , perché permette il miglioramento del controllo motorio nelle situazioni di vita quotidiana (idrokinesiterapia). Si possono proporre degli esercizi di cammino anche aiutati con i supporti su tapis roulant che sostengono il peso del corpo e che possono ricreare un training sul ciclo del passo, con uno sgravio del peso. La musicoterapia invece è considerata una terapia valida non solo per lo stimolo musicale e ritmico che comporta, ma anche per l'attività di rilassamento che può indurre. Sono molti gli studi che hanno dimostrato come l'intervento combinato musicale e fisico abbia permesso di ridurre i tempi di trattamento e di raggiungimento degli obiettivi, che senza uno stimolo uditivo sarebbero stati più lenti e difficoltosi da raggiungere, oltre al fatto che lo stimolo musicale è in grado di ridurre le stereotipie. Altre metodologie valide di trattamento, per esempio, possono riguardare anche l'approccio con gli animali: la pet therapy fornisce una base di approccio comportamentale, nonché una vera e propria attività motoria, dal momento in cui la paziente deve riuscire a stare seduta; quindi, lavorerà sui muscoli estensori e su uno schema motorio diverso per poter restare sul cavallo (un altro esercizio per il rinforzo dei muscoli estensori delle anche e delle ginocchia è lo squatting, che può essere fatto anche parzialmente e progressivamente, controllando la posizione delle rotule con le mani del terapista. Anche gli esercizi di rinforzo della muscolatura del dorso sono importanti e possono essere fatti con profitto e sempre sotto forma di gioco). In questi casi si andrà a lavorare sull'equilibrio, sul miglioramento della posizione seduta, sull'aspetto psicologico, neuropsicologico e neuromotorio (la bambina dovrà lavorare sul proprio baricentro adattandolo a quello del cavallo che si sposta, quindi dovrà mettere in atto un adattamento continuo alla situazione che cambia). Tra i sistemi utilizzati, oltre ai classici, vi sono anche quelli di realtà virtuale aumentata: molti device permettono l'uso di visori della realtà aumentata, i quali danno uno stimolo cognitivo e anche attentivo perché, se un gioco è interessante l'attenzione è maggiore. Esistono anche sistemi di gioco in stanze interattive dove ci si può spostare nell’ambiente con il gioco stesso: esiste ad esempio un tapis roulant basculante che permette di spostarsi nella stanza. Molti studi hanno dimostrato che questi nuovi dispositivi hanno portato nel tempo ad un miglioramento cognitivo, attentivo e anche alla loro motivazione, perché ci si approccia con più interesse essendo stimoli più interattivi. I principali vantaggi in questi casi sono:

  • La possibilità di simulare esercizi in un   ambiente che riproduce  le caratteristiche degli ambienti di vita quotidiana.
  • La stimolazione multisensoriale (visiva, uditiva, tattile...).
  • La possibilità di adattare le difficoltà dei giochi in base alla patologia.

Altri sistemi tecnologici che possono essere utilizzati sono quelli che aiutano la comunicazione, i quali risultano essere specificamente progettati tramite sistemi di collegamento oculari, come nel caso del puntatore visivo. Altre stimolazioni multisensoriali si possono avere dalle stanze progettate per la stimolazione multisensoriale, le quali prevedono appunto stimolazioni uditive, visive e tattili; sono ambienti in cui si può effettuare la terapia e diventano stimolanti dal punto di vista sensoriale e hanno anche un effetto di rilassamento sulle pazienti, ma è chiaro che una stanza del genere può essere utilizzata se la paziente non si distrae o non si agita per via dei molteplici stimoli, altrimenti è meglio evitarle. Queste appena elencate risultano essere le strategie di intervento più efficaci, permettono alla paziente di diminuire le difficoltà che la Sindrome comporta e ad affrontare le limitazioni, ma se chiaramente non sono considerate curative, in quanto non è stata ancora riconosciuta una cura definitiva per la Sindrome di Rett.

L'analisi dei lavori presenti in letteratura sull'intervento nella Sindrome di Rett evidenzia un interessante cambiamento di prospettiva nel tempo. Inizialmente, si è osservato un focus sui training mirati a migliorare specifici pattern comportamentali e comunicativi del soggetto, considerato come un'entità separata dal mondo circostante. Successivamente, c'è stato un graduale spostamento verso training che vedono nell'ambiente circostante al soggetto, e nelle risposte che questo ambiente offre al soggetto, un potente strumento per l'intervento. Negli ultimi tempi, i lavori più recenti si sono concentrati sugli aspetti sociali e relazionali dell'interazione tra individui affetti dalla Sindrome di Rett e i loro partner. L'approccio comportamentale proposto da Smith, Klevstrand e Lovaas nel 1995, basato sui principi del condizionamento operante e incentrato sulla motivazione attraverso ricompense, è stato applicato a tre bambine con RTT, con età compresa tra i 31 e i 37 mesi. Tuttavia, gli esiti di questo intervento non sono stati incoraggianti. Sebbene la prima bambina abbia inizialmente mostrato miglioramenti, passando dalla ripetizione ecolalica di parole senza intento comunicativo all'uso di singole parole con significato, questi risultati non sono stati sostenuti nel tempo. Purtroppo, si è verificato un peggioramento in altre aree, come la capacità di mangiare autonomamente, e una reazione di non recettività verso altre persone. Nel caso delle altre due bambine sottoposte al trattamento comportamentale basato sul condizionamento operante, si riscontrò un aumento di episodi di collera e tensione. Il trattamento in questi casi si caratterizzò per una serie di alti e bassi, con un'attenzione che mostrava un'elevata fluttuazione nel corso del tempo. Alla luce di tali risultati, gli autori giunsero alla conclusione che l'esito più probabile di questi comportamenti nei soggetti fosse il loro mantenimento almeno invariato durante il training. Un ulteriore obiettivo dello studio era quello di esaminare la presenza di correlazioni tra l'apprendimento delle ragazze con la Sindrome di Rett e le stereotipie. Dai risultati si è dedotta una sovraselettività nella RS poiché i pazienti non sono riusciti a discriminare circa 1/3 degli stimoli individuali. D'altra parte, non sono emerse differenze statisticamente rilevanti rispetto al numero di risposte corrette nelle due condizioni; le ragazze con Sindrome di Rett sembrano apprendere più rapidamente quando le loro stereotipie vengono contenute rispetto a quando il contenimento è carente. Uno dei tipi di interventi sicuramente più innovativi risulta essere quello messo a punto dallo studioso Meir Lotan, fisioterapista specializzato Ph.D. presso l’Università di Bergen, Norvegia, con Master al Dipartimento di fisioterapia dell’Università di Tel Aviv. Attualmente lavora in Israele nell’equipe nazionale di Valutazione della Sindrome di Rett del suo Paese ed è anche docente senior presso la Scuola di Scienze della Salute, Dipartimento di Terapia Fisica, Università di Ariel, Israele. È sicuramente uno dei più notevoli esperti di fisioterapia in persone con pluridisabilità, arrivando a sviluppare ed approfondire un modello di intervento riabilitativo specifico per la Sindrome di Rett. Ha pubblicato libri e articoli riguardanti gli aspetti clinici della RTT e ha ricevuto un riconoscimento nel 2000 da parte dell'IRSA (Associazione Internazionale Sindrome di Rett) per il suo contributo innovativo all'approccio riabilitativo nella Sindrome. In particolare, ha focalizzato la sua attenzione sugli aspetti legati al disturbo del movimento e allo sviluppo della scoliosi, grave complicanza che si manifesta con elevata frequenza nelle bimbe affette dalla sindrome. Si è occupato dello studio della Sindrome di Rett negli ultimi 29 anni, sia come ricercatore che come terapista, svolgendo ricerche sulla riabilitazione a distanza nella Sindrome, una ricerca congiunta implementata in Australia, Danimarca e Israele, uno studio sulla paura di movimento nella RTT (utilizzando camicie indossabili intelligenti) e da poco ha avviato anche in Italia uno studio sulla scoliosi nella Sindrome.

