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IL LEGAME DI ATTACCAMENTO MADRE-BAMBINO - L’ATTACCAMENTO INSICURO

IL LEGAME DI ATTACCAMENTO MADRE-BAMBINO

Il termine attaccamento rappresenta il calco della parola inglese “attachment” la cui declinazione “to attach” assume il significato di “affezionarsi a…”. Appare evidente, dunque, che con il suddetto si faccia riferimento a quella particolare relazione che si instaura, già dai primi mesi di vita, tra il bambino e la persona che, fisicamente ed emotivamente, si prende cura di lui, il cosiddetto caregiver.  Questo, nella quasi totalità dei casi, è un ruolo che viene ricoperto dalla madre del piccolo.

La natura del legame di attaccamento

Il primo ad occuparsi dello studio delle relazioni di attaccamento fu John Bowlby, il quale, nella seconda metà del 1900, ne sottolineò l’importanza nell’ambito dello sviluppo psico-affettivo del bambino ed analizzò le conseguenze dei diversi stili di attaccamento in relazione alle dinamiche emotivo- comportamentali del bambino in età evolutiva e da adulto.

Bowlby teorizza l’attaccamento come un sistema motivazionale primario, ovvero una predisposizione biologica del bambino verso chi si prende cura di lui. La sua funzione biologica è, dunque, quella di garantire la sopravvivenza, mentre quella psicologica è di ottenere un senso di sicurezza interna, attraverso il contatto e la prossimità fisica. Infatti, il legame di attaccamento ha, per il bambino, una duplice valenza: garantisce, come afferma lo stesso Bowlby, sopravvivenza dal punto di vista pratico del termine, e consente di individuare nella figura di attaccamento una base sicura, dove sentirsi protetti, accuditi e amorevolmente confortati. La prima funzione consiste nella capacità del legame stesso di fornire al bambino tutte quelle cure, quali protezione dai pericoli provenienti dall’ambiente esterno e soprattutto soddisfacimento del bisogno di alimentarsi. L’attaccamento al seno materno, infatti, permette in prima istanza di nutrire il lattante, e soprattutto aumenta la compliance della diade madre-bambino intensificandone l’affinità ed il legame.

Ai fini della realizzazione e del mantenimento del legame di attaccamento, il bambino, in maniera del tutto innata, grazie all’eredità di un patrimonio socio-biologico, mette in pratica una serie di comportamenti di attaccamento o di segnalazione quali:

  • sorriso sociale (a partire dalle 10-12 settimane);
  • pianto a valenza comunicativa (per esprimere uno stato di bisogno come fame, dolore, sonno…);
  • vocalizzi (a partire dai 5 mesi) con i quali riesce ad esprimere sentimenti non ancora manifestabili con la parola quali gioia, dissenso, rabbia, divertimento;
  • contatto oculare, fondamentale per lo sviluppo delle competenze comunicative e relazionali;
  • tendere le braccia all’altro, un valido modo di comunicare al caregiver il bisogno di ricevere cure, affetto e attenzioni;
  • il desiderio del bambino di stare fisicamente vicino al genitore soprattutto in circostanze nuove, in cui prova paura o turbamento. In questi casi la ricerca del contatto è finalizzata a ricevere rassicurazione e tranquillità.

Questi comportamenti vengono attivati a seguito della percezione di disagio, dolore, pericolo o solitudine, oppure dalla semplice constatazione dell’assenza di persone di riferimento. Allo stesso modo tale sistema si disattiva quando viene ripristinato l’equilibrio iniziale. Essi, come detto, rappresentano il tentativo, da parte del bambino, di instaurare, e di conservare, un valido legame di attaccamento con la figura di riferimento.

Secondo lo psicologo esiste un periodo sensibile, nei primi 2-3 anni di vita, durante il quale vi è lo sviluppo del rapporto affettivo tra bambino e caregiver, suddivisibile in quattro fasi. Nella prima fase, definita di pre-attaccamento, il bambino orienta i propri segnali senza discriminazione verso gli adulti con cui interagisce.

