Il rischio clinico e l'errore
Il “rischio” (R) è la condizione o l'evento potenziale che modifica l'esito atteso di un processo; è misurato come prodotto fra la probabilità che accada uno specifico evento (P) e l'entità del danno connesso (D); nel calcolo del rischio, si considera anche la capacità di prevedere l’evento e contenerne le conseguenze (K), legata alla formazione, alla informazione ed alla organizzazione:
Sulla gestione del rischio clinico esistono iniziative regionali da valorizzare e generalizzare che assumono come obiettivo quello di coniugare il tradizionale punto di vista “assicurativo” tipico della responsabilità dei professionisti a quello più generale della “sicurezza del paziente" che attiene ai livelli di qualità del sistema dei servizi e che ha pertanto un impatto diretto sulle capacità di offerta dei livelli di assistenza. Negli ospedali italiani si cominciano a sperimentare e a diffondere Unità per la gestione del rischio.
Il rischio clinico è la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate, che causa un peggioramento delle condizioni di salute o la morte.
Una gestione efficace del rischio clinico presuppone che tutto il personale sia consapevole del problema, che sia incoraggiata la segnalazione degli eventi e che si presti attenzione ai reclami e al punto di vista dei pazienti. Le strategie di gestione del rischio clinico devono utilizzare un approccio pro-attivo, multi-disciplinare, di sistema, e devono prevedere attività di formazione e monitoraggio degli eventi avversi.
La formazione, che deve prevedere un livello nazionale, regionale ed aziendale, deve consentire a tutti gli operatori di acquisire la consapevolezza del problema del rischio clinico, per favorire la cultura della sicurezza che considera l’errore come fonte di apprendimento e come fenomeno organizzativo, evitando la colpevolizzazione del singolo.
Le attività di monitoraggio, devono essere condotte secondo un criterio graduato di gravità di eventi, prevedendo che i tre livelli, nazionale, regionale ed aziendale, possano promuovere le rispettive azioni, secondo un disegno coerente e praticabile.
Deve essere attivato un monitoraggio degli eventi sentinella, cioè quegli eventi avversi di particolare gravità, indicativi di un serio malfunzionamento del sistema, che causano morte o gravi danni al paziente e che determinano una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del Servizio Sanitario. L’efficace gestione del rischio clinico porterà oltre ad importanti risultati di carattere sanitario anche rilevanti risvolti economici.
R= P x D
K
Il “rischio clinico” è la probabilità (P) che un paziente sia vittima di un evento avverso (Evento inatteso correlato al processo assistenziale e che comporta un danno al paziente, non intenzionale e indesiderabile. Gli eventi avversi possono essere prevenibili o non prevenibili. Un evento avverso attribuibile ad errore e un evento avverso prevenibile) e patisca, a causa dell’intervento sanitario, un danno (D), consistente in una nuova malattia o in un peggioramento della malattia preesistente (un più lungo decorso della stessa o una maggior gravità dei postumi) o nella morte. Il rischio è la probabilità che si verifichi un evento avverso, pertanto, la gestione del rischio clinico si fonda sostanzialmente sull'analisi degli eventi avversi. In questa logica si spiega da dove trae il suo fondamento la cultura dell’apprendere dall'errore, spostando quindi l'interesse non più finalizzato alla ricerca del colpevole.
In questa logica di interpretazione l'errore è secondo il glossario di riferimento nazionale il “fallimento nella pianificazione e/o nell'esecuzione di una sequenza di azioni che determina il mancato raggiungimento, non attribuibile al caso, dell'obiettivo desiderato”.
L'errore può essere a sua volta classificato in modi diversi:
ERRORI SENZA COLPA
- presentazione non-usuale o mascherata della malattia
- errori correlati al paziente (non cooperativo, ingannatore)
ERRORI LEGATI AL SISTEMA
- difetti tecnici e problemi di apparecchiature
- difetti organizzativi
ERRORI COGNITIVI
- conoscenze difettose
- raccolta difettosa di dati
- sintesi difettosa (da: M.L. Graber, Arch Intern Med 2005)
Errori cognitivi:
- E. prelogici:
- procedurali
- intellettivi
- cognitivistici
- E. logici:
- generazione delle ipotesi
- processazione delle ipotesi
- formulazione delle ipotesi
E. extralogici:
psicologico-affettivi
difensivi
conflitti nelle decisioni di gruppo
conflitti d’interesse
Errori operativi:
- E. accidentali (sviste, distrazioni, ecc.)
