Lo sviluppo fisiologico del bambino nel primo anno di vita (0 - 12 mesi)
Introduzione
Con il termine “sviluppo neuropsicomotorio” si indica quel processo, relativo ai primi anni di vita, mediante il quale il bambino acquisisce progressivamente una serie di abilità che gli consentono di inserirsi e partecipare all’ambiente in cui vive. Nel descrivere lo sviluppo neuropsicomotorio le abilità vengono suddivise convenzionalmente in aree funzionali quali:
- Lo sviluppo posturale, relativo alle abilità grosso-motorie, quindi alla graduale acquisizione delle competenze antigravitarie;
- Lo sviluppo delle competenze fini-motorie, quindi di una motricità manuale funzionale;
- Lo sviluppo cognitivo, ovvero il processo mediante cui cambiano le forme di ragionamento e vengono implementate le capacità di problem- solving;
- Lo sviluppo del linguaggio, che prevede una fase pre-verbale attraverso cui il piccolo esercita l’apparato fono-articolatorio ponendo le basi per la successiva strutturazione del linguaggio vero e proprio;
- Lo sviluppo delle competenze sociali, ovvero i comportamenti di interazione sociale e le autonomie personali.
Lo sviluppo deve essere considerato come un processo continuo che inizia con il concepimento e termina con il raggiungimento dell’età adulta. Ogni suo stadio è contraddistinto da una forma particolare di apprendimento che deriva dalla soluzione ad un problema posto dall’ambiente. Gli appuntamenti funzionali che il bambino affronta in questo arco di tempo rappresentano, quindi, una sequenza di sviluppo universale caratterizzata da aspetti individuali come la velocità e la variabilità con cui le abilità vengono acquisite. Una stessa competenza, infatti, può essere raggiunta con l’uso di strategie diverse che variano da bambino a bambino e proprio per questo motivo gli studiosi ritengono più corretto riferire l’insorgenza delle diverse capacità ad un range di età piuttosto che ad un’età definita e fissa. Infine, essendo lo sviluppo correlato alla maturazione del sistema nervoso centrale, le attività maggiormente grossolane vengono gradualmente sostituite da risposte più specifiche, quindi i riflessi primitivi devono progressivamente scomparire per consentire l’acquisizione delle funzioni adattive complesse e finalizzate (4).
Questi principi rappresentano i punti cardine dello sviluppo del bambino.
Di seguito riporterò un breve excursus storico riguardante le principali teorie relative allo sviluppo motorio, in seguito descriverò lo sviluppo fisiologico del bambino relativo al primo anno di vita, fascia di età relativa alla casistica scelta per la mia tesi.
I modelli di studio delle competenze motorie globali
Nei primi anni del novecento prevale il “modello maturazionista” dello sviluppo motorio secondo cui l’evoluzione del sistema nervoso e l’acquisizione delle competenze motorie sono connesse alla maturazione delle strutture nervose, ovvero alla progressiva mielinizzazione in senso caudo-rostrale e al controllo delle strutture motorie in senso cefalo-caudale (A. Gesell, M. McGraw). Questa concezione attribuisce un ruolo essenziale ai riflessi posturali di origine spinale o sottocorticale (riflessi tonici del collo, reazioni di raddrizzamento, reazioni di equilibrio e di difesa) in quanto questi vengono progressivamente integrati e controllati dalle strutture corticali determinando lo sviluppo della postura e della stabilità posturale (5). Per cui secondo questa teoria, denominata teoria dell’organizzazione riflessa-gerarchica del controllo posturale, l’esperienza non modifica il comportamento in quanto è l’input sensoriale a determinare una risposta motoria. Si tratta, quindi, di un approccio descrittivo-normativo che ha portato all’individuazione di tappe evolutive definite, geneticamente determinate ed universali, su cui si basano le scale per la valutazione dello sviluppo (es. Bayley) finalizzate a rilevarne eventuali rallentamenti o deviazioni.
Questo modello di studio, tuttavia, non tiene conto dell’ampia variabilità individuale che riguarda lo sviluppo motorio né della plasticità neuronale, pertanto, la semeiotica reflessologica, negli anni seguenti alla sua affermazione, si è rilevata scarsamente significativa per la diagnosi neuroevolutiva.
