Le Paralisi Cerebrali Infantili (PCI) - Cenni storici, definizione, classificazione ed eziopatogenesi
CENNI STORICI
Il gruppo di disabilità neuromuscolari che oggi conosciamo come paralisi cerebrale è stato osservato fin dall'antichità, in quanto si hanno testimonianze di bambini affetti da patologie del movimento fin dall'antica Mesopotamia. Anche in epoca classica, presso la civiltà Greca e Romana, era pratica comune l'infanticidio per i bambini nati con deformità o menomazioni, ad oggi identificabili come paralisi cerebrali infantili.
Più recentemente, la letteratura europea ci rimanda descrizioni pregnanti di questa patologia, e a proposito è possibile citare il protagonista dell'opera Riccardo III di Shakespeare, che descrive gli esiti negativi della sua nascita prematura: “...deforme, incompleto, inviato prima del tempo in questo mondo che respira, sbozzato solo per metà, e così claudicante e goffo che i cani latrano contro di me, quando passo loro accanto”. (Riccardo III , Atto 1°, Scena I).
La prima descrizione clinica di Paralisi Cerebrale Infantile vede come protagonista il chirurgo ortopedico inglese William John Little, che in un suo lavoro del 1861, presentato all'Ostetrical Society of London, pronunciò: “..rigidità spastica [..] è dovuta a ferite meccaniche durante il parto alla testa e al collo, con convulsioni che seguono l'atto della nascita, e comportano una determinata patologia delle gambe del neonato; [...] talvolta la rigidità spastica si presenta nel periodo successivo alla nascita”.
Per la prima volta veniva indagata la correlazione tra la spasticità e le deformità con l'asfissia e l'emorragia cerebrale secondarie alla sofferenza del parto.
Alcuni anni dopo W. Osler scrisse un libro nel quale espose le caratteristiche cliniche di 150 bambini affetti da disturbi motori di origine cerebrale, avanzando ipotesi neuropatologiche.
Nel 1897, S. Freud nel suo classico lavoro “Die infantile cerebrallähmung - The infantile cerebral palsy” sottolineò l'importanza delle anomalie dello sviluppo intrauterino nella patogenesi della paralisi cerebrale infantile e mise in evidenza la frequente associazione del disordine motorio con altri disturbi, quali il ritardo mentale, l'epilessia, disturbi visivi e del linguaggio. I successivi studi lo portarono ad analizzare e descrivere con accuratezza i quadri clinici e anatomopatologici della malattia, e alcuni conservano la loro validità ancora oggi.
E' necessario un salto di oltre cinquant'anni ed un lavoro svolto da apposite commissioni internazionali per giungere alla definizione ad oggi più accreditata, che recita: “..un disturbo permanente ma non immodificabile della postura e del movimento, dovuto ad un difetto o ad una lesione cerebrale non progressiva, determinatasi prima che l'encefalo abbia compiuto i principali processi di maturazione morfo-funzionale.
DEFINIZIONE E “CRITICHE”
Attualmente per Paralisi Cerebrale Infantile si intende un gruppo eterogeneo di quadri clinici permanenti ma non immodificabili, di diversa eziologia e con diverse espressioni sintomatiche, che hanno in comune i disordini della postura e del movimento e la non progressività della lesione. La PCI è dovuta ad alterazioni del sistema nervoso centrale per cause pre-, peri- e post- natali, prima che se ne completi la crescita e lo sviluppo.
L'aggettivo permanente rimanda al concetto di una turba, cioè uno stato permanente e non tanto una malattia, di una condizione stabile nel tempo e quindi non evolutiva. Ad esso viene affiancato l'aggettivo non immutabile, per sottolineare come tuttavia siano possibili dei cambiamenti migliorativi o peggiorativi: non è la lesione che di per sé evolve, ma le richieste dell'ambiente al sistema nervoso, che divengono sempre più complesse, con il conseguente aggravamento della disabilità per i deficit secondari alla mancata acquisizione di nuove funzioni dovuta al danno primitivo.
Alle alterazioni della postura, dell'azione e del controllo motorio (componenti sempre presenti nella PCI) possono essere associati altri disordini, quali deficit cognitivi e relazionali, sensitivi e sensoriali, distorsioni della rappresentazione mentale, difficoltà di apprendimento, epilessia, se pur variabili per frequenza e gravità.
Tuttavia, la definizione di PCI porta con se alcuni limiti che invitano a soffermarci sul significato di ogni singolo termine. Precisamente:
- il termine Paralisi non intende soltanto un 'alterazione del muscolo e del suo tono in termini di spasticità, ma anche in quelli di distonia o atassia. Infatti spesso non vi è una vera paralisi o paresi, ma un differenti disturbo di movimento;
- con il termine Cerebrale non si intende solamente una lesione a carico dell'encefalo, ma anche anche a carico di strutture nervose centrali extracerebrali.
- infine, con il termine Infantile si specifica il timing di insorgenza dell'eziologia della paralisi: si tratta quindi di una mancata acquisizione di funzioni, rispetto alla loro fisiologica epoca di comparsa, contrapposta alla paralisi dell'adulto che consiste nella perdita di funzioni già precedentemente acquisite.
CLASSIFICAZIONE
Dal punto di vista clinico quindi con il termine di PCI ci si riferisce a diversi quadri clinici, e proprio per la loro varietà e per la eterogeneità dei fattori eziologici , si è diffusa nel tempo l'esigenza di sistematizzare le varie forme di PCI in base alle caratteristiche dei sintomi neurologici (spasticità, atassia, discinesie) e alla distribuzione topografica dei sintomi ( localizzato ai soli arti inferiori, ad un emisoma..)
A riguardo, un primo importante approccio che seguiva questo criterio descrittivo fenomenologico fu quello di Freud nel 1897, a cui si attennere negli anni successivi anche altre proposte di classificazione (Phelps, 1950; Ingram, 1966) fino a giungere alla classificazione più recente e più diffusa a livello internazionale, avanzata da Hagberg nell'anno 1975.
La classificazione di Hagberg prevede la differenziazione dei molteplici quadri clinici delle PCI in tre raggruppamenti in base al sintomo prevalente: forme spastiche, forme atassiche e forme discinetiche. Nelle prime il tono muscolare può risultare aumentato o diminuito, arrivando a parlare rispettivamente di ipertonia o ipotonia, specialmente quando la lesione è a carico del sistema piramidale.
