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Il bastone bianco come ausilio per la mobilità autonoma

Capitolo 3: IL BASTONE BIANCO

INDICE PRINCIPALE

INDICE

Il bastone bianco come ausilio per la mobilità autonoma

L’ausilio: definizioni

La definizione della parola “ausilio” riportata nel Grande Dizionario Italiano enuncia: Ausilio s. m. [dal latino auxilium, derivato di augere «accrescere»] – lett. Aiuto: essere d’aiuto a qualcuno (Garzanti, 2017).

La funzione di “esser d’aiuto a” appena citata, viene chiarita da Bortolin e Vitiello (2004) in un numero della rivista Tiflologia per l’Integrazione. Questi autori affermano che l’ausilio, nell’ambito della disabilità, e non solo, è quello strumento di supporto che assiste chi ne fa uso, per consentire lo svolgimento di una determinata attività oppure il conseguimento di uno scopo definito.

Una serie di altre definizioni, qui di seguito riportate, viene proposta da Andrich nell’elaborato Valutare, consigliare, prescrivere gli ausili (2014):

  • "Strumento che serve in particolare alla persona con disabilità (e a chi l’aiuta) per fare ciò che altrimenti non potrebbe, o per farlo in modo più sicuro, più veloce, più accettabile, o per prevenire l’instaurarsi o l’aggravarsi di una disabilità" (Mazzola, 1979).
  • "Strumento tecnologico che consente di superare certe barriere all’accessibilità, o di compensare certe limitazioni funzionali ai fini di facilitare o rendere possibili determinate attività della vita quotidiana" (Commissione Europea, 1995).
  • “Prodotto o servizio progettato per favorire l’indipendenza delle persone con disabilità e delle persone anziane" (King’s Fund consultation, 2001).
  • “Qualsiasi prodotto o servizio tecnologico che può favorire l’autonomia delle persone che hanno limitazioni nelle attività della vita quotidiana, nella scuola, nel lavoro, nelle attività di tempo libero" (AAATE, 2003).
  • "Qualsiasi prodotto (dispositivi, apparecchiature, strumenti, software ecc.), di produzione specializzata o di comune commercio, utilizzato da (o per) persone con disabilità per finalità di:
    1. miglioramento della partecipazione;
    2. protezione, sostegno, sviluppo, controllo o sostituzione di strutture corporee, funzioni corporee o attività; 3) prevenzione di menomazioni, limitazioni nelle attività, o ostacoli alla partecipazione" (Standard Internazionale ISO 9999).

Nello stesso elaborato Andrich (2014) propone anche una classificazione degli ausili a seconda della funzione specifica che essi svolgono, differenziandoli in:

  • Ausili protesici: sostituiscono una funzione assente.
  • Ausili ortesici: compensano una funzione presente ma compromessa.
  • Ausili adattivi: compensano limitazioni nelle attività, consentendo di svolgerle.
  • Ausili assistenziali: rendono più sicuro e meno gravoso il compito della persona che assiste l’utente.
  • Ausili ambientali: rimuovono barriere fisiche degli ambienti di vita quotidiana.
  • Ausili terapeutici: sostengono funzioni vitali o prevengono l’insorgenza di complicanze secondarie.

Il bastone bianco è pertanto quell’ausilio adattivo che supporta la persona cieca nella vita di tutti i giorni, compensando le limitazioni date dal deficit sensoriale e facilitando l’esercizio autonomo dell’orientamento e della mobilità.

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Il Nomenclatore Tariffario: codici di classificazione ISO del bastone bianco

L’elenco dei dispositivi erogabili gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale si trova nel Nomenclatore Tariffario, documento emanato e periodicamente aggiornato dal Ministero della Salute. Il Nomenclatore si avvale dello standard internazionale ISO 9999, il sistema classificatorio impiegato più diffusamente e articolato sui livelli di Classe, Sottoclasse e Divisione. Ogni voce di classificazione riporta un codice numerico costituito essenzialmente da tre cifre, ognuna corrispondente a ciascun livello, con valori compresi fra 0 e 99. Talvolta vi è l’aggiunta di una quarta cifra che riporta specifiche informazioni merceologiche sul prodotto (Andrich, 2014).

La procedura per erogare il dispositivo prevede un’iniziale valutazione del paziente, per definire le sue necessità riguardo l’autonomia di vita, le disposizioni dell’ambiente in cui verrà adoperato l’ausilio ed infine le caratteristiche dello stesso, affinché sia il più possibile rispondente ai bisogni della persona disabile.

La prescrizione dell’ausilio spetta direttamente al medico specialista che si occupa della valutazione del paziente. Segue subito dopo una consultazione con la ditta fornitrice, per definire uno/due preventivi. A questo punto, prescrizione e preventivo vengono presentati all’azienda sanitaria locale, incaricata per autorizzare o meno la richiesta del medico. Se la richiesta viene accolta, si procede con l’ordine e con la consegna, che può avvenire presso l’ASL o direttamente a domicilio, a seconda delle preferenze. Entro venti giorni dalla consegna si esegue il collaudo, per verificare l’effettiva congruità dell’ausilio prescritto con i bisogni del paziente (www.dito.areato.org).

Il bastone bianco è stato dichiarato ufficialmente un ausilio che, se gestito con correttezza, consente ai soggetti con cecità di esercitare la mobilità autonoma (Smith e Penrod, 2010). Coloro a cui viene riconosciuta e certificata la disabilità visiva hanno pertanto diritto alla prescrizione di tale ausilio, sottoscritta dal medico oculista e all’ottenimento del suddetto, con oneri a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Il Nomenclatore Tariffario in vigore fino ad inizio 2017 era quello stabilito dal Decreto Ministeriale 27 agosto 1999, n. 332, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 27 settembre 1999, n. 227. Secondo la classificazione ISO 9999 del 1999 il bastone è collocato nell’Elenco 2 - Ausili tecnici di serie, con il codice di classificazione riportato nella seguente immagine (figura n. 1):

Figura n. 1 Codice di classificazione ISO 9999/1999 del bastone bianco

Figura n. 1 Codice di classificazione ISO 9999/1999 del bastone bianco

La versione aggiornata del Nomenclatore Tariffario (DPCM 12/1/2017, “Definizione  e aggiornamento dei livelli  essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.”), pubblicata nel Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale in data 18/3/2017, n. 65, attribuisce al bastone bianco un nuovo codice di classificazione (figura n. 2). La Classe di appartenenza rimane invariata (Classe 12 - Ausili per la mobilità personale), con modifiche per quanto riguarda la Sottoclasse, 12.39 - Ausili per l’orientamento e la Divisione, 12.39.03 – Bastone tattile (bianco).

Figura n. 2 Codice di classificazione ISO 9999/2017 del bastone bianco

Figura n. 2 Codice di classificazione ISO 9999/2017 del bastone bianco

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Gli elementi costitutivi del bastone bianco [Sezione A]

Il bastone bianco è un ausilio dalla struttura molto semplice, costituito da tre elementi: l’impugnatura, l’asta e la punta (www.studio-in.org).

L’impugnatura

L’impugnatura si trova in corrispondenza dell’estremità prossimale del bastone.

È di forma cilindrica, con una parte piatta e parallela all’asta che ospita il dito indice, completamente esteso. A volte, presenta una sagoma ergonomica che accoglie le altre dita e il palmo della mano.

È costituita da materiale termoisolante e antiscivolo, solitamente gomma, anche se in commercio si trovano molte impugnature di legno.

Sull’apice è apposto un elastico, utilizzato per tenere insieme i segmenti del bastone pieghevole, una volta chiuso.

La scelta dell’impugnatura più appropriata dipende da variabili individuali come, ad esempio, la grandezza della mano. Nel caso in cui siano presenti malformazioni anatomiche della stessa, lo specialista di orientamento e mobilità dovrà consultare un terapista occupazionale, al fine di individuare l’impugnatura più idonea per il soggetto cieco (Smith & Penrod, 2010).

L’asta

L’asta è il segmento che collega le due estremità del bastone.

I materiali più diffusamente impiegati per la sua costruzione sono la fibra di carbonio e l’alluminio, in quanto le loro proprietà fisiche soddisfano determinate esigenze in termini di conduttività vibratoria, rigidità e resistenza.

Viene verniciata di bianco o rivestita con una pellicola catarifrangente, così da garantire un’elevata visibilità del bastone alle persone normovedenti.

Può essere pieghevole, telescopica o rigida.

Il bastone pieghevole è costituito da segmenti tubulari che si incastrano reciprocamente fra loro e che sono tenuti insieme da un elastico interno, fissato alle estremità del bastone stesso. La possibilità di aprirlo e chiuderlo facilmente e di riporlo dentro una borsa o appoggiarlo da qualche parte senza che sia ingombrante, lo rendono certamente il bastone più diffuso e commercializzato (figura n. 3).

Figura n. 3 Il bastone pieghevole

Figura n. 3 Il bastone pieghevole

Il bastone telescopico è formato solitamente da due sezioni a diametro decrescente; il tal modo la sezione inferiore entra in quella superiore. Grazie ad una vite interna ad espansione i segmenti si fissano con un leggero avvitamento a qualsiasi altezza, rendendo questa tipologia di bastone ideale per i bambini e gli adolescenti in fase di crescita (figura n. 4).

Figura n. 4 Il bastone telescopico

Figura n. 4 Il bastone telescopico

Infine, il bastone rigido è costituito da un unico segmento, della lunghezza che si desidera (figura n. 5).

Figura n. 5 Il bastone rigido

Figura n. 5 Il bastone rigido

La punta

La punta si trova in corrispondenza dell’estremità distale del bastone.

La maggior parte delle punte è in teflon, materiale dal coefficiente d’attrito molto basso che garantisce una buona scorrevolezza. Alcune punte sono invece in ceramica, molto difficili da scalfire e quindi di lunga durata; hanno inoltre un eccellente ritorno sonoro quando vengono picchiettate a terra.

La punta è la componente più importante del bastone, perché essa entra a diretto contatto con il suolo, dovendone ricevere e trasmettere le caratteristiche. A seconda della morfologia del terreno su cui si cammina il più delle volte, bisognerà allora adoperare punte di un determinato tipo. Ecco perché la scelta della punta più adatta varia a seconda delle necessità del singolo utente. Inoltre, se i luoghi che si frequentano solitamente hanno suoli molto diversi fra loro, vi è la possibilità di intercambiare le punte, sempre che il modello di bastone lo consenta.

Attualmente, si trovano in commercio più di una decina di punte, fisse o rotanti, con differenti forme, dimensioni e materiali. Nonostante ciò, quelle maggiormente vendute sono: la classica, a forma di matita (figura n. 6), la marshmallow modello a goccia (figura n. 7), la ball (figura n. 8), la roller (figura n. 9) e la semisferica in ceramica (figura n. 10) (Kim et al., 2010b).

Figura n. 6 Punta a matita

Figura n. 6 Punta a matita

Figura n. 7 Punta a goccia

Figura n. 7 Punta a goccia

Figura n. 8 Punta ball

Figura n. 8 Punta ball

Figura n. 9 Punta roller

Figura n. 9 Punta roller

Figura n. 10 Punta semisferica

Figura n. 10 Punta semisferica

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La manutenzione del bastone bianco [Sezione A]

Il bastone, essendo un ausilio soggetto ad intensa usura, necessita di particolari attenzioni per essere mantenuto integro e funzionale il più a lungo possibile.

La sua pulizia dev’essere un’attività che viene svolta regolarmente. Il bastone è come un indumento: con esso ci si presenta al mondo esterno ed è dunque importante che sia pulito, soprattutto in una società in cui alle apparenze viene attribuito un peso notevole (www.studio-in.org).

Per quanto riguarda l’impugnatura, essa si impregna del fisiologico sudore delle mani, pertanto va lavata con costanza.