Questi presupposti sono stati un punto di partenza per le principali metodologie di valutazione neurologica del neonato e del lattante, tra cui l’esame neurologico di Milani Comparetti, e per alcune metodologie di intervento riabilitativo, tra cui quelle di Bobath e Vojta.
Nello specifico, Milani Comparetti elabora una nuova tecnica di esame per la diagnosi neuroevolutiva nel primo anno di vita basata sul concetto di diadicasia, ovvero un modello teorico di struttura della motricità il quale presuppone che “a costituire la struttura della motricità siano i pattern motori e che fra questi vi sia un rapporto di interazione competitiva sul quale si costruisce il modello finale operativo consegnato ai meccanismi esecutori”; in questa nuova visione i riflessi agiscono come “organizzatori di motricità per l’arco di tempo in cui ciascuno di essi acquista una dominanza significativa sul complesso interattivo”, pertanto devono comparire e scomparire in momenti precisi dello sviluppo motorio e risulta significativa la loro capacità di interferire in senso positivo o negativo sullo sviluppo funzionale, non la loro evocabilità (6). Si tratta, quindi, di un “modello epigenetico” il quale riconosce l’importanza sia del contesto ambientale sia del patrimonio genetico di patterns; una stessa funzione può esser raggiunta con modalità e tempistiche differenti e lo sviluppo non viene più visto come una successione rigida di tappe.
Dagli anni ’60 i contributi delle neuroscienze modificarono il punto di vista degli anni precedenti mostrando che il comportamento motorio può essere autogenerato senza la presenza di uno stimolo periferico. A questa visione appartengono gli studi e le teorie elaborate da Bernstein (1967), neurofisiologo russo, il primo ad ipotizzare che il controllo motorio fosse distribuito tra diversi sistemi che interagiscono tra di loro per portare a termine un comportamento adeguato alle richieste ambientali. Questa teoria del controllo motorio viene definita “teoria sistemica”.
In particolare i modelli sistemici sostengono che lo sviluppo posturale non sia legato esclusivamente ai riflessi, come afferma la teoria maturazionista, ma che emerga dalla complessa interazione tra il sistema muscolo scheletrico e neurale e gli stimoli che derivano dall’ambiente.
L’emergere del controllo posturale è dato dall’interazione dei seguenti sistemi (come mostrato in Fig. 1.1) (5):
- il sistema muscolo-scheletrico, in particolare per gli aspetti della forza muscolare e della massa corporea;
- lo sviluppo di sequenze coordinate e di sinergie neuromuscolari nel mantenimento della stabilità;
- lo sviluppo dei sistemi sensoriali, somatosensoriale e vestibolare;
- lo sviluppo di strategie sensoriali e di regole per il coordinamento delle informazioni derivanti dall’ambiente;
- lo sviluppo dello schema corporeo, essenziale per la consapevolezza della postura e per il coordinamento delle azioni;
- lo sviluppo di meccanismi di adattamento e di anticipazione.
Figura 1.1 - Modello teorico che rappresenta i sistemi che contribuiscono al controllo della postura (5)
Secondo Bernstein “la coordinazione del movimento è il processo di controllo dei numerosi gradi di libertà disponibili nei diversi sistemi coinvolti nell’attività motoria” (5). Tale presupposto prevede un’organizzazione gerarchica nella quale vi siano centri elevati del sistema nervoso che attivino centri più bassi volti, a loro volta, al controllo di patterns o sinergie muscolari.
Il primo requisito per la programmazione di un’attività volontaria è rappresentato dalla formulazione di un piano d’azione, che viene definito come “un engramma astratto di modellazione del futuro da parte dell’individuo”, che implica una differenza tra la situazione corrente e quella rappresentata nel cervello. Questo comporta la presenza di diversi elementi, ovvero un motore esecutore, un organo ricettore, un elemento di controllo e un organo di comparazione, un apparato di ricodificazione e un regolatore (Fig. 1.2). La ripetizione del compito permette inoltre di memorizzare una strategia esecutiva e di ridurre di conseguenza i gradi di libertà coinvolti nel sistema.
Figura 1.2 - Modello di N. Bernstein (1967) per un sistema capace di attività volontaria verso oggetti o situazioni dell'ambiente (5)
Le ricerche di Bernstein influenzarono gli studi successivi, in particolare la “teoria dei sistemi dinamici” elaborata da Kugler (1980) e da Schoner e Kelso (1988), e la “teoria ecologica” di Gibson (1966).
