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La Terapia Neuropsicomotoria come strumento fondamentale per il trattamento di Disturbi Emotivo-Comportamentali e Relazionali in Età Evolutiva

Le situazioni di disagio in cui le modalità comunicative e relazionali divengono disfunzionali rispetto al comportamento, alla comunicazione, alle relazioni con l’ambiente e con le persone, necessitano di adeguate prese in carico al fine di andare a ridurre tali manifestazioni disfunzionali e promuovere, al contrario, strategie alternative a valenza adattiva.

Il bambino che manifesta una fragilità nella regolazione emotiva e del comportamento, con inibizione o iperattività psicomotoria, oppure con comportamenti oppositivi e aggressivi, deve essere tempestivamente indirizzato verso un percorso abilitativo/riabilitativo precoce fin dai primi segni di allarme.

Il trattamento terapeutico che più frequentemente viene prescritto dagli specialisti per questa tipologia di problemi è la psicoterapia; tuttavia non bisogna dimenticare che i soggetti da abilitare/riabilitare sono dei bambini che presentano, in quanto tali, delle modalità espressive dei propri bisogni peculiari e diverse da quelle dell’adulto.

Una di queste è il gioco. Il bambino infatti, attraverso il gioco, esprime bisogni e stati d’animo nonché potenzialità e difficoltà relative alla fase di sviluppo in cui si trova. Esso inoltre permette di effettuare delle esperienze nuove viste come potenzialmente pericolose e/o difficili all’interno di un contesto sicuro e sereno.

Il percorso terapeutico messo a punto per i bambini, che si avvale proprio del gioco come strumento per entrare in relazione con l’altro ed effettuare   proposte di abilitazione/riabilitazione è la Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva.

Cos’è la Neuropsicomotricità e il ruolo del Terapista della NEURO e PSICOMOTRICITÀ dell’Età Evolutiva (TNPEE)

La Neuropsicomotricità è una disciplina sviluppata in Francia da Bernard Aucouturier e André Lapierre la quale si prefigge di valorizzare la sinergia tra esperienza corporea ed immagine mentale, tra azione e mondo interiore, tra atto ed intenzionalità, considerando l'individuo in un'ottica di integrazione tra gli elementi esperienziali, emozionali ed intellettivi. La terapia neuropsicomotoria è anche una disciplina che intende supportare i processi evolutivi dell'infanzia, valorizzando il bambino nel processo di integrazione delle sue componenti emotive, intellettive e corporee favorendo la sua capacità di mettersi in gioco in prima persona attraverso l'azione e l'interazione.

La neuropsicomotricità viene praticata dal Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva che rappresenta quel professionista sanitario dell’area della riabilitazione che svolge in età precoce, pediatrica ed evolutiva interventi di prevenzione, abilitazione e riabilitazione quando sono presenti atipie, ritardi o disturbi dello sviluppo; è dunque l’unico professionista dell’area riabilitativa che si forma sull’età evolutiva per l’intero percorso di studi. Collabora con le équipes multidisciplinari formate da neuropsichiatra infantile, psicologo, altri professionisti della riabilitazione, pediatra e personale scolastico.

L’intervento del TNPEE è specifico per i bambini appartenenti alla fascia evolutiva 0-18 anni che presentano rischi, ritardi o disordini del processo di sviluppo e malattie precocemente identificate che, in età evolutiva, causano disfunzioni e disabilità.

Esso non si focalizza sul deficit ma di prefigge, attraverso un approccio globale, di: sostenere l’integrazione delle funzioni motorie-percettive dando valore agli atti come rivelatori dei processi adattivi a mentali del bambino; promuovere l’organizzazione delle competenze emergenti e l’evoluzione dei comportamenti atipici; sviluppare le potenzialità presenti ed accrescere il senso di efficacia e l’autostima; sollecitare i processi di riorganizzazione funzionale contribuendo alla regolazione e alla stabilizzazione di uno sviluppo armonico.

A tal proposito i disturbi che vengono trattati dal TNPEE sono:

  • Ritardo globale di sviluppo (“ritardo psicomotorio”)
  • Disturbi della coordinazione motoria (impaccio, maldestrezza, disprassia)
  • Disturbi dello spettro autistico
  • Disturbi della regolazione emotiva (difficoltà a controllare dinamiche e tensioni appartenenti al mondo interno: paura, rabbia, gioia, tristezza)
  • ADHD
  • Disturbi specifici dell’apprendimento
  • Disabilità intellettiva
  • Disturbi neuromotori e sensoriali
  • Sindromi genetiche

Attraverso il gioco e l’interazione, il TNPEE favorisce la ricomposizione di azioni disorganizzate aiutando il bambino a dar loro un significato condiviso; le parole sono scelte con cura: definiscono, sottolineano, amplificano ed enfatizzano azioni ed emozioni.