- E. sistematici (procedure codificate, ecc.)
da: G. Delvecchio 'Decisione ed errore in medicina’ 2005
Nell'ambito dell'approccio sistemico diviene rilevante la distinzione tra diverse tipologie di errori:
- Attivi: i fallimenti associati direttamente alle prestazioni degli operatori di prima linea, i cui effetti sono immediatamente percepibili e, dunque, facilmente individuabili;
- Latenti: associati ad attività distanti dal luogo dell'incidente, sia in termini di tempo sia di luogo, quali le attività manageriali, normative e organizzative.
Da questo approccio sistemico, nasce l'idea che il verificarsi di un incidente sia frutto di una concatenazione di eventi che hanno superato tutte le difese che sono state messe in atto. Poiché gli errori attivi non potranno mai essere eliminati in modo definitivo, aumentare l’affidabilità e la sicurezza di un sistema significa influire sulle criticità latenti, sulle quali gli errori attivi si innescano.
L'errore può quindi causare un evento avverso, cioè un evento indesiderabile non intenzionale, dannoso per il paziente. L'attività di risk management o di gestione del rischio clinico si sviluppa in più fasi:
- conoscenza ed identificazione dell'errore,
- analisi degli errori,
- correzione delle cause,
- monitoraggio delle misure messe in atto per la prevenzione dell'errore, implementazione e sostegno attivo delle soluzioni proposte.
Il sistema di analisi è finalizzato alla riduzione dell’incidenza degli eventi avversi, mediante l’identificazioni di eventuali fattori umani, organizzativi, tecnologici come fonte di errore, cercando sistemi di applicazione che riducano al massimo l'incidenza del comportamento umano, ma che hanno dimostrato avere la loro prevalente azione migliorativa agendo direttamente sui settori tecnologici, organizzativi, procedurali, culturali piuttosto che quelli umani.
La sua applicazione in ambito sanitario richiede un fondamentale cambio di paradigma e una variazione culturale:
- considerare l'errore come fonte di apprendimento per evitare il ripetersi delle circostanze che hanno portato a sbagliare.
La metodologia di analisi della gestione del rischio clinico è raggiungibile solo in un contesto culturale e organizzativo in cui tutti i professionisti sanitari medici e non, abbiano raggiunto un livello di maturità adeguato in cui la sicurezza, la prevenzione degli eventi avversi, l’organizzazione siano fondamenti delle loro attività. Solo in questa ottica potranno essere superati i timori e le paure personali vincolate alla responsabilità giuridica, consentendo agli stessi di non celare eventuali condotte errate proprie o altrui ma di favorire l’analisi e il confronto in una direzione comune di miglioramento per evitare il ripetersi dell'evento.
Le fasi della gestione del rischio clinico: metodi e strumenti per l’identificazione e l'analisi di rischio
Le fasi della gestione del rischio prevedono:
- l’identificazione dei rischi;
- l'analisi dei rischi,
- trattamento e monitoraggio dei rischi.
Le varie fasi sono interconnesse e raggiungibili mediante l'applicazione di strumenti di seguito schematicamente rappresentati.
Strumenti di identificazione del rischio
I metodi e gli strumenti sono stati sviluppati nel corso degli ultimi dieci anni e si sono sviluppati soprattutto nei paesi anglosassoni e introdotti in molte realtà italiane. I principali strumenti per l'identificazione del rischio sono:
- lncident reporting
- Revisione della cartella clinica e delle schede di dimissione
- segnalazione degli eventi sentinella
- esame del contenzioso
- Patient safety walkround
lncident reporting
L'incident reporting è un sistema di segnalazione spontanea, è una modalità strutturata per la raccolta di informazioni relative al verificarsi di eventi indesiderati, la segnalazione riguarda: gli eventi avversi (attività che hanno determinato un danno) i “no harm events”, vale a dire attività potenzialmente lesiva ma che non ha causato il danno e i “near misses” o quasi evento costituito da attività lesiva, interrotta prima della concretizzazione del danno.
L’incident reporting non è di facile utilizzo, poiché, pur garantendo l’anonimato, incontra resistenze da parte dei professionisti sanitari chiamati a redigerlo, per il timore che la segnalazione non sia svincolata da connessi procedimenti disciplinari o segnalazioni all'autorità giudiziaria. In tal senso è opportuno precisare che il responsabile del clinical risk management, da ritenere o pubblico ufficiale o incaricato del pubblico servizio, ha l'obbligo della segnalazione all’autorità giudiziaria, con riferimento alla ricezione incident reporting, solo in caso di reati perseguibili di ufficio (secondo i disposti degli artt. 361 e 362 c.p. e dell'art. 331 c.p.p.): egli non deve pertanto segnalare all'autorità predetta le condotte che non hanno condotto ad un danno per la persona, né gli eventi avversi riconducibili ad errore professionale, che abbiano determinato una malattia, che in questo caso configurerebbe il reato di lesioni personali colpose, che sono perseguibili a querela di parte.
