Il caso di K.

K., che attualmente ha 17 anni, ha trascorso un’infanzia  normale in seno ad una famiglia serena e dinamica: era una bambina spigliata e sportiva, una vera leader a scuola e nel suo gruppo di amici. Piena di energia,  si cimentava spesso e con successo in sport più propriamente maschili. Era molto brava a scuola, le piaceva moltissimo studiare e s’ impegnava con profitto.

A 12 anni, un tragico evento cambia per sempre la sua vita e quella dei suoi familiari. Ricoverata d’urgenza per medulloblastoma cerebrale di grado quarto, le viene fatta immediatamente una craniectomia decompressiva. La ragazza resta in terapia intensiva per quattro settimane ed è successivamente dimessa. Al momento della dimissione presenta ipotonia da danno cerebellare, atassia con deficit evidente all’emilato destro, perdita di funzionalità dell’organo della vista omolaterale, della capacità di sostenere il capo e di alimentarsi in modo autonomo, viene descritta vigile e presente, non vengono menzionati test neuropsicologici per accertare eventuali danni alle diverse funzioni cognitive, che, la madre afferma, non si sono resi necessari.

K. inizia a frequentare un centro riabilitativo convenzionato due volte la settimana ed ha un unico grande desiderio: tornare a scuola. Quella stessa estate i genitori decidono di portarla in Svizzera presso un centro riabilitativo specializzato nel recupero del danno neurologico in bambini ed adolescenti. Lì le prescrivono un protocollo che include l’utilizzo di macchine isotoniche facilmente reperibili in una palestra di fitness, dandole così l’occasione di presentarsi alla palestra di fitness della quale ero la titolare.

Seguita inizialmente in fisioterapia, K. passa successivamente in sala attrezzi,  per poi utilizzare la  psicomotricità in seguito alla consapevolezza dei genitori che K. è una bambina che si accinge ad entrare nell’adolescenza con un trauma che mina fortemente la propria immagine corporea

Bernini (2008) descrive l’adolescenza come il momento della vita nel quale la destrezza, la bravura a scuola, il successo sportivo, la bellezza, assumono importanza perché c’è bisogno di guadagnare quel prestigio che permette di emergere nel gruppo dei pari. 

La malattia grave o mortale, come la malattia cancerosa, mina tutti gli aspetti fondamentali di riferimento; spesso questi adolescenti dimagriscono, perdono i capelli a causa delle terapie, sono spossati e lesi nella loro integrità fisica, portandoli  in situazione di dipendenza e regressione. L’autrice afferma che gli adolescenti reagiscono di fronte ad eventi così traumatici attivando comportamenti diversi: o mettono in atto atteggiamenti regressivi molto  infantili, oppure,  tentano di colpevolizzare l’adulto, rifiutando il dialogo e tutto quello che da quel mondo proviene; K. si trova spesso in una situazione intermedia; talvolta passa da un atteggiamento  all’ altro in modo improvviso.

La ragazza però, a quanto afferma la madre, trova anche un’altra strada per sopportare il dolore del proprio corpo ferito e mutilato: investe moltissimo sull’aspetto cognitivo, si impegna molto nell’apprendimento scolastico che resta un riferimento importante durante la sua convalescenza.

Le conseguenze di una malattia così invasiva non restano su un piano meramente fisiologico: le componenti psicologiche e psicomotorie si intersecano le une con le altre nel tentativo di ripristinare un’omeostasi funzionale alla sopravvivenza nell’ambiente di riferimento. Ma è proprio nel momento in cui K.  esce dalla terapia intensiva  che le opportunità si riducono drasticamente, mettendo in evidenza il limite dell’applicazione del modello biomedico di stampo riduzionistico e lasciando uno spazio terapeutico vuoto in cui è stata inserita la psicomotricità come ponte tra il sostegno fisioterapico e psicologico.

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