Esso utilizza strategie di sintonizzazione e di imitazione per rispecchiare la capacità di agire del bambino e rinforzarne l’identità; si avvale inoltre di tecniche specifiche per fascia d’età, per singoli stadi di sviluppo e di metodiche coerenti con i disordini presenti, basate sull’evidenza dell’efficacia e riconosciute dalla comunità scientifica.

All’interno del setting neuropsicomotorio   lo spazio viene allestito e modificato in base alle caratteristiche del bambino e agli obiettivi terapeutici. Gli oggetti vengono dunque selezionati in base alle competenze da sviluppare o in base a determinati comportamenti da inibire, sempre in relazione agli obiettivi della seduta e alla fase del percorso terapeutico.

Il ruolo del gioco nell’imparare a conoscere e gestire le emozioni

La psicomotricità per un bambino non è solo un’esperienza corporea, è anche e soprattutto esperienza emotiva che permette di allenare le proprie emozioni attraverso il gioco, il movimento e le esperienze.

È fondamentale, quindi, che bambini che presentano atipie sul piano emotivo e comportamentale vengano precocemente indirizzati verso un percorso neuropsicomotorio, difatti l’esperienza ludico motoria che il bambino sperimenta nel setting consente al piccolo paziente di sperimentare l’emozione forte di un tuffo riuscito bene, la frustrazione di una capriola che purtroppo non è venuta, l’orgoglio di un gioco ideato, strutturato e organizzato da lui oppure la delusione per un tempo dei giochi che sta terminando.

Tutte queste esperienze favoriscono nel bambino l’insorgenza di molteplici emozioni e sensazioni che, grazie all’aiuto del terapista, vengono riconosciute, elaborate ed interiorizzate in modo coerente.

In base alla difficoltà presentata dal bambino si andrà a lavorare su determinati aspetti piuttosto che su altri, in generale il lavoro viene incentrato sul riconoscimento e sul controllo delle emozioni, sia positive che negative, in modo da favorire lo sviluppo della cosiddetta “Intelligenza Emotiva”. Questa viene definita come quella capacità di riconoscere e gestire le emozioni proprie e altrui. Infatti molti studi dimostrano che i bambini che hanno sviluppato questa forma di intelligenza sono più equilibrati e più sereni, con una maggiore autostima e fiducia nelle proprie capacità.

Dunque il ruolo della neuropsicomotricità è anche quello di stimolare l’acquisizione di questa capacità tenendo conto del contesto ludico all’interno del quale avviene.

Alcuni giochi e attività che possono essere proposti sono:

Filastrocche e fiabe sulle emozioni: consentono al bambino di vivere i vari stati emotivi prendendo al contempo una certa distanza dai propri vissuti in modo da renderli più facilmente gestibili. Dopo averle ascoltate si può stimolare il bambino ad individuare le diverse emozioni e le loro cause.

Raccontare una storia che parli di un’emozione rappresentandola con delle marionette oppure creare delle maschere di cartoncino che rappresentino diverse emozioni o ancora disegnarle su dei palloncini gonfiati.

Mimo: che emozione sono? Oppure: pensare un’emozione e recitare il contrario. L’altro deve dire l’emozione che era stata pensata, in questo modo si vanno anche ad allenare le funzioni esecutive.

Messaggio marziano: Utilizzare suoni e parole senza senso per raccontare situazioni e dialoghi che rappresentano diverse emozioni, enfatizzate dal tono della voce, dal volume, e dalle sonorità usate.

Tombola delle emozioni: Preparare dei tabelloni con rappresentati tanti personaggi con diverse emozioni. Una copia degli stessi personaggi va racchiusa in un sacchetto da cui si pesca un personaggio e si dice il nome dell’emozione (senza farla vedere). Vince il primo che completa correttamente la propria tabella.

Espressione artistica: associare un colore ad un’emozione. Si dispongono vari cartellini colorati e si propone di associare ogni colore a un’emozione.