Per le forme discinetiche, si verifica una fluttuazione del tono del muscolo a riposo, con prevalenza dell'uno sull'altro e viceversa, esito di un danno a carico del sistema extrapiramidale, cioè a livello dei gangli della base. La forma atassica, prevede un'anomalia a carico dei circuiti neuronali che coinvologono il cervelletto, con conseguente instaurarsi di un disturbo di coordinazione motoria e dell'equilibrio.
A loro volta, i quadri clinici vengono definiti anche in base alla loro distribuzione topografica, come illustrato nella tabella seguente:
Forme spastiche:
- emiplegia;
- diplegia:
- tetraplegia.
Forme discinetiche:
- coreoatetosica;
- distonica.
Forme atassiche:
- diplegia atassica;
- atassia congenita semplice.
Con i precedenti termini si fa riferimento rispettivamente a:
- emiplegia: compromissione di un emilato corporeo;
- diplegia: una compromissione degli arti inferiori maggiore rispetto agli arti superiore ( in precedenza classificata come paraperesi o tetrsparesi in base al livello di gravità del sintomo);
- tetraplegia: compromissione in egual modo degli arti superiore e degli arti inferiori;
- diplegia atassica: che associa una spasticità degli arti inferiori a segni atassici (tremore) localizzati agli arti superiori;
- atassia congenita: forme pure di atassia (p.e. con compromissione dell'equilibrio);
- coreoatetosi: caratterizzata da un ipotonia globale di base con presenza di movimenti coreici (involontari) e atetosici, coinvolgenti prevalentemente i quattro arti ed il volto;
- forma distonica: forma discinetica che comporta importanti disabilità funzionali, essendo caratterizzata da una grave ipotonia del tronco e del volto, in particolar modo del distretto bucco- facciale e della faringe a cui sono associate distonie e persistenza di riflessi primitivi.
Spesso ci si ritrova dinanzi alla sovrapposizione di più quadri clinici nello stesso paziente, quindi si parla di forme miste, con segni e sintomi tipici di diverse tipologie di PCI: in questo caso il gruppo di appartenenza viene determinato in base alla pervalenza di un sintomo rispetto ad un altro.
Risulta inoltre doveroso specificare la differenza presente nel significato dei termini paresi e plegia, spesso erroneamente confusi o sostituiti.
Con il primo termini si intende una limitazione del movimento intenzionale, per plegia si intende la sua limitazione.
EPIDEMIOLOGIA
La PCI è la causa più comune di disabilità fisica nella prima infanzia: complessivamente l'incidenza è di 2-3 casi su 1000 nati vivi. Nel corso degli ultimi 50 anni si è a fondo analizzata la relazione fra la prevalenza della PC e diversi fattori patogenetici, come l'età gestazionale bassa e il peso neonatale, soprattutto se inferiore ai 1500gr, tanto da arrivare a parlare di un'incidenza di 40-100 casi su 1000 nati vivi con queste caratteristiche.
Grazie ai continui cambiamenti del livello di assistenza e di prevenzione nelle fasi della vita fetale e neonatale si è verificata rispetto agli anni precedenti, una modificazione della prevalenza e delle caratteristiche cliniche delle diverse forme di PCI. Le forme spastiche bilaterali sono aumentate, come la diplegia spastica, attualmente la forma più frequente, tipica del bambino nato pretermine, mentre la tetraparesi spastica presenta modificazioni qualitative,più che nella prevalenza, con compromissione motoria più grave ed associata a diversi disturbi visivi, cognitivi e convulsivi. Per contro, risultano diminuite le forme discinetiche grazie ai miglioramenti nell'assistenza perinatale del neonato a termine, essendo queste forme esito di una asfissia neonatale con conseguente lesione ai nuclei della base.
EZIOPATOGENESI
Come si è detto, la paralisi cerebrale è un insieme di disturbi eterogenei a diversa eziopatogenesi ed è evidente quindi la difficoltà di stabilire con certezza i fattori potenzialmente patogeni per la maturazione dell'encefalo nelle fasi precoci dello sviluppo, epoca in cui si è verificato il danno.
E' noto che il timing in cui la noxa patogena agisce sul cervello immaturo determina la localizzazione anatomica e il pattern della lesione, strettamente correlata con lo sviluppo cerebrale. Grazie a queste considerazioni si è giunti all'introduzione di criteri di classificazione dei fattori eziologici della PC (Krageloh-Mann, 1995) raggruppati in relazione all'epoca in cui agiscono sul cervello ancora in fase di maturazione.
Vengono cosi suddivisi:
Fattori prenatali: che agiscono nel periodo dal concepimento al travaglio;
- Infezioni materne (complesso TORCH: toxoplasmosi, rosolia, ciromegalovirus, herpes..)
- Malformazioni congenite, cerebrali (microcefalia primaria, idrocefalo ) ed extracerebrali;
- Forme familiari con eredità mendeliana;
- Agenti tossici e teratogeni;
- Complicanze placentari;
- Anomalie cromosomiche;
- Segni di leucomalacia periventricolare algi esami neuroradiologici ( TAC o RM)
Fattori perinatali: che agiscono nel periodo di tempo dall'inizio del travaglio alla prima settimana di vita:
- Età gestazionale ( prematurità < 32 settimane);
- Basso peso alla nascita ( < 2500gr)
- Emorragia intracerebrale documentata;
- Insufficienza d'organo, o edema cerebrale o shock neonatale (asistolia), con conseguenti manovre rianimatorie;
- Sepsi o infezioni del SNC;
- Iperbilirubinemia;
- Encefalopatia ipossico-ischemica con almeno 2/3 dei seguenti segni: indice di Apgar < 5 a 1' o a 5', convulsioni prima del 3° giorno di vita, rianimazione.
Fattori postnatali: che agiscono nelle successive settimane di vita;
- Emorragia endocranica;
- Traumi;
- Infezioni;
- Coagulopatie.
Grazie al contributo di alcuni studi, confermati anche dai dati di follow-up ecografico, è stato evidenziato come il ruolo dei diversi fattori patogenetici è diverso in rapporto all'età gestazionale del bambino: nei neonati pretermine la prematurità, la sofferenza perinatale, ed il peso molto basso (< 1500gr) costituiscono i più importanti fattori di rischio per il verificarsi di una PCI, considerando che vi è in questi soggetti una regolazione cardiorespiratoria ancora immatura ed instabile che comporta variazioni del flusso cerebrale, con conseguenti fenomeni di ipoperfusione ed ischemia. Nei neonati a termine il ruolo più importante lo giocano i fattori prenatali, che agiscono nelle diverse fasi di sviluppo cerebrale fetale.
