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LA PATOLOGIA ONCOLOGICA IN ETÀ EVOLUTIVA: Il dolore e la fatigue nei pazienti oncologici pediatrici, Tecniche a mediazione corporea; Metodo Feldenkrais per la gestione di dolore e fatigue negli adolescenti con linfoma di Hodgkin

LA PATOLOGIA ONCOLOGICA IN ETÀ EVOLUTIVA: Il dolore e la fatigue nei pazienti oncologici pediatrici, Tecniche a mediazione corporea; Metodo Feldenkrais per la gestione di dolore e fatigue negli adolescenti con linfoma di Hodgkin

La patologia oncologica in età evolutiva

Il dolore e la fatigue nei pazienti oncologici pediatrici

Tecniche a mediazione corporea per la gestione di dolore e fatigue negli adolescenti con linfoma di Hodgkin

Metodo Feldenkrais per la gestione di dolore e fatigue negli adolescenti con linfoma di Hodgkin: proposta di trattamento

INDICE PRINCIPALE

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La patologia oncologica in età evolutiva

Le patologie oncologiche ed onco-ematologiche in età evolutiva, anche se più rare rispetto a quanto accada nell’età adulta, sono la seconda causa di morte durante l’infanzia dopo i grandi traumi.[1] Rispetto al panorama internazionale l’incidenza dei tumori infantili in Italia è ancora alta, ma negli ultimi anni i tassi di mortalità sono in continua diminuzione mentre sono in aumento i tassi di sopravvivenza.[1]

E` proprio la rarità relativa dei tumori pediatrici, la variabilità della loro natura, sede e manifestazione che provocano ulteriore sgomento e turbamento: la patologia oncologica si rivela un evento traumatico con ripercussionifisiche, psicologiche ed emotive sul paziente e su chi gli è vicino.

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Cos'è il cancro

Il cancro pùo essere descritto come un insieme di circa 200 malattie caratterizzate da abnorme crescita cellulare che si svincola dai meccanismi di controllo che normalmente regolano l’organismo. Accumuli di anomalie genetiche, funzionali e morfologiche danno origine al processo di trasformazione di una cellula normale in una neoplastica.

E` sulle continue variazioni dell’assetto molecolare dei tumori che prende terreno la ricerca. Fisiologicamente in quasi tutti i tessuti avviene la proliferazione (divisione cellulare) in equilibrio con l’apoptosi (morte cellulare programmata). Affinchè si formi il cancro sono necessarie varie mutazioni di più di una classe di geni. Se queste avvengono nei geni che controllano la divisione cellulare, l’equilibrio tra proliferazione e controllo pùo venire a mancare e, se viene meno la capacità che normalmente ha l’organismo di contrastare le trasformazioni, la cellula muta in cellula tumorale. Sono necessarie quindi sia l’attivazione dei geni che promuovono la crescita (oncogèni) sia l’inattivazione dei geni che inibiscono la crescita (oncosoppressori) per dare inizio alla cancero-genesi (generalmente comincia quando un agente cancerogeno agisce sul DNA cellulare provocando il processo di iniziazione (rapido e irreversibile) e continua con la promozione della crescita neoplastica (lenta e irreversibile)). Spesso la formazione del tumore è un processo che richiede molti anni. Altri meccanismi che favoriscono la progressione del tumore sono il microambiente, costituito da cellule favorenti, fattori di crescita, o anche cellule che uccidono la cellula tumorale e lo switch angiogenico, cioè la capacità del tumore di costruire i propri vasi sanguigni in modo che possa crescere. Il mancato controllo di crescita, necessario a mantenere la struttura e le funzioni normali di organi e tessuti, porta alla proliferazione non controllata delle cellule ed all’invasione dei tessuti circostanti, con eventuale disseminazione in organi distanti con il processo chiamato “metastasi”. Un agglomerato di cellule tumorali viene chiamato tumore.[7][8] I tumori possono essere di tipo benigno o maligno. I tumori benigni sono costituiti da cellule con caratteristiche uguali a quelle della cellula da cui derivano. In questo caso la proliferazione avviene a velocità moderata e si formano agglomerati di cellule uguali che rimangono circoscritti in una capsula, senza invadere organi adiacenti o diffondere in altre parti del corpo. I tumori appartenenti a questa tipologia non vengono definiti “cancro” e sono facilmente asportabili proprio per il fatto che rimangono avvolti da una capsula e isolati. I tumori maligni, chiamati anche cancro, vanno incontro a proliferazione rapida e caotica, e tendono ad occupare gli spazi circostanti, infiltrando o diffondendo (per le vie linfatiche e del sangue) per tutto il corpo, compromettendo diverse funzioni dell’organismo.[9]

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I tumori pediatrici

I tumori che insorgono in infanzia rappresentano circa l’1-2% di tutti i tumori maligni che possono presentarsi durante il corso della vita.[1] Il cancro in età evolutiva è uno spettro di numerose neoplasie con istologia, sede di origine, sesso ed età dell’ospite differenti fra loro. Ci sono differenze tra i tumori dell’età evolutiva e quelli dell’età adulta relative ad istotipo, sedi di insorgenza, eziopatogenesi, velocità di accrescimento, responsività ai farmaci e possibilità di guarigione. I fattori eziopatogenetici nei tumori infantili sono prevalentemente genetici, legati all’organogenesi, alla maturazione e crescita cellulare (mentre nell’adulto i fattori prevalenti sono i mutageni ambientali); questo è anche il motivo alla base della migliore responsività che i tumori pediatrici hanno ai farmaci e delle differenze relative all’isotipo, alle sedi di insorgenza e alle possibilità di guarigione rispetto a quanto accade nell’età adulta. I tassi di prevalenza variano a seconda delle fasce di età: tra gli 0 e i 2 anni prevalgono il neuroblastoma, nefroblastoma e retinoblastioma, tra i 3 e i 5 anni le leucemie acute e i sarcomi delle parti molli, tra i 5 e i 9 anni i tumori del SNC e i linfomi maligni, tra i 10 e i 15 anni il linfoma di Hodgkin, tumori dell’osso, sarcomi delle parti molli che si presentano anche in adolescenza e nel giovane adulto.[10]

L’oncologia pediatrica si occupa di studiare e curare le neoplasie che insorgono in età evolutiva (il range pùo essere 0-15 anni, per alcune neoplasie si estende a 0-21). Il suo scopo è quello di perfezionare i piani di cura, aumentare i tassi di sopravvivenza, ridurre quelli di mortalità e le ricadute, migliorare le terapie e riconoscere i fattori prognostici, fornire un follow-up adeguato, programmare riabilitazione e impostare piani di prevenzione, fornire consulenze genetiche se richieste. [10]

La specificità del paziente adolescente

I tumori degli adolescenti dai 15 ai 19 anni rappresentano lo 0,2% di tutti i tumori. Pur essendo rari, sono la seconda causa di decesso negli adolescenti, dopo le morti per cause violente e incidenti. Le caratteristiche biologiche e cliniche dei tumori negli adolescenti sono peculiari e legate alla fase di passaggio tra età infantile ed età adulta che vive l’adolescente. Pertanto la distribuzione è caratteristica e diversa da quella nei bambini o negli adulti, e, probabilmente correlato alla maturazione sessuale, si osserva un aumento dei linfomi, in particolare di Hodgkin, e di tumore alle gonadi. I tumori del bambino sono via via meno frequenti mentre i carcinomi diventano più frequenti. Da queste differenze dipende anche la necessità di una gestione clinica con programmi specifici per gli adolescenti, la cui qualità rappresenta un problema e un obiettivo degli ultimi anni. Infatti ci sono stati vari rapporti in cui, per varie neoplasie, i tassi di sopravvivenza degli adolescenti risultavano peggiori rispetto a quelli dei bambini. In queste differenze tra i tassi, che sicuramente riflettono le peculiarità della biologia tumorale legate all’età del paziente, possono avere un ruolo anche le variabili della gestione clinica. Uno studio condotto dall’AIEOP (Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica) ha dimostrato che solo il 10% dei pazienti di 15-19 anni affetti da cancro era stato curato presso i centri AIEOP (negli anni 1989-2006), rispetto al 77% dei pazienti di 0-14 anni. Una delle ragioni per cui la gestione degli adolescenti è risultata meno efficace è l’adozione di limiti massimi di età per l’ammissione alle unità di oncologia pediatrica AIEOP. Negli anni i servizi per gli adolescenti in Italia hanno subito miglioramenti e si è osservato un aumento di percentuale dei casi trattati presso i centri AIEOP passando dal 10% del precedente studio, al 37%. Inoltre sono diminuiti i centri con i limiti massimi di età per l’ammissione a 18 anni e si è osservato l’attivazione di progetti locali specifici per i pazienti adolescenti e un miglioramento della loro gestione clinica. L’accesso e la qualità delle cure degli adolescenti che soffrono di patologia oncologica continua ad essere un obiettivo a cui mirare.[1][11]

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Incidenza e sopravvivenza

Dati secondo il rapporto del 2008 dell’Associazione Italiana Registro Tumori (AIRTUM) nelle fasce 0-14 e 15-19 (i dati sono forniti dai registri tumori di popolazione facenti parte dell’AIRTUM che nel periodo 2003-2008 coprivano il 47% della popolazione italiana sotto i 20 anni):

Fascia di età pediatrica (0-14 anni)

Incidenza: in Italia, nel periodo 20032008, sono stati identificati 2.855 nuovi casi di tumore maligno nei bambini da 0 a 14 anni. Nello stesso periodo, l’incidenza di tumore maligno pediatrico è risultata di 164 casi all’anno per 1.000.000 di bambini (178 nei maschi e 150 nelle femmine). Dopo l’aumento di incidenza di patologie neoplastiche (+3% l’anno) registrato dallafine degli anni Ottanta allafine degli anni Novanta, i tassi di incidenza hanno iniziato a diminuire di circa l’1% l’anno nell’ultima decade di osservazione.

Sopravvivenza: la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di tumore maligno, nella fascia di età 0-14 anni, è aumentata del 12%, passando dal 70% del periodo 1988-1992 all’82% del 2003-2008. Le leucemie sono il gruppo di tumori per cui si registra il maggior incremento di sopravvivenza negli ultimi 15 anni: dal 68% del periodo 19881992 all’83% del 2003-2008.[1]

Fascia di età adolescenziale (15-19 anni)

Incidenza: In Italia, nel periodo 20032008, sono stati identificati 1618 nuovi casi di tumore maligno nella fascia d’età tra i 15 e i 19 anni. Il tasso di incidenza dei tumori maligni negli adolescenti nel periodo 2003-2008 è pari a 269 nuovi casi per milione di ragazzi per anno ed è invariata rispetto al passato. I tumori più frequenti negli adolescenti sono i linfomi di Hodgkin (65 casi per 1.000.000 l’anno), seguiti da tumori della tiroide (31 per 1.000.000), leucemie (30 per 1.000.000), tumori delle cellule germinali (27 per 1.000.000), linfomi non-Hodgkin (22 per 1.000.000), tumori del sistema nervoso centrale (18 per 1.000.000), sarcomi delle parti molli (17 per 1.000.000) e tumori dell’osso (12 per 1.000.000).

Sopravvivenza: nel periodo 2003-2008 la sopravvivenza dei casi a 5 anni dalla diagnosi, in aumentofin dagli anni Settanta, migliorata ed è pari all’86% per gli adolescenti.[1]

Per quanto riguarda tutte le neoplasie, la mortalità nella fascia d’età 0-19 è in continua diminuzione: nel 2008 era circa un terzo rispetto ai primi anni Settanta. I tassi di sopravvivenza sono aumentatifino a circa l’82% per i bambini e all’86% per gli adolescenti.[1]

I successi terapeutici conseguiti negli ultimi 40 anni, confermati dagli indicatori considerati, documentano un generale esaurimento degli incrementi di incidenza registratifino a metà degli anni 90 (con l’eccezione dei tumori della tiroide negli adolescenti). Attraverso, e con, questi elementi è importante porre attenzione per ottimizzare la prevenzione, diagnosi e terapia.

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Tipi più comuni di tumore pediatrico

Il tumore in età evolutiva più frequente è la leucemia che rappresenta circa il 33% dei tumori infantili; i tumori del SNC rappresentano circa il 25% e sono la tipologia più comune di tumori solidi in età evolutiva, i linfomi circa l’8%, e alcuni tumori ossei, tra cui osteosarcoma e sarcoma di Ewing, circa il 4%. La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è la più frequente neoplasia maligna in età pediatrica, mentre è meno frequente in età adolescenziale. I neuroblastomi hanno origine da cellule nervose indifferenziate e sono le neoplasie maligne che si riscontrano maggiormente tra i bambini di età inferiore all’anno di vita Neuroblastoma, tumore di Wilms, rabdomiosarcoma e retino sarcoma sono tumori esclusivi dell’età evolutiva.

Tumori più frequenti che possono insorgere in età evolutiva:

Figura 1: Diagnosi di tumore nei bambini da 0 a 14 anni

Figura 1:Diagnosi di tumore nei bambini da 0 a 14 anni [12]

Figura 2: Diagnosi di tumore negli adolescenti da 15 a 19 anni

Figura 2:Diagnosi di tumore negli adolescenti da 15 a 19 anni [12]

  • Leucemia Linfoblastica Acuta;
  • Leucemia Mieloide Acuta;
  • Linfomi Non Hodgkin;
  • Linfoma di Hodgkin;
  • Tumori cerebrali e del SNC;
  • Neuroblastomi;
  • Nefroblastoma (tumore di Wilms);
  • Sarcomi dei tessuti molli;
  • Tumori ossei maligni: osteosarcoma e sarcoma di Ewing sono i due tipi principali di tumore osseo nella popolazione pediatrica;
  • Rabdomiosarcoma;
  • Retinoblastoma. [12][13]

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Standard di cura

Attualmente, è possibile curare con successo oltre il 70% di bambini e adolescenti affetti da tumore e per alcune neoplasie specifiche si pùo guarire in quasi tutti i casi. Ci sono differenze in termini di risultati in tutta Europa.[1][14]

La diagnosi precoce permette di avere maggiori possibilità di cura e di guarigione completa. I medici di medicina generale e i pediatri devono riconoscere sintomi e segni associati alla patologia oncologica in modo che tra il momento della comparsa e la diagnosi ci sia un intervallo il più breve possibile e che il trattamento inizi tempestivamente. I bambini con tumore devono essere trattati seguendo i migliori protocolli di terapia disponibile e, quando possibile, dovrebbe essere offerta loro la possibilità di partecipare a trials e studi clinici volti a migliorare il trattamento ottimale per tutti i bambini. [14] Per avere risultati e un percorso di cura migliori, la presa in carico del paziente pediatrico oncologico dovrebbe svolgersi nei centri di emato-oncologia pediatrica che includano uno staffmedico formato, infermieri,fisioterapisti e terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva oltre al supporto al paziente e alla famiglia, formato da psicologi, assistenti sociali e insegnanti.

E` anche grazie alla collaborazione tra i centri di ematologia ed oncologia pediatrica, le associazioni e le organizzazioni no profit che sono possibili i progressi in questo ambito, anche per quanto riguarda le cure palliative, lo sviluppo della terapia del dolore, della psico-oncologia, e della riabilitazione compresa la neuro e psicomotricità.

I pazienti che soffrono di patologia oncologica pediatrica devono affrontare esami clinici e procedure mediche che possono comportare anche lunghi periodi di ricovero. Normalmente tra le opzioni di trattamento si hanno una o più delle seguenti: chemioterapia, immunoterapia, radioterapia, chirurgia e trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE). Il principale obiettivo del trattamento è quello di massimizzare la cura e minimizzare gli effetti collaterali e la tossicità delle terapie, sia a breve che a lungo termine. Per i tumori non guaribili l’obiettivo dei trattamenti è quello di migliorare la qualità della vita e, se possibile, prolungarne la durata.

I percorsi di trattamento e i protocolli diagnostici variano a seconda del tipo di tumore e stadio in cui si presenta, dell’età dei pazienti, della risposta alle terapie e di eventuali patologie e complicanze associate; anche la durata delle terapie e dei cicli di trattamento variano di caso in caso.[1]

Chemioterapia

La chemioterapia impiega farmaci citotossici o tossici per le cellule tumorali in modo da distruggerle. Questo meccanismo mira a rallentare la crescita delle cellule tumorali che proliferano rapidamente. Molte di queste terapie hanno un impatto anche sulle cellule di tessuti sani, distruggendole, specialmente quelle che si riproducono velocemente (es. le cellule della pelle). I farmaci vengono selezionati, e generalmente combinati tra loro, in modo da massimizzare la probabilità di distruggere le cellule di uno specifico tumore tentando di minimizzare gli effetti collaterali. Le combinazioni di agenti chemioterapici. Le dosi somministrate sono generalmente individualizzate a seconda del tipo di tumore e la sua stadiazione, eventuali complicanze secondarie, e la capacità del bambino di tollerare la terapia. La chemioterapia, aggredendo le cellule ematiche, fa diminuire le difese immunitarie. Di conseguenza i pazienti si trovano in condizione di immunosoppressione, e quindi di maggior vulnerabilità alle infezioni e pertanto risulta necessario ridurre le interazioni con persone esterne al reparto. Tra gli effetti collaterali dei trattamenti chemioterapici possono esserci l’inibizione della crescita delle cellule sane, la fatigue, nausea, vomito, diarrea, perdita di capelli, dolore addominale, mucosite, immunosoppressione e perdita di appetito, perdita di forza muscolare e osteopenia. Anche dopo che la terapia antitumorale è stata completata, la fatigue è molto comune nei bambini e nei giovani che effettuano trattamenti chemioterapici. I sintomi vengono trattati singolarmente, con gli idonei protocolli. nel momento in cui si presentano. Vari studi, incluso il “large Childhood Cancer Survivor Study”, hanno identificato la fatigue come uno dei principali effetti collaterali nei sopravvissuti al cancro infantile. Gli effetti collaterali possono persistere anche nella fase successiva alle cure.[12][15]

Tra i farmaci chemioterapici e i loro potenziali effetti collaterali ci sono:

  • Corticosteroidi, comunemente usati per trattare leucemie e linfomi, possono causare obesità, perdita di massa muscolare, osteopenia/osteoporosi e c’è la possibilità che provochino osteonecrosi (morte ossea);
  • Vincristina e Vinblastina, farmaci usati per trattare molte leucemie, linfomi, tumori cerebrali e tumori solidi. Causano comunemente neuropatia periferica sensoriale o motoria (es. debolezza dei nervi periferici o riduzione della sensibilità, danno nervoso);
  • Metotrexato, viene usato per trattare molti tumori infantili tra cui leucemie, linfomi e alcuni tumori ossei, pùo causare effetti negativi sul SNC, osteopenia e osteoporosi;
  • Bleomicina e Mostarde Azotate, vengono usati nel linfoma di Hodgkin e nei tumori delle cellule germinali, sono tossici per i polmoni e possono problemi respiratori efibrosi polmonare (cicatrici polmonari);
  • Antracicline, usate per le leucemie, i linfomi e tumori solidi, sono noti per causare numerosi effetti tardivi al cuore, tra cui cardiomiopatie e aritmie con potenziale insufficienza cardiaca.

Tra gli obiettivi futuri c’è quello di trovare farmaci che abbiano un effetto antitumorale più selettivo, con minori effetti collaterali possibile.

Per le somministrazioni prolungate in regimi di ricovero , generalmente le dosi di farmaco chemioterapico vengono somministrate attraverso il catetere venoso centrale (CVC), per più giorni in maniera ininterrotta. Il CVC viene solitamente inserito attraverso la vena succlavia con una procedura che costituisce a tutti gli effetti un intervento chirurgico che viene eseguito in anestesia totale.[16]

Oltre ai periodi di ospedalizzazione, durante il tempo trascorso a casa, il bambino deve limitare le interazioni sociali per non esporsi al rischio di infezioni visto l’abbassamento delle difese immunitarie (pur minore rispetto a quanto accadeva nella fase intensiva della terapia). L’immunodeficienza si risolve gradualmente.[12]

Radioterapia

La radioterapia pùo essere una modalità di trattamento molto efficace per alcuni tumori pediatrici. Differisce dalla chemioterapia perchè solitamente è indirizzata ad una specifica parte del corpo. Oltre ad essere tossica per le cellule tumorali, la radioterapia lo è anche per i tessuti sani intorno all’area che viene irradiata, e la crescita e il normale sviluppo di questi tessuti possono essere significativamente influenzati. E` tipicamente utilizzata in combinazione con altre modalità di trattamento, e i medici tengono conto dell’età del bambino e dell’area da sottoporre a radiazioni, cercando di evitare quelle più sensibili. Ogni tessuto ha una diversa capacità di tolleranza alla radioterapia. Se possibile, ai bambini sotto 3 anni non viene fatta la radioterapia cranica, in particolare agli emisferi cerebrali. Quando il sistema cognitivo è colpito possono esserci disturbi nell’apprendimento e conseguente compromissione delle capacità del bambino di socializzare. La radiazione cranica comporta inoltre rischi di complicazioni neurologiche e di crescita, oltre a un maggior rischio di obesità. Se le aree che vengono sottoposte a radiazioni includono polmoni o il cuore, questi possono subire effetti collaterali cardio-respiratori a lungo termine.[12]

Chirurgia

In caso di tumore solido, per poter massimizzare la possibilità di guarigione, spesso si ricorre alla chirurgia. La pratica chirurgica solitamente viene impiegata per rimuovere tumori del SNC, masse addominali e tumori muscolo scheletrici. Anche tumori toracici primari o metastasi potrebbero richiedere una rimozione chirurgica. Generalmente viene utilizzata in combinazione con altre modalità di trattamento (es. chemioterapia o radioterapia). Gli effetti collaterali e le complicanze possono variare a seconda del bambino, della sede del tumore e della specifica procedura chirurgica; tra gli effetti collaterali ci sono le potenziali lesioni da procedure neurochirurgiche, la perdita di volume polmonare o a causa di resezione del polmone o di una deformità toracica, eventuali effetti collaterali funzionali e/o deficit strutturali causati da un intervento chirurgico ortopedico.[12]

Immunoterapia

L’immunoterapia sfrutta i meccanismi immunitari per distruggere le cellule tumorali. Tali terapie sono al centro della ricerca, e stanno diventando lo standard di cura per il trattamento del neuroblastoma e di alcuni linfomi. Anche l’uso di virus per distruggere le cellule tumorali è di crescente interesse. Tra i potenziali effetti collaterali ci sono reazioni allergiche, la maggior permeabilità dei vasi sanguigni, immunosoppressione e il rischio di un sviluppare un linfoma secondario.[12]

Trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE)

Il TCSE comporta l’infusione di cellule staminali emopoietiche per ricostruire la funzione del midollo osseo e facilitare la ripresa dalle alte dosi di chemioterapia e/o radioterapia, o come forma di immunoterapia cellulare per curare malattie del sangue e malattie immunologiche. Le cellule staminali sono cellule giovani e immature che andranno in corso al processo di differenziazione per poi costituire le varie tipologie di cellule specializzate.[12]

Esistono due tipi di TCSE: le cellule staminali possono essere infuse nell’individuo da cui sono state raccolte (trapianto autologo) oppure possono essere donate da un’altra persona (trapianto allogenico). Il trapianto autologo è generalmente utilizzato dopo chemioterapia per consentire la tollerabilità ad alte dosi e per facilitare il recupero. Il trapianto allogenico invece è usato in caso di leucemie, insufficienze midollari (anemia aplastica) e disturbi immunologici. Il tipo di trapianto viene deciso dall’equipe medica in base a parametri come il tipo di malattia, l’età del paziente, le sue condizioni generali di salute e la disponibilità di un donatore compatibile. Il TCSE è associato a svariati effetti collaterali, anche causati dai farmaci chemioterapici utilizzati per distruggere i linfoblasti, che vengono trattati sintomaticamente. Oltra a nausea e vomito ci possono essere mucosite, alopecia e fatigue, perdita di massa muscolare, la diminuzione della funzionalità cardiovascolare, l’immunosoppressione e la malattia da trapianto verso l’ospite (Graft Versus Host Disease (GVHD)), caratteristica del trapianto allogenico. Inoltre il trapianto di midollo pùo comportare disagio a livello psicologico-emotivo.