Nella seconda fase, invece, rivolge i propri segnali verso una o più persone discriminate. Verso il sesto-ottavo mese inizia la fase di attaccamento vera e propria in cui il bambino protesta per la separazione dalla figura di attaccamento e utilizza quest’ultima come base sicura per esplorare l’ambiente.

Infine l’ultima fase, a partire dai 18 mesi del bambino, è caratterizzata dalla costruzione da parte di quest’ultimo dei cosiddetti “Modelli Operativi Interni”, ossia rappresentazioni mentali di sé stesso e dell’altro che costituiscono l’insieme di immagini, emozioni e comportamenti connessi all’interazione tra il bambino e gli adulti di riferimento, che diventano ben presto inconsapevoli e tendenzialmente stabili nel tempo.

Tuttavia, l’elemento che consente la realizzazione di un valido legame di attaccamento è dato non solo dalla qualità dei segnali di attacamento, ma anche, e soprattutto, dal modo in cui il genitore, mentalmente, emotivamente e percettivamente, rielabora questi comportamenti e dalla sua capacità di porsi come partner attivo, sensibile a attento alle necessità fisiche ed emotive del proprio bambino. Tutto ciò viene denominato Parenting o Genitorialità.

Il parenting e l’accudimento sensibile   

Il termine Parenting (o genitorialità) fa riferimento alla funzione che il genitore assolve nei confronti del proprio bambino, funzione finalizzata ad offrire tutta quella serie di cure di cui il piccolo necessita, soprattutto nei primissimi anni di vita. Quindi, più in generale, il parenting rappresenta quel sistema di accudimento che il caregiver adotta per rispondere ai diversi segnali che il bambino utilizza per comunicare, pur in assenza di linguaggio, e che, in tenera età, garantisce la sua sopravvivenza. Il neonato, infatti, in assenza di cure genitoriali, non riuscirebbe a sopravvivere; queste, quindi, rappresentano la condizione essenziale per lo sviluppo globale del piccolo. Il termine globale sta a significare che lo stile di accudimento genitoriale favorisce lo sviluppo del bambino non dal mero punto di vista fisico, ma anche cerebrale, cognitivo, motorio, emotivo e comportamentale. Secondo Locke, infatti, ciò che il bambino diventerà è il diretto risultato delle sue esperienze, soprattutto quelle modulate dal genitori che saranno, dunque, in grado di plasmarne la crescita.

Secondo la teoria dell’attaccamento di Bowlby, il genitore sa, in maniera inconsapevole, grazie ad una predisposizione genetica di tutte le specie animali, come prendersi cura del proprio piccolo attraverso tutta una serie di comportamenti, soprattutto in particolari condizioni di stress e interruzione della tranquillità, cercando di ripristinare il fisiologico benessere. A tal proposito, è stato dimostrato che la risposta materna ai comportamenti di attaccamento messi in atto dal bambino si attivi in maniera automatica, in particolare nelle donne in età fertile è possibile individuare dei particolari meccanismi fisiologici che consentono loro di percepire e rispondere adeguatamente al pianto.

Questa predisposizione innata consente di plasmare il cosiddetto parenting intuitivo, ossia quella pratica di accudimento del neonato biologicamente radicata nell’uomo che gli consente di rispondere in maniera adeguata e pertinente alle richieste del bambino in relazione all’età e alle abilità dello stesso.

Nel momento in cui il parenting risulta soddisfare le caratteristiche elencate, si origina, da parte del caregiver nei confronti del piccolo, un tipo di accudimento definito sensibile.

Sensibilità sta a significare che il genitore dimostra disponibilità, accettazione e un coinvolgimento affettuoso e collaborativo nei confronti del bambino. L’accudimento sensibile ha, difatti, una serie di caratteristiche fondamentali, quali:

Consapevolezza. Consiste nella capacità, da parte del genitore, di notare i segnali del bambino, anche quelli più flebili e non immediatamente evidenti, come cambiamenti nell’espressione facciale. Inoltre il genitore sensibile è anche in grado di effettuare un’adeguata interpretazione di questi segnali e di comprendere e addirittura immedesimarsi nello stato emotivo del bambino attraverso la propria capacità empatica.