La prima sostiene il principio dell’autorganizzazione dei sistemi, basato sui principi della termodinamica: le diverse parti di un sistema realizzano una attività coordinata se agiscono insieme. Applicando tale principio al concetto di sviluppo motorio, si può pertanto sostenere che l’organizzazione e il controllo specifico di un comportamento siano l’effetto della cooperazione dei singoli elementi, quali forza muscolare, peso corporeo, postura, intenzione, sviluppo del cervello e richiesta ambientale.
La seconda sostiene che le azioni richiedano informazioni percettive specifiche relative ad un’azione mirata posta dal contesto ambientale. Il compito dell’individuo è pertanto quello di selezionare ed isolare attivamente le informazioni utili per il raggiungimento di un determinato scopo, quindi la percezione viene considerata come un elemento essenziale del controllo motorio (5).
Il contributo di tale teoria ha permesso di ampliare lo studio del funzionamento del sistema nervoso, spostando l’attenzione sull’esistenza di un sistema di percezione ed azione, necessario per risolvere i compiti adattivi.
Infine, per l’analisi dello sviluppo del bambino è fondamentale citare un’altra teoria, la “teoria del sistema funzionale”, che emerge nella seconda metà del ‘900 dal lavoro di Anochin, medico e revisionista russo. Anochin si interessa delle funzioni corticali superiori, in particolare dello studio delle basi neuronali dei processi motori. Il concetto di sistema funzionale definisce l’“insieme di strutture e processi variamente localizzati funzionalmente orientati al conseguimento di uno scopo biologico dato” (7). Si tratta di un sistema ciclico che, riportando continuamente al SNC segnalazioni sugli effetti dell’azione in corso, consentono all’organismo di raggiungere il risultato finale superando le eventuali discrepanze tra il risultato raggiunto e quello programmato, è un modello dell’attività comportamentale applicabile a tutte le funzioni. Per quanto riguarda il bambino, il contributo più importante riguarda il sistema funzionale di prensione e manipolazione e di deambulazione.
L’apprendimento motorio in età evolutiva
“L’apprendimento motorio viene definito come una modificazione adattiva del comportamento motorio che porta all’acquisizione stabile di abilità, attuata attraverso un complesso processo percettivo-motorio-cognitivo, nella ricerca di una soluzione ad un compito che emerge nell’interazione fra individuo e ambiente” (Woollacott, 1995).
Il contributo maggiore, in età evolutiva, è dato da Bruner che dall’osservazione del comportamento dei bambini trae i seguenti elementi comportamentali per dimostrare l’esistenza di intenzionalità nel primo anno di vita:
- il bambino è in grado di mettere in atto una attività anticipatoria rispetto al risultato dell’azione quando si trova di fronte ad uno stimolo appropriato;
- il bambino è inoltre in grado di selezionare gli stimoli pertinenti derivanti dall’ambiente e di mantenere una attenzione sostenuta per tutta la durata del compito;
- il bambino infine riduce l’attività quando realizza lo scopo dell’azione
Bruner ritiene che il comportamento del bambino, inizialmente caotico e dominato dai riflessi, evolva in azioni intenzionali in occasioni di situazioni ambientali appropriate dove possa sperimentare le proprie strategie. L’apprendimento si verifica in seguito ad azioni condotte attivamente dal bambino, che deve essere “attivo e propositivo”, in grado di interagire con l’ambiente, formulare intenzioni, elaborare un piano d’azione, scegliere le strategie operative e trasformare il piano d’azione in un programma motorio specifico (Fig. 1.3).
Inoltre Bruner afferma che l’acquisizione progressiva del controllo motorio da parte del bambino avvenga attraverso un processo di modularizzazione, che prevede progressivamente una riduzione dei gradi di libertà man mano che il bambino acquisisce una memoria motoria sperimentando diverse sequenze modulari o subroutines (5).
Figura 1.3 - Livelli di elaborazione, esecuzione e controllo del comportamento motorio (5)
Di seguito verrà riportato lo sviluppo fisiologico del bambino nel primo anno di vita il quale, per semplicità, viene suddiviso in 4 fasce d’età che si differenziano tra loro per il diverso livello di sviluppo raggiunto sul piano motorio, cognitivo e relazionale. Tuttavia, bisogna sempre considerare l’ampia variabilità individuale e considerare le fasce d’età in maniera flessibile in quanto l’insorgere di nuove acquisizioni può avvenire con tempistiche diverse da bambino a bambino, come riportano le teorie citate precedentemente.
