Mucopolisaccaridosi I
La Mucopolisaccaridosi tipo I è una malattia autosomica recessiva dovuta al deficit dell'attività dell'enzima lisosomiale alfa-L-iduronidasi. Ciò determina un progressivo accumulo dei glicosaminoglicani (GAG) dermatan ed eparan-solfato cui consegue il danno cellulare e la disfunzione multiorgano.
Le raccomandazioni per la MPS I, sono conformi a quelle redatte dall'MPS International Panel, composto, tra gli altri, da pediatri, ortopedici e genetisti con lo scopo di fornire indicazioni utili per la gestione multidisciplinare, il trattamento e il follow up dei pazienti; ove possibile, lo scopo del trattamento è quello di un intervento mirato e precoce per migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari.
Storicamente la MPS I, come già detto in precedenza, è stata suddivisa in 3 diverse forme cliniche a decrescente gravità: la sindrome di Hurler (forma severa) con sopravvivenza <10 anni, la sindrome di Hurler-Scheie (forma intermedia) con sopravvivenza <25 anni e la sindrome di Scheie (forma attenuata) con una durata di vita normale, ma comunque associata a gravi disabilità. Oggi appare appropriato considerare la MPS I una malattia eterogenea con un ampio spettro di espressione fenotipica, che va dalla forma grave (sindrome di Hurler) a quella più attenuata (sindrome di Scheie), indistinguibili dal punto di vista biochimico.
La MPS I è una patologia panetnica con una incidenza, nella popolazione italiana, di circa 1:80.000 nati vivi, ugualmente distribuita tra i due sessi.
Il gene che codifica l'alfa-L-iduronidasi è costituito da 14 esoni ed è localizzato sul cromosoma 14p 16.3. Sono state identificate circa 100 mutazioni che comprendono mutazioni non-senso, missenso, alterazioni dello splicing, delezioni ed inserzioni. L'analisi molecolare di trenta pazienti affetti da MPS I ha rilevato una grande eterogeneit à genetica nel nostro Paese ed ha suggerito una possibile origine mediterranea delle mutazioni P353R e G51D. L'elevato numero di mutazioni della patologia, non permette di stabilire una chiara correlazione genotipo/fenotipo nella maggior parte dei pazienti. Allo stato attuale delle conoscenze ha sicuramente valore predittivo per il fenotipo severo la presenza di mutazioni non-senso, di cui Q70X e W 402X sono le più comuni nella popolazione caucasica, su entrambe gli alleli del gene IDUA. La presenza di mutazioni è responsabile di una ridotta attività dell'enzima IDUA che può variare dalla completa assenza nella forma più severa alla presenza di un'attività residua del 0.3% rispetto ai controlli nei pazienti con la forma più attenuata. L'attività enzimatica residua non può comunque essere utilizzata per predire il fenotipo patologico né la progressione della malattia, in quanto non rilevabile precisamente con le attuali tecniche diagnostiche.
Come per le altre forme di MPS, il dosaggio dei GAG urinari costituisce il test di primo livello nell'approccio alla diagnosi. È possibile effettuare la valutazione quantitativa dell'escrezione totale dei GAG e lo studio semiquantitativo delle varie frazioni. La diagnosi si basa poi sul dosaggio dell'attività dell'alfa-L-iduronidasi su fibroblasti, leucociti o siero. L'analisi molecolare del DNA, per quanto non fondamentale ai fini diagnostici, deve sempre essere eseguita: è utile ai fini della programmazione familiare (diagnosi prenatale), può essere un elemento di guida per alcune scelte trapiantologiche, ma soprattutto, oggi che alcune terapie sono disponibili, può costituire un elemento di ricerca importante nella valutazione dell'outcome.
Nei pazienti con la forma attenuata di MPS I la diagnosi è spesso tardiva, fino a che la progressione dei sintomi non suggerisce una patologia da accumulo. Benché i pediatri e i medici di base siano in genere i primi ad essere consultati, altre manifestazioni cliniche come infezioni ricorrenti, alterazioni scheletriche, ernie, spesso portano a rivolgersi ad altri specialisti. Diventa sempre più importante fare una diagnosi precoce in modo da ridurre la progressione della patologia ed assicurare il trattamento più idoneo.
La gestione dei pazienti dovrebbe essere effettuata in Centri multispecialistici esperti nel trattamento della patologia. La progressività della malattia impone controlli periodici specialistici almeno annuali, meglio se eseguita in un breve ricovero presso una struttura ospedaliera adeguata. La frequenza dei controlli va stabilita in base alle necessità di ciascun paziente. I livelli dei GAG urinari e le dimensioni della milza e del fegato sono normalmente usati per valutare l'effetto del trattamento, pertanto non sono raccomandati come analisi di routine in pazienti che non sono in trattamento.