In caso di GVHD, le cellule immunitarie del donatore causano l’infiammazione nei tessuti ospiti che sono identificati come estranei. Nella forma acuta, GVHD pùo causare eruzioni cutanee, diarrea e/o anomalie del fegato. Le manifestazioni di GVHD cronica sono molti e possono includere affaticamento, rigidità articolare, ispessimento ed indurimento della cute con conseguente gamma di movimento diminuita di movimento, alterazioni della funzione polmonare. Per il trattamento di GVHD vengono utilizzati farmaci immunosoppressori, tra cui i corticosteroidi (che comportano gli effetti collaterali descritti in precedenza).[12][17]

Nel caso di diagnosi o di sospetto di leucemia, i pazienti vengono sottoposti ad altre due procedure invasive:

  1. la rachicentesi, ovvero il prelievo del liquor attraverso l’inserimento di un ago a livello del rachide lombare, nello spazio tra due vertebre. Il liquido cerebrospinale viene in seguito esaminato e viene valutata la presenza di linfoblasti. In caso vengano individuati, pùo essere somministrata una terapia volta a distruggerli direttamente attraverso la stessa via del prelievo, e possono essere somministrati chemioterapici a scopo profilattico. Tra gli effetti collaterali della procedura pùo esserci cefalea, che pùo essere controllata con analgesici.[18]
  2. il prelievo del midollo, o aspirato midollare, che avviene attraverso un’aspirazione dell’osso con ago, a livello della cresta iliaca o dello sterno, in anestesia locale. Solitamente il paziente viene monitorato attraverso prelievi ematici che permettono di valutare lo stato generale dell’organismo, accertandosi che non siano anche affetti da altre anomalie, e attraverso i quali è possibile fare la conta dei linfoblasti nel sangue. Se l’analisi ematica risulta priva di linfoblasti risulta necessario analizzare il midollo per controllare l’eventuale presenza di cellule tumorali.

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Cure Palliative

L’OMS definisce le cure palliative come la presa in carico globale di corpo, mente e spirito del bambino, compreso il supporto alla famiglia. Tale approccio èfinalizzato a migliorare la qualità di vita di pazienti con patologia letale o potenzialmente letale e delle loro famiglie.

Negli ultimi anni i bisogni assistenziali dell’età evolutiva sono cambiati. Grazie al progresso medico, tecnologico ed ai nuovi interventi e obiettivi di salute, è aumentato notevolmente il numero di bambini con malattie inguaribili o disabilità gravi. In questo contesto le cure palliative rientrano tra i più importanti aspetti innovativi riguardo la presa in carico del bambino. I trattamenti palliativi hanno come obiettivo quello di dare sollievo da dolore ed altri sintomi e considerano la morte un evento naturale e affermano il valore della vita. Tali trattamenti non si prefiggono di accelerare o rimandare la morte ma di supportare la migliore qualità di vita possibile del paziente e della famigliafino al momento del decesso, e di dare supporto alle famiglie per affrontare la malattia e in seguito il lutto. Nella maggioranza dei casi il domicilio è il luogo ideale per questo genere di assistenza e cura. Le cure palliative si possono applicarefin dall’esordio della patologia, e si possono associare a terapie del dolore o ad altre terapie che hanno come obiettivo quello di prolungare la vita. In medicina sono un ambito affermato e riconosciuto, e si basano su evidenze scientifiche.

Le cure palliative pediatriche richiedono modelli organizzativi e competenze specifiche modulati alle caratteristiche (biologiche, psico-relazionali, cliniche, sociali, etiche, spirituali) del paziente pediatrico che le differenziano dalle cure palliative rivolte agli adulti. Per rispondere alle esigenze dei pazienti e delle famiglie sono necessari approcci multi-professionali e interdisciplinari. In questo modo, migliorando la qualità della vita, possono esserci risvolti positivi anche sull’andamento della patologia. Le patologie potenzialmente eleggibili alle cure palliative sono varie, cos`ı come sono vari i bisogni che tali patologie inducono.

In Italia la Legge 38/2010, con i successivi provvedimenti attuativi, garantisce alla popolazione pediatrica l’accesso a cure palliative e terapia del dolore con approcci denotati da abilità e conoscenze diversificate ma anche attitudini comuni e condivise sia a livello di organizzazione che di gestione clinica, assistenziale e sociale. [19][20]

Figura 3: Linfoma di Hodgkin: incidenza per area nella fascia 0-14 anni, nel periodo 2003-2008[1] 1

Figura 3:Linfoma di Hodgkin: incidenza per area nella fascia 0-14 anni, nel periodo 2003-2008[1]

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Figura 4:Linfoma di Hodgkin: incidenza per genere nella fascia 0-14 anni, nel periodo 2003-2008[1]

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Il linfoma di Hodgkin

Il linfoma di Hodgkin è una malattia neoplastica del sistema linfatico; la patologia è caratterizzata dalla presenza di cellule multinucleate di Hodgkin e di Reed-Sternberg (R-S) e loro varianti.[21] Nonostante il fatto che l’eziologia e gli eventi molecolari all’origine della malattia rimangano ancora in gran parte sconosciuti, il LH è una delle patologie oncologiche in cui negli anni si continuano a verificare significativi miglioramenti per quanto riguarda prognosi e approcci terapeutici.

Epidemiologia

Negli Stati Uniti, nel periodo 1997-2001, viene stimato un tasso di incidenza, per entrambi i sessi, di 2,7 per 100.000 abitanti per anno. Le curve di incidenza hanno un andamento bimodale con il primo picco tra i 15 e i 34 anni e un secondo picco dopo i 50 anni. Il tasso di incidenza è stato relativamente stabile nel tempo ma si è osservato un aumento di incidenza di LH tra i giovani adulti ed una diminuzione tra gli individui di oltre 40 anni.[22][21]

Incidenza in età pediatrica (0-14 anni)

Incidenza: In Italia, dai dati AIRTUM del periodo 2003-2008, il LH rappresenta il 6% dei tumori registrati, il 43% di tutti i linfomi in età pediatrica.

Tassi di incidenza: 10,5 casi per 1.000.000.

Rischio cumulativo: il rischio di contrarre il LHfino a 14 anni di età è dello 0,16%.

Figura 5:Linfoma di Hodgkin: incidenza per età e area, nella fascia 0-14 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 5:Linfoma di Hodgkin: incidenza per età e area, nella fascia 0-14 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 6:Linfoma di Hodgkin: incidenza per età e genere, nella fascia 0-14 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 6:Linfoma di Hodgkin: incidenza per età e genere, nella fascia 0-14 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 7:Linfoma di Hodgkin: trend di incidenza per area, nella fascia 0-14 anni, periodo 1993-2008[1]

Figura 7:Linfoma di Hodgkin: trend di incidenza per area, nella fascia 0-14 anni, periodo 1993-2008[1]

Figura 8:Linfoma di Hodgkin: trend di incidenza per genere, nella fascia 0-14 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 8:Linfoma di Hodgkin: trend di incidenza per genere, nella fascia 0-14 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 9:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per periodo, nella fascia 0-14 anni, periodo 1998-2008[1]

Figura 9:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per periodo, nella fascia 0-14 anni, periodo 1998-2008[1]

Figura 10:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per area, nella fascia 0-14 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 10:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per area, nella fascia 0-14 anni, periodo 2003-2008[1]

Area geografica: l’incidenza è più elevata a Nord-Est, con 11,9 casi per 1.000.000, e più bassa nel Sud con 9,0 casi per 1.000.000.

Genere: l’incidenza è maggiore nei bambini, con 11,2 casi per 1.000.000 che nelle bambine, con 9,9 casi per 1.000.000.

Età: l’incidenza aumenta con l’età; 0 casi sotto l’anno di etàfino a 2,9, per le bambine, e 7,7, per i bambini, casi per 1.000.000 nella classe di età 5-9 anni, poi aumenta a 27,8 (bambine) e 25 (bambini) casi per 1.000.000 nella classe di età 10-14 anni. L’incidenza è simile nelle differenti aree geografiche.

Trend: il trend di incidenza dal 1988 al 2008 mostra un aumento annuo del 3,2% nei bambini, con unaflessione nell’ultimo periodo, mentre nelle bambine mostra un aumento dal 1993-1997, seguito da una lieve diminuzione. Globalmente, per l’intero periodo, l’aumento è del 4,2% all’anno, mentre se si considera il periodo dal 1993 al 2008, includendo 6 ulteriori registri, del 4,7%. Nel trend dell’ultimo periodo, per area geografica, l’incidenza mostra un aumento seguito da unaflessione (Sud e Centro) e da un andamento stabile (Nord-Est e Nord-Ovest).

Sopravvivenza: la sopravvivenza cumulativa a 5 anni dalla diagnosi è più bassa nel Sud (89%) rispetto alle altre aree (96%). Il trend di sopravvivenza risulta stabile. Per le diagnosi più recenti le sopravvivenze a 5, 10 e 15 anni sono di 96%, 95% e 94% rispettivamente.[1]

Incidenza in età adolescenziale (15-19 anni)

Figura 11:Linfoma di Hodgkin: incidenza per area nella fascia 15-19 anni, nel periodo 2003-2008[1]

Figura 11:Linfoma di Hodgkin: incidenza per area nella fascia 15-19 anni, nel periodo 2003-2008[1]

Figura 12:Linfoma di Hodgkin: incidenza per genere nella fascia 15-19 anni, nel periodo 2003-2008[1]

Figura 12:Linfoma di Hodgkin: incidenza per genere nella fascia 15-19 anni, nel periodo 2003-2008[1]

In adolescenza (15-19 anni) il LH è più frequente che in infanzia (0-14 anni) e rappresenta il 23% dei tumori registrati dalla banca dati AIRTUM nel periodo 2003-2008 e il 71% di tutti i linfomi in tale classe di età.

Figura 13:Linfoma di Hodgkin: trend di incidenza per genere, nella fascia 15-19 anni, periodo 1988-2008[1]

Figura 13:Linfoma di Hodgkin: trend di incidenza per genere, nella fascia 15-19 anni, periodo 1988-2008[1]

Figura 15:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per genere, nella fascia 15-19 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 14:Linfoma di Hodgkin: trend di incidenza per area, nella fascia 15-19 anni, periodo 1993-2008[1]

Figura 16:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per area, nella fascia 15-19 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 15:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per genere, nella fascia 15-19 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 16:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per area, nella fascia 15-19 anni, periodo 2003-2008[1]

Figura 16:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per area, nella fascia 15-19 anni, periodo 2003-2008[1]

Incidenza: 64,6 casi per 1.000.000.

Area geografica: l’incidenza più elevata si trova nel Nord-Est, con 71,2 casi per 1.000.000 e la più bassa nel Sud, con 55,4 casi per 1.000.000.

Genere: l’incidenza è più elevata nelle ragazze, con 71,3 casi per 1.000.000 che nei ragazzi, 58,3 casi per 1.000.000.

Trend: nei ragazzi l’incidenza aumenta da 38,2 casi per milione nel periodo 1988-1992 a 50,9 casi per 1.000.000 nel periodo 2003-2008 ma statisticamente il trend non è significativo. Nelle ragazze si osserva una crescita dal 1993-1997. Globalmente, l’aumento annuo è del 4,8% per l’analisi dell’intero periodo dal 1988 al 2008, e del 5,8% prendendo in considerazione il periodo dal 1993 al 2008 ed includendo

6 ulteriori registri. Per quanto riguarda il trend per area geografica, si osserva un aumento nell’incidenza (Nord-Ovest non significativo; Nord-Est, APC (Annual Percental Change): 4,7%), o un aumento seguito da unaflessione (Sud e Centro).

Figura 17:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per periodo, nella fascia 15-19 anni, periodo 1998-2008[1]

Figura 17:Linfoma di Hodgkin: sopravvivenza cumulativa per periodo, nella fascia 15-19 anni, periodo 1998-2008[1]

Sopravvivenza: La sopravvivenza cumulativa a 5 anni dalla diagnosi è più bassa nel Sud (90%) rispetto alle altre aree (95%) e nei ragazzi (93%) rispetto alle ragazze (95%).

Trend di sopravvivenza: il trend è in crescita, arriva per le sopravvivenze a 5, 10 e 15 anni al 95%, 91% e 90% rispettivamente.[1]

2.7.4 Incidenza per l’intero intervallo di età 0-19

I due terzi dei casi di LH nella classe di età 0-19 anni sono relativi alla classe di età 15-19 anni.

Tasso di incidenza: dai dati AIRTUM del periodo 2003-2008, è di 23.6 casi per 1.000.0000.

Rischio cumulativo: il rischio di contrarre il LHfino a 19 anni di età è dello 0,49%.

Area geografica: al Nord-Est si ha incidenza maggiore, con 26,2 casi per 1.000.000 rispetto all’incidenza più bassa, che si trova a Sud con 20,2 casi per 1.000.000. Genere: l’incidenza è maggiore nelle ragazze, con 24,7 casi per 1.000.000 rispetto all’incidenza per i ragazzi, con 22,5 casi per 1.000.000.

Età: l’incidenza aumenta con l’età, da 0 casi sotto l’anno di etàfino a 2,9 casi, per le bambine, e 7,7 per i bambini, casi per 1.000.000 nella classe di età 5-9 anni, poi nella classe di età 15-19 anni sale bruscamentefino a raggiungere 71,3 (ragazze) e 58,3 (ragazzi) casi per 1.000.000.

Non ci sono differenze significative tra aree geografiche.

Trend di incidenza: nei ragazzi dal 1988 al 2008 si osserva un aumento annuo del 2.8%, con unaflessione nell’ultimo periodo. Nelle ragazze l’incidenza aumenta dal 1993-1997. Globalmente si osserva un aumento percentuale annuo del 4,3% per il periodo 1988-2008, e del 4,6% per il periodo dal 1993 al 2008, includendo 6 ulteriori registri. Per il trend per area geografica, l’incidenza aumenta (Nord-Ovest, non significativo; Nord-Est, APC: 4,4%) o un aumento con poiflessione (Sud e Centro) nell’ultimo periodo.

Sopravvivenza: la sopravvivenza cumulativa a 5 anni dalla diagnosi è 89% nella classe di età 1-4 anni, 91% nella classe 5-9 anni, 95% nella classe 10-14 anni e 94% nella classe 15-19 anni.

Trend di sopravvivenza: si osserva una crescita con sopravvivenze nei casi diagnosticati nell’ultimo periodo a 5, 10 e 15 anni di 96%, 93% e 92% rispettivamente.[1]

Figura 18: Linfoma di Hodgkin: tassi di incidenza specifici per età (x1.000.000). Maschi e femmine (1998-2007). Italia, Stati Uniti e Francia

Figura 18:Linfoma di Hodgkin: tassi di incidenza specifici per età (x1.000.000). Maschi e femmine (1998-2007). Italia, Stati Uniti e Francia

Eziopatogenesi

Ad oggi i meccanismi eziopatogenetici del LH sono in gran parte sconosciuti. In seguito analizziamo ipotesi e fattori di rischio associati al LH:

  • Fattori genetici
  • Ipotesi infettiva
  • Esposizioni professionali
  • Esposizioni a prodotti chimici

Fattori genetici

Una delle ipotesi è quella di una predisposizione genetica che, in concomitanza all’esposizione con un ulteriore agente oncologico, dà origine al LH. Circa il 5% dei casi di LH sono casi di LH familiari.

E` stato osservato che in parenti di primo grado di malati di LH, il rischio di sviluppare la patologia è aumentato di tre volte.[21] Inoltre, l’associazione è ancora più forte in caso di giovani e fratelli maschi. Altra prova del ruolo dei fattori genetici è l’aumento del rischio in caso di gemelli monozigoti. Alcuni studi hanno associato il LH ad alcuni aplotipi HLA (Human Leukocyte Antigen – Antigene Leucocitario Umano), ma non è chiaro quale sia il principale locus di suscettibilità.[22][21]

Ipotesi infettiva

Virus di Epstein-Barr: Il virus di Epstein-Barr (EBVEpstein-Barr Virus), appartenente alla famiglia degli herpes virus, causa della mononucleosi infettiva e, in alcune zone, del linfoma di Burkitt e del carcinoma naso-faringeo, è considerata una delle possibili cause o concause del LH.[21] L’ipotesi del ruolo dell’EBV nella patogenesi del LH deriva dalla rassomiglianza tra le caratteristiche epidemiologiche del LH nei giovani adulti e quelle della mononucleosi infettiva (MI); inoltre, studi di coorte, hanno mostrato un aumento di tre volte del rischio di sviluppare LH per individui che hanno avuto MI. Altre prove a sostegno di questa ipotesi è l’aver rilevato elevati titoli anticorpali anti-EBV che precedono l’insorgenza del LH e l’aver trovato l’EBV nelle cellule di R-S, a suggerire il legame tra la patologia e l’agente infettivo. Studi recenti hanno indicato che l’associazione tra LH e EBV è più complessa di quanto potesse sembrare inizialmente; la prevalenza di EBV è più comune nei paesi meno sviluppati e si presenta maggiormente in caso di sottotipo istologico a cellularità mista che nel sottotipo predominante della sclerosi nucleare. Inoltre l’associazione risulta più comune nell’infanzia e nel LH ad esordio tardivo (oltre i 40 anni) che nei giovani adulti.[21] Il ruolo dell’EBV rimane poco chiaro in ogni classe di età.

Herpes Virus-6 (HV6): un altro virus ipotizzato essere fattore causale o concausale del LH , è l’HV6. Studi epidemiologici hanno trovato una maggiore frequenza di anticorpi anti-HV-6 in pazienti con LH che nei casi controllo e hanno dimostrato la correlazione tra titoli anticorpali e il decorso clinico del LH. Tuttavia il HV6-DNA non è stato rilevato all’interno delle cellule neoplastiche di Reed-Sternberg (a differenza di EBV).[21]

Virus dell’immunodeficienza-HIV (Human Immunodeficiency Virus): l’infezione da HIV è associata all’aumento del rischio di sviluppare alcuni tumori, tra cui sarcoma di Kaposi, linfomi non-Hodgki (LNH) e LH. L’associazione tra infezione da HIV e LH è stata oscurata dalla forte associazione tra HIV e LNH, ma ci sono significativi aumenti del rischio di LH tra individui con, o a rischio di, AIDS. Il sottotipo di cellularità mista predomina negli individui con AIDS (in contrasto con il tipo istologico predominante nei giovani adulti). Sembra che l’associazione tra HIV e LH sia specifica dei paesi occidentali (sebbene non ci siano molti studi a riguardo). Una spiegazione per questa osservazione pùo essere data dal fatto che i pazienti in Africa muoiano a causa di altre malattie associate all’HIV.[21]

Esposizioni professionali

Lavorazione del legno: ci sono alcuni articoli che riportano un’associazione moderatamente positiva tra l’aumento del rischio di LH e la lavorazione del legno, ed un numero di articoli più o meno uguale che non segnala alcun aumento del rischio per i lavoratori di tale settore ci contrarre LH. Il piccolo numero di casi non permette di trarre conclusioni.[21]

Esposizione a prodotti chimici

Tra i rischi professionali studiati in eventuale associazione con LH rientra l’esposizione ad agenti chimici come benzene, erbicidi fenossi e clorofenoli. Gli studi effettuati non hanno prodotto prove convincenti per l’associazione di queste esposizioni al LH.[21]

Istologia

Esistono vari sottotipi di LH; la classificafazione dell’OMS su base istologica, tuttora utilizzata, suddivide i sottotipi in linfoma di Hodgkin a prevalenza linfocitarianodulare (LH-PLN) e linfoma di Hodgkin classico (LH-C), a sua volta suddiviso in quattro varianti, che, in ordine crescente di aggressività, sono: predominanza linfocitaria (PL), sclerosi nodulare (SN, la più frequente), cellularità mista (CM) e deplezione linfocitaria (DL). Ogni sottotipo si distingue per presentazione clinica, comportamento, morfologia, immunofenotipo, e caratteristiche molecolari. Le cellule di Reed-Sternberg (R-S) sono indicative del processo neoplastico e la loro presenza è condizione necessaria per la diagnosi di LH. Al microscopio, la cellula R-S appare una cellula gigante di diametro compreso tra 25 e 50pm,, bi o multinucleata, con nucleolo evidente e spesso circondato da un alone chiaro e con citoplasma debolmente acidofilo.[21] Le varianti della cellula di R-S sono:

  • cellula mononucleata (cellula di Hodgkin), con un grosso nucleo e con nucleolo centrale evidente, la sua presenza isolata non è diagnostica.
  • la variante L&H, con predominanza linfocitica e/o istiocitica, che si osserva nella sottovariante LH-PLN. E` caratterizzata da citoplasma poco colorabile, nucleo multilobato con lobulazioni sovrapposte,(aspetto a pop corn). I nucleoli sono eosinofili, e si posizionano a ridosso della membrana nucleare.
  • cellula lacunare, si osserva nella SN e appare con un alone perinucleare, causato da retrazione citoplasmatica. Nel nucleo si osservano lobature e piccoli nucleoli.
  • cellula sarcomatosa nella quale si osserva abbondante citoplasma chiaro, con nucleo irregolare e nucleoli di dimensione variabile.

In tutti i differenti isotipi le cellule di R-S e le varianti si trovano inserite in un determinato ambiente cellulare, di cui formano la minima parte e che per la restante parte è formato da unfiltrato infiammatorio ricco di linfociti, eosinofili, neutrofili, istiociti e plasmacellule in proporzioni variabili. Proprio perchè le cellule R-S costituiscono la minoranza di cellule presenti nella massa tumorale, quando è possibile, sarebbe necessario effettuare una analisi istologica del tessuto neoplasico per confermare la diagnosi e determinare la forma di LH.[21]

Immunofenotipo

Le cellule di R-S in tutti gli istotipi esprimono antigeni linfocitari come il CD30, il CD25 (recettore per l’interleuchina), antigeni di istocompatibilità di classe II, il CD71 (recettore per la transferrina). Tutti i sottotipi del LH classico presentano cellule R-S con immunofenotipo caratteristico: positività per il CD15 (marker granulocitario) e per il CD30 e negatività per il CD45 (antigene leucocitario comune, LCA). Le forme PLN di LH presentano negatività per il CD15 e debole positività per il CD30 ma positività per il CD45. In alcuni istotipi di LH, le cellule di R-S (e le sue varianti) esprimono markers T linfocitari (CD2, CD3, CD4), o di tipo B (CD19, CD20); in alcuni casi non sono espressi markers nè di tipo B nè T. In alcuni casi si possono osservare riarrangiamenti dei geni delle immunoglobuline o dei geni per i recettori dei linfociti T. Una delle ipotesi dell’origine delle cellule R-S è che, per alcuni isotipi, si sviluppi a partire dal linfocita B, in altri dal linfocita T, per proliferazione clonale neoplastica dei linfociti.[21][22]

Figura 19:LH a prevalenza linfocitaria-nodulare che mostra cellule a ”popcorn” o L&H [21]

Figura 19:LH a prevalenza linfocitaria-nodulare che mostra cellule a ”popcorn” o L&H [21]

Linfoma di Hodgkin a prevalenza linfocitaria-nodulare

Secondo la classificazione Lukes–Butler: a predominanza linfocitica e/o istiocitica (lymphocytic and/or histiocytic, L&H)

Secondo la classificazione REAL (Revised European-American Lymphoma): a predominanza linfocitaria nodulare (Figura 19). Secondo la definizione attuale, rappresenta circa il 5% di tutti i casi di LH. E` più comune nei maschi che nelle femmine e presenta un’incidenza media con picco tra quarto e quinto decennio. I pazienti si presentano tipicamente con linfoadenopatia che generalmente coinvolge i linfonodi ascellari, cervicali o inguinali e, a differenza di altre forme di LH, il coinvolgimento del mediastino è raro. Il LH-PLN solitamente segue un modello di crescita nodulare, o nodulare e diffuso,mentre è meno frequente uno schema prevalentemente diffuso. Le cellule R-S sono rare; le cellule neoplastiche sono denominate cellule L&H o ”popcorn”. Hanno un contorno nucleare lobulato, cromatina dispersa e nucleoli poco appariscenti. Generalmente si raggruppano all’interno dei noduli insieme a linfociti e istiociti.

