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Il Ritardo Neuropsicomotorio

INDICE PRINCIPALE

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Il ritardo dello sviluppo neuropsicomotorio

Nel corso dei primi anni di vita lo sviluppo neuropsicomotorio è caratterizzato dall’acquisizione di numerose abilità: vi è il passaggio dalla motricità aposturale neonatale alla deambulazione autonoma, dal riflesso di prensione palmare all’uso differenziato e funzionale delle dita, da un rapporto di simbiosi con il caregiver a scambi relazionali validi mediati da modalità comunicative verbali e non verbali sempre più raffinate.

Queste differenti acquisizioni rappresentano gli appuntamenti funzionali che ciascun bambino deve affrontare in un determinato periodo della sua vita secondo un calendario abbastanza definito; abitualmente tali mancanze o rallentamenti vengono fatti ricadere sotto il termine di “ritardo”.

In ambito clinico, nella pratica quotidiana, secondo quanto ho potuto osservare nel corso della mia carriera universitaria, si parla di “ritardo neuropsicomotorio” per indicare una situazione clinica di difficoltà nel raggiungimento delle acquisizioni tipiche dello sviluppo circoscritta ai primi tre anni; tale termine include sia gli aspetti neuromotori sia psicomotori che possono esserne la causa in assenza di una patologia conclamata (es. situazioni di ipostimolazione, ospedalizzazione prolungata etc…) in quanto, nei primi anni, questi appaiono strettamente correlati e non è possibile distinguerli in maniera netta e precisa come può accadere, invece, nelle epoche successive.

Il bambino in genere giunge ad osservazione per un quadro generico di “ritardo motorio”, in base all’osservazione della motricità spontanea e del suo uso funzionale si può distinguere (8):

  • il ritardo costituzionale, a prognosi favorevole (completezza del repertorio di motricità spontaneo non funzionale, buone competenze comportamentali e relazionali);
  • la disorganizzazione nell’uso del repertorio (movimenti bruschi, poco pretermine e/o del piccolo per l’età gestazionale, e a cui spesso si associa instabilità neurovegetativa almeno nei primi 6 mesi di vita; tale quadro può andare a scomparire nei primi 12-24 mesi oppure prolungarsi negli aspetti motori della disfunzione cerebrale minima (goffaggine e impaccio, difficoltà nell’equilibrio e nella coordinazione …) e il cui quadro clinico si delineerà nella sua completezza solo nella 2ª -3ª infanzia;
  • la patologia cognitiva o psicoaffettiva (anche da deprivazione ambientale), in cui vi è un disturbo della motivazione, dell’intenzionalità e/o delle capacità di integrazione delle competenze a livello cognitivo e in cui il repertorio di motricità spontaneo non funzionale è completo (anche se può apparire più stereotipato, meno modulato) e la modulazione comportamentale è ridotta. Con questa modalità di valutazione è inoltre possibile esprimere un giudizio prognostico sulla base della disponibilità del repertorio di motricità di base e l’emergenza di competenze funzionali significative, dando di conseguenza meno peso all’aspetto età dell’acquisizione funzionale che, come è noto, mostra una notevole variabilità individuale.

Tuttavia, nei manuali diagnostici più utilizzati, il DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, IV edition) e l’ICD 10 (International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems 10th Revision), il ritardo delle acquisizioni compare come sintomatologia all’interno della categoria definita dal DSM IV “Disturbo di Sviluppo della Coordinazione” e dall’ICD 10 “Disordine Specifico dello Sviluppo della Funzione Motoria”; manca una dicitura dedicata, in quanto non si tratta di una patologia bensì di un segno clinico che eventualmente può essere rimandato ad una patologia e che presenta caratteristiche sfumate da un caso all’altro.

Nella letteratura scientifica il materiale reperibile inerente la terminologia è risultato molto scarso, da quanto si è potuto constatare, il termine “ritardo” viene didatticamente suddiviso, in base alle caratteristiche, in ritardo motorio semplice e ritardo psicomotorio.

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Il ritardo motorio semplice: definizione, diagnosi e trattamento

Il termine “ritardo motorio semplice” indica il rallentamento nell’acquisizione delle competenze motorie globali, e quindi dell’organizzazione posturale antigravitaria e dei pattern di movimento, che vengono apprese nei primi anni di vita; è importante non confonderlo con la regressione motoria, ovvero la perdita di competenze precedentemente apprese.

In alcuni casi rappresenta la manifestazione iniziale di sindromi complesse (es. paralisi cerebrali infantili, insufficienze mentali, malattie neuromuscolari, disturbi pervasivi dello sviluppo…).