C'è un detto in ebraico: se dai un pesce ad una persona affamata, allora non avrà fame per un giorno. Ma se gli dai una canna o una rete e gli insegni a pescare, non avrà mai fame per il resto della sua vita”.

Attraverso queste sue parole si basa la filosofia che guida il suo lavoro. Attualmente, ci sono tre opzioni per il trattamento della scoliosi in queste pazienti: l’utilizzo di un corsetto rigido, un intervento chirurgico di fusione spinale e un intervento fisico (come terapia fisica, idroterapia o ippoterapia). I corsetti rigidi limitano i movimenti e coloro che li indossano richiedono un supporto extra da parte dei loro operatori sanitari. La chirurgia spinale è invasiva e rappresenta un’opzione estremamente stressante da prendere in considerazione per i genitori per la loro bambina. L’intervento fisico è sicuro e accessibile, tuttavia la maggior parte dei fisioterapisti ritiene che non apporti significativi cambiamenti nel trattamento della scoliosi nella Sindrome di Rett. Ma non Lotan: secondo lui, se insegnasse alle famiglie di un individuo con RTT come costruire la propria giornata in un modo più stimolante e terapeutico, ciò farà la differenza, e anche l'intervento fisico può essere altrettanto efficace (se non più efficace) come le altre opzioni. Grazie a una sovvenzione HeART di 150.000 dollari assegnata dalla International Rett Syndrome Foundation, Lotan ha avuto la possibilità di realizzare il suo sogno di testare scientificamente la sua idea. Nel disegno del suo studio, ha formato un gruppo di 20 pazienti con Sindrome di Rett con diagnosi di scoliosi insieme alle loro famiglie, agli operatori sanitari e ai terapisti, sui principi guida di un programma di intervento fisico. Ha mostrato loro come adattare il programma ad ogni singola ragazza a seconda delle sue condizioni, esigenze, personalità e routine quotidiana. Per supportare ulteriormente i progressi della paziente, sta anche sviluppando un'applicazione per telefoni cellulari che ricorda agli operatori sanitari quali esercizi fare e quando farli. Quando Lotan iniziò questa pratica 30 anni fa, non veniva condotta quasi nessuna ricerca sulla terapia fisica per le persone con disabilità dello sviluppo e ha trovato poche speranze espresse da altri su cosa si sarebbe potuto fare per migliorare i risultati per queste pazienti.

Tutti dicevano che non c’era niente che potevi fare con loro”, ricorda Lotan di quel periodo, “Mi hanno detto che queste ragazze [con la Sindrome di Rett] non capiscono nulla, ma quando ho guardato negli occhi di queste ragazze, ho visto qualcosa di diverso. Sapevo che c'era qualcosa dentro queste ragazze e che capivano”.

Ciò che Lotan ha visto e continua a vedere nelle centinaia di persone con cui ha lavorato nel corso della sua carriera gli dà la speranza e la motivazione per provare a fare la differenza. Lavorare direttamente con loro come medico, come fa ogni giorno, gli ha anche dato idee su come migliorare la loro condizione fisica. "È da qui che nascono le buone idee: incontrare le ragazze stesse", dice Lotan. Le sue idee hanno già prodotto risultati che hanno cambiato la vita di alcune ragazze: lui ha basato il programma che sta testando attraverso la sua sovvenzione IRSF sulla sua esperienza nell'arrestare e persino invertire la scoliosi attraverso la terapia fisica. Lotan sorride mentre racconta il caso di una ragazza che definiva come una “statua umana”, che portava chiaramente sul viso la sua ansia e la tristezza a causa della sua scoliosi. Attraverso il programma di terapia fisica che Lotan ha sviluppato insieme alla famiglia e agli operatori sanitari che si occupavano della gestione e della riabilitazione di questa ragazza, la sua scoliosi è migliorata notevolmente e i progressi si sono visti anche dalla gioia sul suo viso mentre si muoveva più liberamente. Per quanto potenti siano questo e gli altri casi di studio raccontati da Lotan, senza il suo studio attuale, rimarrebbero aneddoti che altri potrebbero ignorare. Testando il suo programma su molti bambini, potrebbe ottenere i risultati di cui ha bisogno per dimostrare scientificamente che il suo concetto funziona. Lotan desidera fortemente dimostrare la sua tesi in modo che “forse altre persone inizieranno ad implementare questo metodo e un maggior numero di bambini con disabilità potrebbero essere aiutati”. Successivamente, a causa della pandemia di COVID-19, molte famiglie hanno dovuto rinunciare alle visite di routine presso lo studio del proprio fisioterapista e nacque in loro la paura che le condizioni dei loro cari sarebbero peggiorate durante il lockdown. Ma grazie ai metodi innovativi di Lotan non sono stati riscontrati peggioramenti. “Voglio che i miei studenti escano dal loro programma accademico pensando nello stesso modo in cui penso io. Ci sono fisioterapisti che pensano di non poter fare molta differenza per i bambini che curano, ma con il giusto approccio possono effettivamente fare una differenza significativa per i bambini e le loro famiglie”. Altrettanto innovativo, inoltre, risultò anche il suo approccio nel permettere lo sviluppo e il potenziamento delle capacità propriocettive in queste pazienti, attraverso l’utilizzo di tessuti che risultavano strettamente aderenti.