In riferimento all’asta, è importante che essa mantenga sempre il suo colore bianco, per una questione di visibilità e segnalazione.

Infine la punta è come la suola delle scarpe, entra in contatto con tutto ciò che si trova a terra e per questo motivo è fondamentale igienizzarla sistematicamente. Periodicamente sarà anche indispensabile sostituire quella consumata con una nuova, affinché sia sempre preservata la sua funzione di ricevere e trasmettere le caratteristiche del suolo.

Per quanto riguarda il bastone pieghevole si tenga presente che l’elastico interno tende a deteriorarsi per l’azione meccanica di trazione a cui è sottoposto nelle fasi di apertura e chiusura. Bisognerà pertanto assicurarsi che non perda la sua elasticità, altrimenti il bastone sarà meno stabile (www.studio-in.org).

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Le caratteristiche principali del bastone bianco [Sezione A]

Nel 1972 la National Academy of Sciences (NAS) degli Stati Uniti d’America pubblicò una lista delle qualità, qui di seguito elencate, che dovrebbero caratterizzare il bastone bianco (Smith & Penrod, 2010):

  • conduttività vibratoria elevata
  • peso complessivo non eccessivo
  • rigidità, resistenza e durevolezza
  • buona visibilità
  • lunghezza adeguata

La conduttività vibratoria

Le vibrazioni prodotte quando la punta del bastone colpisce il suolo o scorre su di esso vengono trasmesse lungo l’asta e raggiungono la mano appoggiata sull’impugnatura. Queste vibrazioni stimolano i recettori cutanei e vengono analizzate dal sistema senso-percettivo. L’elaborazione che ne segue consente di interpretare le caratteristiche della pavimentazione, dando alla persona cieca la possibilità di dedurre le caratteristiche del suolo sul quale sta camminando (Rodgers & Wall Emerson, 2005a).

Ciò significa che, prestando attenzione alle informazioni provenienti dal bastone, si potranno non solo rilevare eventuali disconnessioni del terreno, ma anche percepire le diverse consistenze delle superfici. Verranno allora differenziati il palchetto di legno dalle piastrelle, così come l’acciottolato o l’asfalto dall’erba.

Infine,  Rodgers e Wall Emerson (2005a)  hanno  sottolineato  che la conduzione delle vibrazioni accresce con l’aumentare della rigidità dell’asta e con il diminuire del suo peso.

Il peso complessivo

La progettazione e il design di base del moderno bastone bianco sono complessivamente cambiati di poco da quando, negli anni 40, Richard Hoover (1915-1986) apportò una serie di modifiche al precedente bastone, introducendo quindi l’ausilio per la mobilità che si conosce attualmente (Bortolin & Vitiello, 2004).

I primi bastoni erano di legno, pesanti e difficili da maneggiare. Si tenga presente che un bastone di una certa pesantezza richiede un dispendio di energie maggiore per essere adoperato, perché la forza che occorre per imprimere il movimento di oscillazione è più elevata. Segue di conseguenza una rapida produzione di fatica, a cui corrisponde un decremento di precisione nell’utilizzo dell’ausilio. Così il dottor Hoover provò a costruire un bastone con un materiale più leggero, l’alluminio, tutt’ora ampiamente utilizzato (Bortolin & Vitiello, 2004).

In realtà, Rodgers e Wall Emerson (2005b) hanno dimostrato che il declino delle prestazioni, in termini di accuratezza del movimento, è dato non tanto dalla pesantezza del bastone, quanto dalla durata del compito. Con il passare del tempo si ha una riduzione di concentrazione e la qualità delle proprie azioni diminuisce.

Questa correlazione è di fondamentale importanza e va sempre tenuta in considerazione, perché la precisione con cui viene utilizzato l’ausilio determina il grado di sicurezza degli spostamenti.

La rigidità, la resistenza e la durevolezza

Il grado di flessibilità di un materiale indica quanto questo può resistere ad eventi stressanti, prima di raggiungere il punto di rottura o subire una deformazione permanente. Ogni volta che colpisce il terreno, il bastone subisce degli impatti, per quanto lievi. In alcune occasioni, però, potrebbe venir sottoposto anche a forti pressioni, come quando si blocca fra una porta e lo stipite o si incastra tra le fessure di una grata da pavimentazione stradale. Un bastone piegato o rotto non è ovviamente uno strumento adeguato per raccogliere informazioni dall’ambiente (Rodgers & Wall Emerson, 2005a).

Tuttavia, ad un bastone meno flessibile, si associa una migliore conduttività vibratoria.

L’ausilio ottimale dovrebbe pertanto essere, in egual misura, sia rigido che flessibile, così da non attutire le vibrazioni e, contemporaneamente, avere una maggior durevolezza nel tempo.

La visibilità

È senso comune credere che il bianco sia un colore altamente visibile e facilmente individuabile in presenza di una molteplicità di stimoli visivi. Questa convinzione è rimasta invariata nel corso degli anni, ma di recente alcune aziende produttrici hanno proposto dei bastoni con aste di colore diverso (Bourquin et al., 2017).

Nella rilevazione delle informazioni ambientali, il colore del bastone non è un elemento determinante. Prendono in considerazione però la sicurezza negli spostamenti, Bourquin e collaboratori (2017) hanno dimostrato che il bianco è il colore in grado di suscitare la miglior risposta, in termini di velocità e prontezza, da parte di un automobilista normovedente che deve dare la precedenza ad un pedone cieco.

Tutti i bastoni vengono quindi progettati affinché le persone con cecità ottengano da essi la massima visibilità, tanto di giorno e di notte quanto in condizioni atmosferiche critiche come in caso di pioggia, nebbia o neve (Smith & Penrod, 2010).

Si tenga presente, infine, che il bastone bianco è simbolo sociale condiviso di disabilità visiva e che appunto per questo viene riconosciuto con immediatezza dalle persone normovedenti (Bortolin & Vitiello, 2004).

La lunghezza

Un bastone troppo lungo non fornisce al suo utilizzatore chiare indicazioni circa ostacoli o variazioni di superficie imminenti, così come un bastone troppo corto non offre un tempo sufficiente per reagire e adattare il proprio comportamento, nel caso venga intercettato qualcosa lungo il percorso.

La distanza che  intercorre  fra  il  corpo e l’elemento individuato davanti a sé si definisce spazio di reazione (figura n. 11). Il bastone della giusta lunghezza assicura uno spazio di reazione idoneo, perché permette di attuare una risposta comportamentale prima di entrare in collisione con l’ostacolo. In tal modo gli spostamenti autonomi avvengono in maggior sicurezza.

Figura n. 11 Lo spazio di reazione

Figura n. 11 Lo spazio di reazione

Rodgers e Wall Emerson (2005b) hanno affermato che la modalità più soddisfacente per individuare la lunghezza ottimale prevede di affidarsi ad un metodo che prende come punto di riferimento lo sterno (metodo dello sterno1). È stato definito che, posizionando il bastone in verticale davanti al proprio corpo, l’apice dell’impugnatura deve superare di indicativamente 3,5 cm il processo xifoideo dello sterno. Pertanto la lunghezza del bastone è un parametro variabile sia da individuo a individuo sia durante la crescita della singola persona in termini di altezza.

Tuttavia, Kim e Wall Emerson (2012) raccomandano l’impiego di un bastone di lunghezza maggiore. Essi ritengono infatti che un bastone che raggiunge soltanto lo sterno non sia sufficientemente lungo per garantire sicurezza negli spostamenti. Più nello specifico, propongono che i bambini fino all’età di 6 anni debbano utilizzare bastoni lunghi tanto quanto la loro altezza e che negli adulti il bastone debba raggiungere il livello del mento.

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Le tecniche di utilizzo del bastone bianco [Sezione A, B, C]

Il bastone bianco è uno strumento con una serie di caratteristiche, che da sole non sono in grado di rendere una persona con disabilità visiva indipendente negli spostamenti. La valenza di ausilio per la mobilità viene perciò attribuita al bastone dall’apprendimento di specifiche tecniche di utilizzo (Smith & Penrod, 2010).

L’insegnamento sistematico di queste tecniche si avvale di un protocollo con regole ben definite, ma in un secondo momento ciascun individuo apporterà inevitabili modifiche alle strategie apprese, sviluppando competenze estremamente personali in riferimento alla gestione del bastone. In letteratura è riportato addirittura che l’impiego di una tecnica, come insegnato durante il corso di orientamento e mobilità, sia un’eccezione rispetto alla regola nella maggior parte delle volte (Newmann, 1998).

Prima di avviare l’apprendimento di una determinata tecnica, è fondamentale che la persona cieca impari ad impugnare il bastone correttamente.

Si procede quindi descrivendo l’impostazione della presa sull’impugnatura, per poi illustrare in che cosa consistono le tecniche diagonale e pendolare.

La presa

Durante il cammino con il bastone bianco, il dito indice della mano dominante viene posizionato sulla parte piatta dell’impugnatura, parallelamente all’asta e rivolto verso la punta del bastone. Il pollice si colloca di fianco all’indice, in posizione opposta rispetto al medio, che funge da fulcro. Le dita restanti si adagiano rilassate vicino all’impugnatura. Questo perché anulare e mignolo  non  sono  coinvolti nel sostegno e nell’oscillazione del bastone (www.orientamentomobilita.it (d)).

La tecnica diagonale

Questa tecnica prevede che l’asta si posizioni diagonalmente davanti al corpo, con la punta in direzione opposta alla presa: presa a destra e punta a sinistra o viceversa.

La parte superiore dell’impugnatura deve sporgere lateralmente al corpo di qualche centimetro, così da proteggere la mano collocata leggermente più in basso. La presa va effettuata verso la parte inferiore dell’impugnatura: in tal modo l’estremità prossimale del bastone potrà essere fatta scorrere lungo una linea guida, come ad esempio una parete.

La mano si porta in avanti di 30-40 centimetri rispetto al busto, all’altezza del bacino. L’avambraccio è intraruotato, affinché il palmo della mano sia rivolto verso il basso.

Durante gli spostamenti il bastone manterrà costantemente questa posizione (LaGrow, 2010).

Le tecniche pendolari battuta e strisciata

La presa avvolge l’impugnatura nella sua porzione centrale. La mano si posiziona all’altezza del bacino e in corrispondenza della parte centrale del corpo.

Descrivendo la posizione dell’arto superiore che regge il bastone, si osservano una lieve flessione del braccio, non addotto né abdotto, una flessione a livello del gomito e una leggera supinazione dell’avambraccio.

L’arto superiore che non impugna il bastone è mantenuto in posizione neutra. A questo punto il polso imprime il movimento di oscillazione, spostando il bastone da destra a sinistra e viceversa.

Mentre il polso si flesso-estende, le articolazioni di spalla e gomito sono ferme e rilassate. Per quanto riguarda il dito indice, ad esso spetta il compito di controllare più minuziosamente le oscillazioni (www.orientamentomobilita.it (d)).

Esistono due tipologie di pendolare che differiscono essenzialmente a seconda della quantità di tempo in cui la punta del bastone è in contatto con il terreno:

  • Pendolare battuta. Ideata e introdotta durante la Seconda Guerra Mondiale, è la tecnica standard di utilizzo del bastone bianco. Essa prevede che, durante l’oscillazione del bastone da un lato all’altro, la punta colpisca il suolo soltanto in corrispondenza delle estremità dell’arco compiuto. La punta viene pertanto sollevata da terra, riducendo il contatto con il suolo ai soli momenti in cui vi è la battuta (LaGrow, 2010).
  • Pendolare strisciata. La differenza principale rispetto alla pendolare battuta è che in questo caso la punta rimane costantemente a contatto con il suolo. Durante le oscillazioni essa scorre sul terreno, descrivendo l’arco dovuto (LaGrow, 2010).