L’incident reporting, oltre che per l’identificazione del rischio, è uno strumento utile anche nelle fasi di monitoraggio del processo esaminato.
Revisioni delle cartelle cliniche e delle schede di dimissione
La revisione delle documentazione clinica è una analisi retrospettiva per l'identificazione degli eventi e permette di identificare eventuali incongruità, scostamenti dalle linee guida o dai protocolli. E' uno strumento che viene applicato a campione che richiede per la sua realizzazione una preliminare definizione dei criteri di campionamento e degli indicatori da rilevare. E' caratterizzato da un approccio multidisciplinare e nella sua applicazione determina un aumento della consapevolezza degli operatori sui rischi con condivisione dei requisiti formali e sostanziali della cartella clinica con conseguente cambiamento dei comportamenti. Tuttavia è limitato dalla numerosità del personale che occorre e dal tempo necessario per l'indagine oltre che dalla formazione degli operatori e dalla correttezza e completezza delle registrazioni presenti nella documentazione.
Il processo di revisione della cartella può essere usato per monitorare i progressi della prevenzione degli eventi avversi, quando ad esempio si introducono processi o procedure nuove e, attraverso la revisione si valuta il livello di adozione delle stesse.
Segnalazione degli eventi sentinella
Gli eventi sentinella sono eventi avversi di particolare gravità, inattesi, potenzialmente rivelatori, per quanto relativamente poco frequenti, di gravi criticità del sistema. Nel 2005, l’allora Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, aveva già attivato il monitoraggio degli eventi sentinella con l'obiettivo di realizzare, con le Regioni e le Province Autonome e con le Aziende sanitarie, una modalità condivisa di sorveglianza e gestione degli eventi sentinella. In seguito all’intesa della Conferenza permanente rapporti Stato Regioni del 20 marzo 2008, concernente la gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti e delle cure, è stato attivato, presso il Ministero della Salute, l’Osservatorio nazionale sugli eventi sentinella attraverso il Sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità (SIMES). Secondo il Protocollo per il monitoraggio degli eventi sentinella, elaborato dal Ministero della Salute, nel contesto dell' Osservatorio nazionale sugli eventi sentinella è stata individuata la seguente lista di eventi sentinella:
- procedura in paziente sbagliato;
- procedura in parte del corpo sbagliata (lato, organo o parte);
- errata procedura su paziente corretto;
- strumento o altro materiale lasciato all'interno del sito chirurgico che richieda un successivo intervento o ulteriori procedure;
- reazione trasfusionale conseguente ad incompatibilità ABo;
- morte, coma o gravi alterazioni funzionali derivati da errori in terapia farmacologica;
- morte materna o malattia grave correlata al travaglio e/o parto;
- morte o disabilità permanente in neonato sano di peso >250O g non correlata a malattia congenita;
- morte o grave danno per Caduta di paziente;
- suicidio o tentato suicidio di paziente in ospedale;
- violenza su paziente;
- atti di violenza a danno di operatore;
- morte o grave danno conseguente ad un malfunzionamento del sistema di trasporto (intraospedaliero, extraospedaliero);
- morte o grave danno conseguente a non corretta attribuzione del codice triage nella centrale operativa 1 18 e/o all’interno del pronto soccorso;
- morte o grave danno imprevisti a seguito dell'intervento chirurgico;
- ogni altro evento avverso che causa morte o grave danno.
Esame del contenzioso
Nelle strutture sanitarie è presente in larga percentuale una unità che gestisce il contenzioso, vale a dire l'insieme dei casi per i quali è s stata avanzata una richiesta di risarcimento per responsabilità professionale in via giudiziale o extragiudiziale o un’azione penale. E' uno strumento che consente di identificare eventuali aree di rischio a livello aziendale utili in un contesto di mappatura delle azioni correttive da applicare.
Patient Safety Walkround
Il Safety Walkround è uno strumento caratterizzato dalla effettuazione di “giri” da parte di personale formato e con specifico mandato istituzionale effettua nelle diverse unità operative sanitarie al fine di raccogliere mediante una intervista strutturata informazioni utili a identificare situazioni di rischio o eventi occorsi o quasi eventi ma anche eventuali misure di correzione possibili o eventuali azioni di contenimento già applicate.