Indice |
INTRODUZIONE |
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CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
Tesi di Laurea di: Dèsirée FRAGNELLI |
Le strategie di gestione e le scelte terapeutiche devono essere stabilite individualmente per ciascun paziente sulla base di vari parametri, quali l'età della diagnosi, la sintomatologia, il grado e il tipo di complicanze.
È stato istituito un registro mondiale delle MPS I. Questo database osservazionale ha lo scopo di aggregare dati sulla malattia al fine di ottenere una migliore valutazione clinica e guidare nelle scelte degli interventi terapeutici. È fortemente raccomandato riportare i dati a tale registro. Ulteriori informazioni si possono ottenere su www. MPSregistry. com
3.1 Manifestazioni Cliniche
FORMA SEVERA
I pazienti con la forma severa di MPS I a causa di gravi scompensi cardiorespiratori e del progressivo coinvolgimento neurologico vanno incontro ad exitus generalmente entro la prima decade di vita.
Alte e basse vie aeree: Dal punto di vista respiratorio i sintomi a carico delle prime vie aeree sono caratterizzati da riniti, otiti e tracheiti recidivanti. I pazienti presentano frequentemente ipoacusia mista, spesso correlata con la gravità del quadro clinico. Le cause più importanti di ipoacusia includono le frequenti otiti, la presenza di otite catarrale cronica, la disostosi degli ossicini dell'orecchio interno, la presenza di cicatrici della membrana timpanica e un danno del nervo acustico. Inoltre l'ipertrofia adenotonsillare, associata all'ingrossamento della lingua, alla frequente presenza di stenosi della trachea dovuti al deposito di mucopolisaccaridi, sono responsabili di dif- ficoltà respiratorie ingravescenti che si manifestano principalmente con roncopatia e apnee notturne. Ne consegue che tutti i paziente affetti da MPS I dovrebbero essere sottoposti a controlli ORL annuali per la diagnosi precoce di ipertrofia adenotonsillare, versamento endotimpanico e ipoacusia e quindi la programmazione tempestiva degli eventuali interventi necessari come l'adenotonsillectomia, il drenaggio trasntimpanico e l'eventuale prescrizione di protesi acustiche. In caso di gravi ostruzioni a carico delle alte vie aeree (orofaringe o trachea), possono essere necessari interventi più o meno invasivi partendo dalla ventilazione assistita con pressioni positive (CPAP e BiPAP) fino ad arrivare alla necessità di eseguire tracheotomie. Per quanto riguarda le basse vie aeree l'alterata conformazione della cassa toracica e la rigidità delle articolazioni costali possono determinare insucienza respiratoria restrittiva, da monitorare. Tutti i pazienti pertanto dovrebbero essere seguiti routinariamente da un consulente pneumologo.
Sistema cardiovascolare: Dal punto di vista cardiaco può essere presente una car- diopatia valvolare, principalmente a carico delle valvole mitrale e aortica, con iniziale insucienza e successiva stenosi che, con il progredire della malattia, possono determinare un'insucienza cardiaca. Inoltre il deposito di GAGs a livello delle coronarie può determinare stenosi e di conseguente ischemia cardiaca. È opportuno quindi eseguire controlli ecocardiografici ed ECG periodici. Da prendere in considerazione insieme al cardiologo l'opportunità di intervento valvolare. Prima di ogni atto chirurgico è appropriato eseguire profilassi dell'endocardite batterica con terapia antibiotica.
Organi ipocondriaci: L'epatosplenomegalia da accumulo è comune nei pazienti affetti da MPS I. Raramente in questi pazienti è presente insucienza d'organo. L'aumentata pressione endoaddominale può invece essere concausa nel determinare ernie ombelicali e inguinali.
Apparato muscolo-scheletrico: Tutti i pazienti con forma grave di MPS I sviluppano alterazioni progressive scheletriche e articolari che causano grave limitazione funzionale fino alla perdita totale dell'attività motoria. Sono caratteristiche della disostosi multipla la deformità della colonna vertebrale (cifosi, scoliosi), le alterazioni costali, la displasia e la sub-lussazione dell'anca, il valgismo e il varismo degli arti. Alcune di queste deformità scheletriche possono richiedere interventi di chirurgia ortopedica elettiva a carico della colonna e degli arti. La funzione dell'articolazione e la rigidit à possono trovare giovamento da terapie fisioterapiche riabilitative. Di particolare rilevanza clinica appare l'instabilità della colonna cervicale, causata dall'ipoplasia del dente dell'epistrofeo, per i risvolti legati all'iperestensione della regione cervicale in corso di manovre cruente, quali l'anestesia generale o la rapida mobilizzazione in seguito a traumi. Le alterazioni anatomiche della colonna vertebrale (cervicale e/o dorso-lombare) possono inoltre causare una progressiva compressione sul midollo spinale con conseguenti severe alterazioni funzionali che in casi selezionati possono richiedere interventi mirati di decompressione. Tutti i pazienti con MPS I dovreb- bero eseguire periodica valutazione radiologica, ortopedica e fisiatrica per valutare il progredire delle alterazioni scheletriche, il grado di rigidità articolare ed attuare tempestivamente gli interventi atti a sostenere ove possibile la funzione motoria e il tono muscolare.