In uno studio del 2001 condotto da Hagberg viene ripotata la diversa distribuzione dei vari quadri clinici nei due gruppi di bambini, quelli nati pretermine e quelli nati a termine. In particolar modo la diplegia spastica è presente nell'83% dei bambini pretermine e solo il 25% nei nati a termine; l'emiplegia è presente nel 44% dei bambini nati a termine e nel 9% solamente nei bambini nati pretermine, con ulteriore distizione riguardanto il coinvolgimento dell'arto superiore, maggiore nei nati a termine rispetto ai pretermine, dove prevale il deficit motorio all'arto inferiore.
SEMEIOTICA NEUROLOGICA ED INQUADRAMENTO DELLE FORME DI PCI
La semeiotica neurologica si occupa di descrivere le patologie in base alla localizzazione del deficit, considerandone i segni oggettivi ( ipertonico, ipotonico, distonico, tetraparetico, diplegico, emiplegico) e ne giudica la misura (gravissimo, grave, medio, lieve..).
In particolar modo la semeiotica neurologica tiene conto di tre parametri: il tono muscolare (aumentato, diminuito, alternato), il sintomo neurologico prevalente (spasticità se lesione a carico del sistema piramidale; asimmetria del tono dei muscoli se è presente un danno al sistema extrapiramidale; tremori, dismmetrie, disturbi dell'quilibrio, se il danno è localizzato al cervelletto).
Per delineare ulteriormente i quadri clinici è doveroso specificare quali sono i segni ed i sintomi specifici con cui si manifestano le diverse forme di PCI, a cui rimando la lettura dei paragrafi seguenti.
PREVALENZA, DISTRIBUZIONE ED EZIOPATOGENESI DELL'EMIPLEGIA.
L'emiplegia (o emiparesi) è una forma di PCI che determina una disabilità motoria monolaterale, con prevalente interessamente piramidale. A riguardo risulta doveroso specificare come per la diagnosi di emiplegia-paresi sia criterio indispensabile la unilateralità della disabilità funzionale, per contro è possibile la presenza di segni neurologi bilaterali.
La distribuzione dell'emiplegia congenita (cfr. Tabella 1) varia in relazione all'età gestazionale dei bambini affetti, con una percentuale pari al 44% dei bambini nati a termine e del 13% nei bambini pretermine, di EG < 32 settimane. Riporta un andamento contrario rispetto alle forme di paralisi cerebrale bilaterale, che diminuiscono con l'aumento dell'EG essendo più frequente (81%) nei bambini con EG bassa.
Si può affermare che l'emiplegia rappresenta circa il 33-35% delle forme cliniche di PC, e la sua prevalenza è rimasta stabile nel corso degli anni, registrano ancora oggi valori intorno allo 0.5-07 per 1000 nati vivi. (Hagberg, 2000).
Tab. 1 : Distribuzione dell'emiplegia, delle forme spastiche bilaterali e delle altre forme di PCI in base all'età gestazionale. (Hagberg, 2000)
Ad oggi, nonostante i numerevoli studi, persistono molti problemi relativi al'eziopatogenesi di questa forma clinica, in quanto in una buona percentuale di casi (30-40%) non sono rintracciabili antecedenti di rischio nella storia della gravidanza, e le neuroimmagini risultano normali. A riguardo, Goodman sottolinea che in questi numeri casi in cui non è possibile identificare un fattore eziologico nella storia dei bambini con emiplegia congenita, sia la casualità che determina il verificarsi di una lesione nell'ambito dei complessi processi che regolano lo sviluppo del cervello.
Ciò nonostante, gli studi epidemiologici, neuropatologici e di RM hanno contribuito ad individuare molti meccanismi che possano determinare le lesioni cerebrali responsabili delle lesioni. I fattori di rischio, secondo Hagberg, sono in prevalenza prenatali nei bambini nati a termine rispetto ai fattori perinatali, il contrario di quanto avviene nei bambini nati pretermine.
I fattori di rischio prenatale riguardano fenomeni vascolari molto precoci ) emorragici, trombotici, infiammatori), aborti precedenti, malattie croniche in gravidanza come il diabete, tossiiemie, il ritardo di crescita intrauterina. Fra i fattori perinatali ritroviamo invece le distocie del parto, con conseguenti emorragie intracraniche, sanguinamenti venos, sofferenze ipossico-ischemiche e le sepsi neonatali. (Uvebrant, 1988)
Agli esami neuroradiologici, sono stati individuati diversi gruppi di lesioni, in base ai diversi meccanismi patogenetici che le sottendono e all'EG di insorgenza.
Tra queste ritroviamo le lesioni malformative, dove il nucleo patologio di base è rappresentato in prevalenza da anomalie nella migrazione neuronale, con conseguente schizencefalia, aree di eterotopia, polimicrogiria, assottigliammento e ripiegamento della corteccia, aree di pachigiria, che comporta una riduzione delle circonvoluzioni e ispessimento della corteccia cerebrale e, se diffusa, può portare all'iposviluppo di un intero emisfero, ed infine le displasie corticali, con presenza di cellule atipiche come nella sclerosi tuberosi e nella megalencefalia.
Abbiamo poi il gruppo delle lesioni periventricolari, ovviamente monolaterali, le più frequenti sia nei bambini nati a termine che nei bambini pretermine. Qui sono principalmente presenti fenomeni di alterazione vascolare, con ipo o iperperfusione nell'area periventricolare., che nei bambini pretermini si sviluppano nel periodo perinatale, mentre per i bambini a termini le alterazioni riguardano lo sviluppo intrauterino del feto e spesso vengono riscontrate solo alla prima RM.
Alterazioni vascolari giocano un ruolo importante anche per le lesioni cortico-sottocorticali, verificatosi nel terzo trimestre di gravidenza o nel periodo perinatale, con evidenti segni di infarto dell'arteria cerebrale media, spesso anche senza evidenti segni di asfissia neonatale durante il parto.
CORRELAZIONE FRA LESIONI CEREBRALI, ASPETTI CLINICI E DISORDINI FUNZIONALI NELL'EMIPLEGIA
E' presente una relazione fra gli aspetti lesionali della morfologia cerebrale e le caratteristiche del quadro clinico nei bambini affetti da emiplegia congenita.
Nel gruppo di bambini che alla RM presentano lesioni localizzate alla zona periventricolare, il deficit motorio è lieve o moderato, con coinvolgimento maggiore dell'arto inferiore e capacità intellettive nella norma.