Il LH-PLN ha un decorso clinico lento ma con un tasso di ricaduta alto. Tuttavia, le ricadute non sono necessariamente associate alla progressione clinica, e i tassi di sopravvivenza rimangono alti anche nei pazienti con recidive. Il una piccola percentuale di casi si verifica la progressione al linfoma diffuso a grandi cellule B si verifica in una piccola percentuale di casi; in questi casi, i linfomi a grandi cellule si diffondono e seguono un decorso clinico aggressivo. La diagnosi differenziale tra LH-PLN e Linfoma a grandi cellule B pùo essere difficile, e le due malattie possono verificarsi come linfomi compositi, o una in seguito all’altra nello stesso paziente; i dati attuali suggeriscono una relazione biologica tra di loro.

Linfoma di Hodgkin classico

Il LH-C comprende circa il 95% di tutti i casi di LH e mostra una distribuzione dell’età bimodale, con un primo picco all’età di 15-35 anni e un secondo picco più tardi. Nel 75% dei casi, coinvolge i linfonodi cervicali, i nodi nelle regioni mediastiniche, ascellari e para-aortiche. In circa il 20% dei casi vi è il coinvolgimento della milza, e nel 5% dei casi, del midollo osseo. Il coinvolgimento extra-nodale primario è raro.[21][23]

Sclerosi Nodulare (SN)

SN è il più comune sottotipo di LH-C, negli Stati Uniti rappresenta circa il 75% dei casi. Il rapporto maschio:femmina è di circa 1:1. Di solito si presenta nei giovani adulti, al di sotto dei 50 anni di età.

E` molto comune il coinvolgimento mediastinico anteriore con conseguente coinvolgimento di linfonodi cervicali e sopraclavicolari, linfonodi addominali superiori, e milza. Si possono verificare ingombranti masse mediastiniche e costituiscono un cattivo segno prognostico. La neoplasia pùo estendersi al polmone adiacente. Per effettuare la diagnosi di SN occorre rilevare la presenza di un modello di crescita nodulare, ampie bande difibrosi, e una variante caratteristica della cellula R-S, chiamata cellula lacunare. La cellula lacunare ha abbondante citoplasma chiaro e una membrana cellulare nettamente delimitata e pùo essere mononucleata, iperlobata o multinucleata. I nucleoli delle cellule lacunari sono generalmente più piccoli di quelli osservati nelle classiche cellule di R-S. La BNLI (British National Lymphoma Investigation) ha sviluppato un sistema di classificazione per SN, basato sulla frequenza delle cellule maligne: nelle lesioni di grado 1, almeno il 75% dei noduli contiene cellule R-S, mentre nelle lesioni di grado 2, almeno il 25% dei noduli contiene cellule maligne. Le lesioni di grado 2 secondo la classificazione della BNLI corrispondono alla precedente designazione di SN deplezione-linfocitaria (DL) e sono associate ad un decorso clinico più aggressivo.

Figura 20:LH a cellularità mista, che mostra le classiche cellule di Reed-Sternberg mescolate a linfociti, plasma e eosinofili. [21]

Figura 20:LH a cellularità mista, che mostra le classiche cellule di Reed-Sternberg mescolate a linfociti, plasma e eosinofili. [21]

Cellularità Mista (CM)

Il sottotipo CM segue come frequenza SN, con percentuali tra il 17 e il 30%, ed è più comune nei maschi rispetto alle femmine. Spesso è associato a sintomi sistemici (sintomi B). La composizione cellulare è costituita da linfociti, granulociti, plasmacellule, neutrofili, eosinofili efibrociti. Solitamente sono presentifibrosi o noduli e le cellule R-S sono numerose e ben evidenti e spesso circondano focolai di necrosi presenti nel tessuto neoplastico (figura 20). Insieme con DL (Deplezione Linfocitaria) è tra i sottotipi con maggiore associazione con l’infezione da HIV. Inoltre CM è il sottotipo che più spesso risulta positivo per le sequenze EBV.

Prevalenza Linfocitaria (PL)

Nella forma PL la composizione cellulare è caratterizzata da abbondanza di piccoli linfociti, mentre eosinofili e neutrofili sono rari o assenti. La formazione neoplasica contiene poche cellule R-S con la morfologia ed immunofenotipo classici, che talvolta possono assomigliare alle celle L&H o alle cellule lacunari. Il modello di sviluppo più frequente è quello nodulare, raramente questa forma si sviluppa seguendo un modello diffuso. Possono essere presenti pochi centri germinali, che appaiono confinati in posizione sottocapsulare. La forma PL è più comune nei maschi, e l’età media di insorgenza è leggermente superiore rispetto agli altri sottotipi di LH. I sintomi sistemici sono rari. I tassi di sopravvivenza sono lievemente migliori rispetto a quanto succede per gli altri sottotipi.

Deplezione Linfocitaria (DL)

DL è il sottotipo più raro di HL, rappresenta meno del 1% dei casi.

E` più comune nei maschi rispetto alle femmine.

E` la forma prognosticamente più grave di LH; la maggior parte dei pazienti presenta la malattia in fase avanzata, con sintomi diffusi. Sebbene sia considerata una forma aggressiva di LH si pùo ottenere la remissione completa. Il sottotipo DL ha morfologia variabile, con costanza predominanza relativa di cellule R-S e varianti e deplezione dei linfociti non neoplastici. Spesso i pazienti con DL positivi all’infezione da HIV risultano positivi ad infezione da EBV.

Esiste una sottoclassificazione sulla base dei sintomi sistemici (febbre, sudorazione notturna e perdita di peso): classe “A”, dei pazienti asintomatici, classe “B”, dei pazienti con sintomi sistemici.

Malattie secondarie al linfoma di Hodgkin

Tra le malattie secondarie al trattamento per LH, leucemia acuta non linfocitica e linfomi non-Hodgkin (LNH) sono le più comuni. Le leucemie acute si verificano di solito a 2-5 anni dopo la terapia iniziale, possono verificarsi anchefino a 12 anni dopo.

I pazienti sottoposti sia a radioterapia che a chemioterapia presentano un maggior rischio di contrarre patologie secondarie. LNH solitamente si presenta 10 o più anni dopo la diagnosi di LH. Il rischio è relativamente basso (nel 2% dei casi di LHC). Nella maggior parte dei casi, LNH è un linfoma simile a DL o Burkitt, e si presenta come una massa addominale, con coinvolgimento del tratto gastrointestinale. Tra le patologie secondarie sono stati anche descritti rari casi di linfoma a cellule T. E` stato ipotizzato che queste neoplasie siano secondarie all’immunodeficienza causata da LH, eventualmente aggravata da terapie immunosoppressive. Meno del 20% di questi tumori sono positivi all’EBV.

Linfomi compositi LH-PLN/linfoma a grandi cellule B si osservano con una certa frequenza; questa osservazione ha fatto ipotizzare che i linfomi a grandi cellule B siano l’evoluzione della malattia originale LH-PLN. In entrambi le neoplasie le cellule esprimono un fenotipo a cellule B. I linfomi a grandi cellule in pazienti con LHPLN spesso seguono un decorso clinico aggressivo, soprattutto se vengono rilevati contemporaneamente a LH-PLN.[21]

Quadro clinico e sintomatologia

La malattia si pùo presentare in diverse forme, ma generalmente interessa i linfonodi, con un coinvolgimento che segue una progressione prevedibile, e in assenza terapia risulta letale. La maggior parte di pazienti con LH, se trattata, ha prognosi positiva. Si definisce “bulky” una singola massa linfonodale delle dimensioni10 cm nel diametro maggiore o massa mediastinica>1/3 del diametro trasverso de torace misurato con TAC del torace e costituiscono fattore prognostico negativo [24]. Per pazienti con prognosi sfavorevole, anche seguendo approcci di cura aggressivi, la probabilità di guarigione a lungo termine è inferiore al 50%.[21]

Sintomatologia

Linfoma di Hodgkin Classico

La maggior parte dei pazienti con LH-C presenta un ingrossamento indolore di un linfonodo superficiale. In circa il 75% dei casi [21] vengono colpiti i linfonodi sovraclaveari o ascellari mentre l’adenopatia inguinale ed iliaca si verificano più o meno nel 10% dei casi. Circa un terzo di pazienti al momento della diagnosi presenta sintomi sistemici. Le sottovarianti di LH si definiscono appartenenti alla sottoclasse di sintomi B in caso di presenza di almeno uno dei seguenti sintomi:

  • Perdita di peso>10% del peso abituale negli ultimi 6 mesi
  • Febbre ricorrente>38�C
  • Sudorazioni notturne inspiegabili.[24]

I sintomi correlati ad una prognosi peggiore sono perdita di peso e febbre. Il prurito è comune e pùo essere il primo sintomo a comparire (anticipando di alcuni mesi la linfoadenopatia). Spesso il prurito è diffuso e refrattario alle terapie. I pazienti che non presentano linfoadenopatia periferica di solito hanno un coinvolgimento del mediastino sintomatico (tosse, affaticamento, o dispnea), o una massa asintomatica (che emerge da radiografia al torace). Al momento della diagnosi pùo esserci la splenomegalia, ma raramente è sintomatica. A differenza dei LNH, il LH è raramente di origine extra-linfonodale. La sintomatologia al di sotto del diaframma è poco frequente. I pazienti con LH possono presentare coinvolgimento di milza, meno frequentemente di linfonodi nell’addome e ancor più raramente di linfonodi inguinali o femorali. Se presente, la linfoadenopatia retroperitoneale pùo contribuire a disagio alla schiena, gonfiore addominale, o ostruzione ureterale. La malattia tende ad estendersi tra linfonodi vicini, diffondendo le cellule maligne negli organi linfatici. La diffusione si verifica in modo prevedibile (ad esempio, i canali linfatici che collegano i linfonodi del collo a quelli del mediastino spiega il fatto che frequentemente la malattia insorge contemporaneamente in queste due regioni). La diffusione ematogena del LH è meno comune; quando si verifica, di solito la milza è il primo sito colpito, seguita dal fegato e dal midollo osseo. In caso di recidiva, in particolare se la malattia refrattaria alla chemioterapia, pùo essere coinvolto il SNC. Le caratteristiche cliniche del LH-PNL differiscono significativamente da quelle del LH-C. Questa variante si presenta più frequentemente con stadio precoce, nei linfonodi cervicali o ascellari, e spesso non sono presenti sintomi sistemici. In questo sottotipo le recidive tardive sono comuni ma generalmente rispondono positivamente alla terapia. In caso di recidiva, in particolare se la malattia è refrattaria alla chemioterapia, pùo essere coinvolto il SNC.

Figura 21:Modelli anatomici comuni della presentazione del linfoma di Hodgkin [21]

Figura 21:Modelli anatomici comuni della presentazione del linfoma di Hodgkin [21]

Diagnosi

Iter di valutazione diagnostica, esamifisici e valutazioni di laboratorio

La diagnosi del LH si ottiene attraverso la biopsia linfonodale e le analisi di laboratorio e strumentali. Una volta ottenuta, risulta necessario ricostruire la storia dettagliata verificando la presenza o l’assenza dei sintomi B, misurando i linfonodi più grossi nella regione coinvolta, le dimensioni di fegato e milza.

E` importante valutare l’estensione della malattia (staging) per avere una panoramica clinico-prognostica del paziente. La stadiazione clinica (SC) viene effettuata attraverso una serie di esami clinico-strumentali, la stadiazione è definita dalla localizzazione anatomica delle regioni coinvolte nel processo neoplasico e dall’assenza o dalla presenza di specifici sintomi. Pùo avere un ruolo determinante nella scelta del percorso terapeutico per il LH, nell’ottimizzazione delle terapie (con incremento dei tassi di sopravvivenza e diminuzione di quelli di ricaduta) e nella possibilità di evitare terapie eccessivamente aggressive e sostanze tossiche non necessarie. In questo modo si pùo ridurre al minimo il rischio di neoplasie secondarie. In definitiva, con una stadiazione accurata è possibile determinare una terapia personalizzata e migliorare la qualità della vita del paziente. Il sistema di stadiazione utilizzato attualmente è quello di Ann Arbor che prevede la suddivisione in quattro stadi:

  1. E` coinvolta una sola regione linfatica (I) o un solo organo o sito extra-linfatico (IE)
  2. Sono coinvolte due o più regioni linfatiche dallo stesso lato del diaframma sole (II) o con il coinvolgimento di un organo o tessuto extra-linfatico a loro contiguo (IIE)
  3. Sono coinvolte regioni linfatiche su entrambi i lati del diaframma (III), che possono includere milza (IIIS), un organo extra-linfatico contiguo (IIIE), o entrambi (IIIES)
  4. Focolai multipli o diffusi che interessano un organo o tessuto extra-linfatico, con o senza coinvolgimento linfatico

Nota: tutti i casi sono classificati secondo le sottoclassi A (assenza di sintomi sistematici) o B (presenza di sintomi sistematici).

Valutazione Radiografica: nei pazienti con sospetto LH si effettua la radiografia toracica. La tomografia computerizzata è fondamentale per la diagnosi e la stadiazione.

Imaging funzionale: la rappresentazione nucleare è uno strumento fondamentale per la diagnosi, stadiazione e per la valutazione della risposta alla terapia. Viene effettuata la PET-FDG (tomografia ad emissione di positroni con Fluoro-DesossiGlucosio).

Valutazione cardiaca: viene eseguita prima dell’inizio della terapia in tutti i pazienti.[21]

Caratteristiche prognostiche

Cliniche

Diversi studi documentano che i sintomi B e il prurito, il sesso maschile e una stadiazione avanzata della malattia contribuiscono ad una prognosi negativa. La risposta precoce alla terapia è il più importante fattore prognostico.[21]

Strategie di trattamento

I tassi di sopravvivenza sono eccellenti, specialmente nei pazienti più giovani, e negli ultimi anni sono ulteriormente migliorati (guarigione in circa l’80-85% dei pazienti).[8] Come conseguenza, sono incrementati e maggiormente riconosciuti anche gli effetti collaterali. Uno degli obiettivi clinici è quello di classificare i pazienti in gruppi prognostici in modo da personalizzare ed ottimizzare le cure riducendo il rischio di complicazioni tardive e di tossicità a distanza. La scelta di trattamento per il LH dipende dallo stadio in cui si presenta la patologia e dalla sotto-variante. La terapia pùo prevedere la collaborazione di più specialisti con l’utilizzo di una o più tipologie di trattamento in combinazione. Circa il 60% dei casi di LH si presenta con stadio precoce. Storicamente la strategia adottata in caso di LH in stadio precoce era quella della radioterapia, negli ultimi anni c’è stato un cambio verso l’utilizzo di modalità di terapie combinate. Ci sono evidenze dell’insorgenza di effetti collaterali (tra cui neoplasie secondarie e malattie cardiovascolari) tardivi a causa dell’impiego della radioterapia ad alte dosi.

La chemioterapia, modulata in base alla stadiazione e all’andamento del LH, viene impiegata con schemi come l’OEPA, il COPDAC, il DECOPDAC, l’ABVD, il COPP-ABV, l’IEP, il DHAP.[2] Lo schema di polichemioterapia più impiegato in ambito pediatrico è l’OEPA, seguito da cicli COPDAC il cui numero dipende dallo stadio in cui si presenta la patologia e dalla presenza di segni prognostici sfavorevoli. La radioterapia viene impiegata in caso di non risposta completa dopo i primi due cicli OEPA. In caso malattia chemioresistente o di recidiva si pùo ricorrere a terapie di seconda linea ed anche al trapianto (autologo o allogenico) di cellule staminali.[8] Negli ultimi anni sono stati sviluppati nuovi farmaci biologici, con meccanismo d’azione più selettivo rispetto alla normale chemioterapia, come il Brentuximab-Vedotin (anticorpo che, riconoscendo la molecola CD30 sulle cellule neoplasiche, veicola al loro interno una tossina distruggendole) o come gli inibitori di PD-1 e PD-L1. Nel caso del LH-PLN vengono utilizzati anticorpi anti-CD20. Tali farmaci vengono impiegati in caso di recidiva o di malattia chemioresistente.

La risposta al trattamento pùo essere definita:

  • Remissione Completa (RC): in caso di guarigione dalla malattia e dai tutti i sintomi legati.
  • Remissione Parziale (RP): le adenopatie vengono ridotte di più del 50% del volume e non vi è comparsa di nuove lesioni o di aumento di volume di nuovi linfonodi.
  • Malattia Stabile (MS): se non ci sono i criteri per RC o RP o progressione. Si osserva positività delle sedi iniziali di malattia senza comparsa di nuove lesioni.
  • Progressione (PG): se si è verificato un aumento maggiore del 50% delle dimensioni delle lesioni presenti inizialmente e/o se sono comparse nuove lesioni.

Follow-up

In seguito ai trattamenti ricevuti i pazienti sono sottoposti periodicamente a controlli per monitorare lo stato della malattia e gli eventuali effetti collaterali a lungo termine causati dalla terapia ricevuta. Nei primi due anni i controlli avvengono ogni 3-4 mesi, il terzo, quarto e quinto anno ogni 6 mesi e in seguito una volta l’anno. Generalmente anche le recidive rispondono positivamente alle terapie e possono essere curate definitivamente.[22][21]

Terapia di salvataggio

In circa il 30% dei pazienti che presenta il LH in stadio avanzato vi è un fallimento della prima linea di trattamento chemioterapico; la percentuale dipende dal numero di fattori prognostici negativi. In caso di ricaduta in seguito alla remissione della patologia vi sono sono differenti possibilità. In un terzo dei casi il fallimento deriva da una situazione in cui la remissione della patologia è parziale, nei restanti casi invece la ricaduta proviene da una situazione di remissione completa. La maggior parte delle ricadute avviene entro i 12 mesi dalla remissione completa; in questi casi la linea di trattamento generalmente prevede una polichemioterapia con uso di farmaci non cross-resistenti abbinati a nuovi farmaci come brentuximab o inibitori di PD-1 e PD-L1. Se vi sono le indicazioni, si pùo intraprendere un percorso di terapia ad alte dosi con trapianto di cellule staminali e in questo caso il tasso di sopravvivenza a sei anni è più o meno del 75%.[22] In circa il 20% dei casi la ricaduta si verifica oltre i 12 mesi dallafine del primo trattamento.

INDICE

La riabilitazione nel percorso di malattia oncologica pediatrica

Negli ultimi anni il modello riabilitativo in ambito oncologico pediatrico è stato modificato. Insieme all’aumento dei tassi di sopravvivenza è anche cresciuta la consapevolezza e l’attenzione agli effetti collaterali a breve o lungo termine associati alla patologia oncologica o al percorso di cura (disturbi motori, alterazioni del funzionamento neuropsicologico, alterazioni della crescita, della funzionalità endocrina e cardiaca, osteopenia, obesità). Per definire il bisogno riabilitativo di ciascun paziente in età evolutiva e definire il conseguente programma riabilitativo, è necessario effettuare la valutazione riabilitativa a partire dall’inizio della presa in carico; se necessario viene formulato il ”Progetto Riabilitativo Individuale” (Atti Conferenza Stato-Regioni n.30, G.U. n.50 02/03/2011).[25][26]

I bisognifisici, psicologici e sociali di pazienti oncologici pediatrici dipendono dall’età, dallo stadio di sviluppo della malattia e dal contesto familiare. In età evolutiva si assiste a grandi cambiamentifisici, psicologici e sociali che influenzano le esigenze riabilitative (cambia l’espressione del disturbo sensomotorio, la risposta ai trattamenti e l’esitofinale). Pertanto è necessario che l’equipe che si occupa dei pazienti in età evolutiva con malattia oncologica abbia le competenze su tale fascia di età, oltre che sul tumore specifico e sulle modalità di trattamento. Inoltre altro ruolo peculiare in età evolutiva lo ha la famiglia. Infatti l’unione ed il ruolo della famiglia e gli effetti che i problemi di salute di un bambino hanno su di essa influenzano la presa in carico dei pazienti pediatrici. Pertanto la presa in carico coinvolge e sostiene attivamente anche la famiglia durante tutto il percorso di cura (family centered care). Il percorso di cura deve essere caratterizzato da lavoro di equipe con un team multiprofessionale e multidisciplinare che veda al suo interno medici specialisti (oncologo, pediatra, neurochirurgo, ortopedico, neuropsichiatra infantile,fisiatra, radioterapista, ematologo, oculista, cardiologo, pneumologo, anatomopatologo ecc.), infermieri,fisioterapisti, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE), terapisti occupazionali, logopedisti, ortottisti, psicologi, assistenti sociali.[25][26]

Il ruolo del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva

In Italia lefigure che principalmente si occupano di riabilitazione in pazienti oncologici pediatrici sono ilfisioterapista ed il TNPEE. In genere ilfisioterapista si occupa della parte legata agli aspetti motori (compresa la riabilitazione neurologica e motoria), mentre il TNPEE dello sviluppo neuro-evolutivo globale nell’integrazione delle abilità neuro e psicomotorie.[27]

D.M. 17 gennaio 1997, n.56

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 14 marzo 1997, n. 61

  1. E` individuata lafigura professionale del terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, con il seguente profilo: il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, svolge, in collaborazione con l’èquipe multiprofessionale di neuropsichiatria infantile e in collaborazione con le altre discipline dell’area pediatrica, gli interventi di prevenzione, terapia e riabilitazione delle malattie neuropsichiatriche infantili, nelle aree della neuro-psicomotricità, della neuropsicologia e della psicopatologia dello sviluppo.
  2. Il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, in riferimento alle diagnosi e alle prescrizioni mediche, nell’ambito delle specifiche competenze:
    1. adatta gli interventi terapeutici alle peculiari caratteristiche dei pazienti in età evolutiva con quadri clinici multiformi che si modificano nel tempo in relazione alle funzioni emergenti;
    2. individua ed elabora, nell’èquipe multiprofessionale, il programma di prevenzione, di terapia e riabilitazione volto al superamento del bisogno di salute del bambino con disabilità dello sviluppo;
    3. attua interventi terapeutici e riabilitativi nei disturbi percettivo-motori, neurocognitivi e nei disturbi di simbolizzazione e di interazione del bambinofin dalla nascita;
    4. attua procedure rivolte all’inserimento dei soggetti portatori di disabilità e di handicap neuro-psicomotorio e cognitivo; collabora all’interno dell’èquipe multiprofessionale con gli operatori scolastici per l’attuazione della prevenzione, della diagnosi funzionale e del profilo dinamico-funzionale del piano educativo individualizzato;
    5. svolge attività terapeutica per le disabilità neuro-psicomotorie, psicomotorie e neuropsicologiche in età evolutiva utilizzando tecniche specifiche per fascia d’età e per singoli stadi di sviluppo;
    6. attua procedure di valutazione dell’interrelazione tra funzioni affettive, funzioni cognitive e funzioni motorie per ogni singolo disturbo neurologico, neuropsicologico e psicopatologico dell’età evolutiva;
    7. identifica il bisogno e realizza il bilancio diagnostico e terapeutico tra rappresentazione somatica e vissuto corporeo e tra potenzialità funzionali generali e relazione oggettuale;
    8. elabora e realizza il programma terapeutico che utilizza schemi e progetti neuromotori come atti mentali e come strumenti cognitivi e meta-cognitivi; utilizza altres`ı la dinamica corporea come integrazione delle funzioni mentali e delle relazioni interpersonali;
    9. verifica l’adozione di protesi e di ausili rispetto ai compensi neuropsicologici e al rischio psicopatologico;
    10. partecipa alla riabilitazione funzionale in tutte le patologie acute e croniche dell’infanzia;
    11. documenta le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata secondo gli obiettivi di recupero funzionale e le caratteristiche proprie delle patologie che si modificano in rapporto allo svilupp
  3. Il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, svolge attività di studio, di didattica e di ricerca specifica applicata, e di consulenza professionale, nei servizi sanitari e nei luoghi in cui si richiede la sua competenza professionale.
  4. Il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale.
  5. Il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva svolge la sua attività in strutture pubbliche e private, in regime di dipendenza e libero professionale.[27]

”Il TNPEE è unafigura professionale che svolge attività di abilitazione, di riabilitazione e di prevenzione nei confronti delle disabilità dell’età evolutiva (fascia di età 0 18 anni).