Il personale viene quindi invitato a raccontare eventi, fattori concomitanti, fattori causali o concomitanti, problemi potenziali e possibili soluzioni. Questo strumento consente di ottenere la raccolta di informazioni utili a prevenire le circostanze che possono indurre un evento avverso, e contestualmente le soluzioni al problema con immediata modifica e miglioramento ed è contestualizzato alla sede esaminata. Il sistema proposto stimola il personale ad osservare comportamenti e pratiche con occhio critico e riconoscere i rischi da un nuovo punto di vista. L'applicazione del metodo è limitata dal timore dei professionisti intervistati di essere puniti o colpevolizzati per aver effettuato la segnalazione, nonché dalla mancanza di fiducia nella applicazione di azioni correttive. E' indispensabile che sia condivisa l’applicazione di tale metodo con chi ha il potere di decidere/garantire gli interventi correttivi individuati.
Strumenti di analisi del rischio
L'analisi del rischio clinico viene effettuata mediante plurimi strumenti di anali ed è finalizzata alla identificazione delle insufficienze di sistema alla individuazione delle cause profonde che hanno determinato il verificarsi dell'evento e hanno l'obiettivo di individuare altresì possibili azioni correttive o barriere che impediscano il ripetersi dell’evento o ne abbattano la gravità del danno conseguente.
La metodologia della gestione del rischio clinico prevede due tipologie di analisi: un'analisi di natura reattiva e un'analisi di natura proattiva con relativi strumenti informativi.
- Analisi reattiva: l’analisi parte da un evento avverso e ricostruisce a ritroso la sequenza di avvenimenti con lo scopo di identificare i fattori che hanno contribuito al verificarsi dell’evento (reporting system).
- Analisi proattiva: l'analisi parte dalla revisione dei processi e delle procedure esistenti, identificando nelle diverse fasi, i punti di criticità. Può essere utilizzata anche nella ideazione e progettazione di nuove procedure, di processi e di tecnologie per realizzare barriere protettive che impediscano l'errore umano/ attivo.
Le analisi descritte possono essere utilizzate entrambi in una struttura sanitaria in cui si ha l'intenzione di introdurre processi per la gestione del rischio.
Il trattamento e il monitoraggio dei rischi
Dopo le fasi di individuazione e di analisi dei rischi, occorre procedere, con l'utilizzo di griglie quantificative, alla loro mappatura, sulla base della probabilità di accadimento dell'evento e della prevedibile gravità del danno, identificando le aree di priorità di azione. Utilizzando le logiche del problem solving, si procede a definire le operazioni da attuare le strategie definite. Nella fase di monitoraggio si valuta il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati mediante l’utilizzo di strumenti adeguati, secondo quanto di volta in volta ritenuto più efficace. Gli strumenti più spesso utilizzati per il monitoraggio, sono: l’incident reporting, la revisione della documentazione clinica, la FMEA/FMECA.
Il ruolo del personale sanitario non medico nella prevenzione del rischio
Il processo di Aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale richiede esplicitamente determinate capacità manageriali nella gestione dei servizi sanitari, che si manifesta esplicitamente nelle politiche orientate al miglioramento della qualità. In particolare questo aspetto si evidenzia nel processori assistenza infermieristica che rappresenta una parte fondamentale del processo di cura.
Quale ruolo deve avere l’infermiere e altre figure non mediche preposte all’assistenza in un contesto sanitario in cui il miglioramento continuo della qualità dei servizi è uno degli obiettivi del sistema aziendale?
L'applicazione di politiche di governo clinico finalizzate al miglioramento continuo della qualità delle prestazioni ricade nell'ottica della gestione del rischio clinico con cui garantire prestazioni sanitarie di alta qualità e in sicurezza. La gestione del rischio clinico diviene così un fondamento culturale di tutti i professionisti sanitari che mettono in atto strategie di prevenzione e rimozione dell’errore. In questo senso tutti gli operatori sanitari sono coinvolti nel processo e ne sono responsabilizzati. In questo ambito alcune figure professionali di coordinamento che hanno nelle loro competenze capacità manageriali e di leadership assumono un ruolo centrale nella gestione del rischio clinico con specifiche responsabilità.
Il ruolo del coordinatore in un programma di miglioramento della qualità
Il coordinatore, ha una posizione unica, di snodo, all`interno di un sistema aziendale, realizzando il passaggio dall'area tecnico-operativa all'area gestionale abbinando e confrontando le preoccupazioni di utenti e personale sanitario con quelle dell’organizzazione.
Al coordinatore vengono riconosciute competenze manageriali, riconducibili allo stile di leadership adottato nei confronti dei collaboratori e competenze gestionali individuate nella direzione, nella supervisione e nel coordinamento. Con direzione si intende la individuazione dei percorsi da seguire per il raggiungimento degli obiettivi, da indicare ai collaboratori e al tempo stesso verificare che gli stessi agiscano seguendo le direttive ricevute.