I quadri che alla RM presentano lesioni malformative vedono integro il linguaggio e le altre funzioni corticali superiori ed, in un terzo dei casi, può essere presente un ritardo mentale di lieve entità. Nell'80% dei casi risulta alterato il tracciato EEG, così che i bambini presentano in buona percentuale crisi convulsive.
In caso di lesioni corticali o sottocorticali, è molto frequente l'associazione con epilessia, disprassia e disturbi delle funzioni corticali superiori e capacità intellittive basse nel 15-30° dei casi. Anche lo sviluppo motorio resta maggiormente compromesso rispetto ai quadri con lesioni di natura malformativa o in zona periventricolare, e gli arti superiori quanto quelli inferiori non abbandonano mai l'atteggiamento di flessione.
Nelle forme di emiplegia dove la lesione è invece più tardiva, generalmente di natura vascolare, infettiva, traumatica o tumorale, il quadro clinico si avvicina notevolemente a quello dell'adulto, in quanto si ha la perdita di funzioni gia acquisite. L'arto superiore sarà più compromesso dell'arto inferiore, e frequente sarà l'associazione con disturbi di apprendimento, disturbi percettivi, e deficit d'attenzione (emiagnosia visiva, emisomatoagnosia..)
L'emiplegia congenita riguarda principalmente l'emisona destro ed è nota la prevalenza nel sesso maschile.
Diversi sono gli studi, ed i pareri, riguardanti l'insorgenza delle prime manisfestazioni dei sintomi, di cui alcuni parlano di un periodo silente (il primo anno di vita) nel bambino soprattutto nato a termine, per altri i segni si verificano subito nel primo periodo post natale.
Generalmente, il tono dell'emilato interessato può risultare aumento o diminuito; gli arti sono meno mobili, e gli arti superiori vengono difficilmente disimpegnati in posizione prona, presentano la mano chiusa a pugno e spesso il primo dito viene tenuto flesso e addotto all'interno del pugno.
Nel primi mesi di vita si può avere un primo sospetto per la diagnosi di emiplegia, quando inizia ad esser rilevabile l'asimmetria dei primi movimenti degli arti superiori,; successivamente vero l'anno di vita è osservabile l'asimmetria dell'appoggio e del carico degli arti inferiori. Infatti, per lo sviluppo motorio globale del bambino empilegico, sono maggiormente evidenti le alterazioni in termini qualitativi, più che quantitavi. Il controllo del capo viene generalmente raggiunto in epoche normali, mentre il controllo del tronco è ritardato e presenta cadute verso il lato interessato, causate anche dall'assenza di reazioni di paracadute dallo stesso lato.
L'arto superiore presenta una riduzione della motilità, che comporta una prensione, se presente, “a rastrello”, con conseguente difficoltà a rilasciare la mano dall'oggetto. L'arto è atteggiato in abduzione e intrarotazione del braccio, il gomito e il polso in semiflessione, l'avambraccio in semipronazione, mano inclinata verso il lato ulnare con dita flesse. I bambini emiplegici acquisiscono il cammino ad un età media di 17 mesi, se pur con pattern atipici: il tronco è in atteggiamento scoliotico con rotazione verso il lato leso, l' arto inferiore intraruotato, addotto e semiflesso all'anca e al ginocchio, l'appoggio del piede in piatto-equinismo e valginismo e il carico eseguito principalmente sull'avampiede. Questa tipologia di avanzamento viene denominata steppage unilaterale, (non falciante, come invece viene chiamata nell'adulto emiplegico).
Spesso il cammino viene preceduto dalla posizione quadrupedica, o nella maggior parte dei casi, dallo spostamento sul sedere ( “shuffling” ) asimmetricco, con l'emilato sano che trascina l'emilato plegico.
In base all'epoca di insorgenza della lesione, alla sua sede ed estensione possono emergere disturbi secondari, nei quali la lesione precoce di un emisfero può interferire nello sviluppo di altre fuzioni neurologiche.
In comorbidità, spesso ritroviamo disturbi osteomuscolari a causa delle posizioni viziate assunte da questi bambini e rispettive alterazioni biomeccaniche, fenomeni convulsivi con frequente epilessia parziale, generalizzate toniche o tonicocloniche nel 20% dei casi, disturbi del linguaggio, e infine ma non meno importante, deficit sensoriali. Questi ultimi possono riguardare la discriminazione tattile, emianopsie (perdita del campo visivo leso), emiagnosie visive con incapacità a riconoscere l'emilato leso, disturbi dell'acuità visiva.
La prognosi è buona per quanto riguarda l'autonomia, per il linguaggio e variabile per le convulsività.
DIPLEGIA SPASTICA: DEFINIZIONE ED EZIOPATOGONESI
Per diplegia congenita (definita anche “leg-dominated) si intende una forma di PC in cui la spasticità prevale agli arti inferiori mentre gli arti superiori risultano meno compromessi. E' la forma più frequente di PC (40-45%) ed in particolar modo la si riscontra nei bambini nati pretermine (small for date) . Come molti studi attestano, le cause che sottendono la lesione cerebrale nei bambini nati pretermine sono differenti rispetto ai fattori di rischio delle lesioni dei bambini nati a termine, e grazie ai contributi portati dagli esami di neuroimaging (in particolar modo della RM) è stato possibile suddividere in due gruppi i nuclei patogenetici ed eziologici.
Nel bambino pretermine (soprattutto dalle 24 alle 36 settimane di EG) il nucleo patogenetico riguarda la Leucomalacia Periventricolare (LPV), di origine anossico-ischemica. La causa principale è da attribuire ad anomalie dei fenomeni vascolari, questo perchè le strutture vascolari del bambino pretermine rendono vulnerabili le zone periventricolari all'ischemia cerebrale, e agli infarti emorragici, a causa degll'immaturità dei sistemi di coauglazione e alla fragilità dei capillari specialmente venosi.
E' ben nota la relazione fra la LPV e il quadro clinico della diplegia spastica: gli arti inferiori sono maggiormente compromessi a livello motorio rispetto agli arti superiori, a causa delle lesioni della sostanza bianca nelle aree laterali e dorsali che circondano i ventrioli laterali, attraversate anatomicamente dai tratti corticospinali provenienti dalla corteccia motoria e dirette agli arti inferiori.
Nell'eziopatogenesi del bambino nato a termine riscontriamo una eterogenicità dei fattori di rischio. Tra i fattori prenatali ritroviamo fattori genetici, anomalie placentari, alto numero di gravidenze passate, quadri malformativi del feto come agenia del corpo calloso. Un ruolo importante lo ricoprono i fattori di rischio perinatali, per il verificarsi di situazioni di anossia-ischemia e successivamente nel periodo postnatale, la presenza di una condizione di idrocefalia.