Lo sviluppo fisiologico del bambino nella fase 0-3 mesi
Il parto, e quindi il passaggio dalla vita intrauterina alla vita extrauterina, rappresenta un momento delicato per il neonato in quanto comporta diversi cambiamenti importanti. Nel grembo materno il piccolo è abituato ad un ambiente liquido caratterizzato da temperatura elevata e assenza di luce e aria che costituisce, inoltre, un riparo da rumori forti. La vita all’esterno, invece, presenta aspetti opposti in quanto connotata da temperatura ridotta, luminosità, aria e rumori diretti. Il neonato viene quindi sottoposto a modificazioni fisiologiche notevoli che gli consentono di adattarsi velocemente al nuovo ambiente e di iniziare la vita autonoma. Per questo motivo, nel primo trimestre, il piccolo deve imparare a regolare il proprio sistema neurovegetativo (la respirazione, la circolazione, la termoregolazione, le funzioni viscerali). In questo periodo una modesta instabilità di tale sistema è considerata fisiologica ma deve successivamente essere superata per consentire l’organizzazione e la maturazione delle competenze neuromotorie (organizzazione posturo-motoria sulla linea mediana, capacità di fermarsi nello spazio, coordinazione occhio- mano-bocca, esplorazione tattile...), degli stati comportamentali ed il passaggio da uno stato all’altro (sonno profondo/leggero, dormiveglia, veglia tranquilla/agitata, pianto), delle funzioni alimentari-digestive e di quelle relazionali-comunicative (mimica, primi sorrisi, qualità dell’attenzione...). I segnali di stress si possono manifestare sotto forma di startles, tremori, cute marezzata, singhiozzo, rigurgiti, respiro irregolare…(8)
È molto importante aiutare il piccolo a stabilizzarsi attuando modalità di handling, holding ed un’adeguata care posturale.
Dal punto di vista relazionale e comportamentale, il bambino, nel primo mese di vita, passa la maggior parte del tempo dormendo, in media circa 16-18 ore al giorno, e le interazioni con l’ambiente risultano scarse e caratterizzate da risposte globali e generalizzate. Durante le prime settimane, la Mahler, parla di narcisismo primario e di autismo fisiologico primario per indicare lo stato di inconsapevolezza del bambino rispetto all’agente delle cure materne ed il sistema monadico chiuso in cui si trova (9). Nei mesi successivi si organizza e stabilizza il processo di autoregolazione degli stati comportamentali di sonno e veglia, e quindi la qualità del sonno, la transizione da uno stato all’altro, la maturazione della veglia tranquilla etc… quest’ultima consente al piccolo di avere delle relazioni interpersonali e di sviluppare le competenze visive, uditive e motorie.
Sin dalla nascita il bambino comunica attraverso il pianto le sue sensazioni e i suoi bisogni, come la fame, la sete, il caldo, il freddo, il dolore o la necessità di essere cambiato. Gradualmente la mamma impara a comprendere e a rispondere con tempestività alle richieste del suo piccolo, assume, quindi, molta importanza l’interazione e la relazione bambino-caregiver che si esplica attraverso l’ascolto, lo sguardo, la mimica (sorriso), la cuddliness (ricerca attiva del coccolamento), le modalità consolatorie etc… A quest’età il bambino adotta la flessione fisiologica neonatale per rannicchiarsi sul corpo dell’adulto quando viene preso in braccio e si consola con la voce dei genitori, con un contenimento o con il tatto ma può utilizzare anche modalità autoconsolatorie indipendenti da stimoli esterni (es. mano sul viso). La Mahler definisce fase simbiotica il periodo che va dai 2 ai 4 mesi poiché il bambino è un’unità duale con la madre, considerata una fonte esterna di cure e gratificazioni (9).
Secondo Spitz il sorriso nei confronti della vista del volto umano indica un primo accenno di coscienza della differenziazione fra se’ e non se’.