Negli ultimi decenni l’impiego di questa tecnica si è largamente diffuso fra la popolazione di persone con cecità.

Confrontando ora le prestazioni che si ottengono con le due modalità di pendolare, Kim e colleghi (2009) dichiarano che la strisciata permette di rilevare variazioni di altezza della superficie con maggior affidabilità rispetto a quanto avviene con la battuta. Sia nel caso di minimi dislivelli, sia quando questi superano i 10 centimetri, la pendolare strisciata si dimostrata la tecnica più efficace.

La spiegazione a questo fenomeno è la seguente. Quando si impiega la pendolare battuta, il soggetto si affida prevalentemente a feedback propriocettivo- cinestesici provenienti dalla posizione del polso. Nella pendolare strisciata , invece, sono coinvolti anche stimoli vibro-tattili. In altre parole, quando il soggetto fa scorrere la punta del bastone sul terreno, riceve un flusso continuo di vibrazioni. Tuttavia, appena si incontra un dislivello, le vibrazioni vengono improvvisamente interrotte e sostituite dalla percezione del polso che si abbassa. È proprio questo cambiamento repentino e chiaro che allerta il soggetto (Kim et al., 2009).

Quanto affermato fin d’ora è in linea con i risultati emersi da precedenti ricerche, nelle quali era stato sottolineato che la discriminazione di stimoli propriocettivo-cinestesici e vibro-tattili è migliore quando questi sono continui (Kim et al., 2010b).

Ampiezza dell’arco

L’ampiezza ottimale dell’arco, ottenuta durante l’oscillazione del bastone, si estende da poco oltre una spalla a poco oltre quella controlaterale. Nel caso in cui il bacino sia la parte più larga del corpo, si prendano come punto di riferimento i fianchi (www.orientamentomobilita.it (d)).

L’area esplorata antistante si definisce spazio di copertura (Blasch et al., 1996) ed è direttamente proporzionale al livello di protezione fornito: più gli estremi dell’arco si avvicinano all’ampiezza delle spalle o dei fianchi, meglio sarà compiuta la funzione di anticipazione degli ostacoli.

Come esposto nel capitolo “Le funzioni anticipatorie del bastone bianco”, i gradi di copertura che si possono ottenere sono tre: completo, incompleto e assente. Spesso, però, si riscontra una quarta situazione. Quando l’arco compiuto supera l’ampiezza ideale, non solo insorge il rischio di colpire i passanti, ma vengono anche rilevati degli ostacoli che comunque non si trovano lungo la propria traiettoria (www.orientamentomobilita.it (d)). Il rischio è che il soggetto cieco venga distratto da questo eccesso di informazioni e che si allerti inutilmente . A tal proposito, uno studio condotto nel 2002 da Wall e Ashmead ha evidenziato la tendenza dei soggetti con deficit visivo di compiere un arco più ampio del dovuto, per la paura di entrare in collisione con gli oggetti e di farsi male.

La stessa osservazione era stata precedentemente riferita da Johnson e colleghi (1998) con l’emergere di un’importante conseguenza a livello funzionale. Nella tecnica pendolare battuta, la zona colpita dal bastone dovrebbe corrispondere il più possibile con quella in cui si posiziona il piede. Se l’ampiezza dell’arco è troppo elevata, tale corrispondenza non si ottiene e la funzione di anticipazione della zona di calpestio viene compromessa.

La posizione in cui si colloca l’impugnatura è un aspetto altrettanto importante da considerare. Il motivo per cui si consiglia di posizionare la mano in corrispondenza della parte centrale del corpo è che, così facendo, sarà più facile compiere un arco simmetrico, garantendo una protezione equa sia a destra che a sinistra.

È stato però constatato che difficilmente si ottiene questa simmetria. Se ad esempio la mano dominante che sorregge il bastone è la destra, il semiarco verso destra tende ad essere meno ampio di quello verso sinistra. Una plausibile spiegazione a tale fenomeno è che il ROM2 articolare del polso permette un grado di estensione minore rispetto a quello di flessione (Johnson et al., 1998).

Coordinazione passo-oscillazione

Il movimento di oscillazione del bastone dev’essere sincronizzato e opposto al passo. Sincronizzato perché viene compiuto simultaneamente; opposto perché quando il piede destro viene posizionato a terra, la punta del bastone deve trovarsi a sinistra e viceversa (Wall & Ashmead, 2002). Pertanto, durante il cammino, la coordinazione passo-oscillazione si dice incrociata: il piede che avanza poggerà sulla zona di calpestio già sondata dalla punta del bastone. In tal modo il bastone anticipa il posizionamento del piede, dando un margine di spazio e tempo per reagire in caso si rilevi qualcosa (www.orientamentomobilita.it (d)).

Nella valutazione di questo parametro, è sufficiente osservare che passo e oscillazione siano in fase o fuori fase (Wall & Ashmead, 2002).

In un primo momento tale coordinazione risulterà complessa, ma in seguito, quando si acquisirà un po’ di confidenza, l’uso dell’ausilio diverrà progressivamente automatico. A sostegno di ciò, Kim e colleghi (2010c) hanno dichiarato che l’impiego regolare del bastone permette di ottenere prestazioni sempre migliori, sia per quanto riguarda l’aspetto pratico legato all’impiego tecniche, sia rispetto alle abilità di cogliere ed interpretare gli stimoli sensoriali provenienti dall’ausilio.

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Come posizionare il bastone bianco quando si è fermi: buone maniere [Sezione F]

Nel corso degli spostamenti autonomi l’ausilio viene fatto scorrere in avanti o oscillare, a seconda della tecnica impiegata. Come giustamente può capitare a qualsiasi pedone, ad un certo punto, però, la marcia deve arrestarsi. Quando ci si avvicina alle strisce pedonali e si attende il giusto istante per attraversare la strada o quando si raggiunge la propria destinazione e ci si ferma, il bastone dev’essere posizionato in sicurezza affinché non costituisca un potenziale pericolo per i passanti (Bortolin & Vitiello, 2004).

Andrà pertanto mantenuto in posizione verticale di fronte al corpo, con la punta vicino ai piedi o addirittura bloccata fra di essi.

Le buone maniere prevedono inoltre che il bastone non venga mai sollevato da terra orizzontalmente e che al momento della sua apertura o chiusura le operazioni siano eseguite con accortezza. Il rischio, infatti, è quello di colpire accidentalmente i passanti, creando una situazione di disagio preferibilmente evitabile.

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Le funzioni anticipatorie del bastone bianco [Sezione C]

Le persone con disabilità visiva hanno da sempre fatto ricorso a sistemi per la mobilità che rendessero possibili o migliorassero gli spostamenti quotidiani attraverso lo spazio. Questi sistemi possono essere intesi come un’estensione sensoriale che consente di esplorare, per via non visiva, lo spazio immediatamente circostante, con il fine di rintracciarne gli elementi distintivi.

Smith e Penrod (2010) affermano che ad oggi esistono principalmente quattro sistemi per la mobilità: la guida umana, il cane guida, il bastone e gli ausili elettronici per la navigazione3. Facendo una distinzione generale, la guida umana e il cane guida garantiscono protezione, conducendo il cieco oltre l’ostacolo che si trova lungo il cammino; il bastone e gli ausili elettronici per la navigazione, invece, consentono di rilevare le informazioni ambientali. In quest’ultimo caso si favorisce una maggior consapevolezza dello spazio circostante, che viene a mancare quando il disabile visivo, se accompagnato, oltrepassa un ostacolo senza nemmeno accorgersi della sua presenza (Smith & Penrod, 2010).

Più nello specifico, il compito del bastone consiste nel fornire informazioni anticipatorie riguardo lo spazio che una persona è in procinto di percorrere.

Tre sono le funzioni che consentono di adempiere a tale compito (Blasch et al., 1996):

  1. Individuare la presenza di qualsiasi oggetto lungo il proprio percorso (anticipazione degli ostacoli). Il modo più semplice ed immediato per valutare questa funzione consiste nel misurare approssimativamente lo spazio di copertura offerto dal bastone. Si individuano tre gradi di copertura (Blasch et al., 1996):
    • completo, se l’ampiezza dell’arco compiuto dal bastone si estende da spalla a spalla, proteggendo il corpo;
    • incompleto, se l’ampiezza dell’arco è ridotta (ad esempio: insufficiente copertura a destra);
    • assente, se non viene adoperato il bastone.
  2. Rilevare la consistenza, se liscia o ruvida, della superficie su cui si cammina e le variazioni di altezza come dislivelli, dossi e buche (anticipazione della superficie). Di conseguenza è fondamentale che, a prescindere dalla tecnica impiegata, la punta del bastone stia il più possibile a contatto con il pavimento. Durante un’oscillazione, infatti, la percentuale di contatto con la superficie è direttamente proporzionale alla quantità di informazioni che si rilevano. Inoltre, minore è la lunghezza del passo, maggiore è la superficie che viene perlustrata. In tal caso infatti, per percorrere un determinato tratto di strada, si compiono molte più oscillazioni rispetto a quante se ne eseguirebbero se la lunghezza del passo fosse maggiore. Tale affermazione si basa sull’assunto che vi è una corrispondenza uno ad uno fra oscillazione e passo: per ciascun passo si compie un arco da destra a sinistra o viceversa (Blasch et al., 1996).
  3. Prevedere quale sarà indicativamente l’area sul piano di calpestio dove verrà collocato il piede (anticipazione della zona di calpestio). Quando la punta del bastone colpisce o sfiora la zona del pavimento in cui si posizionerà il piede, viene verifica l’integrità del suolo. Una volta avuta la certezza che non siano presenti ostacoli o variazioni di superficie, si procederà con il passo. Più l’area in cui si colloca il piede corrisponde a quella ispezionata dalla punta del bastone, più l’anticipazione della zona di calpestio sarà stata efficace. Si immagini dunque il bastone bianco come una sonda esplorativa, in grado di perlustrare un’area ben definita dello spazio antistante.

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La percezione dell’ambiente attraverso il bastone bianco [Sezione D]

Il bastone bianco è lo strumento con funzione vicariante più largamente impiegato dalla popolazione di persone con cecità. Questo ausilio, adoperato per spostarsi da un luogo ad un altro, fornisce informazioni importanti riguardo allo spazio prossimo alla persona, mediante indizi vibrotattili e uditivi. Per questo motivo, viene inteso sia come un’estensione sensoriale del tatto, sia come dispositivo di eco. (Guth et al., 2010).

Estensione sensoriale del tatto

Nell’essere umano il sistema della sensibilità tattile discriminativa provvede al riconoscimento e alla codifica di determinati stimoli, tramite meccanocettori cutanei situati negli strati più esterni della pelle (epidermide) e in quelli sottostanti (derma). I corpuscoli di Meissner e i dischi di Merkel captano stimoli cutanei superficiali e lievi stimolazioni pressorie; stimoli pressori di notevole entità attivano invece i corpuscoli di Pacini; infine, i corpuscoli di Ruffini rispondono a delicati stiramenti della cute (Azzena, 2012).

A differenza della pelle, la superficie del bastone bianco non presenta recettori sensoriali. Nonostante ciò, esso è considerato uno strumento percettivo dotato della proprietà di condurre lungo la propria asta le vibrazioni prodotte dal contatto della punta con il suolo (Smith & Penrod, 2010).

Questo significa che la persona con disabilità visiva in movimento viene stimolata da un flusso percettivo vibrotattile, che la guida attraverso l’ambiente (Guth et al., 2010).

Dispositivo di eco

L’ecolocazione, conosciuta anche come ecolocalizzazione, è la capacità di un individuo di ascoltare gli echi, fenomeni acustici che si verificano quando le onde sonore incontrano un ostacolo e vengono riflesse (www.orientamentomobilita.it, (a)).