Collaborazione. Ovvero il rispetto nei confronti dell’autonomia del bambino e dei suoi desideri. Di conseguenza, in un accudimento sensibile basato sulla collaborazione, il contatto fisico non è intrusivo, il genitore non effettua continue richieste al bambino, né cerca di effettuare un controllo costante su di lui, ma si dimostra capace di rispondere ai suoi segnali.

Accettazione. Rappresenta la capacità genitoriale di accettare i sentimenti di frustrazione e irritazione che possono naturalmente emergere dall’accudimento del piccolo, ma allo stesso tempo di superarli in virtù dell’amore per lo stesso.

Responsività. È il presupposto fondamentale per un accudimento di tipo sensibile e si esprime attraverso l’appropriatezza e la tempestività delle risposte fornite al bambino. Ovviamente questi sono parametri che variano in relazione all’età del bambino. Per esempio una risposta appropriata per un neonato che piange può consistere nel prenderlo in braccio al fine di tranquillizzarlo, mentre per un bambino più grande responsività vuol dire anche aiutarlo a gestire le frustrazioni derivanti dal mancato raggiungimento di un obiettivo.

Un accudimento sensibile promuove, inoltre, lo sviluppo comunicativo: i bambini che piangono di meno, proprio grazie alla sensibilità del caregiver, riescono a mettere in atto differenti strategie comunicative, basate, ad esempio, sulla mimica facciale, sui gesti corporei e vocalizzazioni, rispetto ai bambini che piangono di più. Inoltre la reattività di un genitore svolge un ruolo importante nello sviluppo della personalità, temperamento e capacità cognitive del bambino (Esposito e Venuti, 2009). Infatti, la capacità di tener conto delle preferenze, delle proposte del bambino e del suo grado di coinvolgimento, rappresenta la cornice necessaria per la creazione di uno spazio protetto e che, al tempo stesso, faciliti la capacità di autoregolazione nel bambino.

Una base sicura

L’accudimento sensibile del genitore, come detto precedentemente, è finalizzato a rispondere in maniera congrua, efficace ed empatica alle richieste del bambino, espresse attraverso i comportamenti di attaccamento. Quando questo principio viene soddisfatto, il caregiver diventa, agli occhi del bambino, una base sicura. Il concetto di base sicura viene introdotto per la prima volta dalla psicologa canadese Mary Ainsworth, allieva di Bowlby, nella seconda metà del 1900 e successivamente ripreso dallo stesso Bowlby il quale definì la caratteristica più importante dell’essere genitori proprio il “fornire una base sicura da cui il bambino possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato” (Bowlby, 1988). Quando infatti il piccolo avverte qualche minaccia dal mondo esterno, ne cessa immediatamente l’esplorazione per raggiungere la madre in modo da ricevere conforto e sicurezza.

Dall’attitudine del bambino ad utilizzare il proprio genitore come base sicura si genera un particolare ed intenso legame di attaccamento definito sicuro.

La sicurezza dell’attaccamento

L’aspetto fondamentale delle relazioni di attaccamento che più incide sullo sviluppo globale del bambino, soprattutto quello emotivo- comportamentale e relazionale, è rappresentato dalla sicurezza. I bambini con attaccamento sicuro, infatti, sono autonomi e risoluti nell’esplorazione dell’ambiente, grazie alla fiducia riposta nella madre (o un’altra figura di attaccamento), che sarà pronta ad accoglierlo e confortarlo in caso di bisogno. Inoltre, il bambino con attaccamento sicuro, mostra fiducia non soltanto nella disponibilità del genitore, ma anche nella capacità di alleviare la sua sofferenza; motivo per cui, questi bambini generalmente si riprendono in poco tempo da qualsiasi forma di disagio.  Dunque, affinché si possa parlare di una relazione di attaccamento sicuro, devono sussistere tre condizioni:

  1. La ricerca della vicinanza tra la persona che ricerca l’attaccamento e quella che lo offre;
  2. La presenza di reazioni di protesta di fronte alla separazione dalla figura di riferimento, finalizzate a richiamare l’attenzione della stessa quando si allontana o non è disponibile;
  3. Lo sviluppo di una base sicura come presupposto fondamentale per la sussistenza di un intenso legame incentrato sulla sicurezza e fiducia reciproca della diade.