Apparato visivo: L'opacità corneale è uno dei sintomi più frequenti e può essere causa di una grave perdita di capacità visiva. Inoltre sono stati descritti anche casi di glaucoma e degenerazioni retiniche. I pazienti dovrebbero essere sottoposti a valutazione oculistica completa, compresa la misurazione della pressione bulbare almeno una volta l'anno.
Sistema Nervoso Centrale: L'idrocefalo comunicante è comune nei bambini affetti dalla forma severa di MPS I, sostenuto dall'ispessimento delle leptomeningi causato dall'accumulo di GAG che può interferire con il riassorbimento del liquido cefalorachidiano da parte delle granulazioni del Pacchioni. L'aumento della pressione intracranica può determinare cefalea e un rapido declino cognitivo in alcuni individui, mentre in altri l'insorgenza può essere progressiva e insidiosa. È quindi importante monitorare periodicamente con RMN o TAC encefalo la situazione ventricolare e posizionare tempestivamente una derivazione ventricolo= o >peritoneale al fine di evitare danni permanenti dovuti all'ipertensione intracranica quali danni cerebrali o l'atro- fia del nervo ottico. Con la progressione del danno cerebrale, che si manifesta con progressiva atrofia cerebrale, alcuni pazienti presentano crisi epilettiche in genere sensibili alla terapia antiepilettica.
Sviluppo cognitivo: Il ritardo dello sviluppo mentale diventa evidente nel primo e secondo anno di vita, pur essendo conservate, almeno inizialmente, discrete abilità nella socializzazione. I bambini presentano un ritardo nell'acquisizione delle tappe dello sviluppo, quindi si assiste ad un blocco delle acquisizioni e successivamente ad una degenerazione neurologica progressiva. Le dicoltà nel linguaggio possono avere anche delle concause, prima fra tutte l'ipoacusia, ma anche l'ipertrofia linguale e le alterazioni dell'articolazione temporomandibolare. I pazienti dovrebbero eseguire con frequenza regolare sedute di terapia psicologica e logopedica specie durante i primi anni di vita.
FORMA ATTENUATA
Nei pazienti con la forma attenuata di MPS I la diagnosi è spesso ritardata, anche di diversi anni, fino a quando la progressione dei sintomi non si rende evidente, suggerendo l'ipotesi diagnostica di patologia da accumulo.
Alte e basse vie aeree: La maggior parte dei pazienti sviluppa un certo danno dell'udito, generalmente nelle alte frequenze. Inoltre può instaurarsi una patologia cronica dei seni paranasali. È quindi raccomandabile l'esecuzione di visita ORL ed esame audiometrico almeno una volta l'anno. L'apnea notturna ostruttiva e la pnemopatia restrittiva possono tardivamente esitare in una insucienza respiratoria cronica. I pazienti dovrebbero eseguire routinariamente valutazioni broncopneumologiche. Esame spirometrico e studi del sonno dovrebbero essere eseguiti prima di un'anestesia e comunque periodicamente.
Sistema cardiovascolare: La patologia cardiovascolare in questi pazienti è generalmente di tipo valvolare mitralico e aortico con stenosi o insucienza. La profilassi delle endocarditi batteriche con terapia antibiotica è raccomandabile prima degli interventi dentali e chirurgici. Valutazione cardiologica ed ecocardiogramma con ECG dovrebbero essere eseguiti alla diagnosi e periodicamente per valutare la progressione del coinvolgimento cardiologico.
Apparato muscolo-scheletrico: La patologia scheletrica può rappresentare l'elemento predominante nella MPS I attenuata e può variare da forme gravi a forme lievi. I pazienti, generalmente di bassa statura, soffrono di progressive ed ingravescenti limitazioni articolari che limitano le capacità motorie dei soggetti, fino alla completa impotenza funzionale. È possibile prevedere interventi di fusione vertebrale o osteotomie in caso di gravi deformità, a carico della colonna vertebrale quali cifosi e/o scoliosi. Fisioterapia ed idroterapia sono utili per alleviare il dolore da rigidità articolare. A volte è raccomandabile l'applicazione di tutori per mantenere corretta la posizione dell'articolazione e prevenire deformità essorie stabili. Consigliabile il controllo ortopedico periodico. Utili sono i controlli radiografici e fisiatrici per misurare lo stato di progressione della rigidità scheletrica e per intervenire al fine di mantenere la mobilità articolare e la forza muscolare.