Molte persone con disabilità visiva elaborano spontaneamente strategie di ecolocazione, che consentono di cogliere alcune caratteristiche dell’ambiente circostante. Quando ci si schiarisce la voce, si schioccano le dita o si battono le mani vengono prodotti degli echi dai quali, ad esempio, è possibile dedurre se il luogo in cui ci si trova è un corridoio stretto e lungo o una stanza molto ampia. Il sistema uditivo è infatti in grado di estrarre una grande quantità di informazioni dal suono  riflesso,  capacità significativamente utile per  la funzione di orientamento nei soggetti ciechi.

Quando il disabile visivo si muove in autonomia, si affida in larga misura agli echi forniti dal bastone bianco. L’ausilio è considerato dunque un dispositivo di eco perché, quando la punta colpisce il terreno o degli oggetti, produce un suono di ritorno ricco di informazioni. È proprio l’interpretazione di queste ultime che permette di comprendere, o anche solo intuire, di quale materiale sia costituito l’oggetto rilevato, se sia pieno o cavo, grande o piccolo (Lawson & Wiener, 2010).

Nel caso in cui i suoni prodotti in modo casuale non siano sufficienti per ottenere le informazioni desiderate, si potrà battere di proposito la punta del bastone contro il suolo.

È però importante sottolineare che non sempre la qualità degli echi risulta adeguata. L’inquinamento acustico dell’ambiente in cui viviamo spesso assorbe i suoni riflessi volutamente prodotti e li maschera, ostacolando l’ecolocazione (Brambring, 2004). In linea generale quindi, per sfruttare al massimo l’interpretazione degli echi, è richiesta una notevole capacità di inibire gli stimoli uditivi distraenti.

Concludendo, come afferma Zini (www.orientamentomobilita.it (a)), le informazioni ambientali si presentano alla persona cieca in movimento non solo attraverso stimoli tattili, ma anche mediante un flusso percettivo acustico.

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Affidamento al bastone bianco [Sezione E]

Durante gli spostamenti con l’ausilio si osserva molto spesso, soprattutto in età evolutiva, la tendenza del bambino a sfruttare la mano libera, per cercare intorno a sè dei punti di riferimento. Questa necessità di integrare gli stimoli provenienti dal bastone con quelli della mano, potrebbe rivelarsi limitante, soprattutto in ambienti esterni. Non sempre infatti è possibile muoversi lungo una linea guida, come ad esempio un muretto. Allo stesso tempo non è ammissibile che il bambino percorra un tragitto piegandosi continuamente e toccando il suolo con la mano, né procedendo a tentoni utilizzando i piedi, per fare una ricognizione dello spazio antistante. Arrivare a destinazione sarebbe allora un compito troppo impegnativo e richiederebbe un dispendio di energie importante.

Prima di affidarsi completamente alle informazioni provenienti dal bastone è infatti necessario un periodo di pratica. Solo in seguito, il soggetto acquisirà confidenza e fiducia rispetto alle proprie competenze (Kim et al., 2010c).

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L’adattamento alle informazioni provenienti dal bastone bianco

Localizzazione, esplorazione e comportamenti in risposta [Sezione D]

Coloro che si iscrivono al corso di orientamento e mobilità apprendono fin da subito le tecniche di utilizzo del bastone bianco. L’obiettivo primario è insegnare alle persone cieche in che cosa consistano le funzioni di anticipazione degli ostacoli e della superficie e quali comportamenti attuare in risposta alle rilevazioni di oggetti o dislivelli/dossi/buche (Zijlstra et al., 2012).

Ostacoli

Secondo i principi della mobilità autonoma, nell’istante in cui viene rilevata la presenza di un ostacolo il viaggiatore deve arrestare la marcia e mantenere la posizione in  cui si trova.  Solo  a questo  punto  potrà procedere con  la localizzazione di quanto rilevato. Se infatti, una volta interrotto il cammino, egli modificasse l’orientamento del suo corpo, non sarebbe più  in grado di comprendere l’esatta collocazione dell’ostacolo rispetto a sé e alla propria traiettoria. In tal caso, se si girasse completamente verso di esso, perderebbe quei riferimenti in grado di riorientarlo nella giusta direzione di cammino.

Dopo aver intercettato l’ostacolo, il viaggiatore dovrà comprendere se esso si trova al di fuori della sua traiettoria o lungo di essa. Nel primo caso egli potrà proseguire indisturbato senza deviare dal suo percorso, nel secondo caso dovrà esplorare l’oggetto e dedurne forma e dimensioni, così da comprendere come meglio comportarsi (LaGrow, 2010).

L’ostacolo, una volta localizzato, verrà esplorato impiegando il bastone, possibilmente mantenuto in posizione verticale. Un’esplorazione più approfondita si può effettuare ricorrendo all’utilizzo della mano libera o di un piede, sempre però con l’accortezza di mantenere un punto di riferimento che impedisca di disorientarsi.

Dopo aver compreso la natura dell’ostacolo intercettato, il viaggiatore attiverà una risposta comportamentale adattiva, così da aggirarlo e proseguire lungo il suo percorso (LaGrow, 2010).

Variazioni di altezza della superficie

Una volta intercettati dislivelli, dossi o buche, si procede come descritto per la localizzazione di un ostacolo. Si sospende la marcia e senza modificare l’orientamento del proprio corpo si attivano i comportamenti di esplorazione (LaGrow, 2010).

Anche in questo caso il bastone andrà posizionato verticalmente e fatto scorrere lungo la linea che definisce il confine tra la superficie su cui sta procedendo e il dislivello, il dosso o la buca.

Se il viaggiatore, ad esempio, si trova sul marciapiede e ad un certo istante percepisce che la punta del bastone si abbassa, comprenderà di essersi avvicinato al ciglio della strada o di aver rilevato il primo scalino di una gradinata. Sfruttando il bastone dovrà prima di tutto comprendere come il dislivello è posizionato rispetto a sè e alla traiettoria di cammino e successivamente, a seconda delle necessità, riprendere la marcia o proseguire con l’esplorazione. Nel caso della gradinata, farà scorrere la punta del bastone verso il basso e poi in avanti, per capire quanto lo scalino è alto e profondo. In tal modo potrà procedere in sicurezza, scendendo lungo la gradinata (LaGrow, 2010).

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I tempi di reazione [Sezione D]

Quando l’organismo viene sollecitato da uno stimolo ambientale si assiste all’attivazione automatica di un processo finalizzato alla realizzazione di un comportamento adattivo (Darbutas et al., 2013).

Tale processo è organizzato sulla base di un sistema funzionale, l’arco riflesso. Una struttura specializzata, il recettore, avverte lo stimolo proveniente o dall’esterno o dall’interno dell’organismo stesso. A questo punto una fibra afferente trasmette l’informazione rilevata ai centri di integrazione del riflesso e questi ultimi, dopo aver elaborato lo stimolo, organizzano la risposta motoria. Sarà poi una fibra efferente che rinvierà alla periferia il segnale elaborato e attiverà un effettore, responsabile della risposta riflessa (Midrio, 2012).

L’intervallo di tempo che intercorre dalla stimolazione del recettore all’attuazione della risposta motoria si definisce tempo di reazione.

Quest’ultimo è pertanto considerato un indice della velocità di processamento delle informazioni da parte del sistema nervoso centrale (Darbutas et al., 2013).

Nell’ambito della mobilità autonoma, i tempi di reazione si misurano considerando quanti secondi trascorrono dall’istante in cui viene rilevato un ostacolo o una variazione dell’altezza di superficie all’istante in cui il viaggiatore arresta la marcia. La capacità di reagire più o meno velocemente influisce in modo significativo sull’integrità fisica del soggetto. Se i tempi di reazione sono lenti, il rischio di entrare in collisione con l’ostacolo o di perdere l’equilibrio a causa di un dislivello o una buca aumenta. Se invece il soggetto ha la capacità di attivare una risposta con prontezza, sarà maggiormente preservata la sua incolumità.

Pertanto i tempi di reazione si possono intendere come un indicatore del livello di sicurezza negli spostamenti autonomi.

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La sicurezza negli spostamenti [Sezione F]

La mobilità autonoma è la capacità di spostarsi in sicurezza nello spazio, senza essere affiancati da un accompagnatore (Cuturi et al., 2016).

Gli spostamenti sicuri, ad esempio, dipendono dalla capacità di ridurre al minimo il rischio di urtare contro gli ostacoli presenti lungo il percorso. Adottando strategie valide, la persona con disabilità visiva sarà in grado di rilevare ed evitare il pericolo, sottraendosi al potenziale danno. Se le proprie capacità consentono di spostarsi in modo sicuro, allora aumenterà la fiducia in se

stessi e la mobilità sarà vissuta come un’esperienza positiva e da ripetere. Gli spostamenti sicuri trasmettono un senso di efficacia e adeguatezza che sostiene l’autostima e conseguentemente il benessere psicologico (Welsh, 2010).

Se però le strategie impiegate non sono valide, il disabile visivo ignorerà gli elementi che lo circondano e si imbatterà in situazioni pericolose, che metteranno a rischio la sua incolumità. Urtando continuamente contro gli ostacoli viene messa in discussione la fiducia in se stessi e la mobilità, diametralmente al meccanismo sopra descritto, diventerà un’esperienza negativa da evitare, perché, oltre a provocare incidenti spiacevoli, causa un senso di sconfitta (Manduchi & Kurniawan, 2011).

A questo punto vi sono due soluzioni possibili: o ci si affida completamente ad un accompagnatore, rinunciando però alla propria indipendenza, oppure si affronta la situazione con il supporto di una persona qualificata, esperta nel campo della mobilità autonoma. In tal modo si potranno apprendere le migliori strategie per organizzare comportamenti adeguati in risposta alle informazioni provenienti dal bastone.

Una volta compreso che la sicurezza negli spostamenti dipende dalla capacità del singolo individuo di reagire alla rilevazione di un ostacolo o di un cambiamento d’altezza, è bene domandarsi in che misura l’ausilio di mobilità e le sue modalità di utilizzo garantiscano tale rilevazione.

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Il grado di incolumità garantito dal bastone bianco

La quantità di spazio perlustrato lungo il proprio percorso dipende in grande misura dalla tecnica a cui si ricorre durante gli spostamenti. Maggiore è lo spazio che viene esplorato, maggiori saranno il grado di copertura e di conseguenza il livello di protezione fornito (Blasch et al., 1996).

Nella tecnica diagonale si esplora soltanto una porzione di spazio antistante al corpo, offrendone una protezione parziale. Questa verrà pertanto utilizzata in ambienti familiari e prevedibili, solitamente interni (LaGrow, 2010).

Le tecniche pendolari invece garantiscono una ricognizione totale dello spazio che si trova davanti alla persona e si impiegheranno per gli spostamenti in luoghi sconosciuti e non prevedibili, soprattutto esterni (LaGrow, 2010).

Tuttavia, la funzione protettiva del bastone bianco è in parte discutibile.

Questo ausilio ha il compito di effettuare una ricognizione del piano di calpestio, così da intercettare con la punta o con l’asta gli oggetti che hanno la loro base a terra.

Ai controlli possono sfuggire, nonostante tutto, oggetti fissati sul terreno che presentano la parte superiore più larga di quella inferiore, oggetti che pendono dall’alto o che sporgono lateralmente (Bortolin & Vitiello, 2004).

Di conseguenza, per quanto ampia possa essere la protezione offerta dall’altezza dei fianchi in giù, non verrà garantita una totale incolumità (figura n. 12).

Figura n. 12 Spazio protetto e spazio non protetto

Figura n. 12 Spazio protetto e spazio non protetto

Le innovazioni in ambito scientifico e tecnologico hanno però offerto la possibilità di sopperire a questa mancanza. La ricerca applicata ha infatti consentito di realizzare dei bastoni atti a rilevare gli ostacoli dal livello del pavimento a quello della testa, aumentando notevolmente il grado di sicurezza negli spostamenti all’esterno.