Sostanzialmente, i bambini con attaccamento sicuro sanno di potersi fidare della propria madre, disponibile e sensibile alle loro richieste. Si sentono amati e protetti, sanno di poter fare conto su di lei tutte le volte che ne hanno bisogno; pertanto, sono soddisfatti della relazione d’attaccamento.

È importante sottolineare come il senso di sicurezza e la vicinanza emotiva al genitore, non portino il bambino a voler stare sempre fisicamente vicino a lui. Quindi, il genitore sensibile non corre il rischio che il piccolo diventi eccessivamente dipendente, anzi gli fornisce la rassicurazione e quel senso di fiducia che ne favoriranno progressivamente l’autonomia. 

Attaccamento sicuro e funzionamento psicosociale

Appare dunque evidente l’influenza che il pattern di attaccamento esercita sull’adattamento e funzionamento psicosociale del bambino durante il suo sviluppo. In particolare, negli ultimi anni, attraverso una serie di ricerche, è emerso come l’attaccamento sicuro ad un anno di età sia correlato ad un’affettività positiva e alla capacità di persistere nelle situazioni di problem solving, a due e tre anni ad una maggiore fiducia in sé stessi e un miglior adattamento nella scuola materna, a quattro e cinque anni ad una minore dipendenza, maggiore competenza e abilità nella risoluzione dei conflitti (Kochanska, 2001).

Inoltre, l’immagine che il bambino che ha instaurato un attaccamento sicuro sviluppa di sé, è di essere una persona degna di essere amata, con buoni livelli di autostima e di fiducia negli altri (ma non in modo indiscriminato). Sarà un individuo cortese e gentile con le persone amichevoli, difeso con chi invece percepisce come ostile, si prenderà cura di sé e delle persone che ama, non si affiderà alle persone che non conosce, sarà selettivo nei comportamenti empatici e nel rivelare se stesso. Difatti, i bambini con attaccamento sicuro dimostrano una migliore comprensione delle emozioni degli altri, in particolare di quelle negative. Da alcune attività di ricerca sono anche emersi dei collegamenti fra attaccamento nella prima infanzia e qualità dei rapporti con gli altri che vengono instaurati negli anni successivi. In particolare questi studi hanno messo in evidenza come i bambini che hanno avuto un attaccamento sicuro intreccino relazioni positive e armoniose con gli amici intimi e sentono di ricevere un maggior sostegno nelle relazioni strette. 

Dunque, la teorie dell’attaccamento sostenuta da Bowlby sottolinea che se da piccoli si è sperimentato un senso di accoglienza, presenza, contenimento e attenzione fisica ed emotiva da parte dei genitori, questo si tramuta in un attaccamento sicuro che si rifletterà nelle relazioni intime dell’adolescenza e dell’età adulta.

 

L’ATTACCAMENTO INSICURO

Sebbene la maggior parte dei bambini sviluppi relazioni di attaccamento sicuro verso la figura genitoriale, non sempre ciò accade; in questi casi si parla di attaccamento di tipo insicuro. Con questa espressione si fa riferimento ad uno stile relazionale in cui il rapporto con il genitore non è caratterizzato da quel senso di fiducia, accoglienza e conforto evidenziabili nell’attaccamento di tipo sicuro, anzi la relazione risulta essere contaminata da sentimenti di paura dell’abbandono o addirittura di essere danneggiati dall’altra persona, instabilità emotiva, prudenza. Ciò si tramuta in comportamenti riluttanti verso la relazione stessa e nello sperimentare emozioni miste e spesso contraddittorie come dipendenza e/o rifiuto.

La psicologa Mary Ainsworth, identificò, in particolare, 3 diversi pattern anomali di attaccamento: insicuro-evitante, insicuro-ambivalente, insicuro-disorganizzato.

