L’Esercizio Terapeutico Conoscitivo (E.T.C.)

L’Esercizio Terapeutico Conoscitivo è un approccio riabilitativo neuro cognitivista nato a Pisa, negli anni ’70, dagli studi compiuti dal neurofisiologo clinico Carlo Perfetti, dal fisiatra-geriatra Gian Franco Salvini e collaboratori.

Si ispira al modello neurofisiologico di Anokhin(18), che considera il comportamento motorio come risultante dello sviluppo di sistemi funzionali che assicurano un adeguato adattamento all’ambiente e alla psicologia cognitivista che ritiene l’apprendimento di abilità motorie espressione di processi cognitivi.(19)

La metodologia dell’E.T.C., rifacendosi al concetto di "scienza romantica" di cui parlava il neurofisiologo russo A.R. Lurija(20), tenta di osservare, analizzare e studiare il paziente superando il semplice approccio di un caso clinico, ma cercando di considerarlo nella sua soggettività e ponendosi l’obiettivo di favorire il processo di ri-apprendimento in condizioni patologiche. E’ considerata la prima teoria riabilitativa organizzata e strutturata che pone particolare attenzione all’oggetto e al contesto.

Il movimento viene considerato come una funzione adattiva complessa. Eppure il movimento, in condizioni patologiche viene condizionato dalla presenza di caratteristiche specifiche che alterano la possibilità del soggetto ad apprendere ed eseguire corrette condotte motorie.

L’obiettivo prioritario che si pone il riabilitatore è quindi quello di evitare l’attivazione delle componenti patologiche del movimento. In questo contesto di riabilitazione diventa un elemento indispensabile l’oggetto e il movimento, inteso come atto finalizzato all’interazione con il mondo.

Un altro compito che il riabilitatore deve considerare consiste nell’identificare esercizi terapeutici che portino il soggetto all’attivazione di processi cognitivi (attenzione, memoria, apprendimento).

 

Le origini del metodo

Nella prima fase gli studi e gli esercizi furono elaborati per il trattamento di soggetti emiplegici adulti, post stroke, i quali, a seguito dell’evento traumatico, avevano perso funzioni precedentemente acquisite e automatizzate. Gli esercizi venivano focalizzati sul trattamento della mano, considerata l’ “organo del tatto” e strumento fondamentale per la conoscenza dell’ambiente esterno. In seguito questa teoria venne estesa anche al trattamento della funzione motoria di soggetti emiplegici(21), alla riabilitazione dell’afasia(22) e al trattamento delle lesioni traumatiche(23).

È importante rilevare come, nel caso delle lesioni a carico del sistema nervoso centrale, anche per le lesioni post-traumatiche, risulta necessario individuare uno Specifico Motorio Patologico al fine di proporre esercitazioni terapeutiche significative per la reintegrazione della funzione lesa (23). Tali fattori possono essere presenti contemporaneamente e uno di questi prevalere sugli altri, o presentarsi singolarmente a seconda della gravità della patologia e della localizzazione.

In particolare l’artropatia emofilica è una patologia che determina uno specifico motorio patologico, ovvero l’insieme delle caratteristiche motorie che ostacolano il regolare apprendimento motorio e l’esecuzione delle condotte apprese, oltre alle limitazioni funzionali, temporanee (successive all’episodio traumatico) o permanenti (nei casi in cui si stabilizza il danno articolare).                           

Inoltre va considerato che mentre il soggetto normale una volta apprese determinate sequenze comportamentali non ha più necessità di mettere in atto i procedimenti controllati, che sono stati necessari in fase di apprendimento, il soggetto che ha riportato un trauma durante l’esecuzione di determinate sequenze, avrà un impedimento funzionale tale da necessitare l’uso di compensi, dal momento che il sistema nervoso centrale (SNC) sceglie questa possibilità di organizzare il comportamento.

Il soggetto struttura schemi motori di compromesso, in risposta ai deficit funzionali, osservabili come compensi; nel lungo termine a seguito del processo patologico possono comparire deformità osteo-articolari (varismo/valgismo delle ginocchia e delle tibiotarsiche, deviazioni del rachide quali le scoliosi).