Si tratta di ausili elettronici per la navigazione, uno dei principali sistemi per la mobilità autonoma. Questi strumenti emettono onde che scannerizzano l’ambiente prossimo e che, una volta ricaptate da appositi congegni, vengono convertite in informazioni codificate, sotto forma di segnali tattili o uditivi (Smith & Penrod, 2010).

Fra i dispositivi ideati negli ultimi anni si citano il bastone ad ultrasuoni e il bastone ad infrarossi (Bhatlawande et al., 2014).

Sfortunatamente, però, nonostante la loro presenza sul mercato, questi strumenti risultano difficilmente vendibili. Per quanto utili possano essere, è chiaro che il costo non irrilevante ed i lunghi tempi di addestramento necessari per imparare a gestirli, anche solo ad un livello base, rendono il loro utilizzo poco conveniente (Dakopoulos & Bourbakis, 2010). Qualsiasi dispositivo ideato per sostituire il bastone bianco dovrebbe non solo diminuire il rischio di collisione contro gli ostacoli, ma essere caratterizzato anche da un uso semplice ed intuitivo.

Le persone ipovedenti e cieche preferiscono quindi, in linea generale, continuare ad affidarsi al tradizionale bastone bianco (Roentgen et al., 2008), non essendo corrisposte in modo completo le loro esigenze.

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Gli  effetti  collaterali  dovuti  all’utilizzo  prolungato delbastone bianco

Le posture e i movimenti ripetuti [Sezione I]

Nel 2001, Mount e colleghi hanno indagato quali sono le posture e i movimenti che ricorrono più frequentemente fra i soggetti con disabilità visiva durante l’impiego del bastone.

Prendendo in considerazione il normale allineamento capo-tronco, si è rilevata la tendenza a protrarre in avanti il capo (traslazione anteriore) e talvolta a fletterlo o ruotarlo. Vi è anche l’abitudine di anteporre le spalle, contribuendo così ad ottenere uno sbilanciamento generale del tronco in avanti. Queste ultime risultano spesso asimmetriche fra loro e ruotate insieme alla parte superiore del tronco verso il lato dove si trova il bastone. Comuni sono inoltre le cifosi dorsali, le lordosi lombari e le scoliosi.

Per quanto riguarda i movimenti selettivi compiuti con la pendolare battuta e la pendolare strisciata si riscontrano: la flesso-estensione del polso, la deviazione ulnare-radiale del polso e la prono-supinazione dell’avambraccio. I segmenti restanti dell’arto superiore mantengono invece una posizione costante.

Infine, Mount e colleghi (2001) hanno affermato che la variabilità posturale e motoria che si riscontra in ciascun individuo durante il cammino con il bastone è minima. Vi è infatti l’abitudine di assumere sempre uno stesso assetto posturale e di eseguire gli usuali movimenti senza apportare modifiche. A lungo andare però una fissità di questo genere potrebbe aumentare il rischio di insorgenza di disordini neuromuscoloscheletrici.

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Danni e benefici [Sezione G]

Nello studio condotto da Gitlin e colleghi (1997) sono state indagate le conseguenze a livello muscoloscheletrico e psicosociale provocate dall’impiego quotidiano del bastone bianco (tabella n. 1).

Tabella n. 1 I danni fisici e psicosociali

Tabella n. 1 I danni fisici e psicosociali

È bene precisare che i dolori fisici accusati da coloro che adoperano l’ausilio coinvolgono il corpo in modo asimmetrico. Si tenga presente che, una volta sviluppata la dominanza di lato, l’arto superiore che sorregge il bastone è solitamente sempre lo stesso. Per evitare affaticamento e indolenzimento del polso, o addirittura la sindrome del tunnel carpale, sarebbe opportuno che i soggetti imparino ad utilizzare il bastone con entrambe le mani. Si rifletta anche sul fatto che la mano che non impugna il bastone viene impiegata costantemente in alcune attività, senza che vi sia un’equa alternanza fra destra e sinistra. Essendo sempre libera, reggerà ogni volta le borse della spesa o trasporterà qualsiasi altro oggetto, sviluppando anch’essa dei dolori localizzati al polso o più generalizzati a tutto l’arto (Mount et al., 1997).

Questi effetti negativi, tuttavia, vengono quasi sempre negati, ignorati o minimizzati a favore dei benefici fisici, psicologici e sociali che derivano dall’autonomia negli spostamenti (Gitlin et al., 1997).

Tabella n.2 I benefici fisici, psicologici e sociali

Tabella n.2 I benefici fisici, psicologici e sociali

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L’affaticamento [Sezione A, G]

Attività impegnative che richiedono uno sforzo psicofisico prolungato per essere eseguite inducono più o meno rapidamente uno stato di stanchezza e riducono le capacità di resistenza del soggetto che agisce.

A tal proposito, il Grande Dizionario Italiano (Garzanti, 2017) propone la seguente definizione: Fatica: s. f. [dal latino fatiga, derivato di fatigare, «prostrare, stancare»] – Stato di stanchezza generato da un’attività, fisica o psichica, intensa oppure prolungata.

L’essere affaticato, altrimenti detto affaticamento, è una sensazione soggettiva di stanchezza, ad insorgenza graduale.

La fatica mentale consiste in un transitorio declino qualitativo delle funzioni cognitive. Essa può manifestarsi attraverso sonnolenza o facilità alla distrazione.

La fatica fisica invece si riferisce all’inabilità di un muscolo a mantenere un'adeguata efficienza funzionale. Più l’attività è impegnativa e l’esercizio fisico intenso, più il muscolo risulta affaticato. Si ricordino l’indolenzimento generale e i dolori localizzati che talvolta insorgono a causa dei movimenti ripetitivi eseguiti quotidianamente per l’impiego del bastone bianco (Gitlin et al., 1997).

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L’attenzione sostenuta e i tempi di permanenza nell’attività [Sezione G] Attenzione sostenuta

Quando un compito richiede uno sforzo cognitivo prolungato è coinvolta quella funzione neuropsicologica che si definisce attenzione sostenuta (Marzocchi et al., 2000). Essa consente di mantenere i livelli di concentrazione elevati per un tempo relativamente lungo, a patto che il compito in questione non sia troppo complesso. Se così non fosse, l’attenzione decadrebbe molto rapidamente, lasciando il soggetto in balia dei distrattori ambientali.

Marzocchi e colleghi (2000) hanno analizzato alcuni aspetti che influenzano l’attenzione sostenuta. Tra di questi si riportano: l’interesse verso l’attività effettuata, l’interazione con una guida che offre ulteriori motivazioni, la capacità di indurre uno stato di allerta adeguato e l’età del soggetto coinvolto nel compito.

La tipologia di attività in corso influisce sulla capacità di sostenere l’attenzione dal momento che, se un compito è ripetitivo e poco stimolante, esso disattiva le risorse cognitive dell’individuo, compromettendo la prestazione attentiva. Se si vuole stimolare l’attenzione sostenuta, soprattutto in età evolutiva, sarà allora importante suscitare l’interesse del soggetto proponendo attività stimolanti e gradevoli.

Anche un contesto interattivo migliora l’attenzione: se il bambino è in rapporto diretto con un’altra persona, ad esempio il terapista, che lo stimola e che ne gratifica l’operato, sarà maggiormente motivato ad impegnarsi per ottenere una prestazione migliore.

A prescindere dagli elementi esterni appena citati va anche considerata la capacità del singolo soggetto di auto indursi uno stato di allerta appropriato e di mantenerlo tale per tutta la durata del compito. Questa capacità di attivare e conservare nel tempo un’adeguata funzione ricettiva si chiama vigilanza. La vigilanza molto spesso dipende da una più generale attivazione fisiol ogica ed è per questo motivo che le persone ipoattivate sono quelle che più difficilmente riescono a reggere l’attenzione per tempi prolungati.

Per concludere, non bisogna dimenticare l’età. L’individuo adulto è sicuramente in grado di sostenere l’attenzione più a lungo di quanto riesca a fare un bambino. Lo sviluppo dell’attenzione sostenuta infatti è un processo che cresce in modo significativo fino al decimo anno di vita, poi in maniera minore. Pertanto, da bambini di età diverse ci si devono aspettare prestazioni attentive differenti.

Tempi di permanenza nell’attività

I tempi di permanenza nell’attività sono ciò che si osserva a livello fenomenologico quando si valutano le capacità attentive dell’individuo. Se un soggetto è in grado di inibire i distrattori ambientali avrà la possibilità di dedicarsi ad un determinato compito per tempi prolungati. Questi ultimi però si riducono non appena emergono difficoltà di concentrazione, tanto da rendere discontinuo l’impegno nell’attività.

Riassumendo, i tempi di permanenza esplicitano una misurazione dell’attenzione sostenuta.

Il training di mobilità autonoma richiede uno sforzo sia fisico che psichico non irrilevante, soprattutto all’inizio. Quando si avvia l’apprendimento di una tecnica risulta difficile concentrarsi sul modo in cui viene gestito il bastone e allo stesso tempo prestare attenzione alle informazioni tattili e sonore provenienti dall’ausilio stesso. Dopo aver impostato la corretta presa sull’impugnatura e dopo aver posizionato adeguatamente il bastone rispetto al corpo, il soggetto cieco dovrà effettuare movimenti selettivi del polso che richiedono competenze neuromotorie elevate e coordinarli con il passo. Muoversi attraverso lo spazio monitorando continuamente gli aspetti appena descritti e allo stesso tempo percepire le informazioni provenienti dall’ambiente non è per certo un compito facile. Ecco perché, quando ancora l’utilizzo del bastone non è stato automatizzato, l’attenzione sostenuta decade abbastanza rapidamente.

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Il cammino

Definizione ed evoluzione

Il cammino è la forma più evoluta di locomozione e consiste nell’esecuzione ripetitiva di una specifica sequenza motoria, atta a garantire la propulsione del corpo nello spazio (Fedrizzi, 2009b). L’unità funzionale spazio-temporale che descrive il cammino si definisce ciclo del passo.

Prendendo in riferimento lo spazio occupato, esso corrisponde alla lunghezza del passo, ovvero la distanza che separa il punto in cui il tallone impatta con il suolo dal punto d’impatto successivo dello stesso piede (figura n. 13).

Secondo un’ottica temporale, esso si può intendere come l’intervallo di tempo che intercorre fra due contatti iniziali successivi dello stesso piede (es. sinistra - destra-sinistra).

Onde evitare fraintendimenti si propone anche la definizione di semipasso. Esso è la distanza che separa il tallone del piede arretrato dal tallone del piede avanzato (figura n. 13).

Figura n. 13 Il passo ed il semipasso

Figura n. 13 Il passo ed il semipasso

L’evoluzione del cammino è un processo complesso e articolato che, attraverso una serie di fasi, conduce il bambino dall’esecuzione di schemi di spostamento prelocomotori alla locomozione indipendente vera e propria.

Quest’ultima si acquisisce fra i 9 e i 18 mesi, con un’ampia variabilità interindividuale. L’apprendimento dello schema maturo di deambulazione, però, richiede tempi lunghi e si completa soltanto intorno all’età di 7 anni, quando il bambino sviluppa anche la capacità di modificare le caratteristiche del proprio cammino a seconda delle diverse situazioni (Fedrizzi, 2009a).

I bambini normovedenti di circa 1 anno e mezzo presentano uno schema di deambulazione immaturo, caratterizzato da una lunghezza del passo minore, una larghezza del passo maggiore, un angolo del passo quasi azzerato, una velocità di cammino ridotta e un’assente oscillazione alterna degli arti superiori, posizionati in guardia alta.