Pattern insicuro evitante

I bambini che presentano il cosiddetto attaccamento insicuro-evitante tendono a non fare riferimento all’adulto in condizioni di moderato spavento e disagio. Non mostrano né segni di ansia né di preoccupazione in quelle situazioni che invece dovrebbero portare ad un’intensa attivazione dei bisogni di attaccamento, per esempio quando il genitore lascia il proprio bambino da solo in un ambiente non familiare. Inoltre questi bambini, al ritorno del genitore, mostrano apparente indifferenza evitando attivamente il contatto oculare e fisico con lo stesso. Inoltre quando il genitore cerca di prenderlo in braccio, il piccolo si irrigidisce o cerca di divincolarsi; questo comportamento viene denominato autonomia forzata. Tuttavia, attraverso degli studi è emerso che queste situazioni promuovono delle reazioni fisiologiche quali aumento delle frequenza cardiaca e dei livelli di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Quindi, quella che potrebbe sembrare la reazione di un bambino autonomo nel fronteggiare la situazione, in realtà cela un quadro differente: il bambino, infatti, prova disagio e difficoltà derivante dalla situazione, ma non riconosce nel genitore la base sicura in cui trovare conforto e sostegno.

Secondo la Ainsworth il comportamento evitante ha per il bambino la funzione di indirizzare altrove la propria attenzione, allontanandola dal desiderio frustrato di vicinanza con la figura di attaccamento, tenendosi, per esempio, occupato preferendo giocare da solo.

Pattern insicuro ambivalente-resistente

I bambini con uno stile di attaccamento ambivalente-resistente sono poco propensi all’esplorazione e si dimostrano guardinghi al cospetto di estranei, se pur in presenza del genitore. I bambini ambivalenti sono fortemente angosciati al momento della separazione dalla madre tale da manifestare pianto vivace e protesta, ed è difficile o impossibile tranquillizzarli anche al momento del ricongiungimento con la stessa. In tale circostanza, infatti, il loro comportamento è incoerente: può oscillare tra momenti di rabbia e altri di disperata ricerca di affetto e contatto. Per esempio può richiedere il contatto con la figura di attaccamento lasciandosi prendere in braccio, ma contemporaneamente vi si oppone aggressivamente e in modo lamentoso, non lasciandosi confortare dalla sua vicinanza. Altri bambini, invece, possono manifestare un’insolita passività, continuando a piangere senza riuscire a cercare il contatto attivamente. Nella maggior parte dei casi, comunque, il bambino alterna offerte di contatto con segnali di rifiuto e rabbia.

Questo comportamento è motivato dall’insicurezza provata dal piccolo nei confronti della disponibilità del genitore e della sua capacità di riuscire a soddisfare i propri bisogni di attaccamento. La lontananza e la separazione dalla figura di attaccamento sono scarsamente sopportate; questi bambini appaiono dipendenti e centrati sul genitore, con bassi livelli di autonomia. Sembrano inoltre richiedere una continua conferma della presenza e della protezione dell’adulto, come se fossero carenti di un solido sentimento di sicurezza interiorizzata che li portano ad essere estremamente ansiosi.

Pattern insicuro disorganizzato

Esistono, inoltre, bambini che mettono in atto comportamenti contraddittori e disorganizzati nella relazione: possono mostrarsi evitanti e, dunque, ignorare la madre al momento del ricongiungimento con lei, o ambivalenti, piangendo disperatamente al momento della separazione. Frequentemente, al distacco dalla figura di riferimento, l’infante con questo stile di attaccamento può immobilizzarsi improvvisamente, emettere suoni incomprensibili, sdraiarsi a faccia in giù. Mentre al momento del ricongiungimento potrebbe iniziare ad avvicinarsi al genitore, per poi virare nella direzione opposta, oppure compiere movimenti stereotipati, senza scopo (per esempio, dondolarsi avanti e indietro, sbattere la testa o agitare le mani ripetutamente); oppure è possibile che all’improvviso resti immobile, come paralizzato o persino che appaia spaventato, soprattutto in presenza del genitore.