Figura 16a - Fotografie di Delia sottoposta all’approccio innovativo dello studioso Lotan Meir.

Figura 16a - Fotografie di Delia sottoposta all’approccio innovativo dello studioso Lotan Meir.

Figura 16b - Fotografie di Delia sottoposta all’approccio innovativo dello studioso Lotan Meir.

Figura 16b - Fotografie di Delia sottoposta all’approccio innovativo dello studioso Lotan Meir.

Il tessuto elasto-compressivo (magliette, body, pantaloncini, tutine), è consigliato sia ai fini preventivi, nonché ad una migliore gestione delle alterazioni muscolo - scheletriche, soprattutto per quanto riguarda la scoliosi. La stragrande maggioranza dei bambini che indossano il body, con il tempo presentano una stabilità della scoliosi o un miglioramento della stessa (facendo riferimento a quadri in cui l’alterazione fosse di  grado  lieve/moderata).  Questo  è  reso  possibile  in  quanto  la  pressione circonferenziale che il tessuto va a determinare sulla colonna vertebrale, la compressione verso il basso sulle spalle e la solida fissazione intorno al bacino, forniscono una certa stabilizzazione al rachide, riducendo qualora sia presente anche il dolore pelvico e fornendo così un migliore livello di comfort mentre si è seduti. Una migliore stabilità del tronco sul piano trasversale favorisce un miglior allineamento posturale spinale, una maggiore stabilità dell’anca, una migliore propriocezione ed un miglior coordinamento generale. Tutti questi miglioramenti si vanno inevitabilmente a ripercuotere anche sulla postura eretta, qualora sia possibile mantenerla, oltre a determinare una diminuzione del dolore e una maggior consapevolezza del proprio corpo, facilitando di conseguenza il controllo posturale. Sarebbe quindi possibile concludere affermando che i tessuti elasto-compressivi, come ausili aggiuntivi alla riabilitazione, possono rivelarsi utili per migliorare la funzione motoria grossolana e la postura del tronco, determinano miglioramenti nell’allineamento posturale, nella stabilità prossimale e nella cinematica dell’andatura, oltre che un maggior equilibrio. Inoltre, aumentano la consapevolezza sensoriale e propriocettiva, la quale porta ad una migliore e più sicura esplorazione dell’ambiente. Si denota anche una migliore tolleranza alla sovrastimolazione uditiva e visiva. Il tempo di utilizzo consigliato può variare dalle 2 alle 12 ore al giorno per 3-12 settimane. È importante però tenere conto di alcune possibili controindicazioni:

  • Cianosi periferica intrattabile associata a ipoattività e compromissione motoria profonda.
  • Funzione polmonare compromessa: la compressione applicata dall’indumento potrebbe ulteriormente compromettere la funzione respiratoria, in pazienti con infezioni respiratorie estremamente frequenti o displasia broncopolmonare congenita.
  • Spasticità grave con conseguenti gravi fratture in flessione: deformità presenti, problemi legati all’accuratezza della misurazione, alla vestizione e alla rimozione dell’indumento e alla tolleranza del paziente.
  • Disturbi circolatori cardiovascolari.
  • Sintomi di reflusso.
  • Epilessia.
  • Diabete.

Tuttavia, è doveroso specificare che sono stati segnalati in alcuni studi (20-50% dei bambini) alcuni effetti indesiderati o avversi relativi all’uso della tuta, come ad esempio problemi nell’andare in bagno come costipazione e perdite urinarie, diminuzione della funzione respiratoria, calore e disagio cutaneo (ipertermia estiva, cianosi), disagio e limitazione nel gattonamento nei lattanti. Nessun evento avverso serio è stato riscontrato.

Nello specifico caso clinico di Delia, gli obiettivi del potenziamento sarebbero:

  • Area neuropsicologica:
    • Favorire l’aumento dell’attenzione selettiva.
    • Affinare lo sviluppo della propria lateralizzazione.
    • Aumentare le stimolazioni sensoriali a mani, piedi e bocca.
    • Favorire la corretta esplorazione degli oggetti.
    • Favorire il mantenimento delle competenze acquisite.
  • Area cognitiva:
    • Sviluppare la capacità di riconoscimento di oggetti (familiari e altamente rappresentativi).
    • Sviluppare la capacità di discriminazione degli oggetti.
    • Sviluppare la capacità di discriminazione delle varie parti del corpo, cominciando dalle mani.
    • Migliorare le capacità di scelta tra due oggetti.
    • Stimolare la senso-percettività e la propriocettività.
    • Favorire il mantenimento delle competenze acquisite.
  • Area linguistica:
    • Sollecitare l’emissione di fonemi.
    • Favorire l’associazione suono-significato (A = acqua ; ppp = papà).
    • Favorire il mantenimento delle competenze acquisite.
  • Area motoria:
    • Aumentare l’uso finalizzato delle mani.
    • Aumentare la sua forza muscolare al fine di stabilizzare maggiormente le ginocchia e le caviglie.
    • Favorire la diminuzione delle stereotipie.
    • Aumentare il controllo tonico-posturale e dei passaggi posturali.
    • Favorire  lo  sviluppo  delle   condotte   di  afferramento  (afferrare, rilasciare, raggiungere).
    • Sviluppare l’abilità del pointing richiestivo e dichiarativo.
    • Favorire l’acquisizione dell’abilità locomotoria, anche se con assistenza.
    • Favorire il mantenimento e l’incremento delle unità funzionali già acquisite.
  • Area delle autonomie:
    • Favorire un aumento di assunzione di varietà di cibo (educazione alimentare).
    • Estinguere la risposta del pianto attraverso il contenimento fisico (condizionamento classico).
    • Favorire il mantenimento delle competenze acquisite.
  • Area sociale-relazionale:
    • Potenziare gli indicatori sociali e la reattività all’ambiente (iniziativa comunicativa, intersoggettività, reciprocità, attenzione condivisa, sorriso reattivo, gesti sociali e comunicativi).
    • Potenziare l’aggancio oculare.
    • Potenziare le condotte di attenzione e divertimento condivisi.
    • Favorire il mantenimento delle competenze acquisite.

