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Disprassia e Autismo

 

Molti studi hanno trovato una correlazione tra i Disturbi dello Spettro Autistico e una funzione motoria ridotta, intendendo con questi termini un’andatura goffa o comunque insolita, disturbi nella coordinazione, nell’equilibrio, nel tono, nella postura e problemi per quanto riguarda le prassie.

Sebbene il DMS-V-TR riconosca come segni cardine per i DSA la presenza di deficit nella comunicazione sociale e nell’interazione e il persistere di pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi, le difficoltà nel controllo della motricità sono state comunque riconosciute sin dai primi studi come presenti nella maggior parte dei bambini con autismo (Kanner, 1943; Ritvo e Provence, 1953).

Le prassie o prattognosie, come vengono definite nel “Manuale di terapia psicomotoria dell’età evolutiva” (A.M. Wille – Ambrosini, 2010), sono considerate come azioni dirette verso l’esterno, gesti e movimenti in sequenza che richiedono adattamento a situazioni nuove e non solo la ripetizione automatica di azioni collaudate.

Le prattognosie prevedono perciò la capacità di anticipazione da parte del soggetto, il quale deve riuscire a prevedere il risultato dell’azione in funzione dello scopo da raggiungere (progetto) e/o gli schemi di azioni da mettere in atto (programma).

Per Piaget le prassie sono, invece, sistemi di movimento intenzionale non automatizzato al fine del raggiungimento di uno scopo.

E ancora per Sabbadini sono un movimento intenzionale finalizzato ad uno scopo compiuto con destrezza.

Comunque prima di classificare le prassie è bene mostrare l’ontogenesi di queste.

 

Ontogenesi delle prassie

Il primo anno di vita è caratterizzato dalla formazione di movimenti complessi e volontari che sono afferentati dal sistema visivo e da quello cinestesico. Occorre aspettare il secondo anno di vita perché compaiano i movimenti volontari propriamente detti, nei quali si inserisce il sistema dei segnali verbali. All’inizio, il comando verbale dà soltanto il via ai singoli movimenti, non può ancora inibirli o correggerli se hanno una certa durata. Solo in seguito, la parola dell’adulto e poi il linguaggio interno del bambino saranno in grado di formulare il piano dell’atto motorio e di aggiustare i movimenti inadeguati. La pianificazione e l’organizzazione verbale dell’atto motorio rappresentano il carattere specifico dei movimenti propriamente volontari e di tutta l’attività volontaria dell’individuo (Luria, 1971).

La genesi delle prassie può essere collocata tra il momento in cui compare la prensione volontaria (verso i 3 mesi) e quello in cui il comportamento del bambino si riferisce alle “esperienze di vedere, e scoperta dei mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva”. (Piaget, 1968)

Nei primi mesi di vita, lo sviluppo delle prassie necessita di tre tipi di prerequisiti:

  • la permanenza dell’oggetto,
  • la graduale conoscenza delle sue caratteristiche,
  • l’arricchimento del repertorio gestuale (gli schemi di azione) nel corso dello sviluppo.

È importante anche evidenziare il ruolo della funzione visiva nello sviluppo delle prassie; non solo perché la vista compie una delle più importanti analisi dell’oggetto, mentre il soggetto lo esplora o lo adopera per un determinato fine, ma anche perché essa guida costantemente l’attenzione sulle coordinate spaziali dei gesti che si compiono. Infatti, nell’apprendimento delle prassie il ruolo della presa di informazioni visiva è preponderante. (A.M. Wille, 2010)

Se consideriamo, invece, le competenze prassiche nella loro accezione di comportamenti motori funzionali alle competenze adattive e sociali, allora il loro sviluppo è da collocare a partire dai 3 anni di età. (Zoia, 2004)

In altre parole, ci riferiamo alle prassie come ad un’azione composta da procedure funzionali all’adattamento del soggetto al contesto.