Dunque i giochi e le attività che possono essere proposti in terapia per aiutare il bambino a gestire correttamente le proprie emozioni sono molteplici; inoltre il contesto ludico ha una duplice valenza: il bambino impara divertendosi e, soprattutto, non si sente giudicato.

“Cognitiv Affective Training kit” il CAT-kit”

Per facilitare la comunicazione e la gestione delle emozioni lo psicologo inglese Tony Attwood, insieme a Kirsten Callesen e Annette Moller Nielsen, hanno elaborato un kit chiamato Cognitive Affective Training kit (CAT-kit ).

Il CAT-kit consiste in un raccoglitore ad anelli contenente delle schede plastificate da utilizzare durante una conversazione allo scopo di migliorare la comprensione degli aspetti affettivi e cognitivi coinvolti nella comunicazione e, allo stesso tempo, insegnare le abilità sociali, la gestione e l´espressione di pensieri ed emozioni.

Lo scopo principale del CAT-kit è quello di sviluppare nei bambini e ragazzi che presentano difficoltà a percepire la relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti, una forma di pensiero realistico e razionale. L´obiettivo è dunque quello di migliorare le abilità del bambino ad agire in modo appropriato e favorire l´autoconsapevolezza, attraverso l´autocontrollo.

Essendo uno strumento basato sui principi generali del comportamento umano, è utile per tutte quelle condizioni che rendono complessa la gestione delle emozioni, come ansia, rabbia, ADHD, disturbo bipolare giovanile, disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo borderline, etc.

Inoltre, grazie all´estrema versatilità e flessibilità di utilizzo dei vai elementi dello strumento all´interno di ogni conversazione, il CAT-kit può essere facilmente adattato al livello di sviluppo della persona con cui si sta lavorando.

Il CAT-kit fornisce un supporto per:

  • Comunicare le emozioni;
  • Spiegare come le emozioni influiscono sul comportamento;
  • Visualizzare la successione degli eventi per aiutare a comprendere come pensieri ed emozioni siano causa di certi comportamenti ripetitivi;
  • Prevedere determinati eventi in modo da facilitare la gestione di eventuali cambiamenti nella routine quotidiana.

Nel kit sono compresi diversi organizer tra cui l’organizer “Il Corpo”.  Questo strumento insegna a riconoscere gli indicatori fisici delle emozioni in se stessi e negli altri e aiuta a rappresentare graficamente (con un pennarello cancellabile) le sensazioni generate dalle emozioni e a collegarle con il comportamento conseguente.

Si può discutere su come il corpo risponde alle emozioni e come reagisce a livello comportamentale e su quali potrebbero essere le strategie alternative non aggressive per rispondere e reagire meglio alle proprie emozioni ed ai comportamenti degli altri nei nostri confronti.

Un altro organizer è quello delle “Faccine e Parole sentimento” che rappresenta il fulcro del Cat-Kit e permette di esplorare le diverse sfumature delle emozioni. Ci sono 12 categorie di emozioni che vengono indagate: Gioia, Tristezza, Sicurezza, Paura, Affetto, Rabbia, Orgoglio, Vergogna, Sorpresa, Anticipazione, Disgusto, Possesso/Rivalità.

Poi c’è Il Misuratore” che consiste in una scala da 0 a 10 per visualizzare l´intensità di un´emozione. Si possono mettere in fila le faccine della stessa categoria di emozione, dalla più intensa a quella meno intensa per poi scegliere la faccina maggiormente corrispondente a quella vissuta in una determinata situazione.

Un altro organizer molto utile è “I miei cerchi”. Esso costituisce un diagramma di Todd a cerchi concentrici che aiuta la persona a visualizzare lo spazio sociale ed il comportamento adeguato per i vari livelli dei rapporti sociali.

Infatti rappresenta graficamente la rete sociale del bambino dove ogni cerchio concentrico corrisponde ad un gruppo sociale (genitori, parenti, amici, compagni di classe, ecc.). Per ogni gruppo si può scrivere con un pennarello cancellabile come salutare, di quali argomenti si può parlare con ogni membro di ogni cerchio.

È inoltre consigliato fare una fotocopia dell’elaborato dopo il lavoro e consegnarlo al piccolo affinché possa utilizzarla come guida in situazioni sociali future.

All’interno del Kit è anche compreso l’organizer “La Ruota” che favorisce una comprensione in toto di se stessi: il bambino infatti comprende visivamente che non è solo un individuo con determinate caratteristiche più o meno problematiche, ma che la sua vita è composta di tante cose interessanti e piacevoli (rappresentate graficamente attraverso i vari settori circolari disegnati nella ruota).