DIAGNOSI PRECOCE, ASPETTI CLINICI E DISORDINI FUNZIONALI ASSOCIATI NEL BAMBINO CON DIPLEGIA SPASTICA.
Per la diagnosi di diplegia spastica, fin dalle prime immagini ecografiche dei primi giorni di vita, è possibile osservare le sedi delle lesioni e questo rende possibile monitare e prevedere l'emergenza dei primi segni clinici.
Nonostante le tecniche di neuroimaging forniscano un contributo fondamentale per la diagnsi precoce di diplegia spsastica, un altro strumento indispensabile è rappresentato dall'esame obiettivo e dall'osservazione diretta del bambino e dei suoi comportamenti motori.
Infatti, all'esame obiettivo del neonato, i General Movements presentano generalmente alterazioni qualitative con un reportorio molto povero per quanto riguarda soprattutto gli arti inferiori. Altri segni di allarme nei primi mesi di vita, nello specifico descritti da Touwen, ritroviamosono rappresentati da: anomalie del tono a carico degli arti inferiori, che presentano pattern stereotipati fissi in estensione, non modificabili con i passaggi posturali, ritardo nell'acquisizione della sequenza di raddrizzameento antigravitario dell'asse capo-tronco, persistenza di tremori anche se il bambino è in stato di veglia tranquilla. Nei mesi successivi emergono ritardi nell'acquisizione delle diverse posture e delle sequenze di spostamento causate dalla fissità dei pattern stereotipati e per l'insaturarsi di contratture osteo-articolari. Talvolta nei casi più lievi, quando l'interessamento della spasticità riguarda la porzione distale dell'arto inferiore e comporta una ridotta motricità del piede, la diagnosi ci rimanda alla fine del primo anno di vita del bambino, quando il patterne di iperestensione distale viene evidenziato dai tentativi di mantenere la postura eretta.
All'esame obiettivo del bambino pretermine con diplegia spastica è possibile riscontrare diversi segni neurologici, tipici dell'interruzione delle vie corticospinali bilaterali: alterazioni nella forza e della motricità intenzionale soprattutto agli arti inferiori, nei casi più lievi con solo interessamento distale, nei casi più gravi con interessamento anche dei distretti prossimali dell'anca e del ginocchio; alterazioni del tono muscolare che interessano la muscolatura estensoria e adduttoria, con conseguente flessione e incrociamento degli arti inferiori durante il cammino.
Nello studio dello sviluppo del controllo posturale di questi bambini, un contributo importante è stato portato dalle considerazioni di Fedrizzi et al (2000), che in uno studio sull'evoluzione del raddrizzamento antigravitario in un grupo di bambini diplegici dai 12 ai 42 mesi, hanno rilevato che l'83% dei bambini completa la fisiologica sequenza di raddrizzamento dalla posizione prona fino al controllo del tronco in posizione seduta, con appoggio sulle mani estese.
Per quanto riguarda gli schemi di movimento prelocomotori si è giunti alle seguenti considerazioni grazie agli studi condotti da Yokochi nel 1990:lo schema distrisciamento prevede uno spostamento definito “a foca”, con alternanza di movimenti di flesso estensione dei cingoli sueriore ed inferiori; lo spostamento carponi risulta fortemente condizionato dalla spasticità della muscolatura prossimale degli arti inferiori ed assume le caratteristiche del cammino con appoggio sulle mani e trascinamento degli arti inferiori (bunny hopping) ad anche flesse. Per la posizione seduta, è frequente la posizione del w-sitting, con appoggio sul podice fra i talloni, ad anche intraruotate. Se quest'ultima viene acquisita entro i 2 anni di età, la prognosi è buona per la successiva acquisizione del cammino mentre nei bambini che non camminano entro i 5 nni di età è stata documentata una mancata acquisizione della posizione seduta almeno fino ai 36 mesi.
Ciò nonostante, una buona percentuale di bambini con diplegia spastica (87% circa) raggiungono il cammino, anche se in alcuni casi grazie all'utilizzo di ausili. Il pattern tipico è rappresentato da anche e ginocchia addotto, flesse e in intrarotazione, con il carico sull'avampiede generalmente in posizione di abduzione e supinazione; prevale la posizione di equinismo del piede.
Per quanto riguarda l'arto superiore, l'avvicinamento della mano all'oggetto avviene con movimenti di pronazione del braccio e della mano, senza preadattamento di quest'ultima alla forma dell'oggetto, che si apre solamente quando entra a contatto con l'oggetto: la presa è solitamente palmare, con scarsa opposizione ed abduzione del pollice.
Queste posizioni viziate, comportano con il passare degli anni, l'instaurarsi di alterazioni della struttura muscolare e di contratture, tensioni muscolari, deformità scheletriche e articolari, con la conseguente compromissione della biomeccanica funzionale.
In molti casi di Leucomalacia Periventricolare viene associato un coinvolgimento delle aree visive parietoccipitali e delle radiazioni ottiche e quindi delle vie ottiche retrochiasmatiche, che portano le informazioni alla corteccia striata. Per questi motivi al quadro clinico della diplegia spastica vengono spesso associate alterazioni visive periferiche (presenza di acuità visiva ridotta, strabismo), del riconoscimento delle caratteristiche formali dell'oggetto e del riconoscimento della localizzazione spaziale degli oggetti.
Conseguente a queste lesioni, è l'insaturarsi di disturbi visivi centrali, he comportano difficoltà visuopercettive e negli anni successivi, problemi di apprendimento scolastico.
TETRAPLEGIA : DEFINIZIONE ED EZIOPATOGENESI
La letteratura considera tetraplegie, o tetraparesi, la forma di PC “four limb- dominated”, ossia le paralisi cerebrali infantili caratterizzate da deficit motorio esteso in modo simmetrico ed equivalente a tutti e quattro gli arti, talvolta con interessamento maggiore degli arti superiori. In tutti i casi il danno cerebrale è esteso ed il quadro clinico si configura più grave rispetto alle altre forme cliniche e presenta disabilità multiple. Essa corrisponde alla vecchia “doppia emiplegia”, così definita dallo studioso S.Freud.
Questa forma di PC spastica e bilaterale rappresenta ad oggi il 4-6 % di tutte le forme di PC (dati risultanti dagli studi di Edebol-Tysk, del 1989 e Haberg del 1993).