Apparato visivo: L'opacità corneale è una complicanza diffusa ma con grado variabile. Raramente può instaurarsi glaucoma. La valutazione oculistica dovrebbe essere eseguita al momento della diagnosi di MPS I attenuata e successivamente ogni anno. Sistema nervoso centrale e periferico: In pazienti con MPS IS, l'RMN encefalo ha mostrato anomalie di segnale prevalentemente nella sostanza bianca periventricolare. Atrofia cerebrale e ventricolomegalia sono anche stati riportati in letteratura. Non chiara è ancora la correlazione con il quadro clinico. La compressione del midollo spinale e l'instabilità cervicale si sviluppano più tardivamente rispetto alla forma severa di MPS I e sono spesso sottodiagnosticati nei pazienti con la forma attenuata di MPS I. Il rilievo di andatura anomala, variazioni sensoriali, debolezza agli arti deve far sospettare una compressione spinale. I potenziali evocati sensoriali possono essere utili per individuare compressioni spinali precoci. La sindrome del tunnel carpale è sintomo frequente nella fase precoce della malattia nella forma attenuata e determina dolore notturno o parestesie. L'accumulo patologico nei fibroblasti potrebbe interferire con l'attività muscolare risultandone un intolleranza all'esercizio fisico. Valutazione neurologica e studi di conduzione nervosa dovrebbero essere eseguiti al momento della diagnosi e successivamente ogni 1-2 anni.
Sviluppo cognitivo: È generalmente normale. Alcuni pazienti possono avere problemi comportamentali o dicoltà nell'apprendimento per cui si possono giovare di trattamento psicologico e logopedico.
Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche
Per trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE) si intende una procedura finalizzata al trapianto di cellule metabolicamente normali derivate dal midollo osseo (BMT), dal sangue periferico (PBSCT) o dal cordone ombelicale (CBT) di donatori correlati o non correlati. Da quasi trent'anni il TCSE è utilizzato nel trattamento di diverse malattie da accumulo lisosomiale (LSD) con risultati importanti in alcune, ancora incerti o negativi in altre. Grazie alla notevole esperienza accumulata e ai continui progressi scientifici, negli ultimi anni è stato possibile iniziare a delineare con maggior chiarezza, almeno per le forme più comuni, indicazioni ai diversi trattamenti disponibili e percorsi terapeutici ragionati. Il TCSE è il trattamento di scelta per la forma grave di MPS I, se eseguito il più precocemente possibile, prima che intervengano significativi danni somatici e neuropsichici. È un trattamento ecace per molti aspetti somatici della malattia e, soprattutto, in grado di modificare l'outcome neuropsichico del paziente. Sfortunatamente, i meccanismi attraverso cui il trapianto risulta ecace non sono ancora del tutto ben elucidati e nemmeno è chiaro perché non sia ecace in malattie dove in linea teorica potrebbe esserlo (ad esempio la MPS III o s. di Sanfilippo). Vi è un periodo di latenza (6-24 mesi) prima che la malattia venga stabilizzata dal trapianto rendendo necessario estrapolare quali saranno le condizioni del paziente negli stadi successivi nel breve-medio termine prima di decidere la sua eleggibilità al trapianto stesso. Questo periodo di latenza si pensa sia dovuto alla lentezza del ricambio dei macrofagi/istiociti tissutali e delle cellule microgliali cerebrali da parte delle cellule del donatore assieme al tempo necessario al "lavaggio" dei metaboliti tossici accumulati. In passato, la fonte di cellule staminali era costituita dal midollo osseo di familiari HLA identici, oggi la disponibilità di cellule staminali periferiche o da midollo osseo di donatori non correlati o da sangue cordonale hanno notevolmente ampliato la possibilità dei pazienti con LSD di essere sottoposti a TCSE.