Nel complesso si può rilevare la presenza di stereotipie, espressioni di confusione e disorientamento, paura o preoccupazione nei confronti del caregiver. Non è raro riscontrare, al momento della riunione, bambini disorganizzati andare verso la madre tenendo la testa girata dall’altra parte, come a evitare un contatto oculare; oppure cambiare direzione all’ultimo istante posizionandosi repentinamente con il viso rivolto verso la parete. Altre volte il bambino può fermarsi improvvisamente come pietrificato, con l’espressione disorientata o persa nel vuoto. La reazione più tipica è, dunque, quella di dissociarsi dalle proprie esperienze e creare così una frattura tra sé e la realtà.

Il parenting nei genitori con disturbi psicopatologici

Così come un accudimento sensibile dal parte del genitore è risultato collegato ad un attaccamento sicuro del bambino nei suoi confronti, così anche particolari tipi di accudimento non sensibile sono correlati in modo sistematico ai diversi pattern di attaccamento insicuro.

Nei paragrafi precedenti, abbiamo definito la competenza genitoriale come quell’insieme di comportamenti che rendono il caregiver capace di mantenere una relazione caratterizzata da protezione e sostegno adeguati ad accompagnare la crescita del proprio figlio, un costrutto complesso il cui sviluppo avviene nel corso del tempo come esito dell’interazione tra parametri individuali, cognitivi, emotivi e relazionali. La qualità delle cure genitoriali incide, dunque, come già detto, sulla crescita del bambino, in quanto una presenza amorevole, competente e rispettosa e condizioni ambientali favorevoli sostengono lo sviluppo della sua personalità.

Tuttavia, il parenting può risultare stressante per molti genitori, in particolar modo, per coloro che presentano disturbi psicopatologici. La psicopatologia genitoriale, infatti, rappresenta una variabile che rischia di riflettersi negativamente sulla capacità di adattarsi attivamente ai cambiamenti legati alla crescita del bambino, rendendo maggiormente difficoltosa la relazione e la capacità di incontrare e soddisfare i suoi bisogni.

Negli Stati Uniti si riscontra che il 68% delle donne e il 57% degli uomini con psicopatologia (schizofrenia, disturbo depressivo maggiore o disturbo bipolare) siano genitori (Nicholson et al. 2004).

I genitori con psicopatologia avvertono i compiti parentali come un peso particolarmente gravoso, mostrando, nell’interazione con il proprio bambino, scarsa, o addirittura assente, sintonizzazione emotiva con i suoi bisogni nonché difficoltà nel fornire stimolazioni appropriate all’età di sviluppo.

La psicopatologia genitoriale può riflettersi negativamente sul parenting e sullo sviluppo globale del bambino anche in relazione alla gravità, al carattere di cronicità o transitorietà della stessa, nonché al tempo di esposizione e alla fase di sviluppo in cui si trova il bambino. L’epoca di comparsa della patologia genitoriale, infatti, così come la pervasività e la comorbilità con altri disturbi psicopatologici, rappresentano un importante fattore da considerare; la letteratura evidenzia che più i sintomi si manifestano precocemente e quanto più si inscrivono i quadri complessi multisintomatici, tanto più saranno minate le basi per la costruzione di una valida relazione genitore-bambino.

Alcuni studi hanno messo in luce come uno stile di parenting coercitivo, ostile e scarsamente responsivo, sia associato a depressione (Lyons-Ruth et al. 2002) e/o schizofrenia (Goodman e Brumley 1990) nei caregiver; mentre uno stile educativo caratterizzato da minor calore emotivo, maggior criticismo ed elevati livelli di controllo sia correlato ad un disturbo d’ansia genitoriale (Moore et al. 2004). Un’ulteriore ricerca (Newman et al. 2007) ha invece evidenziato il parenting nelle madri affette da disturbo bipolare; dallo studio è emerso che le interazioni risultano essere scarsamente strutturate e caratterizzate da minor sensibilità e responsività. Di conseguenza il bambino mostra, durante l’interazione, attenzione, interesse ed entusiasmo limitati; motivo per cui queste mamme si percepiscono più stressate, meno competenti e soddisfatte.

Dunque, ciascun disturbo psichiatrico genitoriale comporta l’attuazione di una corrispettiva modalità impropria di accudimento del proprio bambino, generando di conseguenza lo sviluppo di un determinato pattern di attaccamento insicuro, tra quelli precedentemente illustrati, nei confronti della figura genitoriale.

 

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