 

I principi del trattamento

Il trattamento consiste nel proporre un compito conoscitivo al paziente il quale è invitato a risolverlo attraverso l’attivazione di schemi motori controllati, significativi ai fini del recupero della funzione.

L’esercizio terapeutico è finalizzato al superamento della patologia, per quanto concesso dall’evoluzione clinica e per quanto il danno riportato dal soggetto sia reversibile, conducendo il paziente ad acquisire un comportamento nuovo ed evoluto attraverso l'attivazione di processi cognitivi (attenzione-memoria-percezione-volontà) dai quali deriva la qualità stessa del recupero.

I principi su cui si imposta un trattamento riabilitativo seguono l’approccio epistemiologico:

  • Definizione del problema: a seguito della valutazione dello specifico fisiopatologico del paziente;
  • Elaborazione dell’ipotesi: formulazione di una proposta specifica nel contesto individuato, con l’obiettivo di risolvere il problema;
  • Controllo empirico: verifica della conferma dell’ipotesi o della sua negazione. La verifica cognitiva è realizzata utilizzando la percezione delle afferenze.

La definizione del problema avviene attraverso la valutazione, la quale non può essere scissa dal trattamento, essendo essa necessaria per poter avere una corretta idea delle competenze del paziente, prima-durante-al termine di un intervento riabilitativo. La valutazione consente al riabilitatore di identificare l’area di sviluppo potenziale, indicata da Vigotsky come il livello cognitivo-motorio-linguistico raggiungibile dal soggetto, messo in condizioni di apprendimento(24).

È sulla base di questa continua valutazione che l’esercizio terapeutico si evolve e diviene più complesso.

Lo specifico motorio patologico

Gli studi di E. De Giovannini (23) e collaboratori hanno individuato come specifico motorio patologico delle lesioni post-traumatiche, in cui si può far rientrare l’artropatia emofilica:

  • rigidità articolare;
  • dolore;
  • contrattura muscolare antalgica;
  • ipotrofia muscolare.

L’individuazione di tali caratteristiche permette di comprendere l’instaurarsi di compensi che sono i mezzi che il sistema nervoso centrale (SNC) trova per sopperire alla difficoltà di attuare i compito svolto in precedenza.

Altri aspetti specifici del trattamento riguardano:

  • Il linguaggio: deve essere appropriato ai compiti richiesti, eliminando le informazioni non attinenti a quanto deve essere recuperato;
  • Ambiente terapeutico (setting): organizzato in modo da poter consentire la strutturazione di esercizi adeguati allo specifico patologico individuale del paziente e in cui è prevista l’esecuzione di esercizi progressivamente più complessi; che vengono condotti attraverso l’uso di oggetti che rispondono allo scopo previsto per il trattamento; nell’ambito dell’E.T.C. l’oggetto viene definito sussidio.
  • Modalità di trattamento: sono in diretta proporzione alle capacità del soggetto. Il metodo E.T.C. si fonda su tre fasi di trattamento, ciascuna caratterizzata da una modalità differente di esercizio. Gli esercizi previsti sono di I, II, III grado, riassunti qui di seguito.
  • La prima fase prevede esercizi senza carico; al soggetto è richiesto il massimo rilasciamento muscolare possibile; l’obiettivo principale consiste nel riconoscimento della posizione del proprio arto in relazione al movimento condotto dal Terapista sul sussidio in uso; le proposte sono eseguite mantenendo gli occhi chiusi in modo da escludere la vista, principale canale sensoriale di esplorazione, per porre attenzione alle afferenze tattili, pressorie e cinestesiche che giungono dall’articolazione coinvolta nell’esercizio, le quali generalmente sono analizzate in maniera automatica;
  • Nella seconda fase gli esercizi sono caratterizzati dalla programmazione del carico parziale; si richiede al soggetto il reclutamento muscolare specifico con l’obiettivo di favorire l’adattabilità dell’articolazione coinvolta;
  • Nella terza fase viene completato il trasferimento del carico sull’arto inferiore, nelle diverse situazioni statiche e dinamiche; si propongono al paziente delle attività globali mirate al recupero della funzione, in carico.
  • Il ruolo del terapista: è di identificare esercizi terapeutici che coinvolgano i processi cognitivi (attenzione, memoria, apprendimento) e che siano adeguati per lo specifico motorio patologico; di facilitare il corretto reclutamento della muscolatura interessata, evitando, per quanto possibile, il ricorso ai compensi;
  • La verifica: deve accertare una risposta adeguata al compito richiesto e il paziente deve poter valutare il risultato.