La cornice teorica all’interno della quale opera il TNPEE è rappresentata dal Modello bio-psico-sociale della disabilità suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

I riferimenti operativi per l’individuazione degli obiettivi dell’intervento del TNPEE sono forniti dalla Classificazione Internazionale del Funzionamento, delle Disabilità e della Salute Versione Bambini ed Adolescenti (ICF-CY), elaborata dall’OMS. L’area di intervento del TNPEE è, quindi, rappresentata dalle Disabilità dello sviluppo, intese come quelle situazioni in cui in conseguenza di una Malattia, di un Disturbo o di una Menomazione comunque determinata il soggetto presenta difficoltà nell’attualizzazione delle abilità necessarie alle Attività e alla Partecipazione e, più in generale, alla realizzazione del Progetto di Crescita. [. . . ]

IL TNPEE opera con persone in età evolutiva che stanno acquisendo quelle competenze intra ed inter-personali che permetteranno loro la partecipazione e l’inclusione nel mondo delle “persone”.

Le competenze cui viene fatto riferimento sono molteplici ed ancora una volta interagenti in maniera complessa:

  • la presa di coscienza di Sè;
  • la presa di coscienza dell’altro;
  • la presa di coscienza delle regole che definiscono i rapporti interpersonali e, più in generale, del gruppo sociale;
  • il padroneggiamento delle strategie di fronteggiamento delle novità e delle difficoltà;
  • la pianificazione dei propri comportamenti in una prospettiva a breve, medio e lungo termine.

Si tratta di un percorso di “crescita” complesso ed articolato reso possibile, da un lato, dalla progressiva maturazione di strutture neurobiologiche che riescono ad organizzare le esperienze in sistemi di complessità crescente e, dall’altro, dalla progressiva acquisizione delle “abilità” emergenti dianzi descritte (motorie, prassiche, linguistiche e sociali).

Tali abilità, rendendo possibile l’agire e l’interagire con e su l’ambiente, permettono al bambino di effettuare quelle esperienze critiche per la realizzazione del suo percorso di “crescita”.

Pertanto, nelle situazioni in cui si verifica la mancata emergenza di un’abilità, il bambino viene a perdere uno “strumento” necessario per la sua crescita psicologica. Ne deriva che il lavoro riabilitativo rivolto alla facilitazione dell’abilità, non deve mai perdere di vista la valenza “strumentale” di tale abilità alla realizzazione di un progetto di Sviluppo molto più generale: in definitiva, in riabilitazione dell’età evolutiva si lavora per favorire la crescita della “persona”.[...]”[28]

In età evolutiva lo sviluppo è globale: sviluppo motorio, emotivo, relazionale e cognitivo sono strettamente connessi e si influenzano a vicenda, interagendo e rispondendo inoltre agli stimoli ricevuti dall’ambiente. La patologia oncologica va a colpire non soltanto il corpofisico, ma anche il corpo vissuto e immaginato del bambino, la sua vita familiare e le sue relazioni. La risposta necessaria deve essere generale e deve poter rispondere a tutte le esigenze (fisiche, psichiche, relazionali ed emotive). In questo contesto, in accordo con il modello bio-psico-sociale della disabilità dell’ICF (International Classification of Functioning, WHO 2002, e International Classification of Functioning Children and Youth, WHO 2007) [29] il TNPEE definisce gli obiettivi del trattamento riabilitativo, coinvolgendo tutte le aree di sviluppo e cercando l’equilibrio e l’integrazione delle funzioni e delle competenze del bambino. Inoltre la presa in carico neuro e psicomotoria rispetta e prende in considerazione

l’interazione tra evoluzione della patologia e momento dello sviluppo del paziente. Al centro dell’intervento è il corpo del bambino. Il terapista si inserisce cos`ıall’interno dell’equipe multidisciplinare che si occupa della presa in carico del bambino. Lafigura del TNPEE si occupa degli interventi di prevenzione, terapia e riabilitazione volti a prevenire e/o migliorare le complicanze secondarie alla patologia o ai trattamenti antitumorali che interessano le funzioni sensomotorie, cognitive e psicosociali del bambino. La presa in carico riguarda sia la fase attiva delle terapie che quella non attiva, ad esempio in caso di ipostenia o fatigue causate dal trattamento farmacologico e, se indicata, dovrebbe iniziare il prima possibile. Altro elemento di grande importanza nella presa in carico riabilitativa è la continuità ospedale-domicilio-territorio che dovrebbe essere garantita almeno per tutta la fase di terapia antitumorale. Il trattamento dovrebbe continuare anche alle dimissioni.[25]

Spesso il bambino (soprattutto i più piccoli) utilizza l’azione (il movimento dotato di intenzionalità e scopo) per comunicare, impiegando tutto il corpo e non limitandosi al solo canale verbale. Ci`o pùo portare difficoltà di comprensione. Il TNPEE lavora sia sul proprio corpo che con il proprio corpo per aumentare la consapevolezza della comunicazione non verbale e per entrare il relazione con il paziente. In questo modo il terapista pùo acquisire gli strumenti per accogliere il bambino e comprendere ci`o che questi gli comunica. Attraverso il lavoro con il corpo viene coinvolta anche la sfera emotiva. Anche in ambito oncologico ed oncoematologico pùo essere utile la capacità di entrare in relazione con i pazienti attraverso canali di comunicazione corporea.[25][28]

INDICE

Il dolore e la fatigue nei pazienti oncologici pediatrici

Il dolore nella patologia oncologica pediatrica

La maggior parte dei pazienti pediatrici con patologia oncologica vive una condizione di dolore associata ai processi della malattia e/o alle procedure diagnostiche e terapeutiche, fonte di ansia e paura. Spesso il dolore è un segnale importante per la diagnosi e pùo indicare le evoluzioni positive o negative durante il decorso della patologia. In caso di dolore prolungato, persistente o ricorrente, possono esserci maggiori rischi di complicanze cliniche, con conseguenti aumenti dei tempi di degenza e dei costi delle terapie. Inoltre un approccio non adeguato ai sintomi del dolore pùo anche causare sofferenza mentale ed emozionale, sia al piccolo paziente che alla famiglia. Il ricordo di esperienze dolorose pùo avere conseguenze a lungo termine come un’eccessiva reazione a stimoli dolorosi o la non accettazione di interventi per la salute. Tutto questo mette a rischio l’integritàfisica e psichica del piccolo paziente, oltre ad angosciare la famiglia. Spesso il dolore nei bambini è poco riconosciuto e talvolta addirittura negato, quando invece risulta sempre necessario rilevarne la presenza con opportune scale di valutazione e trattarlo adeguatamente con i mezzi atti a dare sollievo, in ottica di migliorare il più possibile la qualità di vita dei bambini e quella dei loro familiari.

Una gestione del dolore ottimale ed efficace necessita di terapia farmacologica e di terapie integrative non-farmacologiche con un approccio multidisciplinare che consti di specialisti del dolore, oncologi, infermieri, assistenti sociali,fisioterapisti e TNPEE, esperti di medicina complementare e alternativa e cura spirituale, ecc. Nel trattamento dell’oncologia pediatrica la ricerca mira al miglioramento della qualità di vita dei piccoli pazienti, cercando di ridurre la tossicità dei trattamenti, il dolore e la sofferenza correlate al cancro.[20][30]

Epidemiologia e qualità di vita

Il 49% dei pazienti oncologici pediatrici riferisce dolore associato alla diagnosi; il 33% riporta dolore spesso o molto spesso. Questi numeri sono significativamente più alti al termine della vita.[30]

Classificazione e patogenesi del dolore

Secondo l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASPInternational Association for the Study of the Pain) il dolore è ”una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a, o che assomiglia a quella associata a, un danno tissutale attuale o potenziale.”. In questa definizione emergono sia la naturafisica che quella emotiva del dolore. Tra le note aggiuntive di tale definizione si trova la seguente; ”la descrizione verbale è solo uno dei tanti comportamenti usati per l’espressione del dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano o un animale esperisca dolore.”.[31] Questa nota è a sostegno dei bambini e sottolinea come le parole non siano che una delle modalità di comunicare il dolore insieme ad altri mezzi non verbali quali la mimica facciale, i vocalizzi, il movimento in generale ecc. Il dolore ha componenti sensoriali,fisiologiche, cognitive, affettive, comportamentali e spirituali. Tra queste, le componenti soggettive (comportamentali, cognitive, culturali, attitudinali...) incidono sulla percezione e sulla sensazione dell’esperienza dolorosa, su come questa viene vissuta e su come lo stimolo doloroso viene trasmesso al cervello (componentefisiologica). Tutto questo rende il dolore un fenomeno multidimensionale vissuto in maniera estremamente personale. Tra i sistemi per la classificazione del dolore, i più utilizzati sono:

  1. classificazione basata sul meccanismo patofisiologico
  2. classificazione basata sulla durata
  3. classificazione basata sulla causa
  4. classificazione basata sulla localizzazione anatomica

[5]

Classificazione patofisiologica

Il dolore da cancro è il risultato di complesse interazioni tra le cellule tumorali, il sistema nervoso e il sistema immunitario. Si distinguono due principali tipologie di dolore: nocicettivo e neuropatico.

Dolore nocicettivo: insorge se un danno tissutale attiva i nocicettori (recettori del dolore). A sua volta, a seconda di quali nocicettori vengono attivati, il dolore nocicettivo si suddivide in somatico o viscerale. Il doloresomaticoviene provocato dall’attivazione di nocicettori superficiali (che si trovano nella cute, nella mucosa del cavo orale, nel naso, nell’uretra, nell’ano, ecc) o profondi (su ossa, articolazioni, muscoli, tessuto connettivo). Generalmente è ben localizzato, penetrante, dolorante o tagliente. Ildolore visceraleinvece è dovuto all’attivazione di nocicettori che si trovano nei visceri (organi interni come il tratto gastro-intestinale, il fegato, i reni...). Spesso è mal localizzato ed è definito come sordo o compressivo.

Dolore neuropatico: è provocato da lesioni o disfunzioni del tessuto nervoso del Sistema Nervoso Periferico (SNP) o del SNC. Tale dolore pùo essereperiferico, se diretta conseguenza di una lesione o patologia che colpisce il SNP, ocentralese ad essere colpito è il SNC. Spesso è descritto come tagliente, bruciante, intorpidente o formicolante. Il dolore neuropatico è associato a vari tipi di disfunzione sensoriale.

Disfunzione sensoriale Definizione
Allodinia Il dolore è provocato da uno stimolo solitamente non doloroso.
Iperalgesia Risposta dolorosa aumentata ad uno stimolo normalmente doloroso (tattile o termico).
Ipoalgesia Risposta dolorosa ridotta ad uno stimolo normalmente doloroso (tattile o termico)
Parestesia Anormale sensazione, come formicolio, pizzicore o torpore, causata da uno stimolo normalmente non spiacevole. Spontanea o provocata
Disestesia Sensazione spiacevole. Spontanea o provocata. Iperestesia Aumentata sensibilità ad uno stimolo (termico o tattile)
Ipoestesia Ridotta sensibilità ad uno stimolo (termico o tattile)

Dolore misto: dolore neuropatico e dolore nocicettivo insieme. Possono presentarsi dolore somatico, viscerale e neuropatico contemporaneamente o singolarmente.

Dolore nocicettivo e neuropatico si distinguono clinicamente basandosi sull’origine anatomica dello stimolo e sul carattere del dolore. Talvolta non è possibile determinare o capire i meccanismi patofisiologici alla base del dolore. Questo non significa che si tratti necessariamente di dolore puramente psicogenico, che anzi è molto raro. Pùo darsi che l’incapacità di trovare il motivo del dolore sia dovuta ai limiti delle nostre conoscenze, pertanto si utilizza la definizione di doloreidiopatico, che lascia la possibilità alla futura identificazione di cause patofisiologiche. In ogni caso è importante che il dolore sia trattato, anche se non è stata ancora identificata la sua origine.

Classificazione basata sulla durata del dolore

Si distingue tra dolore acuto e cronico, ma sintomi e cause di questi due tipi di dolore possono sovrapporsi e i trattamenti e i meccanismi patofisiologici non dipendono dalla durata del dolore.

Dolore acuto: ha durata inferiore ai trenta giorni, insorge immediatamente in seguito a una lesione ai tessuti che stimola nocicettori, e ha intensità severa ma durata breve. Generalmentefinisce quando guarisce la lesione.

Dolore cronico: ha durata superiore a tre mesi, pùo essere continuo o ricorrente e dura oltre al tempo atteso di guarigione. Pùo essere conseguente al dolore acuto, se questo persiste per periodi prolungati, o ripresentarsi in caso di ricorrenza di uno stimolo doloroso o dell’esacerbazione ripetuta di una lesione.

E` comunemente associato alla crescita tumorale in malattie refrattarie o terminali, o a trattamenti associati ad interventi come amputazione di arto o chemioterapia. Pùo anche non avere una causa patofisiologica chiara. Il dolore prolungato pùo influenzare negativamente le attività di vita quotidiana, provocare angoscia, ansia, depressione, irritabilità, ecc.

Dolore episodico: insorge in determinati momenti, a intermittenza, senza che il bambino provi dolore tra un episodio e l’altro. Gli episodi di dolore possono essere caratterizzati da diverse intensità, tipologie di dolore o frequenza. Pùo coesiste con il dolore persistente.

Dolore episodico intenso, ”breakthrough pain”: aumento momentaneo dell’intensità del dolore su di un livello base di dolore già esistente. Solitamente è improvviso, con intensità severa e durata breve.

Dolore da incidente o dovuto a movimento: pùo essere causato da movimenti abituali o acuito da movimentifisici (es. sollevare un peso, tossire...). Pùo essere indotto anche da procedure diagnostiche.

Dolore dafine dose: insorge quando la percentuale ematica del farmaco arriva al di sotto del livello analgesico minimo di efficacia.

Classificazione eziologica

La classificazione eziologica è basata sul genere di patologia che causa il dolore e non sul meccanismo alla base di questo, quindi generalmente non incide sul trattamento del dolore.

Classificazione anatomica

Il dolore pùo venire classificato a seconda di dove si localizza o della funzione del tessuto interessato. Questa classificazione non considera il meccanismofisiopatologico alla base del dolore e pertanto non incide sulla scelta per il trattamento del dolore.[5]

Cause del dolore nei bambini con patologia oncologica

Il dolore è causato da molteplici fattori, i quali vanno tenuti in considerazione nella valutazione e nel trattamento della sintomatologia. Per la gestione del dolore è necessaria una presa in carico globale ed integrata. Generalmente, il dolore correlato al cancro insorge al momento della diagnosi, specialmente quando la malattia recidiva o è resistente al trattamento. Nei paesi maggiormente sviluppati, la maggior parte del dolore causato dal percorso di malattia oncologica è dovuta a procedure diagnostiche, terapeutiche e di trattamento, o alle complicanze associate a quest’ultimo. Nei paesi meno sviluppati spesso i bambini con patologia oncologica si presentano con stadio avanzato ed il dolore è causato dalla malattia stessa.

Il dolore oncologico pùo essere classificato in base alla causa e al momento di insorgenza durante il percorso di malattia (dalla diagnosifino alle cure di mantenimento e ai controlli di follow-up, o alla fase terminale).

Dolore primariocausato dal cancro e/o dalla metastasi, per effetto dell’invasione di strutture anatomiche da parte del tumore. Il dolore in questo caso è provocato da meccanismi di compressione, distensione o infiltrazione da parte della massa cancerogena, di infiammazione dovuta ad infezione, necrosi od ostruzione, o dalla compressione del tessuto nervoso.

Cancro Meccanismo che causa il dolore
Leucemia/Linfoma Espansione del midollo, distruzione delle ossa, compressione del midollo osseo, dolore addominale dovuto a infiltrazione nell’organo, mal di testa causato dal coinvolgimento del SNC
Neuroblastoma Dolore addominale, compressione del midollo, metastasi ossee
Tumore di Wilms Dolore addominale
Tumore cerebrale Mal di testa
Osteosarcoma Distruzione osso corticale
Sarcoma di Ewing Distruzione osso corticale

[30]

Dolore secondario procedurale, causato dalle tecniche diagnostiche o procedurali. Spesso, sia per il piccolo paziente che per i familiari, è causa di preoccupazione quanto il dolore primario e costituisce un peso aggiuntivo. Il dolore procedurale pùo causare ferite nella memoria e nella vita emotiva dei bambini che non sempre riescono a comprenderne le ragioni e il significato. Questo inciderà sulle loro future risposte, infatti l’ansia provocata dalle procedure potrebbe far aumentare il dolore percepito durante procedure successive. Pertanto è essenziale far fronte al dolore procedurale; tale necessità si riscontra anche nella relazione con i caregiver e/o i familiari del bambino, i quali spesso sono diffidenti verso i professionisti sanitari e tendono a sviluppare depressione o frustrazione per l’essere incapaci di impedire il dolore del bambino.

Le procedure che possono provocare dolore, oltre ad ansia e paura, sono: punture sul dito ed endovenose, iniezioni intramuscolari e sottocutanee, punture lombari, aspirazione del midollo osseo, biopsia, procedure chirurgiche. Le procedure diagnostiche per immagini, come RMN (Risonanza Magnetica Nucleare), TC (Tomografia Computerizzata), PET (Positron Emission Tomography), ecc.. Queste si associano spesso a stress psicofisico ed essere anch’esse vissute come eventi traumatici.

Dolore legato al trattamento; i trattamenti antitumorali sono tra le cause principali del dolore oncologico pediatrico. Tra gli effetti collaterali che provocano dolore rientrano: mucosite, dovuta a chemioterapia e/o radioterapia; la dermatite provocata dalle radiazioni; dolore addominale dovuto ad episodi di vomito protratto causato dalle terapie; mal di testa post-puntura lombare; neuropatia indotta dai farmaci; necrosi avascolare provocata da steroidi; statifisici post-operativi; arto fantasma in caso di amputazione.

Dolore associato alla fase terminale della malattia, spesso è il sintomo descritto più frequentemente dai pazienti in stato terminale. L’origine è multifattoriale: spasmi muscolari, costipazione, metastasi, pressione intracraniale crescente e allettamento forzato concorrono a provocare sintomatologia dolorosa.

[5][20][30][32]

Il dolore causato dalla patologia oncologica pùo essere acuto o cronico.

Le cause deldolore acutopossono essere l’invasione diretta da parte del tumore delle strutture anatomiche, la pressione provocata dalle metastasi (la compressione midollare metastatica pùo causare dolore dorsale, il tumore metastatico al cervello pùo causare cefalea...), le procedure diagnostiche o terapeutiche, la mucosite causata dai farmaci antitumorali. Inoltre possono esserci patologie concomitanti o cause non inerenti che causano dolore incidente nei bambini con patologia oncologica.

Ildolore cronicopùo essere provocato dalla crescita della massa tumorale, da procedure diagnostiche o terapeutiche (amputazioni, chemioterapia...). Alcuni tumori (leucemia, linfomi, sarcoma osseo, neuroblastoma) possono causare dolore osseo e articolare. Leucemia e tumori cerebrali causano cefalea. Le lesioni al sistema nervoso (dovute alla compressione o alle infiltrazioni da parte del tumore) causano dolore neuropatico. Trattamenti chemioterapici o radioterapici possono provocare danni che provocano dolore cronico.

Valutazione del dolore

La gestione del dolore comincia con una accurata ed adeguata valutazione, affinchè i professionisti sanitari possano trattare il dolore ed evitare inutili sofferenze. La percezione del dolore è provocata dall’interazione di diverse componenti. Insieme ai fattori biologici (ad esempio le lesioni del tessuto) e alla nocicezione, anche fattori come le componenti psicologiche, emozionali, comportamentali, le credenze, le attitudini spirituali e culturali, le componenti cognitive (il controllo del dolore), concorrono all’esperienza del dolore, rendendola estremamente soggettiva. I professionisti sanitari che si occupano del paziente devono relazionarsi ad esso per determinare la tipologia del dolore e quantificarne l’intensità e la severità. La valutazione complessiva necessita di un approccio globale e deve tenere conto degli stimoli nocivi, delle rispostefisiologiche, ambientali/attitudinali, emozionali, del self-report del paziente, delle reazioni a stimoli dolorosi passati, del contesto ambientale, familiare e culturale in cui si trova il paziente, delle sue abitudini comportamentali e del parere dei genitori. La valutazione deve avvenire periodicamente a intervalli ravvicinati, alfine di monitorare lo stato del paziente e l’efficacia delle strategie di trattamento dal dolore.

La valutazione iniziale comprende una dettagliata anamnesi dalla quale emergano le precedenti esperienze dolorose, i trattamenti analgesici già effettuati (per verificarne il grado di efficacia) e l’esperienza dolorosa attuale.

E` importante individuare localizzazione, durata, caratteristiche (dolore tagliente, bruciante, lancinante, pulsante...), andamento ed eventuali aggravamenti del dolore e il suo impatto nella vita quotidiana del bambino (nel sonno, nelle le relazioni, a scuola, nello sviluppo, nelle funzionifisiche...) e di conseguenza anche della famiglia. L’anamnesi deve includere la valutazione del livello cognitivo del bambino ed informazioni sui suoi comporta-

menti abituali quando non è presente la sintomatologia dolorosa.

E` necessario effettuare un esame obiettivo che preveda una valutazionefisica complessiva, ponendo particolare attenzione alle regioni dove viene indicato il dolore. I professionisti sanitari devono cercare di capire l’associazione tra i fattori scatenanti e il sintomo doloroso, quali fattori aggravano la sintomatologia, quali danno sollievo. Nell’esame obiettivo è fondamentale osservare le reazioni verbali o non verbali (smorfie facciali, rigidità, movimenti involontari, vocalizzi) e valutare il cambiamento, rispetto alle normali funzionifisiche, provocato dal dolore. Con anamnesi ed esame obiettivo vengono raccolte informazioni utili a porre una diagnosi della causa scatenante il dolore, o, se quest’ultima è solamente ipotizzata, a indirizzare la scelta di indagini radiologiche o di laboratorio volte a confermarla.

Infine è necessario scegliere, in base all’età e alle possibilità del paziente, scale di misurazione del dolore che permettano di quantificarne la severità. Gli strumenti sviluppati per valutare vari aspetti dell’esperienza del dolore includono misure di parametrifisiologici, comportamentali e self-report. Le manifestazionifisiologiche del dolore acuto, regolate dal sistema nervoso autonomico, sono aumento della frequenza cardiaca, respiratoria e della pressione arteriosa, dilatazione delle pupille e diaforesi. In caso di dolore prolungato, avviene un processo di adattamento e tali risposte scompaiono; pertanto queste risultano utili prevalentemente nella valutazione del dolore acuto dovuto a procedure mediche.

Per quanto riguarda i pazienti pediatrici oncologici con dolore cronico, nella valutazione globale del dolore è essenziale valutare anche altri parametri come i disturbi emotivi, le difficoltà a dormire, le strategie di coping. Ansia, irritabilità, impossibilità a riposare, rabbia, sentimento di non avere speranze, sono alcune delle manifestazioni emotive del dolore. I disturbi del sonno possono incrementare l’esperienza del dolore oppure potrebbero essere causati dal dolore persistente. Strategie di coping inefficaci o negative influenzano la salutefisica ed emozionale dei bambini, cos`ı come la qualità di vita. Il dolore persistente talvolta causa difficoltà nelle normali attività (come correre o camminare) ed interferisce nelle attività sociali di bambini e adolescenti.