E in merito a questo, la teoria di Schmidt (1975) postula la presenza di programmi motori generali, che implicano la necessità di essere aggiustati al contesto, integrandosi con le informazioni sensoriali e percettive da esso provenienti.

Tale processo di aggiustamento si avvale di meccanismi di anticipazione, secondo cui il soggetto ipotizza l’adattamento dello schema motorio alle caratteristiche o alle richieste ambientali (Schmidt, 1975; Bernstein, 1967), e di meccanismi di controllo a posteriori, che forniscono informazioni sull’efficacia dell’azione e predispongono correzioni in caso di errore.

Nello sviluppo dei bambini con DSA, ci troviamo spesso di fronte a una motricità con connotazioni atipiche per livelli espressivi e talvolta anche nella sua componente prassico-esecutiva. Mi sembra pertanto interessante sottolineare queste strette interdipendenze tra livelli esecutivi in termini di programmazione, coordinazione e integrazione con informazioni senso-percettive, in quanto possono suggerire riflessioni in merito alle strategie e agli aggiustamenti ambientali richiesti nel lavoro con questi bambini. Esse, infatti, ci rimandano all’importanza sempre più riconosciuta di fare vivere loro esperienze di efficacia in relazione alle loro azioni e alla conseguente necessità di scomporre le richieste e di semplificare i pattern percettivi. (Gison, Bonifacio, Minghelli, 2012)

Alcuni studi dimostrano inoltre che  nella rappresentazione dell’azione rivestono particolare importanza diversi fattori: il contesto situazionale in cui si svolge l’azione, le informazioni concettuali o semantiche e quelle percettive.

Nondimeno il sistema di produzione dell’azione rappresenta un fattore determinante nella temporalizzazione e organizzazione sequenziale e spaziale dei movimenti gestuali. (De Renzi e Faglioni, 1996)

Ha un’influenza considerevole nell’esecuzione di una prassia la modalità con cui se ne chiede l’esecuzione: a tale proposito, è stato dimostrato che il processo prassico ha una maturazione progressiva, a partire dai 3 anni, dalla capacità di recuperare la rappresentazione di un’azione sulla base di informazioni combinate (verbali, visive, tattili); in seguito tale capacità emerge a partire dall’informazione visiva e infine anche esclusivamente da quella verbale.

In altre parole, a 3 anni un bambino con sviluppo tipico può essere in grado di produrre su comando verbale una prassia semplice come pettinarsi, mentre la modalità di presentazione deve essere ad esempio visuotattile per prassie che richiedono la combinazione di più azioni e l’utilizzo di oggetti (ad esempio, lavarsi i denti). A questa età il bambino indicherà correttamente la bocca, come parte del corpo coinvolta nell’azione; a 4 anni, invece, il bambino tende ad utilizzare parti del corpo al posto degli oggetti presentati per l’esecuzione della prassia richiesta (userà il dito sui denti). Questa modalità va progressivamente scomparendo e la prassia in oggetto, a 7 anni circa, può essere eseguita a partire da una modalità di presentazione visiva e in seguito (8-9 anni) a partire da una richiesta solo verbale. (Zoia, 1999)

La linearità dello sviluppo delle competenze prassiche e l’influenza della modalità di richiesta sull’espressione delle stesse sono state confermate dai risultati di un’indagine condotta in Italia, secondo cui le azioni da compiere su comando verbale sono più difficili da compiere rispetto a quelle in modalità visuotattile, visiva o imitativa. Si è rilevato, inoltre, che i gesti la cui esecuzione consente un controllo visivo risultano meglio eseguiti rispetto a quelli che non possono essere controllati attraverso un feedback visivo ma solo attraverso un feedback cinestesico (ad esempio, il gesto di pettinarsi è eseguito con minore accuratezza rispetto a quello di aprire una porta).