Attraverso la ripetizione delle reazioni innate (suzione, prensione…) il piccolo esercita queste competenze e le applica in modo sempre più modulato (es. suzione non nutritiva). Piaget parla di reazioni circolari primarie per indicare la ricerca intenzionale dell’atto motorio al fine di rievocare un movimento ritenuto interessante. Si tratta tuttavia di azioni centrate sul corpo del bambino stesso e non sulla realtà esterna, per questo motivo vengono definite primarie e concorrono allo sviluppo dello schema corporeo. Proprio attraverso le azioni e le percezioni il piccolo inizia nel corso del primo trimestre a conoscere il mondo in quanto costituito da oggetti permanenti i quali vengono ritenuti un prolungamento dell’azione e non in quanto realtà ad essa indipendenti (10). Per quanto riguarda il sistema visivo alla nascita il bambino è in grado di cogliere il contrasto tra zone chiare e zone d’ombra ma non è ancora capace di controllare i movimenti degli occhi e non riesce a mettere a fuoco il mondo attorno a sé, l’acuità visiva è inferiore ad 1/10 ed il campo visivo è ridotto. Tuttavia il piccolo, nel corso del primo mese, percepisce il contorno di una figura, è attratto soprattutto da stimoli luminosi e da forme semplici ad alto contrasto ed è in grado di mettere a fuoco oggetti situati a 20-25 cm dai suoi occhi (es. volto materno durante l’allattamento) di cui può seguire visivamente lo spostamento secondo traiettorie orizzontali e verticali, ciò che viene posto ad una distanza maggiore, invece, appare sfuocato e viene percepito in maniera imprecisa e secondo tonalità di grigio.
Nei mesi successivi le capacità di fissazione risultano maggiormente durevoli, si sviluppa la convergenza ed aumenta la sensibilità al contrasto, inoltre, il piccolo impara a riconoscere il volto materno, inizia a percepire i diversi colori, appare attratto da forme più complesse e mostra interesse per gli oggetti posti lateralmente (11).
In relazione allo sviluppo uditivo sin dalla nascita il neonato appare sensibile alle intensità dei suoni mentre non distingue ancora le diverse tonalità. Nei primi mesi è in grado di girare la testa e gli occhi in direzione della fonte del suono.
Dal punto di vista motorio il piccolo si trova ad affrontare per la prima volta la forza di gravità: nel corso dei primi 3 mesi matura il controllo antigravitario del capo, l’allineamento capo-tronco, la capacità di portare gli arti sulla linea mediana e la coordinazione occhio-mano/mano-bocca.
In questo periodo è possibile l’evocazione dei riflessi primari, quali il riflesso di Moro (abduzione simmetrica degli arti superiori con apertura delle mani), il riflesso dei punti cardinali (rotazione del capo verso la zona peribuccale stimolata), il riflesso di suzione ed il riflesso di grasping (prensione palmare). L’attività manipolatoria inizia con il grasping ed è mediata inizialmente da afferenze tattili. Verso i 3 mesi la prensione si coordina con la suzione, ovvero il bambino porta alla bocca qualunque oggetto che afferra per contatto.
Lo sviluppo fisiologico del bambino nella fase 4-6 mesi
In questa fase, a livello relazionale e comportamentale, il bambino manifesta un interesse crescente nei confronti dell’ambiente circostante e delle persone. Si assiste al passaggio tra le azioni centrate sul proprio corpo a quelle centrate sulle cose (scuotere, colpire…), definite da Piaget reazioni circolari secondarie poiché si tratta di azioni che vengono conservate e ripetute volontariamente per riprodurre un risultato considerato interessante. Il piccolo adopera tutti gli oggetti indipendentemente dalle loro caratteristiche intrinseche ed impara a utilizzare azioni intermedie (mezzi), non più fini a se stesse come nel trimestre precedente, per raggiungere uno scopo (10). Il miglioramento della qualità e della durata della veglia tranquilla, nonché la stabilizzazione del sistema neurovegetativo, consentono una maturazione della capacità di prestare attenzione visiva ed uditiva. Il piccolo, inoltre, affina le modalità comunicative attivando una vera e propria modulazione verbale (vocalizzi, suoni gutturali, pianto e riso).
Infine questo periodo segna l’inizio della separazione dal caregiver ed un aumento della consapevolezza di sé, elementi che portano ad una maggiore indipendenza (9).