Può anche essere utilizzata per aiutare a comprendere che le emozioni possono essere complesse e provate contemporaneamente.

Un altro organizer fondamentale è “La scatola degli attrezzi”. Essa rappresenta l´insieme degli strumenti per “riparare” le emozioni spiacevoli quali ansia, rabbia o tristezza.

Ci sono categorie diverse di “attrezzi” a seconda del livello di attivazione dell´emozione: alcuni facilitano un rilascio rapido, altri lento, dell´energia generata dall´emozione.

Alcuni degli strumenti de “La Scatola degli Attrezzi” sono: Strumenti di attività fisica, Strumenti per il rilassamento, Strumenti sociali, Strumenti del pensiero e di prospettiva. Ci sono anche degli strumenti definiti “inappropriati” in quanto chiaramente disfunzionali in relazione all’obiettivo, ad esempio l’evitamento esperienziale.

Dunque il Cognitive Affective Training kit è un valido strumento che può essere adottato in terapia neuropsicomotoria per favorire una migliore comprensione della mente propria e altrui portando ad una maggiore tolleranza verso le diverse modalità di pensiero e di comportamento degli altri e ad una maggiore consapevolezza e regolazione delle proprie emozioni e comportamenti.

Il gioco per mediare le relazioni con gli altri

All’interno della stanza di neuropsicomotricità sono diversi e numerosi i giochi che possono essere proposti: gioco simbolico, gioco funzionale, gioco senso-motorio e così via, in base alla fase di sviluppo in cui si trova il bambino e alle aree che si intendono stimolare e potenziare in funzione della difficoltà presentata dal bambino.

Nel caso di un bambino che presenti difficoltà nella relazione, per esempio, si andranno a proporre dei giochi che favoriscano l’interazione con l’altro promuovendo la regressione del comportamento socialmente disfunzionale, di tipo inibito o disinibito. Uno di questi è il gioco motorio; il movimento, infatti, oltre che essere il propulsore per lo sviluppo cognitivo e per l’adattamento al proprio ambiente di vita, prepara il bambino al contesto sociale aiutandolo nella scoperta e conferma della propria identità.

Inoltre i giochi motori consentono l’interazione con l’altro promuovendo lo sviluppo della capacità relazionale; attraverso il gioco del girotondo, per esempio, non solo si impara a padroneggiare le abilità motorie, ma il bambino entra in contatto fisico e in sintonizzazione emotiva con i pari, condividendo con essi esperienze piacevoli.

Anche giochi apparentemente aggressivi, basati ad esempio sulla rincorsa dell’altro, come l’acchiapparello, consentono di prendere coscienza del corpo proprio e altrui facilitando la comprensione del concetto di “limite”, ovvero sapere fin dove spingersi e allo stesso tempo dove fermarsi per evitare eventuali conseguenze spiacevoli a sé e all’altro.

Un altro tipo di gioco che insegna al bambino le giuste modalità di interazione con l’altro a partire dallo scambio con i pari è il gioco di regole. Questo risulta particolarmente adatto per quei bambini che presentano la difficoltà relazionale di tipo disinibito, infatti le regole nel gioco insegnano al bambino un concetto fondamentale: nella vita ci sono delle leggi che tutti dobbiamo rispettare per funzionare in maniera produttiva. Inoltre esso aiuta il bambino a regolare i propri istinti in funzione del sistema gioco, rendendolo meno impulsivo nei comportamenti sociali e più ragguardevole nei confronti dell’altro.

In particolare, nella fase evolutiva che va dai 4 ai 6 anni, il bambino passa da una visione egocentrica del mondo alla capacità di comprendere l’importanza dei contatti sociali e delle regole. Questo tipo di sviluppo si attua man mano che i bambini partecipano a giochi di squadra e a sport collettivi. Un gioco come quello del calcio oppure la pallavolo, per esempio, non possono funzionare se tutti quanti non rispettano determinate regole.

Dunque il bambino diviene capace di trasferire quanto apprende nel contesto ludico nelle attività di vita quotidiana, favorendo una generalizzazione degli apprendimenti che rappresenta la chiave per la reale correzione del comportamento disfunzionale.