L'evoluzione, soprattutto nell'ultima decade, dell'expertise trapiantologico e della terapia di supporto hanno inoltre consentito di comprimere sensibilmente la mortalità peritrapiantologica acuta e pertanto, in mani esperte, il TCSE va considerato una procedura molto più sicura che in passato. Non va comunque dimenticato che, pur considerando i rischi trapiantologici, l'aspettativa "naturale" di vita a lungo termine per molte delle LSD eleggibili è pressoché zero. Il trapianto in utero va considerato invece tuttora una procedura del tutto sperimentale; per diverse ragioni, i pochi trapianti effettuati in epoca pre-natale in soggetti con diverse LSD, hanno avuto per lo più esito negativo. Il primo trapianto per una malattia lisosomiale (MPS IH) fu effettuato ormai nel lontano 1980. Da allora oltre 500 pazienti con forma severa di MPS I sono stati sottoposti a TCSE in diversi centri, dei quali almeno la metà in Europa. In Italia il primo trapianto per una MPS I (si trattava di una forma non severa) fu effettuato nel 1989.
Nel complesso quadro in continua evoluzione della ricerca, della disponibilità di farmaci innovativi e di nuove tecnologie, la decisione trapiantologica per lo specifico caso deve essere frutto di un'articolata ed esaustiva valutazione del paziente e del confronto multidisciplinare tra le diverse competenze (soprattutto metaboliche, neurologiche e trapiantologiche) e deve essere sempre una scelta compartecipata con la famiglia. L'obbiettivo del trapianto non può oggi essere semplicemente la sopravvivenza con un adeguato livello enzimatico, ma la sopravvivenza con le migliori capacit à intellettive e autonomia personali possibili in grado di tradursi nel mantenimento di un'adeguata qualità della vita. Al momento della definizione dell'eleggibilità del paziente alla procedura trapiantologica si deve poter formulare la valutazione probabilistica che nello specifico caso questo risultato possa essere ottenibile, altrimenti il paziente non dovrebbe essere considerato candidabile.
I Centri Trapianto hanno diverse tipologie a seconda dell'expertise e dei livelli di accreditamento. È fortemente raccomandato dalle organizzazioni internazionali che i trapianti per queste patologie vengano effettuati da Centri Trapianto ad alta specialit à con provata esperienza per trapianti allogenici, in particolare con l'uso e manipolazione di cellule staminali da donatore non correlato e che siano in grado di operare nella complessa interdisciplinarietà in grado di gestire tutte le possibili complicanze post-trapiantologiche di questa particolare categoria di pazienti ad alto rischio (centro malattie metaboliche, anestesista/rianimatore esperto della patologia, neurologo pediatra, neurochirurgia, ecc.).
Il TCSE è un trattamento ecace per la forma grave di MPS I, se eseguito il più precocemente possibile rispetto all'insorgenza della degenerazione neurologica. L'esperienza con il TCSE nella MPS I grave è notevole, al punto che per l'EBMT (European Blood and Marrow Transplantation Group ) la procedura oggi non è più considerata di ricerca, ma è anzi classificata come routine trapiantologica. Il successo clinico del TCSE dipende non solo dal tipo di donatore e dalla capacità di attecchimento del trapianto, ma soprattutto dall'età del bambino al momento del trapianto e dal suo grado di compromissione d'organo e neurologica. Il deterioramento delle funzioni cerebrali inizia precocemente nel bambino MPS IH non trapiantato e può già essere molto evidente a 2-3 anni d'età. Per prevenire ecacemente la perdita delle funzioni mentali, il TCSE deve essere eseguito quanto prima possibile, idealmente prima dei 12 mesi di vita e comunque non otre i 18-24 mesi. Oltre all'età, come altro criterio fondamentale per definire l'eleggibilità del paziente al TCSE, va considerato un QI= o >70. Tale quoziente corrisponde, a seconda dei test usati, a un DQ (developmental quotient ) = o >70 e ad un GQ (general quotient = età mentale/et à anagrafica) = o >70. Ovviamente, inoltre, criterio aggiuntivo per la selezione del candidato è l'assenza di alterazioni d'organo o apparato incompatibili con la tossicit à attesa della procedura (ad esempio, frazione d'eiezione cardiaca particolarmente compromessa). L'indicazione del limite d'età quale criterio di eleggibilità al TCSE, non è però assoluta e restrittiva: possono essere individuati eccezionalmente pazienti di età superiore ai 24 mesi, ma con compromissione d'organo ed intellettiva ancora modeste da non controindicare una loro eleggibilità al trapianto. Tutti i pazienti avviati al TCSE devono avere la diagnosi molecolare di MPS IH, questo non solo per consentire studi fenotipo-genotipo, ma per poter meglio valutare in futuro l'impatto del genotipo sull'outcome trapiantologico.