Dalle valutazioni effettuate e dalle visite di follow-up, si delineò inoltre anche la necessità di attuare un Toilet Training. In particolare, venne consigliato il Programma di Azrin e Foxx incentrato sul controllo sfinterico. Si tratta di un approccio comportamentale utilizzato nei bambini che possono avere problemi di incontinenza urinaria o fecale, spesso noti come "enuresi" (incontinenza urinaria) o "encopresi" (incontinenza fecale). Questo programma è anche conosciuto come "Toilet Training in Less Than a Day". L'approccio si basa sulla formazione comportamentale e sull'uso di rinforzi positivi per aiutare i bambini a sviluppare il controllo delle funzioni sfinteriche. Ecco un riepilogo generale del processo:

  1. Preparazione: prima di iniziare il programma, è importante preparare il bambino e la famiglia. Occorre spiegare il processo al bambino in modo comprensibile e coinvolgere la famiglia nella pianificazione e nell'implementazione del programma.
  2. Eliminazione regolare: il bambino viene incoraggiato ad andare in bagno ad intervalli regolari, ad esempio ogni 30 minuti. Questo aiuta a stabilire un modello di eliminazione regolare.
  3. Rinforzi positivi: quando il bambino utilizza con successo il bagno, viene elogiato e ricompensato con rinforzi positivi, come lodi, adesivi o piccoli premi, per rinforzare il comportamento corretto e aumentare le possibilità di successo future.
  4. Evitare punizioni: l'approccio di Azrin e Foxx enfatizza il rinforzo positivo e consiglia di evitare punizioni per gli incidenti o gli errori.
  5. Monitoraggio: la famiglia tiene traccia dei progressi del bambino e può utilizzare un grafico o un registro per registrare i successi e gli incidenti.
  6. Gradualità: il programma è spesso strutturato in modo da aumentare gradualmente l'intervallo tra le pause per andare in bagno, in modo che il bambino impari a trattenere l'urina o le feci per periodi sempre più lunghi.
  7. Consistenza: la chiave del successo di questo programma è la coerenza. È importante mantenere una routine costante e applicare i principi dell'approccio in modo coerente.

Non tutti i bambini rispondono allo stesso modo all'approccio di Azrin e Foxx; quindi, potrebbe essere necessario adattare l'approccio alle esigenze specifiche del bambino.

 

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CONCLUSIONE

La Sindrome di Rett rappresenta una complessa sfida medica e sociale che continua a suscitare l'interesse e la ricerca di esperti in tutto il mondo. Questa condizione, caratterizzata da un profilo unico di abilità e sfide, colpisce non solo gli individui affetti ma anche le loro famiglie e i professionisti della salute che si occupano della loro cura. Attraverso l’esplorazione delle caratteristiche, delle cause e delle terapie attuali della Sindrome di Rett, emergono una serie di considerazioni chiave. Le ricerche e gli sforzi per comprendere meglio questa condizione hanno portato a progressi significativi nella diagnosi, nella comprensione dei meccanismi biologici sottostanti e nell'identificazione di possibili approcci terapeutici. Sebbene non esista ancora una cura definitiva, gli interventi e le terapie mirate stanno offrendo un sollievo importante ai pazienti e alle loro famiglie, migliorando la qualità della vita e aprendo la strada a nuove speranze per il futuro. Tuttavia, rimangono sfide significative nella gestione quotidiana e nel miglioramento della qualità della vita per coloro che vivono e convivono con questa condizione. L'approccio multidisciplinare coinvolgente professionisti medici, terapisti, educatori, famiglie e organizzazioni dedite alla ricerca, è essenziale per garantire un supporto completo, per promuovere una maggiore inclusione sociale, per aumentare la consapevolezza e per sostenere la ricerca al fine di comprendere e gestire al meglio questa Sindrome. Alla luce delle sfide attuali, è imperativo continuare a investire nelle ricerche scientifiche e a promuovere la collaborazione tra diverse discipline per avanzare nelle terapie e migliorare la qualità della vita di coloro che vivono con la Sindrome di Rett. Solo attraverso un impegno continuo, una comprensione più profonda e un supporto globale possiamo sperare di rendere il percorso di chi vive con questa sindrome più gestibile, inclusivo e promettente. È anche vero purtroppo che, a causa della natura neurodegenerativa della Sindrome, è possibile andare incontro a frustrazione e angoscia, stati d'animo vissuti soprattutto da chi si prende cura di queste bambine. Il desiderio e l'obiettivo saranno sempre quelli di favorire un miglioramento della loro qualità di vita anche se, a causa del declino tipico che questa patologia comporta, le prospettive future potrebbero sembrare scoraggianti. Ma in fin dei conti, dedicare le proprie risorse per non far smettere di brillare questa piccola scintilla di speranza, ne varrà sempre la pena.

 