Nell'attività di supervisione rientra il controllo del lavoro del gruppo per individuare eventuali misure di correzione dei comportamenti da apportare, magari sviluppando la competenza dei collaboratori.
Per quanto riguarda il coordinamento è l’attività che consente ai membri del gruppo di lavorare insieme in maniera armoniosa e di ridurre i conflitti.
Le funzioni-attività del coordinatore prevedono:
- pianificazione,
- gestione;
- organizzazione;
- direzione;
- sviluppo delle risorse umane e del servizio;
- valutazione e controllo.
Tra le attività sopra elencate prevalgono quelle manageriali e formative, ma non è privo di significato un rilevante interesse per il rapporto con l'utente, ciascuna delle funzioni descritte può essere espressione di attività specifica nell'ambito della gestione del rischio clinico.
Nel contesto di un programma di sicurezza, di miglioramento della qualità, le capacità manageriali del coordinatore saranno orientate all’adozione di un particolare stile di leadership, l’empowerment. Il termine empowerment, letteralmente “rendere potenti”, può essere tradotto con “favorire l'acquisizione del potere" o “rendere abili e capaci di”. Nel campo della scienza organizzativa empowerment significa una diffusa responsabilizzazione dei professionisti nella scelta delle modalità con le quali impostare il proprio lavoro.
Le azioni di “governance’ del coordinatore e le sue responsabilità
Il coordinatore è la persona preposta all’organizzazione dell'attività di collaboratori come infermieri, operatori di supporto all’assistenza, fisioterapisti perché conosce le loro attività, al fine del raggiungimento degli obiettivi aziendali, favorendo l’interazione la creazione di un gruppo di lavoro, assicurando informazione e partecipazione piuttosto che adottando un comportamento autoritario, incoraggiando al dialogo e al confronto in occasioni di incontro (riunioni, gruppi di lavoro, redazione di linee guida, procedure e protocolli).
La gestione degli eventi critici e l'adozione di strategie di correzione
Il coordinatore deve essere in grado di gestire gli eventi critici riconducibili a errori attivi ma soprattutto gli errori latenti che interessano l’organizzazione e che possono essere espressione di:
- eccessivo carico di lavoro;
- mancanza di supervisione;
- errato inserimento del personale neoassunto,
- organizzazione per compiti;
- mancanza di leadership;
- incongrua distribuzione di tempo per le prestazioni;
- inadeguatezza degli strumenti e delle apparecchiature;
- formazione carente;
- mancanza di comunicazione.
identificato l'errore ed effettuata l'analisi possibilmente in collaborazione con il gruppo di lavoro, adotta strategie di correzione per ridurre la probabilità che l’errore si ripeta o sia determinante di un danno di entità minore. Le misure di correzione possono prevedere pertanto la messa in atto di sistemi di supervisione o di standardizzazione di attività in modo tale di ridurre le variabilità comportamentali legate alla pratica professionale con l’obiettivo di uniformare i comportamenti assistenziali utilizzando strumenti operativi che ne dimostrino l'efficacia dell'utilizzo, quali le Linee guida o i protocolli.
L’implementazione delle linee guida
Altro ruolo di responsabilità del coordinatore è nella implementazione delle linee guida, sia in termini di responsabilità organizzative che di gestione delle risorse umane. Il coordinatore ha una sua autonomia in questa attività, riconoscendo le linee guida come il ponte ideale tra l'esercizio di una professione (la pratica) e lo stato di conoscenze acquisite da una scienza, rappresentano gli strumenti dell’efficacia clinica, prodotti dalla ricerca scientifica e costituiscono l'orientamento su cui si basa l'attività infermieristica basata sulle evidenze (EBN). Le Linee guida possono ridurre la variabilità laddove a fronte dei benefici possibili per il beneficiario delle cure si perpetuano comportamenti segnalatori di rischio o inefficaci. Non è pertanto sufficiente la distribuzione della linea guida, bensì, è necessario che queste entrino a far parte della pratica clinica e siano radicate in un sistema di cambiamento complessivo volto al miglioramento dell'assistenza.
Ha responsabilità organizzative e responsabilità di gestione delle risorse umane quindi con compito di guidare le riunioni affinché si svolgano con metodo e producano risultati concreti e che prevedano anche la pianificazione nella fase di diffusione/applicazione di linee guida o protocolli, all'interno di una riunione formativa un piano di implementazione di una linea guida, utilizzando, strategie che possono facilitare l’apprendimento dei collaboratori.