La definizione di alcuni pazienti MPS I-H come ad alto rischio (cioè soggetti a rischio di più elevata mortalità trapiantologica) è un concetto ancora in evoluzione e mal definito. È intuitivo che è l'entità del burden di malattia pre-trapianto soprattutto a determinare il rischio di mortalità e l'outcome d'organo del trapianto stesso e che il burden in genere (non sempre però) correla con l'età. Pazienti di età >24 mesi, pazienti con già evidente cardiomiopatia, con idrocefalo non derivato, e con storia di complicazioni importanti a carico delle vie aeree inferiori (es. polmonite, ipertensione polmonare) sono stati considerati quelli destinati ad un peggior outcome trapiantologico ritenendo che la presenza di anche uno solo di questi fattori di rischio potesse determinare un dimezzamento delle probabilità di sopravvivenza, ma tuttora ciò non è chiaramente documentato. La presenza di idrocefalo va attentamente valutata e, se necessario, è opportuno che venga derivato prima del trapianto (anche nell'immediato pre-trapianto). La presenza di una derivazione ventricoloperitoneale non sembra oggi costituire un significativo incremento del rischio trapiantologico. Al contrario, una storia di complicanze polmonari è stata recentemente apparentemente confermata come maggiore fattore di rischio in grado di abbattere la sopravvivenza (dall'80% al 30% a 1 anno post-TCSE) in uno studio però monocentrico e retrospettivo con numerose limitazioni (diversi criteri di matching, TBI, T-deplezione, ecc.). La particolare frequenza di emorragia polmonare nelle settimane successive al trapianto (9%) riportata negli USA, attribuibile in parte al sovraslivellamento citochinico di questi pazienti e al ruolo anticoagulante dei GAG (ma anche al discreto numero di pazienti condizionati con TBI nell'esperienza americana), non trova riscontro nell'esperienza europea e soprattutto nei dati più recenti (0.7-2.8%).
La scelta della miglior fonte di cellule staminali e il tipo e modalità di trapianto per lo specifico caso dipende da molti fattori ed è un percorso complesso negli aspetti decisionali ed organizzativi ben noto ai trapiantologi. Nel caso delle LSD occorrono attenzioni e valutazioni aggiuntive che possono essere diverse da malattia a malattia, pertanto quelle di seguito riportate per l'MPS IH non sono necessariamente trasferibili ad altre LSD. In assenza di un familiare 10/10 matched non carrier, la ricerca va prontamente attivata in tempi strettissimi, non appena effettuata la diagnosi e valutato l'HLA della famiglia. Nei bambini in buone condizioni e con ancora un DQ normale, in terapia con ERT e di età inferiore all'anno, può essere accettato che la ricerca, soprattutto se finalizzata a definire il miglior donatore tra vari possibili, occupi un tempo non superiore ai 4 mesi. Infatti, per quanto ancora oggetto di discussione, sembrerebbe che un intervallo >4 mesi tra diagnosi e trapianto comporti una riduzione dell'aspettativa di sopravvivenza dall'82 al 57% e, verosimilmente, risultati meno positivi sul long-term outcome. Col progredire dell'età, soprattutto nel secondo anno di vita la curva del declino dello sviluppo neuropsichico inizia ad essere più critica e ogni mese di ritardo può significare la perdita di punti signi ficativi di quoziente di sviluppo all'outcome, soprattutto per i genotipi peggiori (es. W402X, Q70X, G51D o P496R). In tal caso, sulla valutazione dello specifico paziente, in assenza di un donatore da Registro e in alternativa al protrarsi della ricerca è etico considerare la pronta disponibilità di un'unità cordonale anche 4/6. L'attività enzimatica leucocitaria del donatore familiare e non (quando possibile anche su un'unità cordonale) deve essere sempre testata. Nei pazienti con chimerismo completo stabile, il livello enzimatico raggiunto è almeno il doppio con un donatore non correlato rispetto ad un donatore familiare eterozigote e questo impatta sulla clearance del substrato nei tessuti dell'ospite e, verosimilmente, sull'outcome. Per quanto questi dati siano ancora preliminari e numerosi aspetti debbano essere an- cora definiti, è già prassi nei centri di maggiore esperienza, preferire la selezione di una fonte di staminali non correlata rispetto all'utilizzo di un donatore familiare carrier. Sino a pochi anni fa, in questi pazienti, la frequenza di chimerismo incompleto e rigetto risultava pari o superiore al 30%. Nello studio retrospettivo EBMT sui pazienti trapiantati prima del 2005, l'OS risultava dell'85%, ma la probabilità di sopravvivenza con chimerismo completo era del 56%. I fattori di rischio erano costituiti dalla T-deplezione, dalla disparità HLA (ma solo per i trapiantati 1998) e dall'utilizzo di regimi di condizionamento diversi da quelli contenenti busulfano, in particolare i regimi a ridotta intensità (Hansen, 2008), mentre i regimi utilizzanti busulfano con dose aggiustata in base alla farmacocinetica risultavano "protettivi" sul fenomeno. Lo stesso studio, come altre esperienze, peraltro documentava che un secondo trapianto è in genere ben tollerato (al 2 trapianto OS 80%) e consente di ottenere sull'intera popolazione