Solo dopo il secondo anno di vita il passo si allunga, l’abduzione delle anche diminuisce con conseguente base d’appoggio meno ampia, il piede tocca terra con atteggiamento in rotazione esterna, il cammino si fa più veloce e gli arti superiori si abbassano gradualmente, cominciando ad oscillare (Fedrizzi, 2009a).

Per quanto riguarda il bambino con deficit visivo, l’età media di acquisizione del cammino è di circa 20 mesi, anche in questo caso con una variabilità interindividuale molto estesa. Alcuni bambini raggiungono il cammino già a 12-13 mesi, secondo i tempi previsti dallo sviluppo fisiologico, altri, a 30-32 mesi, senza comunque che vi siano danni concomitanti intellettivi o fisici (Celani, 2005).

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Gli aspetti peculiari del cammino nei soggetti ciechi [Sezione H]

Lo schema del cammino nei soggetti con disabilità visiva congenita differisce spesso da quello delle persone normovedenti (Rosen, 2010).

Gli aspetti peculiari della deambulazione dei soggetti con cecità si possono riassumere prendendo in considerazione i parametri valutativi spazio-temporali del cammino (Fedrizzi, 2009b; Gazzellini et al., 2016):

  • Lunghezza del passo ridotta - La lunghezza del passo equivale alla distanza che intercorre fra due impatti successivi dello stesso piede con il suolo. Le persone con cecità presentano spesso una ridotta lunghezza del passo, attribuita principalmente alla paura di entrare in collisione con degli ostacoli.
  • Larghezza del passo aumentata - Questo parametro è definito dalla distanza che separa i piedi sul piano perpendicolare alla direzione di cammino. L’aumento della larghezza del passo consiste in un compenso funzionale, volto ad ampliare la base d’appoggio e, di conseguenza, ad ottenere più stabilità.
  • Angolo del passo maggiore - Questo parametro corrisponde all’angolo in gradi che l’asse longitudinale del piede, nel suo atteggiamento globale di rotazione esterna, forma con la linea di progressione del cammino. È stato osservato che le persone cieche collocano il piede a terra con un angolo del passo superiore a 15°. Anche questa è una strategia volta ad aumentare la base di appoggio.
  • Velocità del cammino rallentata e cadenza ridotta - Questi valori sono dettati dal fatto di non poter prevedere cosa si incontrerà lungo il proprio cammino. In un’indagine condotta da Johnson e colleghi (1998) è stata misurata la quantità di passi compiuti in un minuto dai soggetti con disabilità visiva e confrontata con quella dei soggetti normovedenti. Dai risultati emerge che, nelle persone con cecità, la frequenza è inferiore di indicativamente 10 passi. Quanto osservato è attribuibile alla maggior prudenza che i soggetti con deficit visivo adottano durante il cammino.
  • Oscillazione alternata degli arti superiori assente - Questa assenza è probabilmente dovuta al fatto che, durante il cammino, vi è una certa tensione emotiva che induce il soggetto a mantenere gli arti superiori in una posizione fissa (Rosen, 2010). Inoltre, se gli spostamenti vengono eseguiti in autonomia impiegando il bastone, una mano gestisce l’ausilio e quella controlaterale sorregge probabilmente borse o altri oggetti.
  • Deviazioni di traiettoria - La traiettoria è quella linea immaginaria che si ottiene congiungendo i punti nello spazio occupati dal corpo in movimento. Durante il cammino possono verificarsi dei cambiamenti di rotta che consistono in una qualsiasi deviazione da un percorso predefinito (Kallie et al., 2007). È chiaro che il sistema visivo riveste un ruolo determinante nel monitorare la direzione del proprio cammino. Pertanto, quasi tutta la popolazione di disabili visivi ha la tendenza a deviare dal proprio percorso (Kallie et al., 2007). Il soggetto cieco dovrà sviluppare la capacità di mantenere la propria traiettoria, sfruttando il più possibile le informazioni uditive, vestibolari e propriocettivo- cinestesiche.
  • Ridotta fluenza dei movimenti - La fluenza è un parametro qualitativo presente nel protocollo GMPM4, messo a punto dal Gruppo Italiano Paralisi Cerebrale Infantile G.I.P.C.I. Con il termine fluenza si intende la capacità del bambino di modulare le sequenze motorie, così da ottenere un’esecuzione fluida e armonica dei movimenti (Fedrizzi, 2009b). Nel cammino di un individuo cieco la fluenza o fluidità dei movimenti è influenzata da una componente emotiva. Durante gli spostamenti autonomi vengono a delinearsi stati d’ansia più o meno intensi, dovuti alla paura di inciampare a causa di una buca non rilevata, di cadere e farsi male o di urtare violentemente contro degli oggetti (Rosen, 2010). Non essendo sempre garantita la possibilità di prevedere dei cambiamenti di superficie o degli ostacoli, nei soggetti ciechi si instaura uno stato di allerta che potrebbe causare rigidità muscolare e, conseguentemente, rendere i movimenti meno fluidi. La ridotta fluidità si osserva non solo rispetto allo schema del passo, ma anche nei movimenti di oscillazione impressi al bastone bianco.

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Il tono muscolare del bambino cieco [Sezione I]

Molti bambini con cecità congenita presentano una generalizzata ipotonia, percepibile attraverso il contatto corporeo e osservabile quando, posizionati proni, faticano a reclutare la muscolatura responsabile del raddrizzamento del capo. Anche nelle fasi successive dello sviluppo risulterà per loro difficile assumere posture che conducono alla verticalità, per la difficoltà a contrastare la forza gravitazionale (Rosen, 2010).

Questa diffusa riduzione del tono induce i bambini ad attuare compensi posturali come, ad esempio, un’eccessiva elevazione delle spalle, per meglio contenere il rachide cervicale ed ottenere maggior stabilità del capo durante qualsiasi movimento effettuato con gli arti superiori.

Il prolungato ricorso a tali compensi potrebbe però, in un secondo momento, interferire con lo sviluppo del cammino, alterandone gli schemi motori e l’equilibrio.

Una possibile spiegazione che giustifica questa alterazione del tono è che la povertà o l’assenza di stimolazioni visive fin dai primi mesi di vita causa un ritardo significativo nella sperimentazione del movimento. Vi sarà non solo una ridotta consapevolezza propriocettiva e cinestesica ma anche una carente attivazione tonica.

Inoltre, la tendenza alla staticità del bambino cieco crea nei genitori l’abitudine di trasportarlo in braccio, rinforzando l’atteggiamento di passività invece di incentivare il piccolo al movimento (Rosen, 2010).

Il ridotto tono muscolare e la scarsa consapevolezza dello schema corporeo, dovuta all’ipostimolazione del sistema propriocettivo-cinestesico, causano spesso l’incapacità di effettuare movimenti isolati di specifici segmenti corporei (Mount et al., 2001). Ad esempio, la difficoltà nell’eseguire la flesso-estensione selettiva del polso richiesta durante l’impiego del bastone bianco potrebbe ostacolare l’apprendimento corretto della tecnica pendolare. Non a caso si osserva spesso che i bambini, invece di attivare soltanto l’articolazione interessata, muovono l’intero arto superiore (Rosen, 2010).

Dal punto di vista neuropsicomotorio il tono viene definito come il principale informatore della relazione del soggetto con il mondo (Berti et al., 1988).

Esso non assume soltanto una valenza comunicativa affettivo-emozionale durante le interazioni con altre persone, ma è anche indicativo della qualità del rapporto del soggetto con l’esterno oggettuale, ovvero con gli elementi in esso presenti.

Si parla infatti di regolazione tonica quando ci si riferisce alla capacità dell’individuo di modificare il proprio tono rispetto ad un’azione o un oggetto (Berti et al., 1988).

In linea generale, l’ipotono è fisiologicamente e culturalmente connesso con la stasi, l’assenza, la passività, l’indifferenza, ma anche con uno stato di sicurezza, benessere e abbandono. L’ipertono invece è correlato ad una notevole attivazione motoria, ad una forte partecipazione emotiva, ad uno stato positivo di tensione verso qualcosa, ma anche ad una condizione di allerta e ipervigilanza, ansia ed insicurezza (Berti et al., 1988).

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Le attività motorie involontarie [Sezione J]

Stereotipie

Le stereotipie motorie consistono nella ripetizione invariata di movimenti apparentemente afinalistici. In realtà si tratta di comportamenti volti all’auto- stimolazione che, determinando un completo assorbimento, impediscono al bambino di impiegare le sue energie per attività finalizzate al raggiungimento di un obiettivo specifico (Rosen, 2010).

Fra i comportamenti stereotipati più comuni che si osservano nei bambini ciechi si trovano: i dondolamenti, gli avvitamenti, gli scuotimenti del capo e i così detti blindismi (McHugh, 1999).

I dondolamenti consistono nell’effettuare delle traslazioni ripetitive di carico da un emisoma a quello controlaterale; gli avvitamenti si eseguono in stazione eretta e si ottengono ruotando freneticamente su se stessi, intorno al proprio asse verticale; gli scuotimenti del capo non sono altro che movimenti della testa compiuti sui vari assi.

I blindismi, invece, sono quei comportamenti volti a stimolare il sistema visivo. Il più comune si chiama eye poking e si osserva quando il bambino porta le mani al volto ed effettua una pressione sui bulbi oculari. Potrebbe essere che, a causa dei frequenti interventi chirurgici, ci sia un’infiammazione cronica in zona oculare e che l’azione di premere i bulbi arrechi sollievo. Tuttavia è più probabile che l’eye poking venga eseguito per ottenere la comparsa dei fosfeni, fenomeno ottico che consiste nella percezione sulla retina di anomali punti luminosi, bagliori o scintille.

È interessante notare che le più frequenti stereotipie coinvolgono i sistemi vestibolare, propriocettivo-cinestesico e visivo. Si suppone che questo accada perché vi è una ricerca, da parte del bimbo cieco, di quelle stimolazioni che un coetaneo vedente riceve tramite le esperienze motorie spontanee (Rosen, 2010). Il bambino con deficit visivo dimostra riluttanza quando gli viene chiesto di spostarsi nello spazio; pertanto egli, senza dover abbandonare la propria postazione, preferirà dondolare o a girare su se stesso, fornendo al proprio corpo piacevoli stimolazioni sensoriali.

Ad ogni modo, una volta avviate le prime sperimentazioni di spostamento e raggiunta una successiva autonomia di cammino, le stereotipie con stimolazione soprattutto vestibolare e propriocettivo-cinestesica dovrebbero diminuire, fino a scomparire del tutto.

Sincinesie fra normalità e patologia

Un ulteriore aspetto da considerare quando si valuta il cammino del soggetto cieco è costituito dalle sincinesie, attività motorie involontarie concomitanti ad altre volontarie, che coinvolgono un distretto corporeo differente (Fedrizzi, 2009b).

Nell’ambito della patologia le sincinesie rientrano fra i disordini del movimento e suggeriscono un’immaturità del sistema nervoso centrale.

Si distinguono in movimenti associati, quando ad esempio la flessione dell’arto superiore evoca la flessione dell’arto inferiore omolaterale e movimenti speculari, quando un movimento di un arto viene riprodotto dall’arto controlaterale.

Questi movimenti involontari però esistono anche in forma fisiologica e si riscontrano sia in età evolutiva che adulta (Soubiran e Coste, 2009).

Le sincinesie di imitazione consistono nella riproduzione di un movimento, o in un accenno di esso, nell’emisfero corporeo non impegnato nell’atto volontario. Fanno parte del naturale processo maturativo dell’individuo e solitamente si attenuano intorno all’età di 9 anni, per poi scomparire definitivamente a 12.