A seconda della fascia di età e del livello di sviluppo cognitivo dipenderà la differente modalità di esprimere il dolore; di conseguenza cambieranno anche le modalità e le scale di misurazione adottate. Spesso è fondamentale l’osservazione del comportamento e della comunicazione non verbale, specialmente nei bambini piccoli i quali ancora non sono in grado di riferire la localizzazione o la tipologia di dolore provato. I comportamenti includono le espressioni facciali, la postura, i vocalizzi o la verbalizzazione (parole semplici, imparate in famiglia, come ”ahi”...). Gradualmente emergono le capacità di comunicazione verbale: tra i 2 e i 4 anni i bambini cominciano a spiegare verbalmente la presenza del dolore, piano piano imparano a distinguere i livelli di ”poco”, ”abbastanza” e ”molto”, entro i 5 anni descrivono e definiscono l’intensità del dolore, a 6 anni riescono a identificare i diversi livelli di dolore e tra i 7 e i 10 anni comprendono e spiegano il motivo del dolore.[5]

In caso di bambini piccoli che ancora non sanno parlare, la descrizione del dolore è affidata ai caregiver.

Talvolta i bambini possono negare o nascondere il dolore per paura di dover affrontare procedure più dolorose (ad esempio per paura delle iniezioni). L’assenza di indicazioni o di comportamenti che indichino dolore non significa necessariamente che i bambini non lo provino.

Uso di strumenti di valutazione

Figura 22:Scala FLACC

Figura 22:Scala FLACC [33]

Per riconoscere, misurare, valutare e monitorare l’andamento del dolore sono state sviluppate molteplici scale; è opportuno scegliere strumenti adeguati all’età, alle condizioni del bambino, al contesto familiare ed ambientale. Gli strumenti devono essere validati e specifici per l’età evolutiva.

Le scale di intensità hanno come obiettivo quello di quantificare il dolore. Ad esempio, la FLACC è uno strumento di osservazione che valuta attraverso l’espressione facciale, il movimento delle gambe, l’attività, il pianto e la consolabilità. Per ogni parametro viene assegnato un punteggio da 0 a 2 per un totale massimo di 10. Figura 22

Per i neonati viene utilizzata la scala PIPP (Premature Infant Pain Profile). La scala NIPS (Neonatal Infant Pain Scale) viene impiegata per valutare il dolore procedurale nel neonato a termine e pretermine mentre la scala FLACC con i neonati a termine, con i bambinifino ai 3 anni e in caso il bambino non sia competente neurocognitivamente. Scale di valutazione soggettive (self-report), come ad esempio la VAS (Visual Analogue Scales) o NRS (Numerical Rating Scale) o la scala di WONG-BAKER, sono somministrabili a bambini in grado di rispondere e comunicare. Dall’età e dal livello di sviluppo del bambino dipende la sua capacità di quantificare e/o contare.[30][34]

Trattamento del dolore

In seguito ad una opportuna valutazione, professionisti sanitari e caregiver decidono insieme un opportuno piano di gestione del dolore. Tale piano deve essere monitorato nel tempo per verificarne l’efficacia ed eventualmente apporre le modifiche necessarie.

Gestione farmacologica del dolore

I principi generali della gestione farmacologica del dolore nel cancro pediatrico sono basati sulle linee guida dell’OMS che vedono come concetti chiave:

  • usare una strategia a due gradini
  • dosaggio a intervalli regolari
  • usare un’appropriata via di somministrazione
  • trattamento individualizzato

La strategia a due gradini, a seconda dell’intensità del dolore, permette di fornire un’adeguata analgesia per i bambini. Il dolore lieve e acuto causato del cancro pùo essere trattato con paracetamolo e/o ibuprofene (farmaci di scelta nel primo gradino). Invece in caso di dolore da moderato a severo vengono considerati farmaci più forti, come gli oppioidi (morfina, fentanyl, idromorfone, oxycodone o metadone). Quando il dolore è persistente gli analgesici vanno somministrati a intervalli regolari e non al bisogno, con eventuali dosi extra in caso di dolore intermittente o episodico intenso. I trattamenti al bisogno sono appropriati se gli episodi di dolore sono veramente intermittenti e imprevedibili. I farmaci devono essere somministrati ai bambini con la via più semplice, efficace e meno dolorosa; in questo caso la via orale è la più adatta e meno costosa. Se tale soluzione non fosse disponibile la scelta di altre vie di somministrazione, come la via endovenosa, sottocutanea, rettale, transdermica o intranasale, deve essere basata su giudizi clinici, disponibilità e preferenza del paziente. La via di somministrazione intramuscolare va evitata in quanto molto dolorosa. Il trattamento deve essere adattato ad ogni bambino ed è opportuno titolare glianalgesici oppioidisu base individuale; la dose deve essere adattata gradualmentefino ad arrivare a trovare un dosaggio corretto che permetta di raggiungere il sollievo massimo possibile con effetti collaterali accettabili. Al contrario di quanto succede per i FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei), per gli analgesici oppioidi non c’è un effetto analgesico tetto e dunque non c’è un limite superiore alle dosi.

In caso dianalgesici non-oppioidi(paracetamolo, ibuprofene e altri FANS) questi devono essere limitati in base ad età e peso del bambino per evitare tossicità. In più il loro utilizzo in bambini con cancro è limitato a causa del loro effetto antipiretico che potrebbe mascherare importanti segnali di infezione.

E` importante anche considerare fattori come la malnutrizione o l’utilizzo di altri farmaci che possono condizionare la capacità di metabolizzare gli analgesici non oppioidi.

In caso di dolore da moderato a severo gli oppioidi forti sono i farmaci con maggiore efficacia e pertanto sono un elemento essenziale del trattamento del dolore. [5][30]

Interventi non farmacologici

Per ottenere un’adeguata analgesia, con il minor numero possibile di effetti collaterali indesiderati, la terapia farmacologica pùo essere integrata con modalità non farmacologiche. Nella gestione del dolore oncologico sono utilizzati varie tipologie di intervento come tecnichefisiche, comportamentali e cognitive. La massaggio-terapia è la tecnica maggiormente segnalata tra le pratiche di medicina complementare e alternativa (CAM Complementary and Alternative Medicines) impiegata nella terapia per la riduzione del dolore oncologico nei pazienti pediatrici.[30] Tale tecnica viene impiegata per alleviare stress e crampi muscolari, indurre rilassamento, migliorare la circolazione, promuovere il tono muscolare e aumentare la gamma di movimento. Altre pratichefisiche come la stimolazione cutanea attraverso il calore, il freddo, la pressione, la vibrazione o l’agopuntura vengono impiegate nella gestione del dolore in questi pazienti.

Possono essere utilizzate la crioterapia per attenuare alcuni dolori neuropatici e gli spasmi muscolari (non bisogna applicare il ghiaccio per più di 15 minuti) e la termoterapia, con l’applicazione di calore (ad esempio con la borsa dell’acqua calda) per ridurre la rigidità articolare, la vasodilatazione locale e di conseguenza anche il dolore. Eserciziofisico, tecniche di rilassamento, Biofeedback, arte-terapia e terapia del gioco ecc. sono alcuni dei metodi comportamentali e/o a mediazione coroporea comunemente utilizzati per alleviare il dolore. L’attivitàfisica, se non controindicata, è importante per prevenire i dolori osteoarticolari; in caso di pazienti costretti all’immobilità è importante cambiare spesso posizione e va effettuata la mobilizzazione passiva degli arti con escursione dei movimentifino ai limiti possibili, facendo attenzione a non provocare dolore. Meditazione, immagini, ipnosi e altre forme di tecniche di distrazione riducono il dolore attraverso il rilascio di endorfine naturali nelle vie di modulazione del dolore discendente. Secondo alcuni studi i bambini sarebbero più sensibili all’ipnosi rispetto agli adulti. La musicoterapia è stata utilizzata con successo per alleviare il disagio e migliorare l’umore.[30][35]

I bambini con cancro subiscono molte procedure mediche dolorose durante la loro diagnosi e gestione. I seguenti approcci possono essere utilizzati per aiutare questi bambini ad affrontare la paura e l’ansia che circondano queste procedure dolorose e di conseguenza ad alleviare la componente emotiva e psicologica del dolore:

  • Informazioni procedurali: fornire al bambino informazioni specifiche sulla procedura, ad esempio mostrando al bambino gli strumenti e la sala esami, descrivendo come verrà eseguita la procedura, quanto tempo richiederà, il perchè delle pratiche eseguite e presentando chi la eseguirà.
  • Informazioni sensoriali: fornire al bambino informazioni specifiche sulle sensazioni che potrà provare durante la procedura, ad esempio come ci si pùo sentire, il suono, l’odore o il gusto, ecc.
  • Rilassamento: insegnare al bambino a rilassare i gruppi muscolari del corpo.
  • Esercizi di respirazione: insegnare al bambino a respirare profondamente durante la procedura.
  • Tecniche distrazionali: insegnare al bambino a spostare l’attenzione su stimoli diversi dalla procedura, dal dolore che questa provoca e dalle emozioni che ne derivano. Gli stimoli possono essere interni (contare mentalmente...) o esterni (recitare unafilastrocca, parlare con amici, guardare un cartone ecc.).
  • Auto-incoraggiamento: insegnare al bambino ad incoraggiarsi mentre la procedura viene eseguita, ad esempio con frasi come ”in un minutofinirà”, ”andrà tutto bene”, ”tutto questo mi aiuterà”, ”il medico mi fa del bene”.
  • Visualizzazione: insegnare a concentrarsi e ad immaginare scene tranquille e piacevoli che possano distrarre, come ad esempio andare in spiaggia, andare in bicicletta o essere letto. La distrazione dal dolore e dall’ansia che questo provoca pùo contribuire a ridurlo.
  • Ipnosi: combinando rilassamento profondo e spostamento dell’attenzione per produrre uno stato di trance. L’ipnosi pùo essere utile nell’attenuazione del dolore, anche se da sola raramente è efficace. Pùo essere utile nel processo di rilassamento che concorre a ridurre la componente di turbamento emotivo.
  • Gioco-terapia: lasciare che il bambino giochi (ad esempio con l’utilizzo di bambole) ed esprima le sue paure e preoccupazioni riguardo ad una procedura. Attraverso il gioco si possono dare informazioni al bambino sulla procedura, correggendo eventuali idee non realistiche.
  • Osservazione di modelli: far osservare un bambino che utilizza con successo abilità di coping mentre subisce la procedura medica. E` importante che il modello esibisca comportamenti realistici come l’affrontare il dolore e l’ansia e non la loro assenza.
  • Gestione della contingenza: utilizzare rinforzi positivi, ad esempio elogi verbali, premi, nastri, piccoli giochi.
  • Preparazione dei genitori: fornire le informazioni sulle procedure e consigli per aiutare il loro bambino aiuta i genitori ad affrontare l’ansia.

Le tecniche di rilassamento ed immaginazione hanno come obiettivo quello di eliminare stress e componenti emozionali che possono acuire il dolore. Imparare a ridurre la tensione muscolare durante il giorno, anche solo per brevi periodi, pùo aiutare ad essere in grado di rilassarsi e ridurre le tensioni muscolari e scheletriche, e di conseguenza il dolore, nei momenti critici. Il rilassamento mentale contribuisce a ridurre l’ansia e quindi ad alzare la soglia del dolore.

Infine anche da un punto di vista pratico possono essere utili alcuni accorgimenti. Ad esempio le posture e le posizioni da sdraiati possono influire sulla sintomatologia dolorosa; alternare le posizioni riduce il rischio di piaghe da decubito, cos`ıcome l’impiego di cuscini, che inoltre contribuisce a dare sollievo a schiena e collo. Grazie a una postura corretta, seduta eretta o sdraiata in decubito laterale, viene facilitata la respirazione, mentre una postura semi-seduta o lo stare afflosciati nel letto riducono la capacità respiratoria.

Nessuna singola procedura è il rimedio al dolore o all’angoscia dei bambini. Generalmente vengono utilizzate contemporaneamente diverse strategie cognitive e comportamentali in base all’età del bambino e al livello di sviluppo cognitivo, alle sue preferenze e a quelle dei genitori e ai servizi disponibili nell’ambito clinico.[30][35]

Cure palliative e gestione del dolore in fase terminale

Grazie ai progressi medici degli ultimi anni, nel mondo occidentale è sempre maggiore il numero di bambini con malattie croniche, inguaribili e/o portatori di disabilità grave. Pertanto vi è la necessità di garantire cure adeguate, multispecialistiche e interistituzionali, sostegno e assistenza a tali bambini e alle loro famiglie. In caso di tumore non guaribile (avanzato o in fase terminale) rivestono un ruolo fondamentale il campo della terapia del dolore e delle cure palliative. L’approccio standard adottato è quello di una Rete di Cure Palliative e Terapia del Dolore che prevedanofin dalla diagnosi la presa in carico del bambino e siano mirate a migliorarne la qualità di vita, affiancando ed integrandosi alle cure alla malattia di base. L’OMS descrive le cure palliative pediatriche come la presa in carico globale del bambino e della sua famiglia, attraverso il trattamento del dolore e di problematiche che riguardano corpo, mente e spirito.

In ottica di migliorare la qualità di vita del paziente pediatrico e della sua famiglia, il domicilio è generalmente il luogo più adatto per fornire assistenza.

Le cure palliative pediatriche si modulano ai bisogni e alle caratteristiche tipici dell’età evolutiva (neonato/bambino/adolescente). Tali bisogni, biologici, psicorelazionali, clinici, sociali, etici, spirituali, ecc., sono eterogenei e si differenziano in base al paziente e alla patologia specifica. Pertanto le cure palliative pediatriche si differenziano da quelle rivolte all’età adulta. Inoltre le condizioni di malattia pediatrica grave o non curabile hanno un forte impatto emotivo sulle persone intorno al bambino. Tutti questi fattori implicano la necessità di competenze solide e specifiche degli operatori sanitari che si occuperanno del piccolo paziente e dei familiari oltre che di modelli organizzativi funzionali e periodicamente revisionati. [12][20] La Legge 38 del 15 marzo 2010 riguarda le disposizioni che garantiscono l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore in tutto il paese, definendo la modalità della loro messa in atto e tutelando cos`ıanche il diritto dei bambini alla dignità e alla migliore qualità di vita possibile. [20]

INDICE

La fatigue nella patologia oncologica pediatrica

Il NCCN (National Comprehensive Cancer Network) degli Stati Uniti ha definito la fatigue legata al cancro come ”un senso angosciante, persistente e soggettivo di stanchezzafisica, emotiva e/o cognitiva o di esaurimento connesso al cancro o al trattamento del cancro che non è proporzionale all’attività recente e interferisce con il normale funzionamento”.[36] Con il termine fatigue vengono definite sensazioni insolite di astenia, stanchezza, debolezza, mancanza di energie, che coinvolgono tutto il corpo, e di una inconsueta necessità di riposo. La fatigue pùo essere parte della sintomatologia causata primariamente dal tumore, effetto collaterale delle terapie o espressione di stati psicologici (depressione, tristezza, ecc.). Rappresenta un problema anche tra i sopravvissuti: gradi di fatigue significativi possono persistere per anni dopo lafine del trattamento, anche se i pazienti sono guariti o si trovano in una fase di remissione della malattia. A causa della multidimensionalità del fenomeno, generalmente viene provata sia a livello psicologico che biologico.[12][37][38] La maggior parte degli studi a proposito della fatigue correlata al cancro riguarda la popolazione adulta. Nell’oncologia pediatrica la fatigue è misconosciuta, i sintomi non vengono trattati sufficientemente e i dati riguardo la prevalenza della fatigue nella popolazione oncologica in età evolutiva (bambini, adolescenti e giovani adulti) talvolta sono incoerenti. Questo probabilmente anche a causa di campioni di studio e di scale di misura non eterogenei. Pertanto sono necessari ulteriori studi clinici e ricerche sistematiche in questo ambito. Nonostante questo in letteratura scientifica è riportato che la fatigue correlata al cancro è uno dei sintomi più frequenti e preoccupanti vissuto dai pazienti in età evolutiva durante e dopo il trattamento oncologico. La descrizione della fatigue varia a seconda del livello di sviluppo dei pazienti.[12][36][37]

Fatigue e qualità di vita

La fatigue correlata al cancro è un sintomo spiacevole ed influenza negativamente il funzionamentofisico, lo stato psicologico e la qualità di vita dei pazienti sia durante che dopo il trattamento. I pazienti con fatigue hanno una ridotta capacità nelle attività di vita quotidiana, normalmente svolte senza difficoltà. Per tali pazienti azioni apparentemente semplici diventano fonte di preoccupazione e una grande fatica, talvolta risultano impossibili da essere svolte, al punto che essi limitano le attività al minimo indispensabile. I bambini generalmente riferiscono la fatigue durante il gioco e l’attività all’aperto. Spesso i pazienti pediatrici oncologici o i pazienti sopravvissuti al cancro in età evolutiva riportano cambiamenti nello stile di vita, tra cui l’isolamento sociale o il non riuscire a concentrarsi, l’essere facilmente irritabili, arrabbiati, infelici e turbati.”Svogliato, prostrato, debole, lento, confuso, scoraggiato, apatico, stanco, trascurato, pigro,fiacco, indifferente, abbattuto, sfinito, esausto, esaurito, a terra[...]”[38] sono tra gli aggettivi utilizzati dai pazienti per descrivere il loro stato.

Inoltre, la fatigue è correlata a una serie di sintomi riportati dai pazienti oncologici e dai sopravvissuti, tra cui depressione, scarsa qualità del sonno e dolore. Ulteriori fattori associati includono nausea, obesità, sintomi indotti dall’eserciziofisico (insufficienza respiratoria durante l’attività motoria) e disturbi cognitivi. Il corso in genere varia durante il giorno e spesso viene riferita maggiore fatigue al mattino. Generalmente non vengono manifestati problemi a prendere sonno.

In infanzia e in adolescenza la possibile associazione tra fatigue e qualità della vita legata alla salute (HRQoL, Health Related Quality of Life) è molto rilevante. La fatigue ha un impatto negativo su molteplici aspetti della vita, come le relazioni, la scuola, le varie attività quotidiane. Un altro aspetto importante è che la fatigue pùo limitare la compliance dei pazienti ai trattamentifino a portare alla decisione di interrompere le terapie.

Il trattamento oncologico pediatrico è generalmente aggressivo e incentrato sulla cura dal cancro e, nonostante il peso che la fatigue correlata al tumore pùo avere nel percorso di malattia e di trattamento, i medici possono ignorarne gli effetti collaterali, tra cui la fatigue, o considerarli sintomi inevitabili. Per questo spesso la fatigue viene sottovalutata. In più, a causa della sua soggettività, tale sintomo è spesso difficile individuare e valutare. [12][36][37][38][39]

Classificazione della fatigue

Si pùo suddividere la fatigue in acuta e cronica.

Fatigue acuta: si ha nei pazienti che conservano le capacità di recupero e quindi sono in grado di riacquistare le forze mancanti grazie al riposo necessario e/o a una reintegrazione delle energie consumate.

Fatigue cronica: condizione per la quale i pazienti non riescono a recuperare le forze e le energie nonostante il riposo e/o le terapie volte a supportarli. Per convenzione si definisce fatigue cronica se la fatigue riferita dal paziente e misurata con opportune scale di valutazione è al di sopra di un determinato valore e dura da oltre 6 mesi.

Cause della fatigue nei bambini con patologia oncologica

L’eziologia della fatigue nei pazienti oncologici è complessa; è probabile che il meccanismo alla base di tale sintomo sia un fenomeno multidimesionale, che comprende sia la dimensionefisica che quella mentale, multifattoriale e altamente soggettivo. Le cause associate alla fatigue legata al cancro possono essere classificate in fattori fisiologici, psicologici e situazionali.[37]

In generale, la fatigue è correlata a trattamenti quali la chirurgia e il trapianto di midollo osseo ed è tra gli effetti secondari che possono avere la chemioterapia o la radioterapia.

Ifattorisiologiciassociati alla fatigue nei pazienti oncologici comprendono uno stato ipermetabolico legato al processo neoplastico, la carenza di nutrienti dovuta alla concorrenza del cancro nei confronti dell’organismo o ad un inadeguato apporto nutrizionale, gli effetti tossici di chemioterapia e radioterapia, l’anemia, la febbre, il dolore cronico, ecc. La fatigue pùo essere inoltre provocata o alimentata da patologie secondarie ai trattamenti, ad esempio è tra le manifestazioni del GVHD cronico. Le variabilità del tipo di trattamento e della corrispondente intensità (trattamento unimodale o multimodale con chemioterapia in associazione con chirurgia e/o radioterapia), della durata e dello stadio della malattia, dell’età del paziente e della sua individualità psicosociale, influenzano gli effetti collaterali dei tumori pediatrici, inclusa la fatigue.[12][37][40]

Il cancro e i trattamenti antitumorali possono provocare difficoltà con l’assunzione del cibo, nausea, vomito e conseguentemente un inadeguato apporto di calorie e nutrienti, disidratazione e bassi livelli di elettroliti sierici. Queste condizioni creano uno squilibrio tra risorse e spesa energetiche, e pertanto sono una delle cause reversibili della fatigue.[12][41]

Anchefattori psicologici, quali l’ansia, l’incertezza sul futuro e la paura di morte e di mutilazioni, possono essere alla base della fatigue. Ci sono alcune prove di una forte correlazione positiva tra fatigue e distress emotivo nei pazienti affetti da cancro. Le relazioni di causa-effetto non sono chiare perchè la depressione, l’angoscia e l’insonnia possono causare fatigue, e alti livelli di fatigue possono precipitare in depressione e ansia come risposte al sentirsi male e non essere in grado di svolgere i ruoli abituali. Inoltre depressione e fatigue possono essere entrambi causate dalla patologia oncologica.[37][40][41]

Infine,fattori situazionaliquali l’immobilità, la mancanza di attività motoria e i problemi nelle relazioni, influiscono negativamente sulla fatigue provata dai pazienti oncologici. La patologia oncologica pediatrica e il relativo percorso di trattamento sono associati ad alterazioni della forma e del funzionamentofisico. Infatti l’inattività, l’allettamento prolungato, gli effetti tossici e collaterali (anemia, debolezza muscolare, alterazione della funzione polmonare, ecc.) delle terapie antitumorali portano a uno stato di perdita di forza e/o di massa muscolare e, conseguentemente, a una riduzione delle prestazionifisiche. Questo da un lato riduce la tolleranza dei pazienti alle normali attività della vita quotidiana: per svolgere semplici attività sono richiesti un aumento dello sforzo e della spesa energetica che portano alla sensazione di fatigue, dall’altro lato porta i pazienti ad uno stile di vita sedentario che concorre a peggiorare ulteriormente gli effetti dannosi della malattia e dei suoi trattamenti.[12][37][41]

Valutazione della fatigue

Per poter valutare e comprendere la fatigue nella popolazione oncologica pediatrica è necessario prendere in considerazione la fase di sviluppo in cui si trova il paziente, il trattamento che sta effettuando, lo stadio e il tipo di tumore. Insieme, le prospettive del paziente, dei genitori e/o caregivers e dei professionisti sanitari danno una valutazione più completa. Le linee guida propongono un algoritmo per la gestione della fatigue nei pazienti oncologici: la fatigue viene valutata periodicamente attraverso un breve screening; a seconda del livello di fatigue riscontrato viene impostata una strategia di trattamento; segue una prima valutazione; viene effettuato un intervento; in seguito all’intervento si esegue una rivalutazione.[36][41]

Fase di screening

Lo screening per rilevare la presenza della fatigue e la sua gravità comincia al primo contatto tra paziente pediatrico con cancro e professionista sanitario che si occupa dell’assistenza oncologica, proseguendo poi periodicamente secondo intervalli prestabiliti. Lo screening dura oltre il periodo di diagnosi e trattamento, rientrando nelle cure di follow-up.

E` necessario quantificare la fatigue riscontrata durante lo screening per un confronto futuro e per poter valutare l’efficacia dei trattamenti messi in atto.

Spesso i professionisti sanitari per misurare la fatigue utilizzano una scala di valutazione da 1-10, o una designazione lieve-moderata-severa. Generalmente, sulla scala 1-10, 1-3 è considerato un livello lieve di fatigue, 4-6 moderato, che pùo causare angoscia e riduzione dell’attività motoria, e 7-10 grave, associato a una marcata diminuzione del funzionamentofisico.