un dato notevole di sopravvivenza globale con chimerismo completo (76% dopo 1-3 trapianti). Lo stesso studio confermava però anche quanto già riportato dall'esperienza della Duke University e cioè che la probabilit à di chimerismo completo stabile dopo il primo trapianto è superiore in quelli che hanno ricevuto un'unità cordonale rispetto a quelli trapiantati con midollo o PBSC (93% vs. 67%). Le possibili spiegazioni teoriche del fenomeno possono essere diverse (maggior effetto graft-vs-marrow per maggior grado di mismatch HLA; maggior capacità pluripotenziale delle cellule cordonali; maggior numero di precursori non ematopoietici; ecc.), ma ad oggi non sono ancora chiarite. Negli ultimi anni la maggior parte dei trapianti per questa patologia è stata effettuata di fatto da unità cordonali prevalentemente con 1 o 2 mismatch e i risultati ottenuti sono stati notevoli. L'analisi più recente (EBMT+CIBMTR) descrive i seguenti risultati: OS 77%; EFS 70% (ma 82% se busulfano e <4 mesi dalla diagnosi); EFS 100% se CB 6/6, 65% se 5/6, 64% se 4/6; tra i pazienti "alive & engrafted" 97% con chimerismo completo e livelli normali di enzima all'ultimo follow up. Pertanto, con l'uso del sangue cordonale, è oggi diventato ragionevole considerare il rischio di rigetto al primo trapianto nei pazienti MPS I-H estremamente abbattuto e descrivibile come circa 10% (3% - 11.8%).
Il monitoraggio semiquantitativo o quantitativo del chimerismo e dei livelli enzimatici deve essere sempre obbligatoriamente e periodicamente effettuato nel posttrapianto, in modo via via dilazionato nel tempo, sino a conferma della stabilizzazione. La frequenza del monitoraggio va valutata sull'evoluzione delle condizioni clinico-ematologiche e del chimerismo; deve essere per lo meno quindicinale nei primi 3-6 mesi, almeno mensile nei mesi successivi (dal 6 al 12 mese) e trimestrale nel secondo anno. Se in seguito il chimerismo è stabile e completo, potrà essere monitorizzato ogni 6-12 mesi, in base alla frequenza presso il centro. Va ricordato che il chimerismo è sì un fenomeno dinamico, ma che un costante e progressivo declino soprattutto se precoce nei primi mesi post-trapianto è in genere foriero di un rigetto conclamato (rigetto = 10% donor, chimerismo misto = >10%-<95% donor, chimerismo completo = o >95% donor). Più tardivamente, le oscillazioni del chimerismo possono anche essere solo transitorie, meritevoli sempre di un'attenta osservazione, ma di una maggior osservazione e cautela nell'intervento. L'utilizzo delle infusioni di linfociti del donatore per contrastare e revertere un chimerismo declinante non può essere considerato una pratica standard e sicura e il suo impiego dipende dalla prassi e dai protocolli dei singoli centri. A fronte di un chimerismo rapidamente declinante o di un franco rigetto, va invece seriamente considerata la ripresa della terapia enzimatica sostitutiva nell'attesa del secondo trapianto. Il secondo trapianto è risultato fattibile con ancora significative probabilità di successo e questa opportunit à dovrebbe già essere contemplata al momento del primo colloquio informativo con la famiglia. La probabilità di essere "alive & engrafted" dopo secondo trapianto è dell'ordine di circa l280% e non sembra essere diversa sia che si utilizzi lo stesso donatore o un altro (76% vs. 83%). Pertanto in caso di rigetto non vi è motivo di considerare la ricerca di un altro donatore, se il primo è ancora disponibile. Forse potrebbe essere opportuno considerare un diverso donatore in caso di "primary engraftment failure", ma non vi sono dati sicuri a favore di questa opzione. Qualora il primo trapianto fosse stato da unità cordonale, andrà riaperta la ricerca e la decisione presa in base alla gerarchia della fonte di staminali. Non vi sono dati sucienti per sostenere un regime di condizionamento rispetto ad un altro; la scelta andrà fatta considerando la distanza dal primo trapianto e le comorbidità già presenti ed eventualmente sviluppatesi dopo il primo trapianto. Quando possibile e opportuno (>6 mesi dal primo trapianto o donatore diverso) andrà utilizzato un regime pienamente mieloablativo, come discusso nei paragrafi precedenti, che potrà essere ancora busulfano+ciclofosfamide, questo anche per l'effetto radiomimetico del busulfano facilitante l'ingresso monocitario per un migliore turn-over microgliale. Alcuni centri, al secondo trapianto, hanno addizionato a tale regime la udarabina 30 mg/m2/die per 4-5 dosi; anche per questo non vi sono informazioni sucienti e si tratta di un numero limitato di casi, ma sembrerebbe non esservi stata una significativa tossicità aggiuntiva. In caso di comorbidità o di trapianto <6 mesi dal precedente possono essere considerati regimi diversi a minor intensità secondo le valutazioni dello specifico caso e i protocolli di studio attivi presso il singolo centro. Lo IEWP-EBMT nel 2005 suggeriva udarabina 5 x 30 mg/m2/die (dal -7 al = o >2), melfalan 140 mg/m2 (-2) e profilassi della GvHD con solo ciclosporina, ma non sono noti dati in merito per cui altri regimi (ad esempio treosulfano+udarabina ) sono altrettanto opzionabili.