Grazie al contributo di Edebol- Tysk con il suo studio recentissimo su una popolazione svedese di bambini nati fra il 1958 e il 1978, sono stati individuati i fattori eziologici alla base della tetraparesi, con una percentuale del 50-55% per i fattori prenatali, del 30% per i fattori perinatali e del 15-20% per i casi postnatali.
I fattori perinatali riguardano soprattutto i bambini nati pretermine, specialmente se di basso peso e di EG < 32 settimane.
Fra i nuclei eziopatogenetici ritroviamo gravi sofferenze di tipo anossico-ischemico, che determinano gravi quadri di Leucomalacia Periventricolare, estesi anche alle zone frontali e talvolta con presenza di lesioni leucomalaciche cistiche estese alla sostanza bianca sottocorticale, differentemente rispetto a quanto accade nelle diplegie spastiche. L'interessamento della sostanza bianca sottocoorticale
occipitale è responsabile della frequente cecità corticale di questi bambini, ed è ben visibile dagli esami neuroradiologici dove risulta scarsamente mielinizzata e con presenza di lesioni cistiche.
Altre lesioni molto frequenti sono quelle di tipo emorragico, peri- ed intraventricolari, con presenza di infarti emorragici associati spesso a idrocefali postemorragici, che porta ad una sofferenza anossica acuta delle medesime aree cerebrali, con possibile coinvolgimento del nervo ottico.
Anche per il neonato nato a termine, una buona percentuale di rischio (28%) la giocano i fattori perinatali, come nel bambino pretermine, per la presenza di encefalopatie ipossico-ischemiche durante il parto. Solitamente in questi casi, in epoca neonatale, sono presenti almeno due dei seguenti segni cinici: un indice Apgar molto basso, interventi di rianimazione e/o convulsioni neonatali.
Inoltre, circa il 36% dei fattori eziologici ( Hagberg, 2011) è occupato dai fattori prenatali, che comportano forme se pur rare ad eredità Mendeliana associate a micrcefalie, infezioni (del complesso TORCH) e malformazioni congenite (come la schizencefalia, polimicrogiria bilaterale, idrocefalo, microcefalie).
ASPETTI CLINICI E DISORDINI FUNZIONALI DELLA TETRAPLEGIA
Fin dai primi mesi di vita sono generalmente presenti segni neurologici evidenti e disordini che coinvolgono più sistemi che vanno ad interferire con le funzioni adattive del bambino all'ambiente.
Non sussistono differente nei quadri clinici dei bambini pretermine o dei bambini nati a termine, con la sola accezione che nel secondo gruppo sono spesso presenti con maggiore frequenza lesioni dei gangli della base e quindi tratti distonici associati alla spasticità di base.
In epoche precoci, possono essere osservate reazioni di sussulto eccessive, passaggi repentini dal pianto inconsolabile alla veglia quieta, alterazioni del ritmo sonno-veglia, fenomeni convulsivi, disordini della deglutizione e fenomeni di stipsi cronica con presenza di coliche dolorose.
La tetraparesi presenta anomalie del tono che prevedono un ipertono spastico, localizzato ai quattro arti sia distalmente che prossimamente e un ipotono evidente a livello della linea mediana capo-tronco e nel distretto bucco-facciale. La motilità volontaria è notevolemente ridotta, sia ai quattro arti che all'asse capo-tronco, e i movimenti risultano fissi e stereotipati.
Il capo appare talvolta iperesteso, con bocca aperta, in atteggiamento di opistotono come volessere riflettere il tentativo del bambino di rispondere alla gravità.
Gli arti superiori presentano un atteggiamento dominante in sinergia flessoria, con spalle anteposte, braccia addotte, gomito flesso, avambracci pronati, le mani chiuse a pugno ed il pollice addotto. Questa grave spasticità non consente la prensione, che come illustrato nello studio su bambini svedesi di Edebol-Tysk (1988), nel 74% dei casi non consente la possibilità di afferrare gli oggetti.
Per contro gli arti inferiori presentano una sinergia estensoria, con adduzione dell'anca, e piediestesi e supinati e vari oppure pronati e valghi.
La spasticità così grave comporta gia nei primi due anni di vita, alterazioni biomeccaniche, l'insaturarsi ddi contratture e deformità articolari. Frequente è l'associazione con cifosi dorsale grave, scoliosi, sublussazioni dell'anca, che presenta contratture ai muscoli adduttori e flessori, equinovarismo dei piedi, per le contratture al gastrocnemio.
E' evidente come nella forma pura di tetraplegia spastica sia gravemente ostacolata l'organizzazione posturale. Ancora una volta lo studioso Edebol-Tysk ci presenta dati significativi riguardanti lo sviluppo motorio di questi bambini. Su un campione di 96 bambini con tetraplegia, il 71% dei bambini non è in grado di compiere cambiamenti posturali. Le possibilità che questi bambini possano raggiungere la posizione seduta autonoma, è molto scarsa: una bassa percentuale riesce a mantenere la posizione grazie ad un supporto bilaterale. Anche la prognosi per la deambulazione autonoma risulta non essere molto buona, in quanto solo una bassa percentuale di bambini tetraplegici è in grado di spostarsi con un deambulatore (o girello).
Ogni tentativo di movimento del bimbo è ostacolato non solo dalla grave spasticità, ma anche dalla persistenza dei riflessi primitivi oltre i limiti fisiologici, come il riflesso tonico simmetrico e asimmetrico del collo, che ostacola i passaggi posturali, soprattutto il rotolamento; il grasping e il riflesso di Moro (nei casi più gravi) con mancanza di reazione di difesa e di sostegno posturale.
Questa forma grave di PCI è associata all'epilessia, presente in quasi tutti i casi clinici, e a gravi forme di disordini della funzione alimentare. Questi ultimi, a causa dell'ipotono del distretto bucco-facciale, possono portare a ritardi dell'accerscimento staturale, ma anche a disfunzioni dell'esofago con conseguenti esofagiti da reflusso e in casi molto gravi, a gravi patologie dell'apparato respiratorio, per l'aspirazione di cibo nelle vie respiratorie.
Un altro aspetto importante da non sottovalutare per l'organizzazione delle funzioni adattive dei bambini tetraplegici gravi, è la compromissione della funzione visiva: infatti una buona percentuale di bambini presenta cecità corticale o periferica, secondaria all'atrofia del nervo ottico.