C’è poi il gioco sociale basato sulla pura interazione con gli altri, coetanei ma anche adulti; attraverso questo tipo di gioco, i bambini imparano le regole sociali come quelle del dare e ricevere, la reciprocità, la cooperazione e la condivisione. Attraverso una serie di scambi con gli altri bambini nelle diverse fasi sociali, essi imparano ad usare il ragionamento morale definito come quel processo di pensiero in cui gli esseri umani si impegnano a determinare ciò che è giusto e sbagliato in una data situazione. Difatti, per essere pronti a cavarsela in modo efficace nel mondo degli adulti, i bambini hanno bisogno di partecipare a diverse situazioni sociali.

Inoltre, il gioco sociale aiuta il bambino a sviluppare una consapevolezza della propria influenza sugli altri dando anche l'opportunità di cercare di migliorarla.

Per esempio, una bambina che viene ascoltata mentre assegna i ruoli agli altri bambini durante un’esperienza di gioco, riceve un incoraggiamento nello sviluppare o migliorare il concetto di Sé.

È importante che anche l’adulto partecipi al gioco sociale, infatti è stato dimostrato che se un adulto si unisce al gioco, il livello di complessità e creatività dello stesso può essere nettamente aumentato, in quanto spesso i bambini intraprendono attività ripetitive nei giochi tra di loro. Un partecipante adulto (che non deve però diventare il conduttore del gioco) può arricchire il livello dell’attività ludica attraverso dei commenti o dei materiali introdotti dall’esterno, cosicché il bambino, nelle future esperienze di gioco, riproporrà quanto di nuovo ha appreso grazie all’intervento dell’adulto.

L’importanza della terapia di gruppo

In virtù dell’importanza e dell’efficacia del gioco sociale nel potenziare o mediare lo sviluppo delle competenze socio-relazionali, è fondamentale sostenerlo nella sala di neuropsicomotricità. Ciò può essere fatto con la partecipazione attiva del neuropsicomotricista che rappresenta il partner di gioco nella sequenza ludica ponendosi al contempo come mediatore dello sviluppo delle abilità di cui il gioco sociale si fa sostenitore; tuttavia, questo può verificarsi anche attraverso l’utilizzo delle terapie di gruppo. Il gruppo dei bambini, come strumento di lavoro, viene scelto in quanto fonte naturale di scambio interattivo, comunicativo e simbolico e mezzo privilegiato per esaminare, controllare e affrontare dinamiche affettive e adattamenti sociali.

Questa modalità operativa consente di agire sulla distorsione dei processi di condivisione, comunicazione e simbolizzazione, tipica dei disturbi del comportamento e della relazione, fornendo nuove opportunità nello scambio e nell’interazione di gruppo.

La terapia interattiva con altri bambini permette di affrontare aspetti che in una terapia individuale sarebbe difficile far evolvere. Basti pensare al confronto, al sostegno, alla competizione tra pari, alla reciprocità e al gruppo come mezzo di transizione dalla dimensione familiare a quella sociale. Infatti il gruppo terapeutico può essere utilizzato per interrompere una dipendenza disfunzionale dall’adulto di riferimento, per esempio un’ansia da separazione, attraverso la costruzione di uno spazio interattivo in cui possa provare stati d’animo e funzionamenti cognitivi diversi.

All’interno del gruppo il bambino ha l’opportunità di riconoscere e ammettere l’incongruità dei propri comportamenti attraverso l’analisi delle risposte e delle perplessità di quelli osservati negli altri bambini.

Attuare e potenziare la capacità interattiva nei bambini li aiuta a prendere coscienza degli aspetti positivi dello stare insieme rendendoli sempre più capaci di utilizzarli.

Dunque aiutare il bambino ad investire nella relazione con gli altri non è utile solo in ambito terapeutico, ma assume anche un importante valore preventivo nella società.

L’intervento sul genitore per la riuscita dell’intervento

Il trattamento abilitativo-riabilitativo neuropsicomotorio per il bambino che presenta problematiche sul piano emotivo-comportamentale e relazionale non può limitarsi, in senso spazio-temporale, alla sala in cui si svolge la terapia. Difatti la riuscita dell’intervento avviene nel momento in cui si realizza la generalizzazione degli apprendimenti in tutti i contesti di vita del bambino.

Appare dunque inevitabile il coinvolgimento del genitore affinché il bambino trasferisca ciò che di volta in volta apprende prima in famiglia e poi negli altri ambiti.