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  1. http://www.treccani.it/enciclopedia/atassia_res-e77e5a24-907b-11e1-9b2f-d5ce3506d72e_%28Dizi onario-di-Medicina%29/: Cammino caratterizzato da atassia, cioè dall’assenza di coordinamento muscolare e dall’irregolarità dell’azione muscolare. Il paziente non percepisce la posizione dei suoi arti nello spazio.
  2. http://www.angelinipharma.it/aree-terapeutiche/brain-health/demenze-corticali/: Forma degenerativa dei tessuti dell’encefalo con conseguente perdita delle funzioni svolte in condizioni fisiologiche.
  3.  http://www.nurse24.it/studenti/indagini-diagnostiche/ammoniemia.html: Termine che indica la presenza di alti livelli di ammonio o dei suoi composti nel sangue.
  4. http://theory.labster.com/linkage-analysis-it/: L’analisi di linkage, detta anche “model-based analysis”, rappresenta una metodologia statistica classica dell’analisi genetica che, attraverso l’identificazione dei markers, permette di determinare la posizione cromosomica approssimativa di un gene di interesse.
  5. http://www.ospedalebambinogesu.it/malattie-genetiche-80216/:  Si  tratta  di  una  mutazione riconosciuta in un individuo ma non nel corredo genetico dei suoi genitori; dunque, non è stata ereditata, ma è frutto di un evento “nuovo” verificatosi per la prima volta in quell’individuo.
  6. http://www.diagnosiprenatale.com/diagnosi-prenatale/mosaicismo-diagnosi-prenatale.aspx: Fenomeno per cui un soggetto presenta alcune linee cellulari con un patrimonio genetico alterato a seguito di mutazioni somatiche.
  7. http://www.microbiologiaitalia.it/didattica/mutazioni-del-dna-puntiformi-cromosomiche-genomiche/: Le mutazioni puntiformi derivano dall’aggiunta o dalla perdita di una base del DNA, o dalla sostituzione di una base nucleotidica con un’altra.
  8. http://www.osservatoriomalattierare.it/malattie-rare/sindrome-di-angelman: È una malattia genetica neurologica caratterizzata da grave disabilità intellettiva e dismorfismi facciali, che tende a manifestarsi dai 6-12 mesi di vita in poi.
  9. http://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/8651288/:  È una condizione caratterizzata da disturbi  psicotici, parkinsonismo e disabilità intellettiva da lieve a grave e alterazioni dello sviluppo del linguaggio.
  10. http://www.treccani.it/enciclopedia/splicing-alternativo_%28Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica%29/: Lo splicing alternativo è un processo che consente di ottenere molecole di mRNA mature da uno stesso trascritto primario. Questo aumenta la diversità delle proteine generate da un gene, consentendo la produzione di varianti proteiche e contribuendo alla complessità del proteoma umano.
  11. http://www.treccani.it/enciclopedia/fosforilazione: Si tratta di è un processo chimico che comporta l’aggiunta di un gruppo fosfato ad una proteina o ad un’altra molecola. È quindi una funzione importante in quanto rappresenta uno dei segnali di comunicazione fra le proteine all’interno della cellula, determinando attivazione o disattivazione e anche un cambiamento della loro funzionalità.
  12. http://www.treccani.it/enciclopedia/cellula-gliale_%28Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica%29/: Dette anche cellule della glia, cellule gliali o neuroglia, sono, insieme ai neuroni, costituenti del sistema nervoso. Hanno funzione nutritiva e di sostegno per i neuroni, garantendo l’isolamento dei tessuti nervosi e proteggendo da corpi estranei in caso di lesioni.
  13. http://www.chimica-online.it/biologia/sequenziamento-del-dna.htm: Il sequenziamento del DNA è il processo che permette di determinare l’ordine dei diversi nucleotidi (quindi delle quattro basi azotate: citosina, guanina, adenina e timina) all’interno dell’acido nucleico.
  14. http://www.treccani.it/enciclopedia/tag/frameshift/: Le mutazioni frame-shift si verificano quando avvengono eliminazioni o inserzioni di un numero di nucleotidi nel DNA che non è multiplo di tre.
  15. http://www.centroames.it/metodiche-genetica/#:~:text=La%20tecnica%20MLPA%20: La tecnica Multiple Ligation dependent Probe Amplification è impiegata per la ricerca di riarrangiamenti, delezioni o duplicazioni, per l’analisi delle regioni introniche o regolatorie al fine di identificare i difetti di splicing di un gene.
  16. http://www.treccani.it/enciclopedia/pcr-quantitativa_%28Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecni ca%29/: La tecnica Polymerase Chain Reaction è una tecnica rapida per misurare la quantità di una specifica sequenza di DNA presente in un campione biologico.
  17. http://www.treccani.it/enciclopedia/telencefalo/: Il telencefalo è la porzione encefalica più estesa nell’uomo. Insieme a diencefalo e mesencefalo costituisce il cervello, organo primario dell’SNC. È formato dall’emisfero sinistro e dall’emisfero destro. Tra le sue funzioni principali ricordiamo la ricezione di stimoli esterni, l’elaborazione di risposte motorie, la memoria e le capacità decisionali.
  18. http://www.treccani.it/enciclopedia/corpo-calloso%28Dizionario-di-Medicina%29/: Il corpo calloso, o commessura callosa, è il fitto fascio di fibre nervose localizzato sotto la corteccia cerebrale al centro dei due emisferi cerebrali. Permette lo scambio di informazioni motorie, sensitive e cognitive tra i vari lobi.
  19. http://www.treccani.it/enciclopedia/arborizzazione_res-a7adfc03-98e7-11e1-9b2f-d5ce3506d72e%28Dizionario-di-Medicina%29/: Diramazione dei prolungamenti dendritici delle cellule nervose, che permette di incrementare la superficie di contatto con le altre cellule.
  20. http://www.orpha.net/consor/cgi-bin/OC_Exp.php?Lng=IT&Expert=2896: È una patologia rara con anomalie congenite multiple, che si manifesta con disabilità intellettiva, dismorfismi facciali e respirazione atipica, con frequente iperventilazione intermittente seguita da apnea.
  21. http://www.orpha.net/consor/cgi-bin/OC_Exp.php?Lng=IT&Expert=33069:      È     una    rara encefalopatia genetica evolutiva ed epilettica, caratterizzata dall’insorgenza infantile di convulsioni intrattabili e compromissione cognitiva e motoria.
  22. http://www.humanitas.it/malattie/bruxismo/: È una condizione in cui si digrignano i denti, si sfrega l’arcata superiore contro quella inferiore o si stringono con forza le mascelle. Si tratta di una condizione causata dalla contrazione involontaria dei muscoli della masticazione.
  23. http://www.treccani.it/enciclopedia/crisi-oculogira/: Manifestazione caratterizzata da deviazione tonica dei globi oculari, solitamente verso l’alto ma a volte anche di lato e verso il basso.
  24. http://www.clinicacastelli.it/enciclopedia/salivazione-intensa-scialorrea/: Condizione clinica caratterizzata da un anomalo ed eccessivo accumulo di saliva nel cavo orale.