La fase del processo di miglioramento della qualità dell’assistenza mediante l'implementazione di una linea guida a livello locale può avere dei vantaggi:
- Spinta al cambiamento dei comportamenti;
- Miglioramento della performance;
- Miglioramento nel lavoro di gruppo;
- Miglioramento nella soddisfazione ;
- Miglioramento delle cure del paziente.
Nonostante ciò vi possono essere delle barriere che ostacolano la realizzazione del cambiamento:
- la mancanza di chiarezza sugli obiettivi,
- la mancanza di risorse;
- la mancanza di supporto facilitante;
- un clima relazionale negativo;
- la discontinuità degli assetti organizzativi aziendali.
La gestione dell'attività formativa
Il coordinatore dispone di autonomia nella gestione delle attività formative. Una costante formazione mirata rappresenta la condizione indispensabile affinché individui e gruppi acquisiscano e perfezionino le capacità di organizzarsi, gestirsi e assumersi la responsabilità della qualità del lavoro svolto. La formazione procede per tutto l'arco della vita professionale comprendendo attività finalizzate a migliorare le abilità cliniche, tecniche e manageriali e i comportamenti degli operatori sanitari, adeguandoli al progresso scientifico e tecnologico per il raggiungimento di una migliore efficacia e appropriatezza e qualità delle cure. Diviene altresì fondamentale laformazione continua, consistente in attività specifiche per la professione sanitaria, acquisite mediante la partecipazione a corsi, congressi ecc.
Possono essere utilizzate strategie che prevedono interventi formativi locali efficaci (formazione on de job) e quelli probabilmente efficaci.
Gli interventi formativi efficaci possono essere realizzati con :
- Visite educative;
- Incontri formativi interattivi;
- Interventi multipli (audit e feedbak, processi di consenso locale)
Gli interventi formativi probabilmente efficaci possono essere realizzati con :
- Audit e feedbak;
- Uso di opinion leader locali;
- Processi di consenso locali.
È inevitabile che una attività formativa sarà efficace se l'infermiere coordinatore utilizzerà in modo efficiente le risorse a disposizione.
È necessario per il personale sanitario progettare gli interventi sulla base della formazione permanente perché con questo metodo l'apprendimento è più efficace se si parte da problemi concreti e se viene riconosciuta l'utilità del percorso formativo rispetto al proprio contesto.
Resta valido quanto affermato dall’epidemiologo A. Cochrane che scrisse nel 1978: “si dovrebbe considerare inefficace ogni nuovo trattamento, fino a che non si possa provare il contrario”, è pertanto doveroso, nelle fasi di progettazione, prevedere l'adozione di sistemi di monitoraggio o di verifica dell'apprendimento o di rilevazione del cambiamento in conseguenza sia dell'attività formativa effettuata.
Gestione e sviluppo delle competenze degli operatori
Si ritiene che all'interno delle capacità della gestione delle risorse umane rientri nelle competenze del coordinatore la valutazione, l'identificazione e lo sviluppo delle competenze del personale afferente al suo gruppo di lavoro. All'interno delle organizzazioni è sempre più centrale l`uso delle risorse umane ed è necessario precisarne la valenza operativa e individuarne i tratti che possano caratterizzare soluzioni tecniche e gestionali congruenti.
Le competenze non sono un dato di natura, ma l'esito di un processo di apprendimento continuamente mutevole. Le competenze devono essere scoperte, stimolate, indirizzate, conservate e difese dall'obsolescenza. Un'altra componente fondamentale sia in senso tecnico-giuridico, ma anche nel senso psicologico-organizzativo, è la relazione. Le imprese devono imparare a gestire una pluralità di relazioni con le risorse umane e quindi con le competenze. Oltre al tipo di relazione è fondamentale anche la qualità della relazione. La misura delle competenze non può prescindere da quest’ultima, infatti una elevata qualità della relazione, tramite lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse, può sopperire ad un meno elevato livello di competenze individuali, conferendo cosi all'insieme dell'impresa o sistema o gruppo, una notevole competenza. Per contro un'elevata competenza individuale associata ad una relazione debole, dà luogo ad una scadente competenza aziendale. La gestione delle relazioni (es. empowerment, commitment, ecc.), è il campo nuovo e tutto da esplorare nella gestione delle risorse umane.
La valorizzazione della prestazione, sia nella sua espressione monetaria che psicologica, è un altro elemento importante nella gestione e organizzazione delle imprese.