Le sincinesie a diffusione tonica invece nascono da un coinvolgimento emotivo particolarmente intenso in un’attività. Spesso, livelli elevati di concentrazione inducono una diffusione tonica dal segmento corporeo impegnato nell’esecuzione di un movimento ad un altro segmento non interessato. Questo fenomeno si osserva anche nell’individuo adulto impegnato in un compito che potrebbe determinare uno stato emotivo di tensione. Nella parte pratica di questo elaborato si vedrà come l’elevato impegno richiesto durante il cammino con il bastone bianco evochi sincinesie a diffusione tonica.

A seconda di dove sono localizzate, le sincinesie si distinguono in:

  • assiali, quando coinvolgono la bocca o più in generale il viso;
  • omolaterali, se si collocano nello stesso emisoma che compie il movimento volontario;
  • controlaterali, quando si manifestano nell’emisoma opposto a quello che si attiva volontariamente.

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L’introduzione del bastone bianco in età evolutiva

La precocità dell’intervento

Qual è il momento più adatto, durante gli anni dell’infanzia, per avviare un training specifico mirato all’utilizzo dell’ausilio? L’epoca in cui introdurre il bastone bianco è divenuta fonte di grande dibattito fra gli specialisti di orientamento e mobilità e i genitori dei bambini ciechi (Clarke, 1992).

Negli ultimi anni si sono delineate due contrastanti modalità di intervento. Se da una parte, alcuni istruttori, ritengono che il bastone debba essere introdotto già in epoca prescolare, dall’altra si reputa più appropriato proporre l’ausilio durante gli anni di scuola elementare e non prima.

Coloro che sono a favore di un intervento precoce sostengono fermamente che anche il bambino in prima e seconda infanzia abbia il diritto e la necessità di sperimentare gli spostamenti attraverso l’ambiente, da solo e in sicurezza. Se egli è sempre accompagnato per mano, situazione che spesso evolve in un vero e proprio trascinamento, verrà a mancare la possibilità da parte del piccolo di stabilire una distanza fisica fra sé e il genitore. In tal modo sarà involontariamente ostacolato il naturale processo di separazione-individuazione e soffocata la ricerca di una propria indipendenza motoria (Lis et al., 1999).

Appurata la veridicità di questa constatazione, il problema che emerge riguarda l’immaturità neuromuscolare del bambino piccolo e i conseguenti limiti che si incontrerebbero nella gestione del bastone bianco. Per fronteggiare questo problema sono stati ideati e realizzati ausili alternativi, definiti dispositivi adattati di mobilità5.

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I dispositivi adattati di mobilità

Smith e Penrod (2010) riferiscono che il ricorso temporaneo ai dispositivi adattati di mobilità si verifica quando la capacità di gestire il bastone non è ancora sufficientemente sviluppata, ovvero in età evolutiva. Anche il declino delle abilità motorie che incorre in epoca senile richiede l’impiego di ausili alternativi, le cui modalità di utilizzo risultano accessibili alla persona anziana.

Questi dispositivi infine, per l’uso semplice ed intuitivo che li caratterizza, vengono utilizzati a tempo indeterminato in presenza di una pluridisabilità che, oltre al deficit visivo, include compromissioni intellettive e/o fisiche (Smith & Penrod, 2010).

L’immediatezza con cui si adoperano deriva dal fatto che è sufficiente spingerli in avanti nella direzione di cammino, senza avvalersi di alcuni aspetti invece indispensabili per gestire il bastone bianco, come la selettività e la coordinazione dei movimenti e la regolazione della forza muscolare (Smith & Penrod, 2010).

I dispositivi adattati di mobilità a cui si ricorre in età evolutiva vengono definiti pre-bastone. Questo termine sottolinea la loro funzione di precedere l’uso del bastone vero e proprio, quando ancora il bambino non ha sviluppato le abilità necessarie per attuare nel modo più corretto possibile le varie tecniche. Si tenga presente che, a causa dell’immaturità neuromuscolare, la padronanza completa dell’ausilio verrà raggiunta solo in età adolescenziale; è pertanto sbagliato pretendere che in epoca prescolare e durante i primi anni della scuola elementare il bastone bianco sia adoperato esattamente come avviene nell’individuo adulto (www.orientamentomobilita.it (b)).

Esistono due categorie di dispositivi adattati di mobilità, a seconda che la loro forma ricordi o meno quella del bastone bianco (www.familyconnect.org). Essi sono i bastoni a doppia punta o doppia ruota e i dispositivi adattati di forma rettangolare.

I bastoni a doppia punta o doppia ruota sono costituiti essenzialmente da un’asta cilindrica che, nella porzione terminale, è dotata di una barra a T. Alle estremità essa presenta delle piccole punte rotanti, utili per muoversi negli spazi interni, o delle ruote un po’ più grandi, adatte per gli spostamenti in ambiente esterno (figura n. 14).

Figura n. 14 Bastone a doppia punta per interno Figura n. 14 Bastone a doppia ruota per esterno

Figura n. 14 Bastone a doppia punta per interno e a doppia ruota per esterno

I dispositivi adattati di forma rettangolare, come suggerisce il nome stesso, sono costituiti da quattro segmenti contigui, disposti perpendicolarmente a formare un rettangolo. Questi dispositivi vengono sorretti posizionando entrambe le mani sul lato di lunghezza minore; sul lato opposto si trovano due punte rotanti o due ruote, a seconda degli ambienti in cui ci si deve muovere. La struttura nel suo complesso è studiata affinché sia garantita la protezione del corpo, da fianco a fianco (figura n. 15).

Figura n. 15 Dispositivo adattato di forma rettangolare, con punte rotanti a sinistra e con ruote a destra.

Figura n. 15 Dispositivo adattato di forma rettangolare, con punte rotanti a sinistra e con ruote a destra.

La funzione di precedere l’uso del bastone bianco è svolta anche da altri strumenti, come il pre-bastone Brambring e i giocattoli a spinta.

Il pre-bastone Brambring (Brambring, 2004) somiglia molto, per forma e dimensioni, al bastone bianco. È costituito da un’impugnatura a T con presa bimanuale e da un’unica asta, dotata all’estremità di una rotellina monodirezionale (figura n. 16).

Figura n. 16 Il pre-bastone Brambring

Figura n. 16 Il pre-bastone Brambring

Anche i giocattoli a spinta, a prescindere dalla loro primaria funzione di intrattenimento, si interpongono fra il corpo del bambino e gli elementi dell’ambiente circostante.

Ai bambini ancora interessati alla componente sensoriale dell’oggetto, si possono proporre dei bastoni giocattolo con all’estremità un elemento facilmente riconoscibile, il più delle volte un animaletto (figura n. 17).

Figura n. 17 Giocattolo a spinta

Figura n. 17 Giocattolo a spinta

Camminando attraverso una stanza o lungo un corridoio, il bambino spinge davanti a sé questo bastone, attivando un congegno che produce il verso dell’animale o una canzoncina.

Fra i giocattoli a spinta più annoverati per i bambini che già accedono al gioco simbolico, si ricordano invece il passeggino delle bambole, il carrello della spesa e il taglia erba (www.familyconnect.org), illustrati in figura n. 18.

Due sono essenzialmente i vantaggi dati dall’impiego di questi giocattoli.

In primo luogo sono facilmente reperibili; in secondo luogo, il loro aspetto rende molto meno evidente la disabilità del bambino che li sta adoperando (Clarke, 1992).

Figura n. 18 Passeggino delle bamboleFigura n. 18 carrello della spesaFigura n. 18 taglia erba

Figura n. 18 Passeggino delle bambole, carrello della spesa, taglia erba

Grazie ad uno studio condotto da Clarke e colleghi (1994), si è giunti alle seguenti conclusioni:

  • Dal momento che le competenze per la gestione del pre-bastone non sono innate, è importante che al bambino sia garantita un’istruzione adeguata. Tuttavia, grazie al suo utilizzo semplice ed intuitivo, il periodo richiesto per apprendere la sua gestione sarà sicuramente limitato.
  • Il bambino in età prescolare è in grado di apprendere la più semplice tecnica d’uso del bastone bianco (tecnica diagonale), ma quest’ultimo verrà inevitabilmente gestito in modo approssimativo. Pertanto, nei primi anni di vita, le migliori prestazioni in termini di rilevazione degli ostacoli o di variazioni di superficie si otterranno con il pre-bastone.
  • Data al bambino la possibilità di scegliere se adoperare il bastone o il pre- bastone, emerge una significativa preferenza per il secondo. Questa è indicativa di un minore dispendio energetico e un ridotto affaticamento, legati all’impegno necessario per la gestione dell’ausilio.
  • È stata effettuata un’indagine con lo scopo di indagare quale fosse l’opinione dei genitori riguardo la proposta del pre-bastone in età prescolare. Dall’interpretazione dei dati ottenuti, si è registrata una generale soddisfazione, con apprezzamenti e commenti positivi sulla rapidità con cui i figli hanno appreso le modalità d’uso dell’ausilio e hanno cominciato a muoversi in autonomia molto più di frequente.

Ad ogni modo, si ritiene che in età evolutiva l’istruzione all’utilizzo di un ausilio per la mobilità debba includere sia un dispositivo adattato, sia il bastone bianco. Il bambino potrà così sfruttare il primo per effettuare gli spostamenti quotidiani, il secondo cominciare familiarizzare con l’ausilio che lo accompagnerà per il resto della vita (Skellenger e Sapp, 2010).

Ecco perché dovrebbe essere garantita, già in età prescolare, l’opportunità di conoscere il bastone, di esplorarlo con le mani e di nominare le parti che lo compongono.

In età scolare invece, nonostante le capacità neuromuscolari del bambino ancora non del tutto mature, sarà possibile illustrare l’impostazione di base da assumere durante qualsiasi spostamento (presa e posizione dell’impugnatura) ed introdurre le principali tecniche, sperimentandole in ambienti interni ed esterni, conosciuti e sconosciuti. Si proporranno attività che sostengano lo sviluppo di determinate competenze, quali la percezione del mondo attraverso le informazioni tattili e sonore fornite dall’ausilio e l’attivazione di risposte comportamentali adeguate (Fazzi e Naimy, 2010).

A questo punto il ragazzino che si iscriverà alla scuola superiore avrà già acquisito le conoscenze di base per procedere con l’apprendimento dei principi fondamentali della mobilità autonoma. Durante l’adolescenza verranno pertanto affinate tutte le conoscenze introdotte durante l’infanzia, fino ad ottenere una totale padronanza dell’ausilio (www.orientamentomobilita.it (c)).

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L’integrazione del bastone bianco nello schema corporeo [Sezione K]

Lo schema corporeo consiste nella rappresentazione mentale del proprio corpo ed è un concetto che si acquisisce prevalentemente durante il corso dell’infanzia (Vecchiato, 2012).

Il livello di maturazione neurale, raggiunto quando il processo di mielinizzazione delle fibre nervose si conclude, favorisce l’evolvere di sensazioni corporee diffuse in percezioni sensoriali molto precise e ben localizzate.

Come sottolinea Vecchiato (2012), questo passaggio evolutivo è parallelamente sostenuto dalle esperienze senso-motorie che il bambino sperimenta nei primi anni di vita. È appunto il gioco senso -motorio che guiderà il piccolo alla scoperta del proprio corpo, non solo in riferimento alle singole parti che lo costituiscono e all’unità corporea globale in cui sono integrate, ma anche come strumento di esplorazione e conoscenza del mondo, nonché di relazione.

Il bambino acquisirà la consapevolezza dei propri confini corporei, creando un’immagine di sé ben definita. Imparerà inoltre a capire come il suo organismo percepisce e agisce, interiorizzando uno specifico modello di funzionamento (Vecchiato, 2012).

Da quanto appena riportato, si deduce che l’organizzazione progressiva dello schema corporeo consiste nella costruzione di una globalità dell’essere. Il bastone bianco, pertanto, essendo uno strumento indispensabile per consentire la mobilità autonoma, dovrà appartenere a questa globalità.