  25. http://www.gavazzeni.it/enciclopedia/sintomi-e-disturbi/bradicinesia/: Si tratta di una condizione caratterizzata da un rallentamento dei movimenti volontari, a causa di una carenza a livello cerebrale di dopamina.
  26. Atrofia e paralisi muscolare (flaccida o atrofica) (humanitas.it): Si tratta di una condizione che si manifesta con riduzione del volume dei muscoli e degenerazione funzionale, a causa della sostanza intercellulare e della diminuzione di volume delle singole cellule che li compongono.
  27. http://www.msdmanuals.com/it-it/casa/disturbi-di-cervello,-midollo-spinale-e-nervi/disturbi-delmo vimento/distonia: La distonia è un disturbo del movimento caratterizzato da contrazioni muscolari involontarie di lunga durata (sostenute) che possono costringere i soggetti ad assumere posizioni corporee anomale.
  28. http://www.nurse24.it/studenti/patologia/disprassia.html: Si tratta di una condizione cronica che causa difficoltà nelle abilità motorie e nella coordinazione (lentezza nell’eseguire azioni, goffaggine, scarso equilibrio), nonostante le capacità cognitive nella norma.
  29. http://www.airett.it/aspetti-clinici-della-sindrome-di-rett-2/: È un database internazionale creato nel 2002, i cui dati vengono raccolti da familiari o clinici via web e mediante questionari. Sia questo database che l’Australian Rett Syndrome Database (o AussieRett), che raccoglie in modo prospettico dati delle pazienti australiane, dimostrano quanto sia importante il loro ruolo complementare nella ricerca sulla Sindrome di Rett.
  30. http://www.coriell.org/1/NINDS: Creato dal Congresso degli Stati Uniti nel 1950, il NINDS ha occupato una posizione centrale nel mondo delle neuroscienze per quasi 60 anni. La sua sede principale è a Bethesda, Maryland, Stati Uniti.
  31. http://www.nurse24.it/studenti/procedure/gastrostomia-endoscopica-percutanea-gestione-infermier istica.html: Si tratta dell’inserimento chirurgico di una sonda che mette in collegamento lo stomaco con l'esterno. La PEG viene applicata a soggetti la cui situazione clinica mostra la necessità di ricevere un'alimentazione enterale per un periodo di tempo che vada oltre 30 giorni.
  32. http://www.societaitalianadiendocrinologia.it/html/news/dexa-interpretarla-evitando-trappole.asp : La densità minerale ossea il rapporto tra contenuto minerale osseo e superficie ossea esaminata (g/cm2).
  33. http://www.treccani.it/enciclopedia/gastrocnemio_%28Dizionario-di-Medicina%29/: Costituito da due ventri muscolari detti gemelli, il muscolo gastrocnemio è il più superficiale dei muscoli della regione posteriore della gamba.
  34. http://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-neurologiche/epilessia/epilessia: È una sindrome caratterizzata dalla ripetizione di crisi epilettiche, cioè scariche elettriche anomale e non controllate originate nel contesto della sostanza grigia cerebrale corticale, che interrompono provvisoriamente la fisiologica funzionalità cerebrale. Tali crisi comprendono varie manifestazioni caratterizzate da brevi momenti di perdita di conoscenza (assenze) e da alterazioni sensitive, psichiche o motorie, accompagnate da spasmi o da contrazioni convulsive della muscolatura scheletrica.
  35. http://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-neurologiche/epilessia/epilessia:  Sono crisi epilettiche con un inizio parziale spesso preceduto da un'aura. Durante queste crisi, lo stato di coscienza è alterato ma i soggetti mantengono la consapevolezza dell'ambiente circostante. Possono presentarsi automatismi orali (come movimenti di masticazione o apertura-chiusura delle labbra con protrusione della lingua), automatismi degli arti (come movimenti automatici e afinalistici delle mani), emissione di suoni incomprensibili, resistenza all'assistenza, atteggiamento tonico o distonico dell'estremità controlaterale al focus epilettogeno, deviazione del capo e degli occhi e movimenti delle gambe simili al pedalare.
  36. http://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-neurologiche/epilessia/epilessia: Conosciute come crisi epilettiche generalizzate, di solito iniziano con un grido. Successivamente, il paziente presenta perdita di coscienza e cade a terra. Seguono contrazioni toniche (rigidezza muscolare) e cloniche (rapida alternanza di contrazione e rilassamento) dei muscoli degli arti, del tronco e del capo. Durante le crisi possono manifestarsi sintomi come incontinenza urinaria e fecale, morsicatura della lingua e fuoriuscita di schiuma dalla bocca. Solitamente la loro durata è di 1-2 minuti e non sono precedute da un’aura.
  37. http://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-neurologiche/epilessia/epilessia: Si verificano solitamente durante il sonno. Durante queste crisi, la contrazione tonica (sostenuta) dei muscoli assiali si diffonde solo in un secondo momento ai muscoli prossimali degli arti. Solitamente durano 10-15 secondi e in quelle più prolungate, potrebbero verificarsi pochi rapidi scatti clonici successivi alla fase tonica.
  38. http://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-neurologiche/epilessia/epilessia:     Si manifestano attraverso scatti brevi e improvvisi, che possono coinvolgere uno o più arti o il tronco, e possono essere sia unilaterali che bilaterali. Durante la crisi mioclonica, di solito non si verifica una perdita di coscienza, a meno che non progredisca verso una crisi tonico-clonica generalizzata. ’40, quando furono pubblicati in soli due anni, due libri cruciali sulla prospettiva delle potenzialità plastiche dei neuroni e di come queste determinassero l’apprendimento: “Conditioned Reflexes and Neuron Organization” messo a punto dallo scrittore Jerzy Konorski nel 1948 e “The Organization of Behavior” scritto dallo psicologo Donald O. Hebb nel 1949. Questa scoperta si è concretizzata quando il neuroscienziato e neurologo Eric Kandel ha ricevuto il premio Nobel per la medicina nel 2000,
  39. http://www.orpha.net/consor/cgi-bin/Disease_Search.php?lng=EN&data_id=660: Si tratta di un raro disturbo neurocutaneo caratterizzato da amartomi (lesioni simil-tumorali) multisistemici, che interessano soprattutto la pelle, il cervello, i reni, i polmoni, gli occhi e il cuore. Sono associati anche disturbi neuropsichiatrici.
  40. http://www.ospedalebambinogesu.it/sindrome-dell-x-fragile-89821/: Si tratta di una malattia genetica rara che si manifesta con disabilità intellettiva lieve-grave, disturbi del comportamento e dismorfismi tipici.
  41. http://www.istitutobeck.com/neurotrasmettitori-trauma: La noradrenalina è un neurotrasmettitore che controlla soprattutto la concentrazione, l’attenzione, l’euforia, l’attività psicomotoria, l’energia, le motivazioni, le funzioni cognitive. La serotonina invece è un neurotrasmettitore che si occupa della regolazione dell’umore, del sonno, della temperatura corporea, della sessualità e dell’appetito.