Il ritardo motorio può essere semplice o disarmonico quando è prevalentemente compromessa la linea posturo-cinetica (posizioni, passaggi posturali, spostamenti…) senza coinvolgimento delle altre funzioni adattive (motricità fine, sviluppo cognitivo…) e senza segni di alterazione delle strutture neurologiche e/o muscolari. Infatti, nel ritardo motorio semplice, i pattern motori sono presenti seppur vi sia una riduzione della frequenza d’uso, ridotta variabilità dell’organizzazione e diversi tempi di insorgenza degli schemi posturo-motori. Questi quadri si esprimono ad esempio con impaccio e lentezza nei movimenti quali i passaggi posturali e gli spostamenti. Lundberg (1979), per riferirsi a quanto descritto, parla di sindrome da dissociazione dello sviluppo che ha una prognosi benigna e presenta caratteristiche specifiche, infatti, oltre al ritardo nelle acquisizioni motorie, questi bambini sono accomunati dall’uso della posizione seduta negli spostamenti prelocomotori (shuffling) e, se sollevati, dal mantenimento della flessione delle anche con estensione delle ginocchia (sitting in air). In genere si tratta di bambini che presentano una lieve ipotonia globale e/o lassità legamentosa su base familiare e che, pertanto, hanno parenti con le medesime caratteristiche osteomuscolari.

In passato si riteneva che il ritardo motorio fosse dovuto ad un ritardo maturativo delle strutture deputate all’organizzazione posturale e alla locomozione mentre oggi, in seguito ad una maggiore conoscenza di tali strutture, il ritardo motorio viene considerato come l’espressione di un disordine evolutivo che può esser causato da molteplici fattori, presenti singolarmente o contemporaneamente:

  • Le caratteristiche del sistema muscoloscheletrico, ovvero ipotonia e lassità legamentosa su base genetica familiare;
  • Un contesto di vita ipostimolante in termini, ad esempio, di modalità educative, di caratteristiche dell’ambiente (pochi spazi per l’esplorazione, giochi inadatti…) e del rapporto caregiver-bambino (disponibilità, paure, accudimento…), questa condizione determina ridotte possibilità di esplorazione autonoma dello spazio, scarsa possibilità di problem-solving e di sperimentazione delle posture e degli spostamenti;
  • Malattie o problematiche che richiedono un’ospedalizzazione prolungata, e quindi che comportano una limitazione delle possibilità di movimento (es.   intervento chirurgico, fratture, presenza di accessi…) con conseguente riduzione della forza muscolare generale.

La prognosi del ritardo motorio, come accennato precedentemente, è favorevole e tendenzialmente entro i primi 2 anni i bambini raggiungono l’acquisizione della deambulazione autonoma. In alcuni casi è possibile un riscontro, negli anni successivi, di difficoltà di coordinazione motoria globale. La diagnosi avviene per esclusione delle patologie che possono comportare un ritardo delle acquisizioni motorie nei primi anni di vita, come deficit sensoriali, sindromi, lesioni del sistema nervoso ed alterazioni del sistema muscolare. Il trattamento viene definito abilitativo in quanto volto a sollecitare competenze non ancora presenti, consiste nell’educazione posturale, ovvero nella sperimentazione di diverse posture e modalità di spostamento a seconda dell’età del bambino. L’intervento deve essere precoce e può essere diretto, se effettuato in prima persona dal terapista o indiretto, se svolto dai caregiver nel contesto familiare in base ai consigli e alle indicazioni della figura professionale. I due tipi di intervento possono essere svolti parallelamente e l’uno non esclude l’altro, al contrario, il loro coesistere favorisce il raggiungimento degli obiettivi terapeutici in tempi minori (12).

Milani Comparetti definisce il ritardo motorio come alterazione del processo di acquisizione degli automatismi primari, nello specifico parla di “sindrome aposturale” il cui sintomo principale è rappresentato dall’ipotonia. Inoltre suddivide ulteriormente la sindrome aposturale in ipocinetica o ipercinetica: la forma ipocinetica può essere caratterizzata da normale flessibilità adattiva, ricca modulazione comportamentale e relazionale, in tal caso è in genere di origine famigliare e si normalizza entro il II o III anno di vita; in altri casi può essere associata al ritardo di sviluppo psicomotorio con inadeguata modulazione comportamentale e limitato riciclaggio del repertorio oppure rappresentare una fase precoce della paralisi infantile; la forma ipercinetica è caratterizzata da un’eccessiva disponibilità dei pattern motori primari che si esplica in motorrea; questi bambini non riescono ad organizzare posture e movimenti funzionali (13).

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Il ritardo psicomotorio: definizione, diagnosi e trattamento

Il termine “ritardo dello sviluppo psicomotorio” identifica, in modo generico e aspecifico, un rallentamento armonico nell’acquisizione delle funzioni adattive, interessando, quindi, tutte le linee evolutive (competenze grosso-motorie, fine- motorie, cognitive-comunicative e relazionali) e non solo la motricità come nel ritardo motorio semplice. Si tratta di una sindrome aspecifica a patogenesi eterogenea che riguarda i primi anni di vita, potrebbe essere la manifestazione di un ritardo mentale, di sindromi malformative su base genetica, malattie neuromuscolari, encefalopatie evolutive (nel primo anno) su base metabolica o degenerativa etc…

La diagnosi ed il trattamento variano in relazione alla patologia di base, in generale si sottolinea l’importanza dell’intervento precoce che deve essere mirato a migliorare le modalità di comunicazione madre-bambino, ad arricchire il contesto di opportunità di sperimentazione e di conoscenza del mondo oggettuale, ad evocare e sostenere l’interesse del bambino in iniziative di esplorazione e a guidarlo nella selezione delle informazioni rilevanti per la soluzione di compiti (12).

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