Per concludere con i possibili disturbi associati alle forme gravi di tetraplegia spastica ed occuparci dello sviluppo cognitivo di questi bambini, nel seguente grafico illustriamo la distribuzioni del QI come emerso dallo studio condotto da Botteon ed al. su 40 soggetti affetti. Sono stati utilizzati alcuni items della scala Griffith e Wisc-R, talvolta adattando la scelta degli strumenti, i tempi e le procedure di somministrazione alle caratteristiche del disordine, utilizzando per esempio l'indicazione di sguardo o degli arti.
Tab. 2- Distribuzione del Q.I.in un gruppo di 40 bambini tetraplegici (da Botteon, 1992)
Da questi dati, molto significativi, fuoriesce che circa il 40% dei bambini presenta un QI < 50, la media si attesta su un ritardo mentale di tipo medio-lieve, e solo in una piccola parte il QI supera i 90.
LE FORME DISCINETICHE DELLE PCI: DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE ED EZIOPATOGENESI.
Parlare di forme discinetiche di paralisi cerebrale infantile, ci porta a considerare un gruppo di sindromi, con interessamento del sistema extrapiramidale in quanto presentano lesioni dei gangli della base, eterogeneo per quanto riguarda i fattori eziologici e l'evoluzione del quadro clinico.
Diverse sono le proposte di classificazione avanzate nel corso degli anni (Bobath, 1975; Bottos, 1987, Ferrari, 1987; Hagberg, 1989) ma ad oggi la più accreditata risulta quella di Kyllerman, risalente al
1982, che seguendo un criterio clinico distingue due sottocategorie della forma discinetica: la forma ipercinetica ( l'atetosi) e la forma distonica.
L'atetosi è un disturbo del movimento intenzionale, caratterizzato dalla presenza di movimenti abnormi, non funzionali e disordinati, lenti e vermicolari, che coinvolgono generalmente la parte distale degli arti ed il volto.
La forma distonica è caratterizzata da cambiamenti improvvisi del tono muscolare, con disturbo del movimento intenzionale deteerminato dalla presenza di movimenti involontari rapidi, localizzate specialmente al tronco, cambiamenti di postura e attività riflesse primitive che non permettono nessun tentativo di movimento volontario.
Fra le forme di paralisi cerebrale, le forme discinetiche rappresentano il solo 10% e la maggior parte dei fattori di rischio riguarda eventi perinatali verificatosi nei bambini generalmente nati a termine, in quanto per i bambini pretermine sono più frequenti le forme spastiche piramidali.
Fra i fattori di rischio perinatale ritroviamo: grave asfissia durante il parto e fenomeni di encefalopatia ipossico-ischemica associata ad iperbilirubinemia, di cui fattorie precipitante è rappresentato dal basso peso alla nascita.
Ciò nonostante è noto il nucleo patogenetico che accumuna i diversi sottogruppi, rappresentato da lesioni a carico dei gangli della base, con evidenti lesioni necrotiche o atrofiche alla RM che coinvolgono il nucleo pallido, lo striato e il talamo.
ASPETTI CLINICI E DISABILITA' NELLE FORME DISCINETICHE
Nei primi mesi di vita non sempre sono evidenti anomalie del tono ed ipercinesie, che assumono le caratteristiche tipiche di questi quadri solamente intorno all'anno di vita.
Per quanto riguarda la forma atetosica o coreoatetosica, è presente un ipotono iniziale generalizzato (la sindrome del “floppy baby”) e solo intorno ai 18 mesi di vita subentrano le ipercinesie e i primi spasmi, localizzati agli arti superiori e al distretto bucco-facciale, con grimaces e movimenti involontari di protusione della lingua o movimenti delle labbra. I movimenti involontari tendono a scomparire durante il sonno e ad aumentare dinanzi a stimoli emotivi molto forti. In quest'epoca anche i riflessi sono esagerati (riflesso tonico nsimmetrico e asimmetrico del collo) e si evocano con eccessiva facilità.
I movimenti della porzione distale dell'arto superiore sono generalmente vermicolari, lenti, prevalenti alle dita della mano e condizionano la prensione e la coordinazione bimanuale, nonostante i compensi che il bambino tenta di mettere in atto, che porteranno negli anni successivi a disordini nell'area grafica e nella scrittura.
Le acquisizioni motorie avvengono intorno ai 2-3 anni di vita, se pur in modo imperfetto e con difficoltà nella coordinazione dei movimenti per la presenza di movimenti involontari degli arti inferiori che causano sbandamenti e aritmie. Per gli spostamenti prelocomotori, lo schema a carponi viene normalmente acquisito ma permane per un periodo di tempo maggiore rispetto alle normali tappe di sviluppo, in quanto consente un maggiore controllo degli spasmi involontari e della stabilità.
Fra i disturbi associati ritroviamo disordini dell'alimentazione, con frequente scialorrea, disturbi nell'articolazione del linguaggio, nella fluenza e nel tono.
La comorbidità con l'epilessia è molto bassa, e lo svilupo cognitivo si mantiene nella norma nella maggior parte dei casi.
La prognosi è favorevole per quanto riguarda l'inserimento e l'integrazione nell'ambienete scolastico ed è prevedibile il raggiungimento di un buon livello di autonomia sociale.
Le forme discinetiche rappresentano la più alta percentuale fra le forme distoniche di paralisi cerebrale infantile. Nella maggior parte dei casi la disabilità è di tipo medio-grave, e questi bambini presentano notevoli difficoltà nell'acquisizione dei passaggi posturali, ritardati e con schemi atipici. L'evoluzione di queste competenze viene ostacolato dalla permanenza dei riflessi primitivi oltre i limiti fisiologici e dalla presenza dei movimenti distonici che si sovrappongono a qualsiasi tentativo di movimento volontario, rendendo talvolta possibile, come unica modalità di spostamento, il rotolomanento.
La fissità di questi schemi posturali comporta delle notevoli limitazioni anche nell'area dell'alimentazione, dove le importanti distonie causano apertura della bocca, protusione della lingua, scialorrea persistente e incapacità nel coordinare i movimenti di suzione e deglutizione.
Nell'arto superiore è coinvolto maggiormento il distretto distale, ed è evidente come ogni tentativo di afferrare gli oggetti venga ostacolato dalla chiusura involontaria della mano, con conseguente rotazione del capo dal lato opposto, che non permette il controllo visivo sull'azione e complica l'approccio all'oggetto. Talora quest'ultimo viene catturato, l'approccio avviene con un movimento parabolico e una presa globale, ed è qui che subentra la difficoltà nel rilasciamento per la persistenza del riflesso primitivo del grasping.