Si rileva una maggiore capacità nel copiare un’azione che nel produrla, con una sensibile diminuzione degli errori in rapporto alla riduzione della complessità della prassia stessa. Infine, si osserva una maggiore difficoltà per gesti rivolti a uno spazio extrapersonale (aprire una bottiglia) che non per gesti svolti in uno spazio peripersonale. (Gison, Bonifacio, Minghelli, 2012)

 

Classificazione delle prassie

Le prassie vengono classificate in:

  • prassie ideative: sono azioni senza oggetto (gesti intransitivi). Possono essere referenziali (con significato) o non referenziali;
  • prassie ideomotorie: sono azioni con uno o più oggetti (gesti transitivi). Possono essere semplici, complesse, dell’abbigliamento, grafo-motorie, con problem solving spaziale;
  • prassie visuo-costruttive: prevedono la copia di modelli con oggetti o grafici che richiedono un’analisi visiva dettagliata dei rapporti spaziali;
  • prassie oro-bucco-linguali;
  • prassie di sguardo;
  • prassie verbali.

 

Nel caso in cui ci sia, appunto, una difficoltà a rappresentarsi, programmare ed eseguire atti motori in serie, finalizzati ad un preciso scopo ed obiettivo (regolare i processi cognitivi per organizzare risposte adattive) parleremo di disprassia. (Sabbadini)

La disprassia ha un’elevata comorbilità, infatti sono presenti componenti disprassiche in varie patologie dello sviluppo, quali Disturbo Specifico di Apprendimento, Disturbo Specifico di Linguaggio, ADHD e Disturbo Generalizzato dello Sviluppo.

Questa comorbilità ci permette di interpretare la Disprassia come un disturbo multisistemico che coinvolge diversi aspetti dello sviluppo che vengono ad influenzarsi reciprocamente, dove la disorganizzazione sul piano motorio e i deficit percettivi hanno gravi ricadute su altri ambiti dell'apprendimento.

 

Quindi, è frequente trovare bambini con Disturbi dello Spettro Autistico che presentano:

  • una mancata acquisizione di attività intenzionali (strategie povere e stereotipate),
  • una ridotta capacità di rappresentazione dell’oggetto, dell’azione, della sequenza,
  • difficoltà ad ordinare i movimenti in funzione di uno scopo,
  • difficoltà a controllare il programma,
  • difficoltà nei processi di verifica.

Indice

 
 
INTRODUZIONE
 
  1. I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO: Definizione dei Disturbi dello Spettro Autistico; Criteri diagnostici: dal DSM-IV al DSM-V; Epidemiologia; Eziopatogenesi; Prognosi.
  2. L’AUTISMO DAL PUNTO DI VISTA NEUROPSICOLOGICO
  3. PRINCIPALI MODELLI DI INTERVENTO NEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
    1. Trattamenti comportamentali: ABA: Analisi Applicata del Comportamento, DTT: Discrete Trail Training, Verbal Behavior
    2. Trattamenti evolutivi: Floor Time, Il programma TEACCH, Denver Model
  4. COMPORTAMENTI PROBLEMA E COMUNICAZIONE: Burrhus Skinner e l’analisi sperimentale del comportamento; Definizione dei comportamenti problema
    1. Strategie di intervento; La comunicazione; Comunicazione Aumentativa Alternativa; Il sistema PECS (Picture Exchange Communication System)
  5. ASPETTI PERCETTIVI NEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO: Lo sviluppo senso-percettivo; Possibili esperienze sensoriali nell’Autismo; Il profilo senso-percettivo; Il modello DIR, La prima valutazione.
  6. DISPRASSIA E AUTISMO: Ontogenesi delle prassie; Classificazione delle prassie
  7. LA FIGURA DEL TERAPISTA DELLA NEURO E PSICOMOTRICITA’ DELL’ETA’ EVOLUTIVA
  8. MATERIALI E METODI: Il setting; Casistica
  9. RISULTATI
 
CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA
 
 
Tesi di Laurea di: Serena SIRI 
 
 

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