  42. http://www.humanitas.it/sintomi/aprassia/: È una condizione caratterizzata dall'incapacità di mettere in atto compiti motori volontari precedentemente appresi, nonostante la volontà e la conservata capacità fisica, a causa di un danno cerebrale.
  43. http://www.aans.org/en/Patients/Neurosurgical-Conditions-and-Treatments/Movement-Disorders: È una malattia degenerativa che colpisce l’encefalo, il tronco encefalico o il midollo spinale, e si manifesta con goffaggine, imprecisione, instabilità, squilibrio, tremore o mancanza di coordinazione durante l'esecuzione di movimenti volontari. I movimenti non sono fluidi e possono apparire sconnessi o a scatti.
  44. http://www.msdmanuals.com/it-it/casa/disturbi-di-cervello,-midollo-spinale-e-nervi/disturbi-del- movimento/corea-atetosi-ed-emiballismo: L’atetosi è una patologia del sistema extrapiramidale che si manifesta con movimenti involontari, lenti, costanti e contorti degli arti, della faccia e della lingua.
  45. http://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/0022440594900116: Si tratta di una scala di somministrazione individuale per bambini da 16 giorni a 3 anni e mezzo di età che permette l’identificazione di soggetti con ritardo dello sviluppo e che fornisce indicazioni per programmare l’intervento. La scala, attraverso l’utilizzo di materiale strutturato e semi-strutturato, indaga 5 aree: cognitiva, del linguaggio, motoria, socio-emozionale e del comportamento adattivo. Di queste, le prime tre vengono somministrate direttamente al bambino e le altre due sono rivolte ai genitori.
  46. http://edizionifs.com/wp-content/uploads/estratto_La_disabilit%C3%A0_intellettiva.pdf: Le Griffith Mental Developmental Scales rappresentano uno degli strumenti per la valutazione dello sviluppo mentale di bambini da 0 a 8 anni. Sono costituite da una scala A o Locomotoria, una scala B o Personale- sociale, una scala C o Linguaggio, una scala D o Coordinazione occhio-mano, una scala E o Performance, una scala F o Ragionamento pratico.
  47. http://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/002244058890009X: Si tratta di una scala di misurazione utile per misurare lo sviluppo psicomotorio fino ai 2 anni e mezzo. Prevede 4 tipi di prove con lo scopo di misurare il controllo posturale e motorio, la coordinazione oculomotoria, lo sviluppo del linguaggio e i rapporti socio-personali. È possibile calcolare il quoziente di sviluppo psicomotorio dal rapporto tra età psicomotoria ed età cronologica.
  48. http://psycnet.apa.org/record/1994-98208-000: La Wechsler Intelligence Scale for Children è uno strumento clinico e diagnostico per la valutazione delle abilità intellettuali di bambini dai 6 ai 16 anni e 11 mesi. Valuta quattro aree cognitive, mediante indici cognitivi distinti: Indice di Comprensione Verbale ICV, Indice di Ragionamento Visuo-Percettivo IRP, Indice di Memoria di Lavoro IML e Indice di Velocità di Elaborazione IVE.
  49. http://evols.library.manoa.hawaii.edu/server/api/core/bitstreams/26097523-3934-4e8d-8e31-52ab44e77e17/content: È una scala completamente che non richiede comunicazione verbale fra esaminatore e soggetto, né che quest’ultimo legga o scriva qualcosa. È quindi particolarmente adatta per bambini ed adolescenti con disabilità intellettiva e con disturbi verbali. A differenza dei tradizionali test del QI, pone l’accento sull’intelligenza fluida, meno soggetta ad influenze culturali, sociali o educative.
  50. http://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/12455930/: Il  Rett Syndrome Behavior Questionnaire (RSBQ) valuta la gravità dei problemi neurocomportamentali dal punto di vista del caregiver ed è una delle misure più utilizzate a causa della specificità del suo profilo psicometrico rispetto alle caratteristiche fondamentali della RTT.
  51. http://www.healthactchq.com/survey/chq: Il Child Health Questionnaire è un'indagine sulla salute pediatrica progettata per valutare la qualità della vita correlata alla salute di neonati, bambini piccoli e adolescenti di età compresa tra 5 e 18 anni. Gli strumenti della famiglia di indagini CHQ sono disponibili come risultati riportati dai pazienti autocompilati dai bambini o riportati dagli osservatori completati dai genitori.
  52. http://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/obr.12184: Il PCQ mira a valutare i fattori sociodemografici e perinatali e le informazioni basandosi su quattro sezioni: il consumo di acqua e bevande, l'attività fisica, gli spuntini e il comportamento sedentario.
  53. http://www.orpha.net/consor/cgi-bin/OC_Exp.php?Expert=743&lng=IT: Si tratta di una condizione medica caratterizzata dalla presenza di predisposizioni genetiche che aumentano il rischio di sviluppare coaguli di sangue, detti anche trombi, anomali all’interno dei vasi sanguigni.
  54. http://www.nurse24.it/dossier/assistenza-pediatrica/indice-apgar.html: L’Indice di Apgar è una scala utilizzata per la valutazione delle condizioni di un neonato subito dopo il parto. Questo indice prende il nome dalla sua inventrice, la dott.ssa Virginia Apgar, e prevede l’assegnazione di un punteggio basato su 5 parametri fisiologici, ognuno valutato da 0 a 2 punti. I 5 parametri sono: frequenza cardiaca, respirazione, tono muscolare, riflessi e colorito della pelle. I punteggi ottenuti vengono sommati e alla fine della valutazione più sarà alto l’indice, migliore sarà la condizione del neonato al momento della nascita. Questa valutazione solitamente viene effettuata al primo e al quinto minuto di vita.
  55. http://www.sigg.it/assets/congressi/60-congresso-nazionale-sigg/slide/40_Corbi.pdf: La scala di valutazione CIRS (Cumulative Illness Rating Scale) viene utilizzata in campo medico per la valutazione della gravità delle malattie croniche e l’impatto cumulativo delle comorbidità su un paziente. Prevede la valutazione di 14 sistemi di organi diversi e attribuisce un punteggio a ciascun sistema in base alla gravità e all’impatto delle malattie croniche. I singoli punteggi vengono sommati per ottenere poi un punteggio complessivo che riflette la gravità generale delle condizioni del paziente.
  56. https://www.neuropsicomotricista.it/argomenti/terapia-neuropsicomotoria/il-movimento/riflesso-di- prensione-della-mano-grasping-reflex.html: Si tratta di un riflesso neonatale noto anche come "riflesso di afferramento." Si verifica quando si toccano o stimolano le palme delle mani o le piante dei piedi di un neonato. Intorno ai 3 mesi, quando il bambino inizia a sviluppare un maggiore controllo volontario delle sue mani e delle dita, il riflesso si estingue.