Per quanto riguarda il sistema visivo, intorno ai 4 mesi si definisce la coordinazione oculo-manuale e compare la visione binoculare; verso i 5 mesi aumentano le capacità di fissazione ed il bambino è in grado di vedere oggetti posti a qualche metro mentre presenta ancora difficoltà con gli oggetti in movimento; a 6 mesi circa l’acuità visiva appare oltre i 2/10, si riscontra una buona fissazione degli oggetti lontani e si sviluppa la convergenza. In questo periodo, inoltre, il piccolo appare maggiormente interessato all’esplorazione dell’ambiente circostante e risulta attratto da oggetti in movimento (11).
Dal punto di vista dello sviluppo uditivo in questi mesi il bambino reagisce ai suoni con eccitazione e sorride quando sente la voce dei caregiver.
Dal punto di vista motorio il bambino matura il controllo antigravitario del capo e del tronco, migliora l’equilibrio nelle posizioni orizzontali (prona, supina e decubito laterale) e la funzione di sostegno degli arti superiori in posizione prona. Inizia ad attuare da solo i primi passaggi posturali, ovvero il mezzo- rotolone (supino-prono a 5-6 mesi, prono-supino a 6-7 mesi), ed in seguito, le prime modalità di spostamento, ovvero il rotolamento propriamente detto. A partire dai 4-5 mesi iniziano a strutturarsi le reazioni di paracadute, nell’ordine, in basso, in avanti, laterali e indietro.
La curiosità e l’interesse nei confronti del mondo circostante si traducono in una maturazione della coordinazione occhio-mano-oggetto-bocca; le afferenze visive guidano l’afferramento (presa cubito-palmare a 4 mesi, presa digito- palmare a 6 mesi) dell’oggetto le cui caratteristiche vengono apprese con modalità di esplorazione orale. Ciò è consentito anche da un maggior mantenimento della posizione semi-seduta che, oltre a consentire al piccolo di osservare quel che succede intorno a sé, gli permette di aumentare la percezione del proprio schema corporeo.
Lo sviluppo fisiologico del bambino nella fase 7-9 mesi
In questa fase, a livello relazionale e comportamentale, prosegue il processo di separazione-individuazione avviato nel trimestre precedente, infatti il bambino aumenta la consapevolezza di sé ed è in grado di distinguere se stesso da oggetti o altre persone (9). Una conseguenza di questo aspetto è quella che Spitz definisce reazione di angoscia, ovvero la tendenza del piccolo a piangere in presenza di un volto estraneo che si può osservare verso l’ottavo mese.
Le nuove competenze motorie incrementano la sua curiosità nei confronti dell’ambiente in cui si trova e si assiste a modalità di esplorazione visiva, uditiva e tattile più sofisticate: il piccolo lancia gli oggetti, li mette dentro/fuori i contenitori, utilizza l’oggetto transizionale e scopre i giochi nascosti. A quest’età il bambino riconosce il proprio nome e si volta quando viene chiamato, inoltre vi è un aumento della comunicazione intenzionale, attraverso la produzione di suoni, e della comprensione di un numero crescente di parole e di gesti familiari (es. gesti deittici come mostrare, indicare…) che il piccolo imita e riproduce. Rispetto alla fase precedente il bambino si mostra maggiormente autonomo nelle attività della vita quotidiana come i pasti, il gioco ed il sonno.
Per quanto riguarda il sistema visivo il bambino sviluppa un’acuità visiva pari a circa 5/10 e riesce a distinguere oggetti sempre più piccoli anche ad una distanza di 1metro-1metro e mezzo (11).
In relazione allo sviluppo uditivo verso i 6-7 mesi riesce ad individuare la fonte di uno stimolo sonoro e utilizza l’udito per orientarsi meglio.
Dal punto di vista motorio in questa fase il bambino acquisisce la posizione seduta autonoma, impara ad effettuare ulteriori passaggi posturali e sperimenta nuove modalità di spostamento (strisciamento, pivotting, deambulazione quadrupede, shuffling), tali competenze permettono al piccolo di esplorare autonomamente lo spazio circostante. Inoltre la possibilità di disporre delle mani, non più utilizzate con funzione di sostegno in posizione seduta, consente una maturazione del sistema di prensione e manipolazione (presa radio- palmare a 7-8 mesi, pinza inferiore a 8 mesi, pinza superiore a 9 mesi) con l’acquisizione di una motricità fine distale (afferra, manipola, passa da una mano all’altra…), gli apprendimenti sensitivi e cognitivi, pertanto, vengono arricchiti.