Nell'affrontare la tematica trapianto, non va dimenticato comunque che i pazienti con forma severa non trattati, hanno una mortalità "naturale" nell'ordine del 100% con una sopravvivenza estesa al massimo tra i 5 e i 15 anni d'età. Le esperienze più recenti, con trapianti prevalentemente non da familiare e con diversi gradi di incompatibilità, mostrano nei pazienti con MPS IH una sopravvivenza con persistenza nel tempo di trapianti funzionali e risultati molto favorevoli a lungo termine.
Molto in generale e grossolanamente potremmo oggi prospettare alla famiglia di un paziente MPS IH una possibilità di sopravvivenza libera da eventi pari al 70-85%, una mortalità correlabile alla procedura trapiantologica attorno al 10%, un rischio di rigetto di circa il 10%, una probabilità tra i sopravviventi di avere un trapianto funzionale (se trapiantati da cordone) superiore al 90%. Tali numeri sono il prodotto dell'ultimo decennio e frutto soprattutto dell'attività di cooperazione internazionale realizzatasi attorno a questa malattia.
L'attecchimento del trapianto determina una rapida riduzione dell'accumulo di GAG nel fegato, tonsille, congiuntiva, liquido cerebrospinale e urine. I sintomi dell'ostruzione respiratoria, compresa l'apnea notturna, si riducono drammaticamente. Nei pazienti candidati al trapianto l'adenotonsillectomia, salvo casi particolari, non deve essere necessariamente eseguita pre-trapianto poiché il regime di condizionamento riduce immediatamente questi tessuti con risoluzione degli episodi di apnea notturna. L'idrocefalo viene prevenuto o stabilizzato. Il rischio di tachiaritmie e scompenso congestizio viene eliminato entro un anno dal trapianto, la cardiomiopatia migliora o viene stabilizzata e la persistenza di pervietà coronaria è stata documentata sino anche a 14 anni dal trapianto. Le anomalie valvolari tuttavia persistono al trattamento e possono progredire in una parte dei casi richiedendo le opportune correzioni chirurgiche. Il trapianto sembra migliorare la capacità uditiva in almeno il 30-40% dei bambini, ma non è in grado ovviamente di revertere danni uditivi di tipo conduttivo e sensorio-neuronale già profondamente stabilizzatisi. Nonostante in un discreto numero di pazienti l'opacizzazione corneale sembra arrestarsi o addirittura ridursi e la pressione oculare normalizzarsi, sono stati riportati alcuni casi che hanno necessitato comunque trapianto di cornea dopo un trapianto eseguito con successo. Purtroppo la disostosi multipla non sembra significativamente trarre beneficio dal trapianto ed i bambini più gravemente affetti richiedono comunque negli anni successivi interventi ortopedici multipli. Nel primo anno post-trapianto è inoltre possibile un ulteriore declino delle funzioni neuropsichiche prima della stabilizzazione. Fondamentale, ai fini di ulteriormente migliorare le possibilità di sviluppo neuropsichico, è associare il più precocemente possibile un'intensa terapia riabilitativa (fisioterapia, terapia occupazionale, logopedia, ecc.). Tutti i pazienti sia pre che post-trapianto devono essere sottoposti a valutazioni specifiche che definiscano lo stato dei diversi apparati, organi e funzioni sia relativamente alla malattia di base che per i rischi di tossicità trapiantologica a breve e lungo-termine: esame neurologico e neuropsicometrico, neuroradiologico, oculistico, audiologico, cardiorespiratorio, ortopedico ed endocrinologico. Fertilità e gravidanze sono state riportate sinora in modo aneddotico.
Indice |
INTRODUZIONE |
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CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
Tesi di Laurea di: Dèsirée FRAGNELLI |