Queste modalità di approccio consentono al paziente di divenire consapevole delle proprie capacità e di apprendere la rilevanza del saper prevedere la sequenza informativa necessaria per svolgere correttamente il compito.

Il ruolo delle afferenze

Quanto scritto in seguito è stato estrapolato da una dispensa didattica studiata nel corso del III anno del Corso di Laurea. Si ritiene utile riportare quanto scritto dalla docente, per chiarezza e completezza nella trattazione di alcuni degli aspetti salienti per il metodo E.T.C. In particolare le afferenze rivestono uno dei ruoli principali nella rieducazione del controllo motorio. Di seguito vengono segnalate le principali afferenze periferiche.

  1. Le afferenze propriocettive: hanno la funzione di regolazione e controllo dello schema motorio.
  2. Le afferenze guida dei Sistemi Funzionali(18): sono le afferenze che orientano i processi che consentono l’acquisizione di un atto motorio, accompagnano gli schemi motori quando il soggetto li ha automatizzati e svolgono anche la funzione di controllo ed attivazione degli eventuali meccanismi di correzione del movimento.
  • afferenze di controllo segmentario: sono di tipo tattile-cenestesico. Sono utilizzate tutte le volte che occorre un apprendimento specifico di modalità di controllo di una o più sottocomponenti dello schema motorio.
  • Afferenze di controllo globale: sono fondamentalmente rappresentate da quelle visive. Sono utilizzate quando non sono più necessari I meccanismi di controllo segmentari, quindi quando lo schema motorio è stato sufficientemente automatizzato.

I parametri del movimento nella costruzione dell’esercizio

La definizione del contesto dell’esercizio e la costruzione della condotta motoria si manifesta attraverso tre parametri fondamentali: la spazialità, la temporalità, l’intensità.

  • Spazialità: determinata dalla funzione dei diversi muscoli, che attivano un numero maggiore o minore di unità motorie secondo sequenze predeterminate, sulla base dello scopo dell’azione, della traiettoria prevista, delle forze da impiegare e delle caratteristiche dell’oggetto;
  • Temporalità: riguarda la durata della contrazione delle unità motorie (UM) dei diversi muscoli, a seconda dello schema spaziale previsto dal contesto e il rapporto temporale tra la successione di questa contrazione all’interno dello schema;
  • Intensità: dipende dal numero di unità motorie attivate e dalla frequenza della loro scarica; il controllo dell’intensità determina la quantità di forza espressa nel gesto.

L’impiego di un solo aspetto determina la costruzione di condotte insufficienti.

In sintesi si può affermare che la finalità dell’intervento dovrebbe comprendere il più possibile, tenuto conto del profilo fisiopatologico, i seguenti elementi: 

  1. migliore organizzazione dinamica e funzionale;
  2. scelta più rapida delle strategie da utilizzare; 
  3. economia del gesto;
  4. attenzione “fortificata”;
  5. motivazione ed interesse “fortificato”.

All’interno del trattamento di un paziente con esiti da traumatismi, in cui rientra il quadro di artropatia emofilica, è necessario prestare la dovuta attenzione, nella costruzione dell’esercizio, all’importanza del cercare di integrare tutti i parametri per poter guidare in modo più completo l’acquisizione oppure il recupero delle condotte motorie corrette.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è rappresentato dalle modalità di produzione del movimento, successivamente al trauma e dalle modalità di ripetizione dell’esercizio. Una delle principali differenze tra il metodo E.T.C. e le tecniche di rinforzo muscolare si riscontra nel differente approccio con il paziente: gli esercizi di rinforzo muscolare sono eseguiti attraverso ripetizioni stereotipate di contrazioni muscolari, in genere contro la resistenza ritenuta idonea dal terapista, e rappresentano un compito eccessivamente semplificato rispetto al contesto esterno alla sala di terapia; Il metodo E.T.C. si propone di presentare al paziente degli esercizi nei quali l’azione, pur ripetendosi, contempla un risultato continuamente variabile in rapporto alle diverse modalità spazio-temporali di esecuzione. In questo modo, attraverso la ripetizione è possibile ottenere anche un rinforzo della catena muscolare deficitaria. (23)