  57. http://www.treccani.it/enciclopedia/fenomeno-di-babinski_%28Enciclopedia-Italiana%29/: È un riflesso neurologico che coinvolge la risposta del piede dopo una stimolazione sulla pianta del piede, in particolare lungo la parte laterale dall'alluce al tallone. La risposta tipica al riflesso consiste nell'estensione del grande alluce in su, mentre le altre dita dei piedi si allargano, come un movimento a "ventaglio" delle dita. Nel corso dei primi anni di vita, questo riflesso viene poi sostituito da un altro più maturo chiamato "riflesso plantare normale," in cui il piede, dopo la stimolazione sulla pianta, si flette invece di estendersi.
  58. http://www.aspi.unimib.it/collections/object/detail/6716/: Si tratta di uno strumento di valutazione sviluppato per valutare lo sviluppo psicomotorio nei bambini dai 2 mesi e mezzo ai 30 mesi di età. Misura diverse aree dello sviluppo: motricità fine, motricità grossolana, linguaggio, socializzazione e conoscenza pratica. I punteggi ottenuti possono aiutare a identificare potenziali aree di ritardo nello sviluppo e guidare l'intervento.
  59. http://www.humanitas.it/news/epilessia-gli-esami-per-la-diagnosi-e-i-trattamenti/: L'analisi SNG, o "Spike and Wave Analysis," è una procedura utilizzata in elettroencefalografia per studiare le onde cerebrali nei pazienti con epilessia. Si basa sull'identificazione e la valutazione delle "spike" (picchi) e delle "wave" (onde) nell'attività cerebrale, che possono essere indicative di disturbi convulsivi.
  60. http://www.telethon.it/cosa-facciamo/ricerca/malattie-studiate/sindrome-di-ehlers-danlos: La Sindrome di Ehlers-Danlos (SED) è un gruppo di disturbi genetici ereditari del tessuto connettivo. Si manifesta con: pelle estremamente elastica, ipermobilità articolare, fragilità dei vasi sanguigni, problemi cardiaci, problemi digestivi e complicanze articolari. Esistono vari tipi di SED, infatti la diagnosi e la gestione variano da persona a persona.
  61. http://www.airett.it/la-nostra-esperienza-sullapplicazione-del-theratogs-sulle-bambine-con-sindrom e-di-rett/: I tutori Theratogs sono dispositivi ortopedici e terapeutici progettati per fornire sostegno e compressione dinamica al corpo. Sono spesso utilizzati come parte di un approccio terapeutico per trattare una serie di condizioni fisiche e motorie, come scoliosi, rieducazione posturale, alterazioni del tono muscolare, riduzione del dolore. Possono essere indossati sotto agli abiti e sono realizzati con tessuti elastici e regolabili per adattarsi alle dimensioni e alle esigenze specifiche del paziente.
  62. http://www.ortopediciesanitari.it/afo-una-revisione-narrativa/: Un tutore AFO, acronimo di "Ankle- Foot Orthosis" (Ortesi Caviglia-Piede), è un dispositivo medico ortopedico progettato per fornire supporto, stabilizzazione o correzione all'articolazione della caviglia e al piede. Viene consigliato nel trattamento delle PCI, delle distrofie muscolari, delle gonartrosi, per favorire la dorsiflessione del piede debole e il recupero post-operatorio. Sono disponibili in molti stili e materiali, da quelli rigidi a quelli più flessibili, e la scelta dipende dalle esigenze specifiche del paziente e dalla prescrizione del medico.
  63. http://www.aifa.gov.it/documents/20142/241044/nopron.pdf: Il Nopron è un farmaco principalmente utilizzato in pediatria come calmante/sonnifero per bambini irrequieti o che fanno fatica ad addormentarsi. Il principio attivo è la Niaprazina, molecola inizialmente studiata come antistaminico ma poi utilizzata maggiormente per il suo principale effetto collaterale: come tanti altri antistaminici di prima generazione, infatti, ha un notevole effetto sedativo.
  64. http://www.humanitas.it/enciclopedia/principi-attivi/farmaci-attivi-sul-sistema-nervoso/carbamaze pina/: La carbamazepina è un farmaco utilizzato principalmente come anticonvulsivante, ma può anche essere prescritta per altre condizioni mediche, tra cui: disturbo bipolare, nevralgia del trigemino, disturbo borderline di personalità e la gestione di alcune manifestazioni dell'abuso di sostanze. La sua azione consiste nell’andare a stabilizzare l’attività neurale riducendo l’ipereccitabilità.
  65. http://ortopediatria.org/2020/07/20/rx-cosa-guardare-come-giudicare-un-risultato/:  La  linea  di Shenton è un termine utilizzato in radiologia ortopedica per valutare la stabilità dell'articolazione dell'anca e per identificare anomalie anatomiche o patologiche nella regione dell'anca. È una linea immaginaria tracciata sulla radiografia che collega due punti anatomici: il margine inferiore dell'acetabolo e il collo femorale. Normalmente, la linea dovrebbe apparire continua e liscia, senza interruzioni o deviazioni.
  66. http://www.medicalexpo.it/prod/ormesa/product-75400-476126.html: È un tipo di deambulatore pediatrico progettato per migliorare la capacità di un bambino di muoversi autonomamente. È dotato di un telaio robusto, ruote anteriori e posteriori, varie impugnature, un supporto dorsale, freni e vari accessori.
  67. http://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/ematologia-e-oncologia/approccio-al-paziente-con- anemia/ valutazione-dell-anemia: È un tipo di anemia caratterizzata da una minor produzione di globuli rossi nel midollo osseo, ma di normali dimensioni. Può verificarsi per diverse ragioni: malattie del midollo osseo, carenze nutrizionali, malattie croniche, infiammazioni croniche e malattie renali.
  68. http://www.nurse24.it/studenti/indagini-diagnostiche/leucopenia.html: Si tratta di una condizione ematologica in cui il numero totale di globuli bianchi nel sangue è inferiore ai valori normali, ma la percentuale dei neutrofili, un tipo specifico di globuli bianchi, è aumentata rispetto al totale dei leucociti. Tra le cause rientrano infezioni acute, stress fisiologico, uso di corticosteroidi e malattie autoimmuni.
  69. http://www.sifweb.org/sif-magazine/voci-di-supporto/indici-di-infiammazione-sistemica: Gli indici di flogosi sono marcatori utilizzati per valutare la presenza e il grado di infiammazione nel corpo. Alcuni di questi sono: proteina C-reattiva (PCR o CRP), sedimentazione eritrocitaria (VES o SR), conta dei globuli bianchi, citochine proinfiammatorie, risposta dell’acido urico e calprotectina fecale.
  70. http://www.osservatoriomalattierare.it/malattie-rare/sindrome-di-cushing: La sindrome di Cushing è una patologia causata da un eccesso di cortisolo, un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali che svolge un ruolo importante nel regolare diverse funzioni del corpo, inclusi il metabolismo, il sistema immunitario e la risposta allo stress. La sua presenza eccessiva prolungata nel tempo può causare problemi di salute, tra cui: aumento di peso, debolezza muscolare, pelle sottile e fragile, irritazioni cutanee e lividi frequenti.

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