Se il paziente non segnala fatigue o la segnala a un livello lieve, i professionisti sanitari dovranno occuparsi di educazione, assistenza e counseling e sarà necessario un piano di rivalutazione per monitorare il piano di trattamento (inizialmente pùo non esserci fatigue e presentarsi invece in fasi successive del trattamento). L’educazione del paziente comprende il dare informazioni procedurali oggettive ed informazioni sensoriali. Se non preparati adeguatamente alla fatigue, spesso i pazienti temono che un aumento di quest’ultima rappresenti una mancanza di efficacia del trattamento o una progressione della malattia.

Se il livello è moderato o grave, il professionista sanitario dovrà ricostruire la storia clinica del paziente in maniera mirata, individuando come e quando si manifesta maggiormente la fatigue, quali sono i fattori che la alleviano e quali invece la amplificano. Queste informazioni possono dare indicazioni riguardo l’origine della fatigue e risultano utili nel guidarne la gestione. Attraverso un esamefisico si verifica se

vi è la presenza di sintomi come debolezza e depressione che possono interferire con l’usuale funzionamento del paziente. Cinque condizioni cliniche che comunemente contribuiscono alla fatigue nei pazienti oncologici sono: dolore, distress emotivo, disturbi del sonno, anemia e ipotiroidismo. Se uno di questi fattori viene identificato, questo deve essere trattato secondo gli standard di cura o le linee guida pratiche. La risposta del paziente al trattamento e le variazioni del livello di fatigue sono una guida ad ulteriori valutazioni ed interventi.[41]

Valutazione completa della fatigue

Se non si individuano le cause della fatigue o i fattori primari, o se la fatigue persiste nonostante il trattamento, è opportuno approfondire la valutazione. In questo caso vengono effettuati esami dettagliati delle sostanze chimiche e dei farmaci che possono influire sulla fatigue. I farmaci con interazioni che comunemente contribuiscono alla fatigue sono: narcotici, sedativi, ipnotici, antistaminici, antiemetici, antipertensivi e agenti ansiolitici.[41] Nell’esame globale è inclusa la valutazione di eventuali comorbidità non diagnosticate, come ad esempio disfunzioni cardiache, polmonari, renali, neurologiche o endocrine, o processi infettivi in corso. Sono necessarie anche la valutazione dello stato nutrizionale, incluso l’equilibrio tra liquidi ed elettroliti, e la valutazione metabolica. Inoltre bisogna valutare il livello di attività motoria e il relativo stato di forza e/o di massa muscolare. Si interrogano i pazienti sugli standard di attività quotidiana e si verifica se ci siano cambiamenti nella loro capacità di svolgere attività abituali.

Uso di strumenti di valutazione

Lo sviluppo degli strumenti di valutazione della fatigue negli adulti richiede un approccio multidimensionale e si è mostrato valere lo stesso per i bambini. Nella scelta della modalità di valutazione della fatigue legata al cancro il tipo di diagnosi, lo stadio della patologia e le modalità di trattamento sono variabili importanti da considerare, cos`ıcome sono importanti il momento del piano di trattamento in cui la valutazione viene effettuata e l’età del paziente. Per assicurare una misurazione accurata è fondamentale considerare il livello di sviluppo cognitivo di quest’ultimo. Devono essere impiegate scale e strumenti adatti al singolo paziente in base a tutte le variabili valutate.[36]

Il self-report è una delle modalità più utilizzate. Rispetto ai bambini piccoli, gli adolescenti utilizzano un vocabolario maggiore per descrivere la fatigue, discriminando tra fatigue mentale e fatiguefisica. Nei bambini piccoli che soffrono di fatigue e non sono in grado di descrivere verbalmente tale sensazione spesso si pùo riconoscere, tra i segnali indicanti fatigue, la riduzione nell’attività motoria e della partecipazione a sport e giochi.[12][37]

Uno strumento che possa valutare adeguatamente la fatigue nei pazienti oncologici pediatrici deve avere le seguenti caratteristiche: essere del tutto o in parte selfreport, dato che la fatigue è un sintomo soggettivo; essere breve e semplice affinchè i pazienti che soffrono di fatigue lo possano completare facilmente; essere multidimensionale perchè la fatigue include aspettifisici, psicologici ed emotivi. In più sono importanti le interpretazioni dei genitori e dei professionisti sanitari, che possono essere concordi o discordi rispetto a quelle del paziente e che possono fornire una visione più ampia della sintomatologia della fatigue.[40]

Generalmente vengono utilizzati diversi strumenti di valutazione in base all’età del paziente. Secondo la Conferenza Nazionale di Consenso riguardo il ruolo della riabilitazione nei percorsi di cura dei pazienti oncologici in età evolutiva, per la valutazione della fatigue si utilizzano le seguenti scale:

  • dai 5 ai 6 anni il bambino sceglie tra “stanco/non stanco”;
  • dai 7 ai 12 anni si utilizza una scala di intensità 1-5 (1= non stanco; 5=massima stanchezza possibile);
  • sopra i 12 anni si utilizza una scala di intensità 0-10 (0= no fatigue, 10= maggior fatigue possibile), oppure la scelta tra “nessuna, leggera, moderata, severa”.

[25]

Alcune delle scale che vengono utilizzate in età evolutiva per la valutazione e la misurazione della fatigue correlata al cancro sono la ”PedsQL Multidimensional Fatigue Scale”; la ”Fatigue Scale-Child”, la ”Fatigue Scale-Adolescent”, la ”Fatigue Scale-Parent” e la ”Fatigue Scale-Staff”, usate separatamente o in associazione fra loro; la ”Fatigue Visual Analogue Scale”, in combinazione con la ”Fatigue ScaleAdolescent” e la ”Fatigue Scale-Parent”; la ”Pediatric Functional Assessment of Chronic Illness Therapy-Fatigue”, in combinazione con la ”Multidimensional Fatigue Scale”. [39][40]

Interventi per la fatigue

Strategie di coping

In ogni intervento per la fatigue l’educazione e il counseling sono fondamentali. Se i pazienti sanno già cosa aspettarsi durante il corso dei protocolli di trattamento saranno meno angosciati e più preparati ad affrontare la fatigue. Le strategie per far fronte alla fatigue (al di là dei trattamenti indicati in caso di causa specifica) includono la conservazione dell’energia, tecniche di distrazione e tecniche di gestione dello stress.

La conservazione dell’energiaimplica l’attuazione di un piano per minimizzare i fattori che richiedono energia e bilanciare l’attività con il riposo. Sono state condotte poche ricerche sul risparmio di energia con i pazienti affetti di cancro, mentre ne sono state condotte un numero maggiore con pazienti affetti da altre malattie croniche.

E` stato segnalato dai pazienti oncologici che ladistrazioneè utile nella gestione della fatigue; probabilmente il meccanismo di azione vede la modulazione degli stimoli alla corteccia cerebrale.[41] Esempi di distrazione includono lettura, socializzazione, ascoltare musica e guardare la televisione.

Altre strategie importanti per far fronte alla stanchezza includonotecniche di gestione dello stresscome il rilassamento, il reframing (adottare prospettive diverse, più positive, vedere nuove soluzioni o vantaggi), e la partecipazione a gruppi di sostegno.[41]

Interventi per le cause specifiche

In caso venga individuata una causa specifica per la fatigue legata al cancro, come l’anemia o l’insonnia, questa deve essere trattata per prima ed è poi necessario valutare la risposta del paziente. In caso il trattamento non risolva la fatigue, o non venga identificata una causa specifica, si fa ricorso ad interventi comportamentali non farmacologici. Se la fatigue del paziente non è ancora risolta, si possono aggiungere terapie farmacologiche. Se nelle valutazioni effettuate durante e dopo i vari trattamenti la fatigue non risulta ridotta, risulta necessaria la revisione del piano di cura. Viceversa, la riduzione della fatigue e l’aumento dell’energia sono prove di un adeguato piano di trattamento.

Interventi non farmacologici

Tra le terapie di supporto generale vengono raccomandati interventi non farmacologici, come l’eserciziofisico, la nutrizione, la terapia del sonno, o la terapia ristorativa. Degli interventi non-farmacologici per la fatigue legata al cancro,l’eserciziofisicoè quello con le più forti prove di evidenza di un beneficio terapeutico. L’attività motoria e di rilassamento pùo svolgere un ruolo importante nel ridurre gli effetti collaterali a breve e lungo termine delle terapie di trattamento antitumorali, contribuendo ad aumentare la capacità cardiaca, ridurre la frequenza cardiaca ed aumentare tolleranza all’esercizio, alleviando cos`ıla fatigue. Inoltre, l’eserciziofisico regolare migliora lo stato dell’umore, aumentando le endorfine e la qualità del sonno con meccanismi non del tutto noti.[12][41] Pertanto, è importante incoraggiare i pazienti a svolgere regolare attività motoria anche durante il trattamento. In caso di programmi di esercizio, i malati di cancro devono essere sottoposti a screening per identificare eventuali comorbidità e possibili complicanze che richiedano il rinvio della terapia fisica. Ad esempio l’eserciziofisico deve essere prescritto e controllato attentamente in caso di pazienti con metastasi ossee, neutropenia, trombocitopenia, febbre, ecc. Il programma deve essere individualizzato in relazione all’età del paziente, al livello di attivitàfisica, al tipo e alla fase del cancro e al tipo di trattamento effettuato. Il programma dovrebbe comprendere esercizi aerobici, di rinforzo e di equilibrio. Ancora non è chiaro come l’eserciziofisico influenzi la fatigue e quale genere di attività motoria sia più vantaggiosa. Il numero di indagini a riguardo è limitato, e talvolta i dati emersi mostrano incoerenze.

E` necessario effettuare ulteriori ricerche per comprendere meglio il ruolo che l’attività motoria ha nei confronti della fatigue; i risultati riscontratifino ad adesso hanno dimostrato effetti benefici dell’esercizio fisico sui livelli di fatigue.[12][25][41]

Laterapia ”ristorativa”si concentra sulla dimensione sensoriale della fatigue. Tra le sfaccettature della fatigue rientra la minore capacità di concentrarsi, dirigere l’attenzione o risolvere problemi. Nei pazienti che hanno seguito programmi di terapia ristorativa con esperienze in natura, come giardinaggio, lo stare seduti in un parco o il bird-watching, sono stati dimostrati miglioramenti nella concentrazione e nella risoluzione dei problemi nei test cognitivi.

Unanutrizionebilanciata durante e dopo la terapia oncologica è importante per promuovere una crescita e uno sviluppo normali ed incrementare la qualità di vita. Inoltre un adeguato apporto nutrizionale è fondamentale per poter partecipare ai programmi terapeutici e riabilitativi di attività motoria.[12][41]

Interventi farmacologici

In caso di situazioni come ipotiroidismo, anemia o depressione clinica, è indicata la terapia farmacologica standard per la causa specifica. Poche ricerche sistematiche hanno indagato riguardo i farmaci per il trattamento della fatigue correlata al cancro in caso non sia nota una specifica causa. I corticosteroidi sono utili per l’aumento di energia nei pazienti con cancro in stadio avanzato, ed alcuni studi hanno indagato il ruolo degli psicostimolanti. L’anemia (complicanza frequente della chemioterapia o risultato del processo neoplastico) è suscettibile ad una terapia farmacologica con eritropoietina alfa. Le ricerche e le evidenze in letteratura scientifica non sono sufficienti alla redazione di linee guida e di protocolli di terapia farmacologica per il trattamento della fatigue correlata al cancro.[41]

Tecniche a mediazione corporea per la gestione di dolore e fatigue negli adolescenti con linfoma di Hodgkin

Introduzione

Il linfoma di Hodgkin è una forma di cancro relativamente rara che colpisce prevalentemente adolescenti e giovani adulti. Durante il percorso della malattia, a causa delle procedure diagnostiche e di trattamento, del decorso della neoplasia stessa o delle terapie antitumorali come chemioterapia o radioterapia, i pazienti con LH sono a rischio di sintomatologia dolorosa e/o di fatigue. Inoltre, a causa degli elevati tassi di sopravvivenza (specialmente nei più giovani, per la fascia 15-19 anni la sopravvivenza a 5 anni è del 95%)[1] vi è un alto numero di sopravvissuti al LH. Questi ultimi saranno a rischio di complicanze ed effetti collaterali a lungo termine come dolore e fatigue.[22][42]

Per una gestione ottimale di dolore e fatigue, entrambi sintomi complessi, con componenti multifattoriali che toccano la sfera psicologica, quellafisica e quella emotiva, ed estremamente soggettivi, è necessario un approccio integrato e multidisciplinare che alle terapie farmacologiche affianchi terapie non farmacologiche e la presa in carico riabilitativa.[20][30][41] Tra le terapie non farmacologiche, le tecniche a mediazione corporea rientrano tra gli interventi che il TNPEE, con una specifica ed opportuna formazione in aggiunta alle sue conoscenze e competenze riguardo la sfera corporea e somatica del paziente in età evolutiva, pùo adoperare nella presa in carico riabilitativa degli adolescenti con linfoma di Hodgkin. Mentre per la popolazione adulta con patologia oncologica vi sono numerosi studi clinici e ricerche per quanto riguarda modalità di trattamento non farmacologico di dolore e fatigue, ancora non ne sono stati sviluppati molti che prendano in considerazione bambini ed adolescenti. Nella patologia oncologica di bambini e adolescenti, oltre alle complicazioni che i tumori possono portare con sè ed agli effetti collaterali a breve, medio e lungo termine dei trattamenti e delle terapie antitumorali, concorrono anche ifisiologici fattori di sviluppo e crescita, rendendola differente rispetto a quella dell’età adulta. Di conseguenza anche la presa in carico sarà specifica e dovrà tenere in considerazione le peculiarità delle differenti fasi di sviluppo e della vita relazionale e sociale a seconda della fascia di età in cui si trovano i pazienti.

In questo contesto si è condotto una revisione della letteratura per indagare l’impiego e l’efficacia delle tecniche a mediazione corporea nel trattamento dei sintomi dolorosi e di fatigue negli adolescenti con linfoma di Hodgkin.

INDICE

Tecniche a mediazione corporea

La medicina mind-body, ”mind-body therapies”, si concentra sulle relazioni corpomente e sulle modalità con cui i fattori emotivi, comportamentali, sociali o spirituali possono influenzare le funzioni corporee. Nella medicina mind-body la malattia è vista come un’opportunità di crescita personale, ogni persona è considerata capace di conoscere se stessa e di auto-curarsi e i professionisti sanitari sono visti come guide nel processo di guarigione.

Una volta standardizzati, con protocolli e indicazioni per l’applicazione, questi approcci possono essere insegnati e diffusi facilmente, con minimi rischifisici e di effetti collaterali. Nonostante questo è necessario che il trainer o il praticante sia adeguatamente qualificato (a seconda della tecnica adottata) e che venga sempre prestata attenzione ai possibili effetti collaterali che le tecniche mind-body possono avere, anche in relazione alle particolarità di ogni paziente.[43][44] Letecniche a mediazione corporea, individuate nella ricerca nei database attraverso le parole chiave CAM (Complementary Alternative Medicine), Mind-Body therapies, PIM (Program in Integrative Medicine), si definiscono in questo studio come un sottoinsieme delle tecniche mind-body nelle quali il corpo rappresenza il veicolo principale per raggiungere un maggiore grado di rilassamento e di benessere psico-fisico. Tali tecniche si prefiggono, attraverso movimenti dolci, contatto delicato, esercizi di respirazione e di rilassamento, di portare il paziente all’ascolto di se stesso. Grazie all’attenzione e alla consapevolezza rispetto al corpo e alla respirazione, si arriva a toccare anche la sfera psichica ed emotiva.

L’impiego di queste tecniche pùo contribuire a ricostruire la propria immagine corporea, spesso alterata proprio dalla malattia oncologica, oltre che dallafisiologica fase di sviluppo che i bambini e gli adolescenti si possono trovare ad affrontare. Cos`ı, i pazienti che ne beneficiano potranno trarre vantaggi siafisici che psichici.

Tra le tecniche a mediazione corporea impiegate nella gestione dei pazienti pediatrici oncologici presenti in letteratura scientifica, agopuntura, massaggio-terapia, ipnosi e auto-ipnosi e yoga sono state abbondantemente approfondite e testate; pertanto si è deciso di escluderle dalla presente ricerca e di andare ad indagare quelle tecniche di cui ancora non si è trattato in maniera esauriente, nonostante queste vengano frequentemente impiegate in ottica terapeutica. Le tecniche incluse in questo studio sono: Mindfulness, Biofeedback, Reiki, igiene del sonno e rilassamento, tocco terapeutico healing touch e contattofisico, tecniche di rilassamento e respirazione.[43]

Mindfulness

La Mindfulness viene descritta come la ”consapevolezza momento per momento, non-giudicante, coltivata prestando attenzione in modo specifico, cioè, nel momento presente, e nel modo più non-reattivo, non giudicante e più aperto possibile.”.[45]

Questo atteggiamento, spesso tradotto con consapevolezza, prevede di entrare in contatto con le proprie sensazioni (fisiche, pensieri, emozioni) e con l’ambiente circostante.[46]

La Mindfulness ha origine nella cultura orientale buddhista, ma negli ultimi anni è stata studiata dalla scienza e si ritrova il suo utilizzo in numerose terapie ed interventi per diverse situazioni cliniche.[46][47] Il tentativo dell’esperienza del momento presente è quello di migliorare il benessere cognitivo ed emotivo. Una delle applicazioni in ambito terapeutico della Mindfulness è la riduzione dello stress basata sulla consapevolezza (Mindfulness Based Stress Reduction MBSR) di Kabat Zinn, un intervento di gruppo che propone la Mindfulness come terapia complementare al trattamento medico standard del dolore cronico e della malattia. La ricerca scientifica ipotizza che la Mindfulness possa migliorare i sintomi associati alle malattie e aumentare la qualità della vita. Da un punto di vista neuroscientifico, sono stati condotti studi sulla risonanza magnetica e sulla risonanza magnetica funzionale con l’obiettivo di identificare i meccanismi neurali responsabili dell’effetto della Mindfulness sul dolore.

E` stata rilevata attività cerebrale associata alla componente sensoriale, oltre che all’aspetto del ricordo, dell’emozione e della valutazione del dolore. Ricerche sui risultati clinici o sulla sperimentazione controllata con adulti affetti da dolore cronico (lombalgia, cefalea, emicrania, dolore al collo, artrite, cancro,fibromialgia) hanno dimostrato efficacia della Mindfulness nel miglioramento del dolore nelle sue dimensioni tra cui intensità, accettazione, limiti funzionali, qualità di vita e benessere psicologico.[47] Tuttavia nei bambini la Mindfulness in relazione al dolore non è stata studiata a fondo e sono necessarie ulteriori ricerche alfine di trovare evidenze di efficacia o di non efficacia.[47]

Biofeedback

Il Biofeedback (BFB) consiste nel registrare, tramite elettrodi e trasduttori, alcuni parametrifisiologici connessi all’attività del sistema nervoso autonomo (battito cardiaco, respirazione, conduttanza cutanea ecc.) i quali vengono elaborati da un apposito programma e trasformati in segnali acustici o visivi. Questi rappresentano il feedback, e fanno s`ıche il paziente sia continuamente informato sullo stato della propria attivitàfisiologica. In questo modo, con un tipo di apprendimento stimolo-risposta, grazie a stimoli condizionanti il paziente impara a controllare la

funzionefisiologica. Cos`ıviene monitorata e registrata l’attività del SNP e attraverso un processo di sensibilizzazione i pazienti migliorano le capacità di percepire e controllare gli stimolifisiologici. Tecniche di rilassamento e Biofeedback sono utilizzate in psichiatria, psicologica clinica, in medicina generale, in riabilitazione, e in settori specialistici per disturbi stress-correlati, disturbi funzionali, disturbi d’ansia, disturbi psicosomatici e somatizzazioni oltre che in aggiunta a malattie somatiche come cardiopatie, ipertensione, disturbi gastrointestinali, patologie reumatologiche, neurologiche, nella medicina del dolore, durante le procedure diagnostiche e nella preparazione al parto. In letteratura scientifica vi sono ancora pochi studi che riguardano l’impiego di questa tecnica con pazienti in età evolutiva.[48][49][50]

Reiki

Il Reiki è un approccio energetico, scoperto allafine del XIX secolo dal Dr. Usui in testi di Sanscrito, messo poi in pratica da Hawayo Takata. Nel Reiki, tutto nell’universo, compreso il corpo umano, è costituito da energia, e nel momento in cui questa energia viene interrotta si ha lo stato di malattia. Nella sua applicazione, l’operatore cerca di bilanciare lo stato energetico dell’individuo inviando lui l’energia ricevuta dall’universo. Lo scopo principale del Reiki non è la guarigionefisica dalla malattia ma il rafforzamento dei talenti naturali disponibili, l’equilibrio dello spirito, la salute del corpo e quindi il conseguimento della fortuna. Implica partire da sè stessi, seguire i principi del Reiki e svolgere una ricerca interiore.[51][52] I 5 principi Reiki sono: solo per oggi: non ti arrabbiare; non ti preoccupare; sii grato; svolgi il tuo lavoro con dedizione; sii gentile con tutte le persone.

Solo per oggi si riferisce al vivere il momento presente.[51]

La durata delle sessioni Reiki sono approssimativamente 30/90 minuti, durante i quali chi riceve la terapia si sdraia o rimane in piedi, senza bisogno di togliersi i vestiti. Il Reiki è generalmente sicuro e non sono stati riportati effetti collaterali gravi. Secondo i dati del NCCAM (National Center of Complementary and Alternative Medicine) vi è un crescente interesse per gli approcci energetici presso le strutture sanitarie, approcci indirizzati sia agli utenti che ai professionisti sanitari. Negli ultimi anni il Reiki viene usato frequentemente in riabilitazione, ospizi, unità di pronto soccorso, cliniche psichiatriche, sale operatorie, strutture per anziani, cliniche pediatriche, cliniche di ginecologia e ostetricia, e cliniche di assistenza neonatale. Pùo essere applicato da infermieri, caregiver, familiari, e da chiunque abbia conseguito il primo livello Reiki. Anche se ancora non ci sono teorie che spieghino come il Reiki funziona a livello del dolore e dell’intero corpo, vi sono studi promettenti riguardo tali spiegazioni. Inoltre secondo i dati del Center for Reiki Research, il Reiki ha una certa efficacia nel ridurre i livello di dolore, depressione e ansia. Ancora non ci sono meta-analisi e studi che provino le evidenze di efficacia; per questofine sono necessarie ulteriori ricerche mediche e scientifiche.[52]

Igiene del sonno e rilassamento

L’igiene del sonno rientra tra le tecniche comportamentali maggiormente applicate nel disturbo di insonnia, ed è intesa come un insieme di regole volte a migliorare il sonno dei pazienti. Le regole riguardano uno stile di vita e i comportamenti che aiutano a promuovere il sonno qualitativamente e quantitativamente in ambito di alimentazione, di luogo dove dormire, di attività quotidiane e di assunzione di determinati cibi o sostanze.[53] L’igiene del sonno di per sè non rappresenta propriamente una tecnica a mediazione corporea. La consapevolezza riguardo ai propri comportamenti (anche in termini di eserciziofisico) unitamente agli esercizi di rilassamento verranno considerate una tecnica a mediazione corporea nella presente revisione. Gli esercizi di rilassamento infatti presuppongono attenzione verso il proprio corpo, consapevolezza e propriocezione e vanno ad agire sulla sfera somatica.

Tecniche di respirazione e di rilassamento

Le tecniche di rilassamento sono numerose e diverse tra loro; alcuni esempi sono il training autogeno di Schultz, la meditazione trascendentale, la risposta rilassante di Benson, la quieting response di Stroebel, il rilassamento guidato con EMG-BFB (Elettromiografia-Biofeedback), il BFB dei ritmi elettroencefalografici (EEG) alfa e della risposta elettrodermica, il rilassamento progressivo di Jacobson, il rilassamento secondo Araujaguerra, il rilassamento attivo di Biondi, tecniche derivate dallo yoga e dalla meditazione, la Mindfulness. Molte di queste tecniche, con metodi di induzione diversi, si basano su meccanismi simili alle risposte naturali dell’organismo. Il paziente porta l’attenzione al suo stato interno, facilitando cos`ıl’apprendere del controllo psico-somatico e della tensione muscolare, con conseguenti modificazioni a livello del sistema muscolare, neurovegetativo, neuroendocrino, analoghe ai meccanismifisiologici, che a loro volta concorrono a ridurre ansia, stress e i sintomi correlati ad essi e ad aumentare il benessere generale.[50] Gli esercizi di respirazione spesso si basano su respirazioni diaframmatiche, lente e profonde e fanno parte delle tecniche di rilassamento.