Lo sviluppo fisiologico del bambino nella fase 10-12/18 mesi
In questa fase, a livello relazionale e comportamentale, il piccolo appare in grado di comunicare meglio attraverso la mimica facciale e l’uso dei gesti deittici e referenziali (es. indicazione, fare “ciao” etc…), inizia a dire le prime parole e comprende frasi semplici in contesti significativi. Tra i 12-18 mesi il bambino comincia a comprendere con maggior consapevolezza il “no” e, di conseguenza, impara a rispettare alcuni limiti comportamentali imposti dagli adulti giungendo ad una completa distinzione fra se stesso e l’oggetto materno. Le nuove acquisizioni motorie consentono una maggior consapevolezza del proprio schema corporeo e delle funzioni delle singole parti che lo compongono, inoltre, secondo la Mahler, giocano un ruolo fondamentale nell’evoluzione della relazione con la figura materna poiché il piccolo impara ad allontanarsi fisicamente da lei (gattona, si alza in piedi, deambula…) continuando il processo di separazione-individuazione avviato nelle fasi precedenti (9).
In questa fase cambiano le modalità del gioco, che risultano caratterizzate da maggior autonomia, migliori competenze attentive, dal riconoscimento degli effetti delle proprie azioni (es. costruisce la torre e la butta giù), da azioni intenzionali, da un’iniziale strutturazione del rispetto dell’alternanza dei turni (es. tira fuori e mette dentro gli oggetti, inizia e porta a termine un’attività…) e dall’uso dell’oggetto transizionale in assenza dell’adulto. In questo arco di tempo il lancio dell’oggetto viene utilizzato per conoscere lo spazio e, successivamente (12-18 mesi) per conoscere le proprietà dell’oggetto (es. pesante, leggero…).
Piaget, tra i 12 ed i 18 mesi, parla di reazioni circolari terziarie per indicare il momento di sperimentazione attiva caratterizzato da azioni gradualmente variate e modulate al fine di scoprire le proprietà dell’oggetto ed evocare nuovi effetti interessanti, procedendo per prove ed errori (10).
Si struttura in questi mesi la permanenza dell’oggetto, ovvero la consapevolezza che un oggetto continui ad esistere anche quando si trova al di fuori del campo percettivo.
Il bambino appare interessato ai normali oggetti di casa e alla routine della sua giornata (es. cerca di mangiare da solo, collabora alla vestizione/svestizione…). Per quanto riguarda il sistema visivo verso i 10-11 mesi viene raggiunta la visione tridimensionale con l’acquisizione del senso della profondità e, nei mesi successivi, si espandono le abilità di riconoscimento di oggetti sempre più piccoli, aumenta la distanza alla quale sono possibili le capacità di fissazione e inseguimento e migliora la capacità di vedere oggetti posti lateralmente. Intorno all’anno l’acuità visiva è pari a 6/10 mentre il campo visivo appare uguale a quello dell’adulto (11).
Lo sviluppo uditivo, verso i 12 mesi, risulta essere pienamente sviluppato, il bambino dimostra di saper localizzare i suoni, si mostra attratto da rumori nuovi, riconosce le sue canzoni preferite, segue comandi semplici, balla quando sente la musica etc…
Dal punto di vista motorio tramite gli spostamenti orizzontali, è ora in grado di muoversi da solo a terra esplorando ciò che lo circonda ed arricchendo così le proprie conoscenze cognitive e sensoriali.
L’appuntamento funzionale di questa fase è il passaggio dalla posizione seduta a terra a quella eretta e l’inizio della deambulazione. In un primo momento il bambino, in presenza di un supporto anteriore al quale sostenersi, impara a stare in piedi per un tempo prolungato, per poi iniziare a spostarsi mediante il cammino latero-laterale. In questo modo il piccolo impara a gestire le perdite di equilibrio affinando le reazioni di paracadute. Successivamente risulta esser pronto per l’acquisizione della deambulazione frontale.
Attraverso la prensione e manipolazione degli oggetti si assiste ad uno sviluppo dei movimenti fini delle mani con la possibilità di utilizzare singolarmente le dita per un’esplorazione dettagliata degli oggetti. Verso i 12 mesi la presa viene modulata in base alle caratteristiche dell’oggetto da afferrare e si ha l’acquisizione della pinza superiore. Dai 12 ai 18 mesi il sistema di prensione e manipolazione evolve ulteriormente con la comparsa dei movimenti di prono/supinazione e l’uso differenziato delle dita.