Alta è la comorbidità con i disturbi di linguaggio, che si presentano in modalità più gravi che nell'atetosico, fino all'anartia ed in questi casi un contributo importante potrebbere essere dato dall'apprendimento del linguaggio scritto, grazie all'utilizzo di ausili.
Per le forme discinetiche, la prognosi è correlata con lo sviluppo cognitivo.
LE FORME ATASSICHE DI PCI: DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE ED EZIOPATOGENESI.
Le forme atassiche rappresentano circa il 10% di tutte le forme di paralisi cerebrale infantile. Costituiscono un gruppo di sindromi eterogenee, di cui ancora oggi il meccanismo patogenetico risulta confuso.
Per un corretto inserimento nosografico, dovremmo considerare i numerosi studi nel corso degli anni che hanno tentato di risolvere questo problema, ma tutt'ora rimane un argomento piuttosto controverso. Sono stati proposti infatti numerosi criteri di classificazione, che considerano la sede colpita, o l'età di esordio, o ancora la causa scatenante. Di seguito proponiamo alcune precedenti proposte di classificazione, fino a giungere ai giorni nostri.
Secondo la classificazione di Hagberg, fra le forme atassiche è possibile riconoscere una forma di atassia congenita semplice e la diplegia atassica; quest'ultima non viene considerata dallo studioso Esscher, che la posiziona nel grupo delle diplegie spastiche.
La classificazione più recente risale al 1998, e vede il contributo dello studioso Steinlin, che raggrupò le diverse forme di atassia basandosi sui dati clinici e sugli esiti degli esami di neuroimmagine Ritroviamo così: forme pure cerebellari, sindromi atassiche e atassie acquisite, esito di lesioni di natura infettiva o vascolare in epoca pre e perinatale.
Dalle fonti letterarie, è possibile ritrovare anche un'altra forma di classificazione delle forme atassiche, in particolar modo delle forme ereditare o secondarie a lesioni cerebrali, traumi, infezioni virali e abuso di sostanze ed alcool. Tra queste forme ricordiamo: l'atassia di Friedreich, caratterizzata da lesioni ossee degenerative e deterioramento progressivo del sistema nervoso; atassie spino-cerebellari, caratterizzate da vertigini, tremori e mancanzza di equilibrio; atassia cerebellare, generalmente causata da neoplasia o altre patologie degenerative, atassia di Charcot-Marie, denominata anche neuropatia motorio-sensitiva ereditaria, che interessa il sistema nervoso periferico.
Tra le forme pure di atassia, possiamo distinguere il gruppo di PC che alle neuroimmagini presenta quadri di ipoplasia cerebellare, che possono essere di entità variabile: nei casi più lievi interessano solo il lobulo anteriore del verme cerebellare, nei casi più gravi tutto il vermee talvolta gli emisferi cerebellari.
In una buona percentule di casi, l'eziopatogenesi è ancora sconosciuta: quello che è certo è che in epoca pre e peri natale giocano un ruolo importante i fattori tossici, come le radiazioni o i farmaci citotossici, le infezioni virali, ed eventi emorragici (specialmente nei prematuri) che influiscono sui sitemi di distribuzione delle cellule granulari in zona cerebellare e possono comportare lo sviluppo di forme di atassia acquisite.
Sono note, inoltre, forme ereditarie, autosomiche recessive, come la sindrome dell'equilibrio così denominata da Hagberg, che presenta un quadro clinico abbastanza complesso e di modesta gravità.
Nel gruppo delle sindromi atassiche, rientrano invece disturbi motori gravi con le caratteristiche dell'atassa, associati a ritardo cognitivo, disturbi visivi, con aplasia o ipoplasia documentata dalle neuroimmagini.
ASPETTI CLINICI E DISABILITA' NELLE FORME ATASSICHE
Il sistema cerebellare, sede di lesioni nelle forme discinetiche, è funzionalmente incompleto al momento della nascita: infatti i processi di mielinazzazione delle sue connessioni frontali e temporali inizian soltanto dal secondo semestre di vita postnatale e continuano per i primi anni di vita. Di conseguenza l'acquisizione delle funzioni cerebellari avviene fisiologicamente solo dopo alcuni anni di vita, tanto che nei primi mesi è presente normalmente una scarsa coordinazione motoria, e solo successivamente il sistema cerebellare inizia ad esercitare la sua influenza sul controllo motorio, portando all'acquisizione di nuovi schemi in relazione all'ambiente circostante. Così, nei primi anni di vita, il bambino atassico presenta una ipotonia e ritardo delle acquisizioni motorie e dal 2-3 anno si evidenziano i primi veri segni clinici.
Tra i tipici segni atassici ritroviamo le dismetrie, l'instabilità posturale, disturbi dell'equilibrio, mal organizzazione e regolazione delle sequenze spazio temporali dei movimenti sequenziali degli arti.
Per l'acquisizione dei vari step posturali , fin dalla stazione eretta il bambino atassico presenza i primi sintomi: una base di appoggio allargata, arti inferiori extraruotati, oscillazioni del tronco e del capo che comportano perdite di equilibrio e sbandamenti anche per i seguenti tentativi di deambulazione, che il bambino cerca di compensere tenendo gli arti superiori abdotti ed allargati.
Generalmente la deambulazione autonoma, se pur con pattern fissi anomali, viene acquisiti intorno ai 7- 10 anni di età, ma può capitarei nei casi più grave che non venga acquisito.
Fra i disturbi associati sono frequenti i disturbi dilinguaggio di tipo espressivo, con un'elogio ben scandito, rallentato e con tono di voce oscillante dall'afono all'esplosivo. Anche i ritardi cognitivi sono frequentemente riscontrabili in queste forme di PCI, e a questi vengono generalmente associati ai precedenti disturbi di linguaggio, difficoltà scolastiche e disordine motorio più importante.
Un substrato cognitivo buono permette sicuramente l'attivazione di meccanismi di compenso del deficit motorio e la messa in atto di sequenze di controllo per i movimenti inerenti all'abilità grafomotoria e di manipolazione fine, disturbati perennemente dai tremori e dalle dismetrie.
La prognosi è buona per le forme lievi, in cui l'atassia prevale al tronco e nel corso della vita viene attenuata grazie a meccanismi di compenso di fissazione del tronco per favorire la postura corretta, il tutto se supportato da un buon substrato cognitivo.
Nei casi più gravi, la prognosi peggiora notevolmente, e talvolta le fisiolegi sequenze di acquisizione motoria non vengono conseguite, specialmente se vi sono associati malformazioni congenite, ritardi cognitivi e disturbi visivi.