Tocco Terapeutico, Healing Touch e contattofisico

Il Tocco Terapeutico è un processo intenzionalmente diretto di scambio di energia nel quale il praticante utilizza le mani come punto focale per facilitare la guarigione. Si tratta di una modalità di guarigione non invasiva, ed è stato introdotto come intervento infermieristico da Dora Kunz e Delores Krieger negli anni ’70. Nonostante il nome, l’operatore non tocca mai il corpo del paziente tenendo le mani appena sopra al corpofisico del paziente con l’obiettivo di bilanciarne il campo energetico. Come per il Reiki, il Tocco Terapeutico si basa sul presupposto che vi è un’energia vitale universale che sostiene tutti gli organismi viventi e come il Reiki rientra nel dominio della medicina energetica (secondo la NCCAM).[54]

Anche l’Healing Touch è classificato dalla NCCAM come una terapia della medicina energetica, che ha come obiettivo quello di ripristinare l’armonia e l’equilibrio nel sistema energetico del paziente e di portare il cliente in grado di auto-guarire; a talefine utilizza il tocco gentile sul corpo del paziente. Vi sono risultati nella ricerca scientifica, sebbene limitati, che mostrano una riduzione del dolore, del distress e della fatigue, migliore qualità della vita e, miglioramento dell’umore e sollievo dal dolore tra i pazienti ricoverati in seguito all’applicazione dell’Healing Touch.[55][56]

Nella presente revisione viene incluso tra le tecniche a mediazione corporea anche il contattofisico tra caregiver e paziente o tra professionista sanitario e paziente (ad esempio durante le procedure dolorose).

INDICE

Obiettivi

Con questa revisione ci si prefigge di analizzare le evidenze e le lacune presenti in letteratura scientifica riguardo la correlazione tra l’impiego di tecniche a mediazione corporea/alternative e la riduzione dell’intensità del dolore e della fatigue in pazienti adolescenti con linfoma di Hodgkin, in modo da poter sostenere successive ricerche e studi clinici volti a promuoverne l’applicazione in ambito di terapia oncologica.

Revisione della letteratura

Una prima ricerca con l’utilizzo dei database elettronici PubMed, CINAHL, EMBASE con le parole chiave ”linfoma di Hodgkin”, ”dolore”, ”fatigue”, ”adolescenti”, ”tecniche a mediazione corporea” non ha dato un numero soddisfacente di risultati. Pertanto si è deciso di allargare la ricerca bibliografica andando a indagare l’utilizzo delle tecniche a mediazione corporea in tutta l’età evolutiva e per tutte le patologie oncologiche. Si ipotizza che i risultati ottenuti in scala più ampia possano essere validi anche nel caso particolare del linfoma di Hodgkin in età adolescenziale. Per sostenere e confermare tale ipotesi sono necessari ulteriori ricerche e studi clinici.

Metodologia di ricerca

Strategia di ricerca in letteratura

E` stata effettuata una ricerca che includesse gli articoli scritti da gennaio 2011, utilizzando i database elettronici PubMed e CINAHL. Le parole chiave impiegate nella ricerca sono state i termini “neoplasm”,”child”, “adolescent” “pain”, “fatigue”, “mind-body therapies”, “alternative therapies” Sono state verificate le liste delle citazioni per trovare eventuali pubblicazioni che la ricerca con i database non avesse rilevato.

I soggetti dello studio sono bambini con patologia oncologica pediatrica, in qualsiasi fase del percorso di malattia (diagnosi, trattamento, terapia di mantenimento, remissione della malattia, TCSE, cure palliative/fine vita).

Le stringhe utilizzate nella ricerca sono state:

Banca dati Stringa

PubMed

(”Neoplasms”[Mesh] OR cancer*[tiab] OR oncol*[tiab] OR tumor*[tiab] OR tumour*[tiab] OR neoplasm*[tiab] OR malignanc*[tiab]) AND (”Child”[Mesh] OR child OR children OR childhood OR kid OR kids OR ”Adolescent”[Mesh] OR adolescent*[tiab] OR adolescence[tiab] OR teen*[tiab] OR teenager*[tiab] OR Youth*[tiab]) AND (”Mind-Body Therapies”[Mesh] OR MindBody-Therap*[tiab] OR Body-Technique*[tiab] OR Mind-BodyMedicine[tiab] OR massage OR ”Complementary Therapies”[Mesh] OR complementary-therap*[tiab] OR alternative-therap*[tiab] OR cam[tiab] OR yoga[tiab] OR reiki[tiab]) AND (”Pain”[Mesh] OR pain*[tiab] OR exhaustion[tiab] OR tired*[tiab] OR lethargy[tiab] OR ”Fatigue”[Mesh] OR fatigue[tiab] OR Lassitude[tiab] OR tired*[tiab])

CINAHL

( ( ( (MH ”Neoplasms+”) OR cancer* OR oncol* OR tumor* OR tumour* ) ) AND ( ( (MH ”Adolescence+”) OR adolescent* OR adolescence OR teenager* OR teen* OR youth* OR (MH ”Child+”) OR child OR children ) ) AND ( ( (MH ”Alternative Therapies+”) OR cam OR complementar* OR alternative OR (MH ”Mind Body Techniques+”) OR ”Mind Body Therapy” OR ”Body Technique” OR ”Mind Body Medicine” OR massage OR yoga OR reiki ) ) ) AND ( ( (MH ”Pain+”) OR pain* OR (MH ”Fatigue+”) OR exhaustion OR tired* OR lethargy OR fatigue OR Lassitude OR tired* ) )

Criteri di inclusione

I criteri di inclusione iniziali sono:

Tipologia di studi inclusi

Revisioni sistematiche della letteratura, trial randomizzati controllati, studi clinici pilota, studi di protocolli di trial, revisioni narrative della letteratura, studi longitudinali analitici.

Partecipanti

Bambini e adolescenti da 0 a 18 anni con sintomi di fatigue e/o dolore associati al cancro, in ogni fase del percorso di patologia oncologica: diagnosi, terapie antitumorali, procedure terapeutiche, fase di mantenimento delle terapie, pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche, sopravvissuti offtherapy, fase di cure palliative,fine-vita. Sono inclusi tutti i tipi di tumore.

Outcomes misurati

Misurazione di dolore e/o fatigue con opportune scale validate o questionari generici che riguardino anche dolore e/o fatigue.

Tecniche a mediazione corporea incluse

Reiki; Mindfullness; Biofeedback; Tocco Terapeutico, Healing Touch e contatto fisico; igiene del sonno e rilassamento; Tecniche di rilassamento e respirazione.

Settings per gli interventi

Domicilio, ospedale, centri sanitari

Criteri di esclusione

I criteri di esclusione decisi a priori o aggiunti in seguito, sono stati i seguenti:

Tecniche alternative e/o integrative e/o non farmacologiche e/o a mediazione corporea escluse: Agopuntura; Medicina tradizionale cinese; Thai Chi; Erbe mediche; Arte terapia; Musico-terapia; Massaggio terapia; Massaggioaromaterapia; Tecniche di distrazione; Reflessologia; Preghiera; Melassa di carruba; Vitamine/minerali; Melassa di uva; Omeopatia; Diete particolari o integratori alimentari; Osteopatia; Mobilizzazione neurale; Chiropratica; Immaginazione guidata; Ipnosi o auto-ipnosi; Meditazione; Danza/movimento-terapia; Scrambler Therapy. A queste si è aggiunto in seguito lo Yoga.

Sono stati esclusi articoli che consideravano l’utilizzo congiunto di due tecniche alternative di cui almeno una delle due non appartenenti a quelle incluse nei criteri (es. Musicoterapia e Mindfulness insieme).

Criteri di esclusione per la tipologia di partecipanti

Si sono esclusi gli studi che riguardano la sola popolazione adulta, o la popolazione in età evolutiva per la quale non vengono misurati dolore e/o fatigue.

Dopo una prima ricerca senza limiti temporali o linguistici, in seguito si è deciso di escludere gli studi condotti prima del 2011 e gli studi in lingua diversa da inglese, italiano, spagnolo o francese.

Strategia di selezione degli articoli

La ricerca attraverso i database PubMed e CINAHL, senza limiti temporali, ha dato un totale di 851 articoli di cui 274 erano duplicati. In seguito alla lettura di titolo e abstract si sono selezionati 54 articoli che rispondessero ai criteri di inclusione. Con un’analisi più approfondita sono stati individuati ulteriori 14 duplicati, per cui si è arrivati ad avere 40 articoli. Da questi sono stati esclusi tutti gli articoli pubblicati prima di gennaio 2011, e scritti in lingua diversa da inglese, italiano, spagnolo o francese e quelli per i quali non si ha la possibilità di accedere al fulltext mediante i database a disposizione dell’Università di Torino, arrivando cos`ıad avere 19 articoli. Di questi 19 articoli, 9 riguardavano lo Yoga per la gestione di dolore e/o fatigue nella patologia oncologica pediatrica e si è scelto di escludere questa tecnica tra quelle appartenenti ai criteri di inclusione. Si è valutato infatti che la predominanza in letteratura scientifica dello Yoga rispetto alle altre tecniche potesse sbilanciare i risultati della revisione della letteratura. Infine, effettuando un controllo dalle liste delle citazioni e dei riferimenti degli articoli selezionati, sono stati individuati ulteriori 3 articoli, di possibile rilevanza per la ricerca, che rispondessero ai criteri di inclusione scelti a priori. In totale si è arrivati ad avere 13 articoli dei quali si sottopone a revisione l’intero fulltext.

Revisione degli articoli

Dei 13 articoli selezionati si è effettuata una revisione dell’intero testo. Due articoli sono stati esclusi in quanto tra gli outcomes misurati non rientrano dolore e/o fatigue (in uno dei due è presente un breve paragrafo in cui vengono menzionati il dolore e la diminuzione del dolore). Altri due articoli sono stati esclusi in quanto revisioni sistematiche della letteratura che prendono in considerazione: uno 55 articoli di cui

52 riguardano gli adulti e solamente 3 l’età evolutiva; l’altro 5 articoli dei quali uno solo tratta di una delle tecniche a mediazione corporea che rientra tra i criteri di inclusione ed è già incluso tra gli articoli presi in considerazione in questo studio. Infine due articoli sono scritti a partire dal medesimo studio: uno si propone di valutare la fattibilità e l’accettabilità, per le famiglie e per i pazienti, dell’intervento con la terapia Reiki complementare alle cure palliative, l’altro, oltre a questo, si prefigge di valutare gli outcomes di dolore, ansia e rilassamento che si ottengono utilizzando la terapia Reiki; tra i due si prende in considerazione solo questo secondo articolo. Rimangono 8 articoli, di cui 2 revisioni narrative della letteratura e uno studio di un protocollo per un trial controllato pragmatico. Si includono questi ultimi

3 articoli nella revisione per dare una panoramica più completa sullo stato dell’arte delle terapie non-farmacologiche a mediazione corporea impiegate nel trattamento di dolore e fatigue nei pazienti pediatrici oncologici, sebbene, essendo divulgativi e non contenendo raccolte sistematiche di dati, si discostino dai parametri ricercati per la revisione della letteratura.

INDICE

Risultati

Tabella 1: Articoli selezionati, autori (data)

Tabella 1:Articoli selezionati, autori (data)

Caratteristiche degli studi selezionati

Degli 8 studi individuati come pertinenti aifini della ricerca si ha:

  • due revisioni narrative della letteratura
  • uno studio di un protocollo per un trial controllato
  • una revisione sistematica della letteratura (dalla quale a sua volta vengono estrapolati i dati di due studi crossover randomizzati)
  • due trial pilota non controllati
  • un trial pilota randomizzato controllato
  • uno studio analitico longitudinale

Tutti gli studi sono stati pubblicati tra il 2011 ed il 2021 in lingua inglese, tranne uno pubblicato in spagnolo.[57]

Valutazione della qualità

La qualità metodologica degli articoli selezionati è stata definita dando punteggi ad item appartenenti ad una lista con criteri predefiniti. Questi criteri sono stati stabiliti prendendo spunto da altre ricerche sistematiche e riadattati agli obiettivi di questa revisione.

  1. Descrizione dell’obiettivo dello studio;
  2. Valutazione di dolore e/o fatigue effettuata con una o più scale validate;
  3. Descrizione dell’intervento;
  4. Descrizione del campione di popolazione/degli articoli revisionati;
  5. Popolazione appartenente all’età evolutiva (0-18);
  6. Descrizione dei criteri di inclusione e di esclusione;
  7. Almeno il 65% delle scale di valutazione o dei questionari sono state somministrate e completate;
  8. Informazioni riguardo le differenze tra le caratteristiche di chi risponde e di chi non risponde;
  9. Solamente partecipanti con neoplasie o sottoposti a TCSE;
  10. Revisione sistematica della letteratura o trial clinico;
  11. Campione di almeno 30 partecipanti/revisione di almeno 5 articoli che riguardino le tecniche incluse nella ricerca;
  12. Dati raccolti in prospettiva;
  13. Descrizione del processo di raccolta dati e dei dati mancanti;
  14. Uno o più gruppi controllo;
  15. Dati statistici significanti a sostegno delle scoperte;
  16. Importanza clinica;
  17. Metodi analitici appropriati;
  18. Conclusioni appropriate rispetto agli obiettivi della ricerca

Per ogni criterio incontrato viene assegnato un punto allo studio (S) mentre non viene assegnato in caso il criterio non sia presente (N); NA= non applicable allo studio, NR= non riportato. Per NA e NR vengono assegnati 0 punti. In questo modo ad ogni studio si assegna un punteggio da 0 a 18. Per ogni studio un punteggio maggiore indica una qualità maggiore. Gli studi che hanno punteggio superiore al 75% (punteggio superiore a 13) sono considerati “studi di alta qualità”, tra 50 e 75% (punteggio compreso tra 9 e 13) qualità moderata, meno di 50% (punteggio<9) bassa qualità. I criteri ed i punteggi sono stati stabiliti e assegnati da una sola persona, il che potrebbe falsare il risultato ottenuto per errori di interpretazione e per soggettività.

Tabella 2: Metodologia punteggio

Tabella 2:Metodologia punteggio

Sintesi dei risultati

Le seguenti tabelle sintetizzano, in ordine cronologico, le caratteristiche principali degli studi inclusi nella revisione.

Tabella 3:Thrane 2013

Tabella 3:Thrane (2013)

Tabella 4:S Hanmod & Gera (2016)

Tabella 4:S Hanmod & Gera (2016)

Tabella 5:Vohra et al. (2016)

Tabella 5:Vohra et al. (2016)

Tabella 6:Zupanec et al. (2017)

Tabella 6:Zupanec et al. (2017)

Tabella 7:Thrane et al. (2017)

Tabella 7:Thrane et al. (2017)

Tabella 8:Brown et al. (2017)

Tabella 8:Brown et al. (2017)

Tabella 9:Zucchetti et al. (2019)

Tabella 9:Zucchetti et al. (2019)

Tabella 10:Medina Cordoba & Perez Villa (2019)

Tabella 10:Medina Cordoba & Perez Villa (2019)

Tabella 11:Risultati estrapolati da Thrane (2013)

Tabella 11:Risultati estrapolati da Thrane (2013)

Caratteristiche del campione

Tre studi includono solo bambini o preadolescenti (<12 anni), mentre altri 3 studi includono anche adolescenti (4-18 anni). Le due revisioni narrative selezionate si riferiscono all’età evolutiva in generale (0-18 anni), mentre lo studio di protocollo prevede di selezionare pazienti minori di 16 anni. Dai 5 studi da cui è possibile estrapolare tali dati, si ottiene che il numero totale di bambini è 106, di età compresa tra 2 e 18 anni (età media di 7.4 anni).

Tipi di neoplasie

In due studi i pazienti sono affetti da leucemia[57][58], cos`ıcome nei due articoli tratti dalla revisione sistematica[59][60][61]; un altro studio oltre alla leucemia include anche i pazienti con linfomi[3]. I restanti studi si riferiscono in generale alla patologia oncologica pediatrica o alla patologia pediatrica incluso il cancro.[4][30][47][62]

Fasi del percorso di patologia oncologica

In ognuno dei 4 studi clinici presenti tra gli 8 articoli selezionati i pazienti si trovano in una diversa fase del percorso di malattia: fase attiva della malattia[57], mantenimento della terapia antitumorale[58], cure palliative[4], TCSE[3]. Nelle revisioni narrative viene trattato il dolore in generale durante tutto il percorso di malattia[30][47], cos`ıcome nella revisione sistematica della letteratura[59]. Lo studio per il protocollo prevede di prendere in considerazione la popolazione pediatrica ricoverata in oncologia pediatrica, cardiologia pediatrica o pediatria generale.[62]

Gruppi controllo e outcomes misurati

Nello studio controllato, al gruppo controllo viene applicata la normale procedura di cura.[58]

Tra tutti gli studi solamente uno misura la fatigue[58], mentre tutti i restanti, tra altri outcomes, misurano il dolore (come outcome primario dello studio o come outcome secondario). Le due revisioni narrative trattano di dolore nella patologia pediatrica.

La fatigue viene misurata con la CCFS-C (Childhood Cancer Fatigue Scale-Children), la CCFS-P(Childhood Cancer Fatigue Scale-Parent) e la CCFS-S(Childhood Cancer Fatigue Scale-Staff).

Le scale impiegate per misurare il dolore sono la FLACC (con i bambini preverbali/minori di 3 anni), la VAS e la Wong-Baker FACES Pain Scale. Altri outcomes misurati (o che si vuole misurare nel protocollo per il trial clinico) sono l’ansia (in tre studi[59][62][4]), la fattibilità e l’accettabilità degli interventi (in tre studi[58][62][4]), il sonno (in uno studio[58]), il rilassamento (in uno studio[4]), nausea e vomito (in uno studio[62]).

Tecniche a mediazione corporea identificate

Le tecniche considerate dagli studi analizzati sono impiegate nella gestione di dolore e fatigue (e altri sintomi come distress, ansia, paura...), nei pazienti in età evolutiva, in maniera complementare agli interventi farmacologici. Le tecniche rilevate includono esercizi di respirazione, di rilassamento e distrazione, terapia di igiene del sonno, contattofisico, Reiki; in tre studi viene analizzato l’impiego del Reiki come tecnica complementare alla gestione del dolore[62][4][3]. Negli studi inclusi vengono trattate altre tecniche (come Yoga, massaggio-terapia...) le quali non verranno prese in considerazione aifini di questa revisione. Altre tecniche rilevate durante il processo di selezione degli articoli sono state Biofeedback e Mindfulness; gli studi riguardo tali tecniche non misuravano in maniera diretta gli outcomes di dolore e fatigue.

Caratteristiche degli interventi

Per quanto riguarda caratteristiche e modalità degli interventi e le conclusioni non verranno prese in considerazione le revisioni narrative[30][47], nè lo studio di protocollo [62].

La terapia Reiki è stata valutata in due studi clinici e presa in considerazione nel protocollo per un ulteriore studio. Entrambi gli studi rilevano l’efficacia del Reiki sulla riduzione del dolore nel breve termine[3][4], mentre non si osservano differenze significative in periodi di controllo a lungo termine[3]. Infatti in uno studio i risultati medi delle misure del dolore dopo due sessioni di Reiki (a distanza di massimo 3 giorni l’una dall’altra) sono minori rispetto a prima dell’intervento, ma non si osserva un effetto della dimensione significativo e la differenza ha rilevanza statistica solamente nei bambini non verbali[4]; pertanto non si rileva un effetto duraturo del Reiki sul dolore. Invece nel secondo studio i dati mostrano un aumento del dolore nel periodo di controllo a breve termine (la mattina prima della sessione Reiki) la diminuzione del dolore nel periodo sperimentale a corto termine (prima e dopo la sessione Reiki) e il mantenimento del livello di dolore più o meno costante nel periodo a medio termine, in seguito alla sessione Reiki. Non sono stati osservati effetti a lungo termine.[3]

I dati rilevati con l’actigrafo mostrano che nel gruppo intervento, paragonato al gruppo controllo, la durata media di sonno notturno è aumentata di 35 minuti, differenza che non raggiunge un significato statistico, mentre la durata della veglia infrasonno è diminuita di 44 minuti rispetto al gruppo controllo, raggiungendo quasi significato statistico. I risultati del CSHQ (Children Sleep Habits Questionnaire) rilevano un disturbo del sonno clinicamente significativo per la maggior parte dei pazienti (95% all’inizio dell’intervento, 83% al follow-up).[58] Le misure non farmacologiche prese in considerazione nello studio analitico longitudinale[57] sono applicate in maniera non sistematica sui bambini ricoverati al momento dello studio; il contattofisico è tra le misure maggiormente applicate (insieme misure di tipo comunicativo), mentre tecniche di respirazione profonda sono state impiegate con 11 bambini su 35. Non si sono osservati benefici sul dolore in seguito all’applicazione di tali misure (la musicoterapia è l’unico intervento non farmacologico per il quale, in questo studio, è stata dimostrata diminuzione del dolore)[57].

Per quanto riguarda gli studi estrapolati dalla revisione sistematica[59] che riguardano tecniche mind-body[60][61]: in uno viene evidenziato che i bambini provano maggiore distress nel primo minuto di terapia mind-body rispetto all’anestesia generale e che i sintomi legati al comportamento sono maggiori in seguito ad anestesia generale rispetto a quanto si rileva dopo le terapie mind-body. Sia genitori che bambini dicono di preferire l’anestesia generale alle tecniche mind-body[60]; nel secondo i bambini non riportano diminuzione di dolore significativa ma vi è un’ampia dimensione dell’effetto (d=2.49 corretta per la ridotta dimensione del campione)[61].

Validità e qualità degli studi inclusi

Data l’eterogeneità dei campioni e le dimensioni ridotte di questi ultimi gli studi inclusi sono a rischio di bias, questo vale soprattutto per gli studi non controllati e/o non randomizzati.[3][4][57]

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Discussione

Questa revisione è stata effettuata con ilfine di sintetizzare e valutare criticamente la presenza o la lacuna di evidenze circa le tecniche complementari a mediazione corporea per la gestione dei sintomi di dolore e fatigue nella patologia oncologica pediatrica. Le modalità e le metodologie eterogenee degli studi inclusi non permettono di condurre una meta-analisi formale ma insieme danno prove incoraggianti per l’efficacia degli approcci a mediazione corporea.

Vi sono numerosi studi riguardanti gli interventi non farmacologici per il dolore e la fatigue correlati al cancro nella popolazione adulta, mentre in età evolutiva sono ancora pochi, perlopiù studi pilota per verificare la fattibilità delle tecniche complementari e quasi tutti considerano il dolore ma non la fatigue.

I due studi sulla terapia Reiki mostrano risultati positivi riguardo la diminuzione degli outcomes misurati: dolore[4], ansia, frequenza cardiaca e respiratoria[3][4]. Per quanto riguarda il dolore, si osserva un decremento della sintomatologia dolorosa nei controlli a breve termine mentre rimane costante nei controlli a medio termine e non sembrano esserci effetti nel lungo termine. Questo suggerisce che il Reiki pùo essere utile nel dare sollievo dal dolore acuto durante procedure diagnostiche e terapeutiche e dà le basi per ulteriori studi che vadano ad approfondire l’impiego di questa tecnica e i suoi effetti sul dolore. Sarebbe utile misurare anche i parametri di fatigue ed osservare se questi cambiano nel corso di un programma di trattamento Reiki, vedendo cos`ıgli effetti sul corto, medio e lungo termine.