La costruzione dell’esercizio

Le modalità di esercizio sono proposte a seconda degli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Esercizi di I° grado: sono esercizi che non richiedono al soggetto alcuna attivazione motoria; il compito conoscitivo consiste nel prestare attenzione nei confronti delle afferenze tattili, cinestesiche, pressorie o di attrito provenienti dal distretto interessato, escludendo il canale visivo, dal momento che risulta il canale privilegiato per l’esplorazione, e nella verifica dell’ipotesi percettiva. Nell’ambito della patologia ortopedica gli obiettivi principali per cui vengono utilizzati sono: il recupero dell'articolarità, la risoluzione del dolore e della contrattura muscolare.

Esercizi di II° grado: sono esercizi che richiedono al soggetto un compito motorio di tipo elementare, attraverso il reclutamento muscolare. Generalmente sono proposte associate al carico parziale e tendono ad essere svolte su un unico piano di movimento, in modo da semplificare la richiesta motoria. La risoluzione del compito conoscitivo non è più solamente di tipo percettivo, ma anche motorio. Questi esercizi prevedono sempre elementi di facilitazione; il terapista assiste il paziente al fine di inibire i compensi. La complessità è proporzionale al numero di articolazioni coinvolte, all’intensità della contrazione richiesta e in rapporto con la posizione e postura assunte durante l’esercizio. I principali obiettivi per cui questi esercizi vengono proposti sono: la risoluzione della contrattura muscolare, il recupero del trofismo e il corretto reclutamento muscolare.

 Esercizi di III° grado: sono gli esercizi più complessi dal punto di vista motorio, dal momento che interessano più gruppi muscolari, su più piani di movimento, coinvolgendo diversi distretti corporei, fino a comprendere totalmente il sistema “corpo”. Alle componenti del controllo motorio si combinano le componenti di controllo spaziale e temporale del movimento. Lo scopo è quello di consentire l’elaborazione di strategie motorie globali. Vengono svolti senza l'assistenza del terapista, con il controllo visivo, con lo scopo di verificare la corretta esecuzione della performance motoria. Gli obiettivi principali sono: il recupero del trofismo, il corretto reclutamento muscolare e l'inibizione dei compensi.

Il sussidio

Il sussidio è un oggetto neutro sia nella funzione che nelle caratteristiche, che, estrapolato dal contesto dell'esercizio, non ha alcun significato funzionale, né simbolico. La motivazione principale alla base queste caratteristiche, è determinata dal non voler fornire al paziente alcun tipo elemento di distrazione.

Esso è un elemento indispensabile nell’ETC, permette di realizzare ed elaborare l’atto motorio.

I sussidi si possono classificare secondo tre parametri: in base all’evoluzione delle fasi dell’ETC, in base alla parte del corpo a cui sono rivolti ed in base al tipo di informazioni presentate. Vengono di seguito presentate alcune tabelle riferite alla classificazione dei diversi sussidi.

Classificazione in base all’evoluzione delle fasi dell’ETC

  • Sussidio Fisso: lo scopo principale consiste nel favorire il controllo dello specifico motorio patologico attraverso l’esercitazione sul sussidio delle singole sotto-componenti del movimento.
  • Sussidio Mobile: le informazioni che si ricavano dall’oggetto non dipendono solo dalle sue caratteristiche, ma l’interazione del corpo con l’oggetto e la successiva analisi delle informazioni ed elaborazione dell’atto motorio dipendono anche dal tipo di relazione che si stabilisce tra soggetto/oggetto/scopo dell’azione.
  • Sussidio Solidale: il sussidio coinvolge tutto il sistema-corpo.

Classificazione in base alla parte del corpo a cui è rivolto

  • Sussidio Primario: rivolto alla superficie esplorante
  • Sussidio Secondario: rivolto all’area di carico, si riferisce al controllo posturale durante la sequenza motoria che si realizza in un altro distretto.