Per competenza individuale si intende la capacità di azione che gli individui utilizzano per far fronte alle diverse situazioni che caratterizzano le loro attività lavorative. Il ruolo dell'uomo nell’organizzazione e cambiato: agli individui non è più richiesto un contributo fisico, da “prestatori d'opera", ma una capacità culturale, intellettuale e professionale qualificata, da “prestatori dell’intelligenza”, tale da favorire un comportamento innovativo e maggiormente flessibile delle imprese di appartenenza. In questo contesto le competenze degli individui all’interno delle organizzazioni diventano sempre più uno dei principali fattori competitivi, influenzando in modo diretto e determinante le prestazioni aziendali. Il legame tra competenze individuali e prestazioni è particolarmente critico per le imprese ad alta intensità di conoscenza, che utilizzano conoscenze altamente specializzate quali input dei propri processi di produzione o erogazione, quali appunto quelle sanitarie.
Per questo tipo di imprese le prestazioni ed il vantaggio competitivo sono legati strettamente al livello di conoscenza e di competenza delle persone che ne presidiano le attività.
Il miglioramento delle prestazioni aziendali è legato alle capacità del management di sviluppare metodi di gestione del personale in grado di rispecchiare le peculiarità delle risorse umane utilizzate.
Un problema aperto, sia sul piano teorico che su quello operativo è quello del legame tra competenze distintive, cioè le competenze a livello organizzativo e competenze individuali.
Studiando il complesso rapporto tra azione organizzativa ed azione individuale, si è evidenziato che queste due azioni sono costruite insieme.
Le competenze individuali cioè, non hanno senso come qualità intrinseche degli individui, ma sono proprietà della relazione che si stabilisce tra organizzazione ed individuo, sono le capacità d'azione che gli individui attivano per far fronte alle diverse situazioni. Al contempo le competenze distintive di un'organizzazione, intese come capacità di impiegare congiuntamente risorse e processi organizzativi per ottenere elevate prestazioni aziendali, sono strettamente legate alle competenze dei singoli individui presenti nell’organizzazione.
Studi pubblicati hanno descritto le capacità d'azione individuali raggruppandole nelle seguenti quattro classi:
- capacità professionali: che comprendono l'insieme di capacità e conoscenze su cui l`individuo esercita un pieno controllo, come ad esempio le capacità tecniche, e che gli permettono di raggiungere gli obiettivi dell'azienda;
- capacità relazionali: che comprendono l'insieme di capacità sulle quali l’individuo fa leva per attivare capacità e risorse possedute da altri;
- capacità organizzative: che comprendono l'insieme di capacità che l’individuo attiva e che gli consentono di utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione dall’organizzazione, al fine di ottimizzare la relazione fra queste e i risultati;
- capacità personali: che comprendono l'insieme di capacità che consentono all'individuo di avere un comportamento adeguato in presenza di situazioni difficili e complesse.
Secondo l’approccio tradizionale, che ha fortemente condizionato l’impostazione, lo sviluppo e l’applicazione di sistemi e procedure per la valutazione del personale, le competenze individuali equivalgono alle capacità richieste all’individuo dalla posizione che egli ricopre all'interno dell`organizzazione.
Tale approccio presenta evidenti limiti quando il contesto ambientale dell'organizzazione è soggetto a rapidi e imprevisti mutamenti. In tali condizioni infatti diventano mutevoli ed imprevedibili le situazioni che i singoli individui si trovano a dover affrontare, e vengono a cadere i presupposti di predefinibilità e prescrittività delle azioni individuali.
I limiti dell’approccio basato sul legame biunivoco posizione/competenza diventano particolarmente evidenti nel caso delle attività ad alta intensità di conoscenza.
Un superamento di tali limiti si ha con l'approccio situazionale che prende maggiormente in considerazione, rispetto all'approccio basato sulle posizioni, l’imprevedibilità e la variabilità che caratterizzano le condizioni entro cui si svolge l'attività di un individuo. Secondo l'approccio situazionale quindi, le competenze individuali sono definite come le capacità di un individuo di attivare risorse proprie e dell'organizzazione per fronteggiare con successo le diverse situazioni in cui egli e coinvolto. In questo senso si può dedurre che per rendere operativo e misurabile all'interno delle organizzazioni tale concetto, occorre soffermarsi sugli aspetti metodologici per la rilevazione delle competenze individuali, e tale processo di descrizione delle competenze è quindi intrinsecamente legato al processo di valutazione delle competenze.
Un sistema di management delle competenze dovrebbe prevedere la gestione e lo sviluppo delle competenze disponibili in sintonia con le scelte aziendali seguendo fasi strategiche quali: la definizione delle competenze necessarie tecnico-professionali (es. problem solving),organizzative (pianificazione delle attività, gestione degli imprevisti) e relazionali; la definizione delle competenze già esistenti mediante la rilevazione con sistemi di indicatori predisposti; il confronto tra le due fasi precedenti, vale a dire il teorico e l'esistente; la definizione di scelte strategiche aziendali di investimento (formazione con corsi); adozione di un sistema premiante con il riconoscimento delle competenze acquisite e infine la diffusione delle competenze e la fissazione delle stesse mediante stesura di protocolli, procedure.