L’ausilio diverrà un’estensione sensoriale di tatto e udito, andando incontro ad un processo inconsapevole di progressiva incorporazione (Barland, 2007).

A tal proposito, Berthoz (1998) afferma che “il cervello è in grado di costruire un’estensione spazialmente corretta del corpo…” e così come “l’automobilista sente le ruote al suolo, ed è ben noto che i piloti sentono le ruote dell’aereo all’atterraggio come si trattasse dei loro piedi”, il disabile visivo percepisce il mondo attraverso il suo bastone, come se quest’ultimo fosse un prolungamento fisico dell’arto superiore.

Una volta inserito nella vita di tutti i giorni, l’ausilio diventa parte integrante dello schema corporeo e dello spazio personale. A questo punto, l’identità del soggetto non sarà più completa senza di esso. A supporto di quanto appena affermato, si riporta la testimonianza di una donna cieca intervistata da Barland (2007): “la scorsa settimana ho dimenticato il bastone a lavoro (…). Il fatto è che tutti i miei vicini sono abituati a vedermi con il bastone e quindi ho pensato: cosa staranno pensando di me adesso? Ora che sto camminando senza il bastone? Penseranno forse che li ho presi in giro per tutto questo tempo? Quindi ora ne tengo uno di riserva a casa. Così, se mi dovesse ricapitare di dimenticarlo, non mi ritroverò in questa situazione. Adesso che ho imparato ad usarlo mi sento molto più in imbarazzo quando sono senza”.

L’integrazione del bastone nello schema corporeo è un processo che richiede tempi prolungati. Prima ancora di divenire parte sostanziale della propria identità, il bastone potrà essere percepito come un indumento da indossare abitualmente ogni volta che si esce di casa. Attraverso una breve ma esemplificativa citazione, Zini (www.orientamentomobilita.it (c)) afferma: “Il bambino indossa il cappotto, prende la cartella, afferra il bastone e via a scuola!”.

Con il tempo l’ausilio non sarà più inteso soltanto come elemento accessorio del proprio vestiario, bensì vissuto come componente essenziale della propria globalità.

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Il bastone bianco come simbolo di cecità [Sezione K]

Nel 1984, in seguito a numerose campagne di sensibilizzazione, la World Blind Union dichiarò il bastone bianco simbolo universale della cecità (www.studio-in.org (b)), con funzione segnalativa e di riconoscimento delle persone affette dalla disabilità visiva (Bortolin & Vitiello, 2004).

Questo segno distintivo ha inevitabilmente innescato, da parte della società, una serie di atteggiamenti e comportamenti definiti “speciali”. La diversità degli individui che camminano con il bastone bianco è sottolineata per l’appunto da quelle particolari attenzioni che vengono loro riservate (Welsh, 2010).

Purtroppo, questo segno distintivo non voluto, ha importanti ripercussioni sullo stato psico-emotivo dei soggetti disabili.

Coloro che viaggiano con l’accompagnatore o che sono affiancati dal cane guida, potrebbero apparire cittadini qualsiasi in piacevole compagnia, così come persone qualunque a passeggio con il proprio animale domestico. Ricorrere a questi sistemi per la mobilità, diventa allora una valida strategia per evitare sensazioni di disagio spesso causate dal bastone bianco (Barland, 2007).

Nel suo elaborato, la Barland (2007), riporta le parole di uno degli intervistati: “Quando cammino con il bastone bianco mi sento molto cieco. Percepisco che chiunque intorno a me si accorge che non sono in grado di vedere. Quando cammino con il mio cane invece mi sento meno esposto, mi sento un po’ più anonimo”.

Emerge con chiarezza il fatto che, spesso, il soggetto con deficit visivo preferisca nascondere la propria condizione per proteggersi dall’essere considerato e trattato diversamente.

Le persone normovedenti, infatti, faticano a discostarsi dallo “stigma sociale” imposto al soggetto disabile.

Quando incontrano per strada un cieco, la loro attenzione è rivolta quasi esclusivamente alla disabilità, come se questa fosse la caratteristica principale del soggetto che hanno davanti. Non è immediato comprendere che, al di là del deficit visivo, quella persona conduce un’esistenza normale. Pertanto, accade che i normovedenti si avvicinino allo sconosciuto per offrirgli il loro aiuto e ricevano in risposta un “No, grazie!”. Affermazione, questa, che lascia interdetti. Ciò accade perché non vengono soddisfatte le aspettative sociali o, in altre parole, perché viene contraddetta la convinzione che il disabile sia sempre in una posizione di svantaggio e che necessiti a prescindere di un supporto (Barland, 2007).

Se il cieco cammina per le strade dimostrando un completo controllo della situazione e si ritrova a fronteggiare circostanze come quella appena descritta, dovrà sopportare l’ennesimo episodio frustrante. Ottenere l’autonomia negli spostamenti è fonte di grande soddisfazione e permette di nutrire una maggior fiducia in se stessi. In tal modo la persona cieca crea un’immagine positiva di sé, che la connota come individuo efficiente. Tuttavia, se la società continua a sottolineare il deficit visivo e a percepire il cieco in un modo diverso da quello in cui egli stesso si percepisce, risulterà un’ardua impresa continuare ad attribuirsi l’identità di soggetto funzionante costruita con grande fatica. Il divario fra l’identità attribuita dalla società e l’autopercezione è un fenomeno che ostacola fortemente l’accettazione della propria condizione (Barland, 2007).

Nonostante quanto riportato fin d’ora, è importante ricordare che il bastone è una forma di tutela per il soggetto cieco (Barland, 2007).

Alcune persone utilizzano il bastone bianco con serenità e anzi, spesso sfruttano a loro vantaggio i comportamenti altrui indotti dallo stigma sociale. Quando il soggetto con disabilità visiva deve camminare in un luogo affollato o attraversare una strada trafficata, adopera sempre il suo bastone. In tal modo, gli altri pedoni e gli automobilisti presteranno più attenzione al viaggiatore cieco, adeguando alla situazione il loro comportamento e preservandone così l’incolumità.

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L’accettazione del bastone bianco [Sezione K]

Il rifiuto del bastone bianco in quanto simbolo di cecità

Dal momento che il bastone bianco conclama la disabilità visiva, molte famiglie assumono atteggiamenti refrattari e non accettano che il congiunto, bambino, ragazzo o adulto che sia, utilizzi l’ausilio. Il rifiuto del bastone da parte dei famigliari o del disabile stesso, a volte è indice della sottostante difficoltà ad ammettere il deficit visivo. Altre volte, invece, è determinato semplicemente da una carenza informativa, che spinge le persone a non ricorrere all’ausilio solo perché non ne conoscono l’utilità e i vantaggi.

La Gargiulo (2010), psicologa, riferisce che più di una volta i suoi pazienti hanno dichiarato di non usare il bastone, perché viaggiano sempre accompagnati. Senza domandarsi se non si faccia ricorso al bastone perché è disponibile un accompagnatore, o se ci si procuri l’accompagnatore perché non si è in grado di utilizzare il bastone, entrambe le situazioni offrono al disabile poca possibilità di ottenere una propria autonomia.

Se un soggetto con disabilità visiva è in grado di gestire adeguatamente il bastone, potrà coglierne l’utilità e trarne grande vantaggio, sia dal punto di vista della propria incolumità, sia rispetto alla fiducia nelle competenze personali, sia per quanto riguarda l’autonomia di spostamento (Welsh, 2010).

La consapevolezza di tutti questi aspetti a favore dell’utilizzo del bastone, renderanno più facile l’accettazione dello stesso, per quanto esso segnali inequivocabilmente la disabilità visiva.

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Riflessioni sulla crisi adolescenziale e sulla reintegrazione del bastone bianco nell’immagine di Sé

L’adolescenza viene spesso paragonata ad una nuova nascita e presuppone un percorso di riadattamento, in quanto l’equilibrio raggiunto durante l’infanzia viene perturbato da una serie di fenomeni riguardanti l’identità e le relazioni extra familiari (Chiarelli, 2012).

In questa delicata fase della vita il ragazzo cieco o ipovedente è costretto a reintegrare la sua disabilità visiva, anche quando essa è congenita, con la nuova identità. La definizione di un Sé maturo avviene grazie alle esperienze condotte in contesti sociali diversi da quello abituale della famiglia e grazie alle nuove relazioni instaurate con i pari. È proprio nel rapporto con l’altro che si rafforza la propria identità, attraverso l’individuazione di somiglianze e differenze.

Talvolta questo processo potrebbe sfociare in vissuti depressivi e bassa stima di sé, soprattutto per il ragazzo disabile, perché è dal confronto con i coetanei sopra citato che riemerge violentemente la propria diversità (Chiarelli, 2012).

Situazione, questa, ancora più difficile da affrontare se il deficit visivo è stato accettato solo in parte dalla famiglia. Alcuni genitori non sono in grado di elaborare la loro  ferita narcisistica ed  il lutto per la perdita del figlio normovedente desiderato e questo dolore non del tutto metabolizzato impedisce loro di sostenere nel modo migliore il figlio adolescente.

Chiarelli (2012) si sofferma infine sull’importanza che riveste l’integrazione della disabilità nell’immagine di sé nell’inserimento in un gruppo sociale. Se il deficit visivo non viene accettato potrebbero emergere comportamenti persecutori nei confronti dei coetanei, alimentati dalla convinzione eccessiva e irrealistica che siano gli altri a vivere negativamente la disabilità del compa gno. È dunque evidente quanto la percezione di sé contribuisca alla riuscita o all’insuccesso dell’inserimento sociale, aspetto di significativa importanza quando si considera qualitativamente lo sviluppo della persona.

In ultima analisi è opportuno sottolineare che la ridefinizione della propria immagine corporea richiede che il bastone bianco venga accettato una seconda volta come parte integrante di sé. Nonostante l’interiorizzazione dell’ausilio sia avviata in giovane età, spesso la crisi adolescenziale destabilizza l’equilibrio precedentemente raggiunto e provoca atteggiamenti di disprezzo e comportamenti di rifiuto verso il proprio bastone. A tal proposito Barland (2007) afferma che il bastone non è l’accessorio più popolare fra gli studenti di una scuola superiore, soprattutto considerata l’importanza che si attribuisce al proprio aspetto esteriore in questa fase della vita. L’ausilio simboleggia la disabilità visiva, la connota inequivocabilmente e per questo risulta difficile utilizzarlo con disinvoltura, soprattutto se il desiderio di essere come i coetanei è forte (Gargiulo, 2010).

Ecco perché l’introduzione del bastone durante l’infanzia assume un ruolo importante nel facilitare la sua riaccettazione in adolescenza. Se l’ausilio viene proposto nei primi anni di vita il bambino avrà la possibilità di familiarizzare con esso e un po’ alla volta di renderlo un elemento indispensabile nella vita di tutti i giorni (Skellenger & Sapp, 2010). Inoltre, se viene adoperato con regolarità e in contesti diversi permette al bambino di coglierne l’utilità. Sarà allora più facile per l’adolescente fronteggiare il repentino e temporaneo rifiuto dell’ausilio, ricordandogli che fino a poco prima il bastone era importante tanto quanto le scarpe indossate per uscire di casa (www.orientamentomobilita.it) e sottolineandogli la sua utilità nel rilevare le disposizioni ambientali e nel consentire una mobilità sicura (Blasch et al., 1996).


  • 1 Tradotto letteralmente da sternum method
  • 2 Acronimo di range of motion
  • 3 Tradotto da ETAs, acronimo di Electronic Travel Aids
  • 4 Acronimo di Gross Motor Performance Measure
  • 5 Tradotto da AMDS, acronimo di Adaptive Mobility Devices

 

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