Classificazione in base al tipo di informazioni

  • Sussidi a prevalente interazione tattile
  • Sussidi a prevalente interazione cinestesica
  • Sussidi a prevalente interazione pressoria
  • Sussidi a prevalente interazione visiva


L’Esercizio Terapeutico nella patologia traumatica
(23)

 

L’ARTICOLAZIONE COXO-FEMORALE

L’articolazione coxo-femorale è un’enartrosi e dispone di tre gradi di libertà. Consente i movimenti articolari di flessione, estensione, abduzione, adduzione, intrarotazione ed extrarotazione.

L’articolazione coxo-femorale riveste un ruolo fondamentale nella stabilità e nel movimento dell’uomo. (10)

Le principali caratteristiche e funzioni:

  • Consente che il trasferimento del carico avvenga in maniera adeguata alle diverse caratteristiche del cammino e del suolo, adattando l'inclinazione laterale del bacino e la sua rotazione;
  • Stabilizza le posture, consentendo un utilizzo funzionale degli arti inferiori e degli arti superiori, si pensi alle attività della vita quotidiana, per esempio aprire una finestra o raccogliere qualcosa da terra;
  • Permettere la proiezione e lo spostamento di segmenti del corpo nello spazio extracorporeo, dunque ha un ruolo rilevante nell’adattamento dell’arto inferiore al piano di appoggio.

La rieducazione:

La rieducazione ha come finalità la riacquisizione di una funzionalità corretta, nei tre piani di movimento concessi dall’articolazione, al fine di recuperare l’adattabilità, e favorire la riduzione o la scomparsa dei compensi.

Il metodo E.T.C. si pone come obiettivi:

  1. il riapprendimento della corretta mobilità articolare dell’anca, con superamento della rigidità articolare, per quanto possibile;
  2. la risoluzione della contrattura antalgica, associandosi all’eventuale terapia farmacologica antidolorifica, proponendo esercizi in scarico senza controllo volontario da parte del paziente;
  3. il recupero di una adeguata funzionalità motoria, proponendo il riapprendimento del corretto gesto motorio, attraverso l’invio di informazioni tattili, cinestesiche e pressorie selezionate, per prevenire un apprendimento condizionato da compensi;  
  4. educazione al trasferimento del carico, favorendo il corretto reclutamento muscolare nella ricezione e nel passaggio del peso corporeo; potrebbe essere utile impostare il percorso riabilitativo come segue: inizialmente far eseguire esercizi che prevedono il controllo del trasferimento del carico, aumentarlo progressivamente fino a richiedere il controllo completo; raggiunto una sufficiente competenza, proporre esercizi che richiedono un adattamento dell’arto inferiore su differenti superfici di appoggio;
  5. riorganizzazione delle sequenze motorie riconducibili alle attività della vita quotidiana;
  6. rieducazione al cammino: inizialmente si potrebbero proporre esercizi che favoriscano la settorializzazione dei movimenti del tronco e dell’arto inferiore, seguiti da esercizi che consentano un controllo globale delle tre articolazioni maggiori dell’arto inferiore; in seguito si potrebbero proporre esercizi per la rieducazione al carico completo. In seguito si potrebbe seguire il paziente nella rieducazione del cammino su una superficie dura e liscia, come quella del pavimento, con carico parziale distribuito su parallele o sulle canadesi; successivamente si potrebbero proporre esercizi sul pavimento con utilizzo esclusivo di un ausilio, per esempio una sola canadese sul lato opposto all’arto con maggiore compromissione; infine, il cammino autonomo, su superficie dura e orizzontale inserendo in ogni esercizio delle variazioni con il  fine di recuperare, per quanto possibile, l’adattabilità a piani di appoggio differenti.

 

IL GINOCCHIO

Il ginocchio pur essendo principalmente un ginglimo angolare, consente, in condizioni di flessione, movimenti di tipo rotatorio. (25)

La principale funzione consiste nell’assicurare la massima stabilità, in modo particolare quando si trova in posizione di estensione completa, dal momento che risulta sottoposto alla forza peso del corpo; inoltre deve avere una grande mobilità per consentire un migliore adattamento del piede a suolo.

Riveste un ruolo determinante nella deambulazione, negli spostamenti, nei passaggi posturali e nelle attività funzionali. 