Esiste un forte interesse da parte del management aziendale verso la ricerca di approcci metodologici che, attraverso la ricognizione e visualizzazione delle competenze, consentano di riprogettare gli strumenti di gestione del personale per renderli più adeguati agli orientamenti strategici ed alle peculiarità delle risorse umane.
Purtroppo il concetto di competenza è ancora qualcosa di non operativo per la carenza di metodologie per identificare, rappresentare, misurare le competenze e, di conseguenza, costruire intorno ad esse nuove modalità di gestione. Tra i motivi che rendono particolarmente difficile tale cambiamento, c'è sicuramente il fatto che l'approccio basato sulle posizioni di lavoro e stato sperimentato nel corso di anni e anni di applicazioni, ed ha dato luogo ad una serie di modalità di gestione organizzativa (analisi delle mansioni, analisi delle posizioni, sistemi di valutazione delle prestazioni, ecc.) che, pur se messi in crisi, sono di facile utilizzo nelle aziende.
Diversamente, per il concetto di competenze, è minore l’esperienza di valutazioni e reclutamenti in base alle competenze individuali. Forse poiché se ne teme la validità, l'imparzialità nelle decisioni o l'efficacia dei costi.
Gli attuali sistemi di valutazione delle prestazioni certamente si basano sull’oggettività, sul visibile, sul concreto, ma l'installazione di un sistema di selezione basato sulle competenze potrebbe essere il primo passo per un controllo di qualità e un miglioramento della stessa che potrebbe portare all'eccellenza.
La gestione del rischio clinico è un sistema di de-responsabilizzazione?
Vi è la possibilità che la nuova prospettiva, legata alla gestione del rischio clinico, che sottolinea il rilievo causale delle carenze organizzative - magari diffuse, magari di scarso rilievo, se considerate isolatamente, ma tali da indurre eventi dannosi quando i loro effetti negativi si concretizzano nello stesso caso, simultaneamente o in successione - conduca alla deresponsabilizzazione del singolo professionista, il quale può tendere ad attribuire ogni responsabilità, genericamente, alla cattiva organizzazione. Si ritiene tuttavia che questa analisi sia solo espressione di un approccio superficiale e che in realtà non tenga conto di tutte i nuovi e integrativi aspetti di responsabilità emersi e descritti nei paragrafi precedenti che sembrano condurre ad una nuova forma di responsabilità, vale a dire quella di partecipare attivamente al processo di gestione del rischio clinico, inteso come processo di crescita personale, di condivisione di principi ed obiettivi e di adesione ed attuazione dei mezzi con cui si realizza. Alcune figure professionali come quella del coordinatore, (infermieristico, ostetrico, fisioterapista), nel loro ruolo e competenza, per garantire la qualità dell'assistenza e del servizio erogato, in una strategia dichiarata di miglioramento della qualità dell'assistenza erogata, delineano nuovi ruoli professionali gravati da crescenti e specifiche responsabilità.
È fondamentale la caratteristica culturale del team clinico e del contesto organizzativo; cultura della sicurezza, cultura dell'errore, cultura della documentazione clinica e cultura interdisciplinare sono gli ingredienti per realizzare, nei diversi contesti, percorsi strutturali ed efficaci di gestione del rischio clinico.
Ogni livello formativo di base, postbase, permanente ha il dovere di curare maggiormente rispetto al passato la cultura della sicurezza, permettendo la creazione di una forma mentis diffusa, idonea alla gestione del rischio clinico.
“Errare è umano” ma sempre più si è visto che sono disponibili strumenti per ridurre il rischio di errore, la responsabilizzazione residua per ciascun operatore sanitario ricade nel dovere di attivarsi ad applicare sistemi e percorsi già strutturati di gestione del rischio o di identificare eventuali strategie di correzione a partire da ogni singolo operatore.
Alcune figure di coordinamento avranno inoltre l’onere di agire da formatore e facilitatore non solo nella parte tecnica ma anche relazionale, per favorire e facilitare la comunicazione tra le varie figure per ridurre eventuali rischi di errore clinico Correlati alla comunicazione.
Una “buona gestione" delle risorse umane, è determinante ai fini della definizione del livello di qualità, dell’assistenza in generale e dell'assistenza infermieristica da garantire. La gestione delle risorse umane si riflette trasversalmente e significativamente, su tutte le dimensioni che concorrono a caratterizzare la qualità: efficacia (attesa e pratica), competenza, efficienza, umanizzazione e sicurezza.