A seguito dell’intervento di igiene del sonno e rilassamento[58] non si è rilevato un decremento della fatigue, ma uno studio di maggiore durata temporale pùo essere utile per verificare se gli effetti positivi che tale intervento ha sul sonno possano contribuire a migliorare gli outcomes di fatigue nel lungo termine.

Nello studio longitudinale analitico, il quale dà un’idea delle tecniche complementari che possono essere impiegate nella gestione di pazienti pediatrici con cancro, si rilevano evidenze di efficacia solamente per quanto riguarda la musico-terapia[57]. La revisione sistematica ha mostrato che le tecniche mind-body, insieme all’ipnosi, hanno una buona dimensione dell’effetto nella riduzione del dolore e dell’ansia nei bambini sottoposti a cure antitumorali e a procedure dolorose.[47][59]

Gli studi inclusi nella revisione suggeriscono che molte modalità, non farmacologiche, complementari e integrative, fattibili e accettate dai bambini e dalle famiglie [58][59][3], aiutano i bambini riducendo sofferenza e fatigue durante il loro percorso di patologia oncologica. Queste tecniche possono essere applicate dagli operatori sanitari, inclusi i TNPEE, che abbiano un’adeguata formazione e possono anche essere insegnate ai genitori per aiutarli a sostenere ifigli. Unito all’assenza di effetti collaterali gravi, questo evidenzia l’utilità di ulteriori studi riguardo l’impiego di tecniche a mediazione corporea nel trattamento di dolore e fatigue correlati ai tumori infantili. Infatti è anche a causa del numero ridotto di trials clinici e di studi sistematici che analizzino gli effetti di queste tecniche sulla sintomatologia di dolore e fatigue che non si hanno risultati consistenti, nè evidenze di efficacia sufficienti a creare dei protocolli di trattamento standard con l’impiego di tecniche a mediazione corporea. Studi con campioni più ampi e più omogenei, che prendano in considerazione anche altre tecniche (come Biofeedback, Mindfulness...), possono evidenziare maggiormente l’efficacia o la non efficacia di queste tecniche e dare la possibilità di strutturare protocolli e iter di procedure standard da applicare per aiutare e dare sollievo ai pazienti pediatrici con cancro. Ad esempio, nella popolazione adulta, dove è stato effettuato un maggior numero di studi clinici, vi sono evidenze di efficacia nella riduzione della fatigue cancro correlata all’applicazione di Mindfulness e di tecniche di rilassamento.[47][63]

Infine, studi randomizzati controllati in cui si confrontino le misure di dolore e fatigue di un gruppo-intervento e quelle di un gruppo-controllo possono ridurre il rischio di bias e dare maggiori prove di efficacia o di non efficacia degli interventi messi in atto.

Le tecniche prese in considerazione in questo studio sono tutte accomunate dal fatto che non sono solamente applicate dal professionista, ma il paziente deve anch’esso assumere un ruolo attivo. Questo potrebbe aumentare il senso di auto-efficacia dei pazienti e la lorofiducia nelle proprie capacità personali, migliorando l’umore e aumentando anche la compliance ai trattamenti antitumorali.

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Limiti della revisione

Vi sono diversi limiti in questa revisione. In primo luogo il numero esiguo di studi analizzati; inoltre, tra gli studi inclusi nella revisione, le revisioni narrative non danno informazioni quantitative circa l’applicazione delle tecniche a mediazione corporea, cos`ıcome lo studio di protocollo.[30][47][62] La revisione sistematica inclusa analizza articoli risalenti a prima del 2011, dei quali la maggior parte non riguardano tecniche tra quelle incluse nel presente studio[59]. Dei restanti studi analizzati solamente uno comprende un gruppo controllo, e tutti i campioni sono di piccole dimensioni. L’eterogeneità degli studi per quanto riguarda il tipo e lo stadio del cancro, la fase del percorso di malattia e l’età dei partecipanti agli studi rappresenta un ulteriore limite della revisione. Questa eterogeneità infatti non permette di analizzare in maniera approfondita le modalità e i meccanismi con cui ogni tecnica agisce sui sintomi di dolore e/o fatigue e quindi di generalizzare l’efficacia di una o più tecniche su un gruppo di pazienti più omogeneo. Un limite che si ha con i bambini non verbali è il fatto che gli outcomes vengono misurati a partire dal report dei genitori. In generale dolore e fatigue sono sintomi molto soggettivi per cui le misure quantitative possono non essere oggettive. Inoltre negli studi considerati vengono utilizzate scale diverse, fattore che incide nel potenziale rischio di interpretazione soggettiva delle misurazioni di dolore e fatigue; le misure di frequenza cardiaca e respiratoria possono contribuire a dare oggettività ai dati raccolti. Sono stati inclusi solamente gli studi trovati attraverso la ricerca sui database PubMed e CINAHL; questo potrebbe aver comportato l’esclusione di studi non presenti su tali database. Infine, un altro limite è rappresentato dal fatto che uno solo tra gli studi inclusi analizza la fatigue[58] mentre i restanti hanno come outcome, tra gli altri, il dolore.

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Conclusioni

Fatigue e dolore nei pazienti pediatrici rischiano di essere sottovalutati o non trattati adeguatamente, con ripercussioni sulla qualità della vita e sulle attività quotidiane dei bambini e adolescenti.

Si pùo ricorrere a terapie complementari come la terapia Reiki a sostegno dei bambini sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche[3] o in fase di cure palliative[4], oltre che nelle altre fasi del percorso di patologia oncologica, dal momento che queste possono avere effetti benefici senza incorrere in rischi di effetti collaterali gravi.

Date le poche evidenze di efficacia riguardo l’impiego di tecniche a mediazione corporea nel trattamento di dolore e fatigue nei pazienti con patologia oncologica pediatrica, ulteriori studi sono necessari alfine di rilevare ed analizzare i meccanismi con cui agiscono queste tecniche. Dolore e fatigue dipendono anche dal tipo di tumore, dallo stadio in cui si trova, dalla terapia farmacologica antitumorale in atto, dall’età e lo stato generale del bambino e dal contesto culturale e familiare da cui esso viene. Per capire ed identificare programmi che possano aumentare i benefici delle tecniche impiegate è utile strutturare trials clinici con campioni di almeno 30 pazienti appartenenti ad una stessa fascia di età, con situazioni cliniche simili, oltre che appartenenti a un medesimo contesto culturale. Inoltre, per poter osservare al meglio gli effetti a lungo termine, i trials dovrebbero durare qualche mese, dovrebbero essere randomizzati (se possibile) e prevedere un gruppo controllo per ridurre il rischio di bias. Per poter fare un’analisi completa si potrebbe pensare di osservare e misurare anche l’atteggiamento dei genitori, il quale pùo influenzare molto i figli.

In particolare, per quanto riguarda i pazienti adolescenti con linfoma di Hodgkin sarebbe opportuno progettare e mettere in atto un trial clinico randomizzato controllato, con un campione di pazienti con LH, in una determinata fase della patologia (durante il trattamento, off-therapy, TCSE) di età compresa tra i 13 e i 19 anni, di durata di almeno 2 mesi, che preveda l’impiego di una tecnica non farmacologica a mediazione corporea. Nella progettazione dello studio sarà necessario stabilire i momenti in cui la tecnica viene applicata e in cui vengono misurati dolore e fatigue. In questo modo sarà possibile osservare ed analizzare gli effetti che la tecnica scelta ha sui sintomi di dolore e fatigue e i meccanismi che determinano o meno la diminuzione di tali sintomi. Inoltre nelle tecniche a mediazione corporea la componente personale è fondamentale, in quanto il paziente deve partecipare attivamente (nella presa di consapevolezza del proprio corpo e nel rilassamento); gli adolescenti avranno una maggiore possibilità di compliance e partecipazione rispetto a pazienti più giovani. Anche per questo, in ottica di rilevare i benefici possibili che l’impiego di tecniche a mediazione corporea pùo avere sugli adolescenti con LH, è importante strutturare studi con campioni appartenenti alla fascia di età 15-19 anni. Altra peculiarità della fase adolescenziale è lo sviluppo e quindi il cambiamento a livello somatico e di immagine corporea. Le tecniche a mediazione corporea contribuiscono alla costruzione dell’immagine di sè e alla presa di consapevolezza psico-somatica, inserendosi cos`ıpositivamente nella fase evolutiva degli adolescenti. Gli studi futuri dovrebbero valutare come tradurre i risultati ottenuti in protocolli di pratica clinica.

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Metodo Feldenkrais per la gestione di dolore e fatigue negli adolescenti con linfoma di Hodgkin: proposta di trattamento

In questo capitolo, alla luce di quanto emerso dalla revisione della letteratura e tenendo in considerazione limiti e caratteristiche evidenziate da quanto rilevato, si avanzerà una proposta di trattamento per dolore e fatigue negli adolescenti con LH

Il Metodo Feldenkrais

”Niente è permanente riguardo ai nostri schemi, se non la convinzione che essi siano tali”

Moshe Feldenkrais

Il Metodo Feldenkrais (MF) è stato sviluppato nel secolo scorso dal Dr. Moshe Feldenkrais, il quale si basava sul presupposto che l’essere umano ha il potenziale per ”imparare ad imparare”.[64] Il metodo consiste in una guida all’ascolto attraverso il movimento che, grazie allo sviluppo di una maggiore auto-consapevolezza, ha lo scopo di migliorare le funzioni, insegnando a muoversi con facilità ed efficienza e migliorando l’immagine di sè.[65]

Il canale di ascolto è quello del movimento funzionale o con intenzione; attraverso movimenti sicuri, piccoli e non usuali la persona esplora le proprie possibilità. L’ascolto di sè e l’attenzione verso il movimento ridotto ai minimi termini portano ad una maggiore consapevolezza riguardo i propri schemi corporei e motori oltre che ad una migliore differenziazione delle parti del corpo. Questo, insieme allo sviluppo di una migliore propriocezione, permette di analizzare e riconoscere le proprie abitudini e agisce a livello di immagine corporea approfondendola e migliorandola, dando cos`ıla possibilità di scegliere nuove opzioni rispetto ai modelli di movimento abituali.[65]

I partecipanti sono incoraggiati a trovare e provare molteplici soluzioni alternative di movimento e, sempre grazie ad un’aumentata auto-consapevolezza, hanno la possibilità di confrontare giudizi positivi, come movimenti piacevoli, facili e che richiedono poco sforzo, con segnali di feedback meno favorevoli come dolore, tensione o disagio. In questo modo è possibile scegliere ci`o che è più funzionale piuttosto che ci`o che è più usuale e raggiungere maggiore facilità,fluidità, vitalità, precisione e/o leggerezza nelle azioni e nei movimenti quotidiani (stare seduto, alzarsi da una sedia, voltarsi, raccogliere qualcosa del suolo). La persona quindi diventa consapevole di cosa e di come agisce (di come si muove) ed ”impara ad imparare” e a concorrere essa stessa al proprio benessere: il processo di intenzione, azione, acquisizione di feedback, decisione e ri-azione con gli adattamenti costituisce il quadro di apprendimento in un contesto somatico in cui si assiste ad una ri-organizzazione delle strutture di movimento personali che, oltre a soluzioni più facili e funzionali, porterà a un maggiore benessere generale.[64][65]

L’insegnante pùo guidare l’ascolto attraverso due modalità: lezioni individuali, dirette manualmente (integrazione funzionale, IF), o di gruppo, in cui le indicazioni per i movimenti sono date a voce (consapevolezza attraverso il movimento, CAM). Entrambe le modalità di insegnamento applicano gli stessi principi di esplorazione percettiva attraverso il movimento eseguito passivamente e/o attivamente.[64]

Questo metodo è basato sull’ascolto corporeo e mira ad una maggiore consapevolezza attraverso stati di rilassamento e di ascolto simili a quelli che si ritrova nella Mindfulness. Inoltre, Feldenkrais (1977) suggerisce il fatto che una migliore funzione neuromuscolare pùo avere un’influenza positiva non solo sul modo in cui ci si muove, ma anche su come si pensa e si sente. Con queste caratteristiche il MF rientra nell’insieme delle tecniche a mediazione corporea descritte nella presente revisione.

Il metodo viene adottato come modalità di trattamento in vari contesti in cui le persone possono avere disfunzioni motorie o posturali e/o disagi a livello corporeo.[65] Il cancro e le terapie antitumorali minano gravemente la qualità della vita quotidiana dei pazienti, limitandone le attività e le possibilità, oltre che alterandone la percezione dell’immagine corporea. Queste componenti, estremamente soggettive, concorrono insieme ai fattorifisici efisiologici alla sintomatologia di dolore e fatigue correlata al cancro. Nonostante il relativo aumento della popolarità del MF Feldenkrais, è stato pubblicato un limitato numero articoli con prove empiriche per l’efficacia del metodo. Diversi report hanno indicato che con il MF possono essere ottenuti cambiamentifisiologici, psicologici e cinestetici. Alcuni degli effetti riportati includono una maggiore lunghezza muscolare e maggioreflessibilità, una migliore postura e rilassamento muscolare. Si ipotizza che il MF possa ridurre lo sforzo percepito durante il movimento, indurre il rilassamento, elevare l’umore, migliorare la capacità di imparare, aumentare la chiarezza del pensiero e ridurre l’ansia. Vi sono alcune prove secondo cui lo sforzo ridotto, l’efficienza del movimento e la consapevolezza conseguenti alla pratica con il MF possono contribuire a ridurre il dolore o il disagio[64]. Gli studi empirici condotti per valutare l’efficacia del metodo sulle componenti e sulle funzionifisiche hanno dato risultati contrastanti, spesso anche a causa di problemi di metodologia (ad esempio per la mancanza di gruppi di controllo) evidenziando inoltre le difficoltà nell’investigare riguardo l’efficacia del MF quando le variabili dipendenti sono influenzate da molteplici fattori psicologici efisici. Sono stati condotti un minor numero di indagini sui possibili effetti psicologici e comportamentali del MF.[65][66]

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Obiettivi

Si intende progettare uno studio con cui indagare se il MF, in combinazione con la medicina convenzionale, rappresenti una proposta di trattamento fattibile ed accettabile per gli adolescenti con linfoma di Hodgkin in fase di terapia antitumorale/terapia di mantenimento, e che valuti gli eventuali benefici che tale trattamento apporta alla sintomatologia di dolore e fatigue.

Metodi

Progetto

A questo scopo si progetta un protocollo per uno studio pragmatico a due bracci, controllato, con gruppi di pazienti randomizzati: un gruppo intervento e un gruppo controllo.

Setting

Ospedale Infantile Regina Margherita, presso il reparto di Oncoematologia pediatrica e setting disponibile per lezioni di gruppo.

Partecipanti: eleggibilità, screening, reclutamento

I criteri di inclusione per il reclutamento sono: 1) ricovero presso reparto di Oncoematologia pediatrica per terapia antitumorale o terapia di mantenimento in corso;

2) età del paziente compresa tra 15-19 anni; 3) pazienti e caregiver che comunichino in italiano o in inglese; 4) pazienti e caregiver disponibili a partecipare. Figura 23

Bias e studi in cieco

Vista la natura dell’intervento e le considerazioni etiche riguardo il consenso ai trattamenti con MF, non è possibile condurre uno studio in cieco. Per minimizzare il rischio di bias si utilizzano alcune accortezze: una accurata documentazione sulle caratteristiche dei partecipanti per poter controllare le differenze tra i gruppi, incluso l’impiego, precedente allo studio, di altre terapie complementari e le credenze o le aspettative riguardo le terapie complementari; accurate misurazioni prima dell’inizio dell’intervento ripetute, con gli stessi parametri, allafine dell’intero ciclo di lezioni; rilevare la fatigue sia attraverso il self-report che attraverso il parent-report in modo da avere un numero maggiore di dati raccolti per quanto riguarda questo sintomo; un gruppo controllo con caratteristiche (demografiche e patologiche) alla baseline dello studio simili a quelle del gruppo intervento; randomizzazione dei gruppi; analisi intention-to-treat dei gruppi, basata sugli intenti di intervento e non sugli interventi effettivamente realizzati, in modo da considerare tutti i pazienti e da ridurre il rischio di bias dovuto alle differenze sistematiche tra individui che ricevono l’intervento e quelli che non lo ricevono.

Figura 23: Flow chart che mostra il processo di selezione dei pazienti nei due bracci dello studio

Figura 23:Flow chart che mostra il processo di selezione dei pazienti nei due bracci dello studio

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Gruppo intervento e gruppo controllo

Tutti i pazienti sono sottoposti alle convenzionali terapie farmacologiche.

Gruppo controllo

Il gruppo controllo riceverà le cure usuali e sarà seguito secondo le procedure standard. Durante lo studio non verrà impiegata nessuna altra terapia complementare con questo gruppo di pazienti. Verranno misurati dolore e fatigue due volte a settimana, con la stessa cadenza e con le medesime scale di misura validate con cui tali parametri vengono misurati nel gruppo intervento. Inoltre, come nel gruppo controllo, si misureranno dolore e fatigue in un tempoT 0, prima che abbia inizio il ciclo di lezioni MF sul gruppo intervento, e in un tempoT 1, in seguito allafine del ciclo di lezioni. Si osserveranno gli stessi criteri adottati nelle misurazioni nel gruppo intervento. Analogamente, si misureranno dolore e fatigue in follow-up, in un tempoT 1, a distanza di un mese dallafine del ciclo delle lezioni di MF effettuate con il gruppo intervento. Le scale somministrate al gruppo controllo sono le stesse somministrate al gruppo intervento nei vari tempi.

Gruppo intervento

Il gruppo intervento parteciperà ad un programma di trattamento con il MF. I pazienti possono essere reclutati se presentano sintomatologia di dolore e/o fatigue. I pazienti vengono valutati da un/a TNPEE con le competenze necessarie aifini di questo studio e con conoscenze del MF. Prima del reclutamento, per ogni paziente sarà necessario valutare in equipe (TNPEE insieme a medico e infermiere) le indicazioni terapeutiche e le eventuali controindicazioni per accertarsi che questi possa effettivamente partecipare.

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Progetto di intervento con il Metodo Feldenkrais

Il practitioner di MF deve essere stato accreditato dall’OIRM in base alle sue competenze ed esperienze.

L’intervento consiste nell’impartire lezioni di Metodo Feldenkrais, per almeno 10 sedute, con cadenza bi-settimanale: ogni settimana il paziente partecipa ad una lezione di gruppo, CAM, e ad una lezione individuale, IF. Le due lezioni sono distanziate da almeno un giorno l’una dall’altra. Oltre ad impartire le lezioni di MF, i practitioner daranno consigli e piccole accortezze da poter svolgere quotidianamente in autonomia (in setting ospedaliero o domicilio).

Le valutazioni sui pazienti verranno effettuate nel pre-trattamento e nel post-trattamento dai practitioner di MF o dal personale sanitario (TNPEE o infermieri).

Valutazione nel breve termine

In un tempot 0 prima di ogni lezione di MF (CAM o IF):

  • Somministrazione della scala PFS (Piper Fatigue Scale), esclusi gli item 1 e da 24 a 27, ai pazienti.
  • Somministrazione della scala VAS (Visual Analogue Scale) ai pazienti.
  • Misurare la pressione arteriosa e frequenza cardiaca e respiratoria.

Ripetere la somministrazione e le misurazioni in un tempot 1 in seguito ad ogni lezione di MF (CAM o IF).

I parametri misurati saranno:

  • d0 = dolore misurato al tempot 0
  • d1 = dolore misurato al tempot 1
  • f0= fatigue misurata al tempot 0
  • f1 = fatigue misurata al tempot 1

Con tali valori si andrà a calcolare le differenze:

  • Δd=d 0 d 1
  • Δf=f 0 −f 1

con le quali si vogliono analizzare e valutare gli effetti che una lezione di MF ha sul dolore e fatigue nel breve termine.

Con le misure di pressione arteriosa, frequenza cardiaca e respiratoria, calcolando le differenze tra i valori rilevati prima della lezione e quelli rilevati dopo, si vuole documentare gli effetti immediati dell’intervento sullo stato di rilassamento del paziente.

Valutazione nel medio termine

In un tempo preliminareT 0, prima dell’inizio dell’intervento e della prima lezione con Metodo Feldenkrais:

  • Misurazione della fatigue con somministrazione della scala FAS a pazienti e ai genitori/caregiver secondo la loro percezione della fatigue provata daifigli.
  • Misurazione del dolore dei pazienti con somministrazione della scala VAS Ripetere le misurazioni in un tempoT 1, al termine dell’intervento con il ciclo di 10 lezioni di MF.

I parametri misurati saranno:

D0 = dolore misurato al tempo T0
D1 = dolore misurato al tempo T1
Fs/ 0 = fatigue misurata al tempo T0 con self-report
Fs/ 1 = fatigue misurata al tempo T1 con self-report
Fp/ 0 = fatigue misurata al tempo T0 con parent-report
Fp/ 1 = fatigue misurata al tempo T1 con parent-report

Con tali valori si andrà a calcolare le differenze:

  • ΔD=D 0 −D 1
  • ΔF s =F s/0 −F s/1
  • ΔF p =F p/0 −F p/1

Analizzando queste differenze si vuole valutare, nel medio termine, l’effetto cumulativo delle lezioni di MF su dolore e fatigue. Per i valori della fatigue si considerano sia i dati ricavati dal self-report dei pazienti che quelli indicati dai genitori/caregivers riguardo alla loro percezione della fatigue del paziente. Un’eventuale discordanza traΔF s F p sarà un fattore da analizzare e pùo dare indicazioni per quanto riguarda l’influenza che il contesto ambientale e familiare pùo avere sulla percezione della fatigue.

Follow-up e valutazione nel lungo termine

A distanza di un mese dal termine dell’intervento con MF, in un tempoT 2:

  • Misurazione della fatigue con somministrazione della scala FAS a pazienti e ai genitori/caregiver secondo la loro percezione della fatigue provata daifigli.
  • Misurazione del dolore dei pazienti con somministrazione della scala VAS

I parametri misurati saranno:

  • D2 = dolore misurato al tempo T2
  • Fs/ 2 = fatigue misurata al tempo T2 con self-report
  • Fp/ 2 = fatigue misurata al tempo T2 con parent-report

Con tali valori si andrà a calcolare le differenze:

  • Δ1D = D2 − D0
  • Δs/ 1F = Fs/ 2 − Fs/ 0
  • Δp/ 1F = Fp/ 2 − Fp

per avere informazioni sull’effetto dell’intervento con MF nel lungo termine; le differenze:

  • Δ2D = D2 − D1
  • Δs/ 2F = Fs/ 2 − Fs/ 1
  • Δp/ 2F = Fp/ 2 − Fp

per avere informazioni sull’andamento dei parametri di dolore e fatigue in seguito allafine del ciclo di lezioni di MF. Le eventuali discordanze tra i valori ottenuti con self-report e parent-report andranno analizzate e tenute in considerazione in quanto possono dare indicazioni riguardo l’influenza che il contesto ambientale e familiare ha sulla percezione della fatigue.

Risultati attesi

In primo luogo si vuole verificare la fattibilità di un intervento complementare alle terapie convenzionali con l’impiego del Metodo Feldenkrais. La fattibilità sarà analizzata confrontando tutti i pazienti idonei con quelli reclutati e quelli con le misurazioni complete raccolte (analizzati). In secondo luogo si intende verificare l’influenza del trattamento con Metodo Feldenkrais sul senso di fatigue e sulla sintomatologia dolorosa e su come questo incida sul funzionamento emozionale, sociale, scolastico, sulla salutafisica e psicosociale, e quindi sulla qualità di vita nei vari contesti di vita di adolescenti con linfoma di Hodgkin. Andando a raccogliere informazioni riguardo pressione arteriosa e frequenza cardiaca e respiratoria, si vuole documentare come l’intervento con MF agisca nell’immediato sul rilassamento dei pazienti. Paragonando i valori di dolore e fatigue misurati nel gruppo intervento nel medio termine (T1) e nel lungo termine (T2) con quelli misurati negli stessi momenti nel gruppo controllo, si pùo avere idea di come e se l’effetto cumulativo delle lezioni di MF e/o l’effetto a lungo termine dell’intervento con MF influenzino la sintomatologia di dolore e fatigue.

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