Altre funzioni a cui è preposto:

  • regolare la lunghezza dell'arto, in relazione alle diverse posture;
  • controllare la posizione del baricentro (in previsione di compiti svolti dagli arti superiori o dall’arto inferiore contro laterale);
  • ammortizzare l'impatto del piede al suolo;
  • orientare e adattare il piede alla superficie del terreno;
  • controllare gli atti motori di propulsione in verticale e di controllo della discesa del corpo.

La rieducazione

Durante il recupero è opportuno proporre al paziente esercizi che prendano in considerazione di tutte le funzioni del ginocchio.

Inoltre, occorre considerare nella programmazione dell’esercizio terapeutico che il recupero debba necessariamente essere corrisposto dalla possibilità del paziente di controllare le articolazioni del piede e della coxo-femorale.

Il trattamento riabilitativo può essere schematicamente diviso in tre fasi:

La prima fase prevede esercizi senza carico; il paziente deve prestare attenzione alla posizione del ginocchio, senza controllare il movimento;

Si pone come obiettivi: il recupero della motilità articolare; il recupero della capacità di acquisire informazioni tattili, pressorie e cinestesiche, attraverso l'articolazione lesa; la risoluzione della contrattura muscolare; il reclutamento muscolare corretto sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo.

Un esempio, significativo è fornito dal seguente esercizio:

Il paziente è posto in posizione supina con gli arti inferiori estesi. Il terapista guida con la mano, posta sotto il cavo popliteo, gli spostamenti della coscia e con l’altra mano, in corrispondenza della pianta del piede, guida il movimento del tallone mantenendolo in contatto con la superficie d’appoggio. L’ipotesi percettiva consiste nel riconoscimento della traiettoria, ponendo attenzione solo alle informazioni provenienti dal ginocchio e isolandole da quelle provenienti dall’anca. Questo esercizio in cui l’attenzione è rivolta solo alla risoluzione dell’ipotesi percettiva proposta permette un rilasciamento muscolare e una diminuzione della rigidità articolare. La lunghezza della traiettoria eseguita e la velocità di escursione può evitare l’attivazione del dolore gli elementi dello specifico motorio patologico. (23) es.1, pag 218.

La seconda fase prevede esercizi che sono caratterizzati dalla programmazione del carico parziale, attraverso compiti generalmente proposti in posizione seduta; un esempio potrebbe essere il seguente:

L’esercizio prevede l’utilizzo di un sussidio costituito da un piano inclinato, variabile nell’altezza, che viene decisa dal terapista in relazione alle capacità residue del paziente. AI paziente è data la possibilità di appoggiarsi con la mano sulle parallele, in modo da imparare a graduare il carico.

Il compito consiste nel seguire con l’arto sano le traiettorie tracciate sul piano inclinato. Il carico sull’arto malato viene gradualmente aumentato chiedendo al paziente un minor sostegno alle parallele. Il paziente dovrà programmare la flessione del ginocchio leso in carico in relazione al compito svolto dall’altro arto. Particolare attenzione deve essere posta a evitare che il paziente compensi eventuali limitazioni alla flessione dinamica del ginocchio leso con il sollevamento del tallone. (23) es. 10, pag. 234.

Nella terza fase viene completato il trasferimento del carico sul ginocchio, nelle diverse situazioni statiche e dinamiche. Un esempio:

L’esercizio viene eseguito utilizzando un tabellone sul quale sono descritte traiettorie a raggera. Il paziente, in stazione eretta, controlla il carico sull’arto leso attraverso la bilancia pesapersone al fine di verificare il completo trasferimento. Il ginocchio dell’arto leso ha il compito di tenere il carico completo, controllando attraverso la flesso-estensione del ginocchio i parametri spaziali-temporali degli spostamenti dell’arto sano. Con questo esercizio si cerca di ricreare la relazione esistente normalmente tra i due arti inferiori; la posizione di un arto inferiore, nel sostegno e nello spostamento del corpo, è conseguente a quella dell’altro arto che si muove nello spazio (23) es. 12, pag. 236.