Infatti se si verifica una contraddittorietà tra ciò che viene insegnato al piccolo nella stanza di neuropsicomotricità e lo stile educativo genitoriale, il bambino non riesce ad elaborare in maniera coerente e trasparente gli apprendimenti, il che si può tramutare in un peggioramento del quadro per il quale il bambino viene portato in trattamento; dunque anziché ottenere dei miglioramenti si verificherà l’effetto contrario.

Una presa in carico globale dovrà quindi anche farsi carico del genitore attraverso l’individuazione e la condivisione degli obiettivi e delle strategie da mettere in atto per la loro realizzazione. È importante che il genitore condivida con il terapista le informazioni circa il suo stile educativo nei confronti del proprio figlio in modo che possa, dallo stesso, ricevere dei consigli su come regolare il proprio comportamento sulla base delle esigenze del bambino, attraverso la messa in atto di una serie di aggiustamenti.

Questo tipo di intervento ha elevate possibilità di promuovere risultati positivi e soddisfacenti, soprattutto se la famiglia del bambino si dimostra collaborante e attiva, e soprattutto se aderisce in modo conforme alle consegne del terapista.

Tuttavia questo potrebbe non verificarsi nel caso in cui il bambino provenga da una famiglia di livello socio-culturale medio-basso e dalle scarse competenze genitoriali a causa di una situazione clinica di base, come può essere una psicopatologia.

Come analizzato nel corso dell’elaborato, un genitore che presenta un quadro psicopatologico assume delle modalità di parenting inadeguate che inevitabilmente si riversano sul funzionamento globale del bambino; dunque in queste situazioni, seppur il piccolo viene indirizzato verso un percorso terapeutico, questo potrebbe non comportare dei cambiamenti positivi proprio a causa della situazione familiare in cui si trova inserito.

Appare quindi evidente la necessità di indirizzare lo stesso genitore verso un altrettanto trattamento riabilitativo di tipo psicoterapeutico. Questo risulta fondamentale sia per il genitore stesso che per il bambino, infatti solo in questo modo si ha la possibilità di conciliare gli obiettivi proseguendo verso un percorso comune.

Diversi contributi sostengono che i genitori che presentano una patologia mentale richiedono frequentemente un aiuto per sostenere e promuovere le proprie capacità genitoriale e che questo intervento costituisca una forte motivazione per il trattamento.

Un’azione in tale area, oltre ad avere delle indiscutibile ricadute positive sulla qualità di vita del paziente, può rappresentare anche un intervento preventivo rispetto allo strutturarsi di quadri clinici nel bambino, nell’adolescente e nell’adulto.

Infatti il genitore con disturbo psichico, attraverso schemi mentali e modalità interattive maladattive, facilità la possibilità che il figlio costruisca credenze distorte, aspettative irrealistiche e scopi disfunzionali circa se stesso, gli altri e il mondo; aspetti, questi, che rappresentano sicuramente dei fattori di vulnerabilità per il suo sviluppo e funzionamento adattivo.

Spesso è stesso il genitore a richiedere un aiuto sia per curare se stesso che per prevenire delle conseguenze sul proprio bambino, ma altre volte non riconosce l’improprietà dei propri comportamenti o addirittura rifiuta di essere curato e questo può essere estremamente pericoloso in quanto un genitore incosciente oltre che danneggiare se stesso danneggia anche le persone che vi sono intorno, soprattutto se si stratta di bambini che, in virtù dell’intesta plasticità cerebrale di cui godono, possono essere facilmente plasmati e influenzati sia in positivo che in negativo, in relazione alle esperienze che vivono.

È importante osservare se il bambino progredisce o regredisce, perché un bambino che non mostra cambiamenti soprattutto sul piano comportamentale può essere una spia di qualcosa che non va all’interno del contesto familiare.

In questo senso è fondamentale anche l’appoggio delle istituzioni e di altre figure professionali come quella dell’assistente sociale, che possano indagare circa le reali condizioni di vita in cui il bambino si trova inserito indipendentemente dalla sua volontà.

Dunque cercare di convincere il genitore con patologia mentale a curarsi è forse prioritario rispetto al trattamento del bambino, in quanto se il piccolo intraprende un percorso terapeutico neuropsicomotorio ma al contempo non ha la possibilità di condividere i suoi progressi nell’ambiente in cui passa la maggior parte del suo tempo, la famiglia, questo può rivelarsi inefficace in quanto non viene garantita la generalizzazione di condotte alternative a carattere adattivo.

 

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