 

IL PIEDE E LA TIBIOTARSICA

L’articolazione tibiotarsica è considerata un ginglimo angolare, tuttavia dal punto di vista funzionale consente l’esecuzione dei movimenti di plantiflessione e dorsiflessione, oltre ai quali sono possibili i movimenti di rotazione. (25)

Il piede rappresenta la struttura conoscitiva più importante per l’interazione del corpo con il terreno. La superficie plantare è in grado di raccoglie informazioni utili per l’organizzazione del cammino(26).

Per tali ragioni il piede rappresenta un organo molto complesso, raffinato e differenziato in grado di svolgere compiti sensitivi e motori con estrema precisione. Nella deambulazione il rapporto che il piede ha con il suolo è continuamente variabile sia temporaneamente che spazialmente.

Le principali funzioni possono essere sintetizzate:

  • stabilizzare le articolazioni interne del piede (attraverso la muscolatura intrinseca) e mantenere le volte plantari, strutture fondamentali in grado di sopportare ed opporsi alle sollecitazioni del peso corporeo durante il carico e la deambulazione (funzione antigravitaria);
  • ammortizzare l’impatto con il terreno;
  • adeguarsi alle irregolarità della superficie d’appoggio;
  • conoscere e discriminare differenti stimoli tattili e pressori: grazie ai recettori presenti nelle fibre muscolari e tendinee;

La rieducazione

Lo scopo dell’intervento riabilitativo consiste nel restituire al piede la sua dinamicità e la sua adattabilità, tenendo in considerazione il rapporto del piede con le differenti caratteristiche del suolo. Per raggiungere questo obiettivo è necessario impostare esercizi sempre più complessi, per ricercare un comportamento armonico e coordinato.

Semplificando, il trattamento riabilitativo può essere distinto in tre fasi:

La prima fase: esercizi senza carico; vengono proposti nel caso in cui siano presenti rigidità articolari risolvibili con il trattamento, il dolore e problematiche relative alla sensibilità. Un esempio, significativo è fornito dal seguente esercizio:

Il paziente è posto con il piede leso su una tavoletta a cerniera, oscillante in senso antero-posteriore e di dimensioni tali da permettere al tallone di percepire ciò che verrà posto sotto di esso. Si propone al paziente il riconoscimento di spessori di altezza diversa attraverso l’analisi dei gradi articolari percorsi della tibiotarsica. Si può anche richiedere il riconoscimento della differente resistenza di cubi in gomma-piuma di consistenza diversa, richiamando l’attenzione sulla qualità del suolo che viene percepito sotto il tallone.  (23)Es.1 pag 197.

La seconda fase prevede esercizi con richiesta di carico parziale, nella quale rivestono la massima importanza le problematiche relative all’adattabilità del piede;

Il paziente viene posto in stazione eretta con il piede leso posizionato posteriormente, in posizione di “stacco”, al di sopra di una tavoletta con giunto cardanico centrale. L’avampiede ha il compito di tenere orizzontale il sussidio, controllando il carico delle teste metatarsali. L’esercizio può essere reso più complesso modificando il trasferimento di carico richiesto, sempre controllando l’orizzontalità della tavoletta. Al retropiede può essere affidato il compito di riconoscere l’altezza di alcuni spessori posti sotto il tallone. Questo esercizio può essere valido in tutti quei pazienti che durante il cammino non eseguono la normale fase di rotolamento attorno alle teste metatarsali e non mantengono le dita al suolo prima di completare il distacco. (23) es. 7 pag. 201.

La terza fase: esercizi con carico completo, nella quale rivestono maggior significato le problematiche relative al carico.

Il paziente viene posto in stazione eretta con il piede sano su una bilancia pesa-persone e col piede malato su due tavolette, composte da due parti di cm 10x15 unite tra loro da quattro molle agli angoli, una sotto la punta e una sotto il tallone. Si richiede di trasferire una quantità di carico prefissata prima sul tallone mantenendo la tavoletta orizzontale, e successivamente sull’avampiede. Si cerca di riprodurre il normale pattern di trasferimento del carico durante la deambulazione. (23) es. 17 pag. 210.

Si considera opportuno ricordare l’essenzialità nella costruzione di un piano di trattamento individualizzato per ciascun paziente, adattando gli esercizi di volta in volta in base allo specifico fisiopatologico del singolo paziente e al livello di recupero raggiunto.

 

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