I Disturbi dello Spettro Autistico

Definizione dei Disturbi dello Spettro Autistico

L’autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, biologicamente determinato, con esordio nei primi 3 anni di vita.

Le aree prevalentemente interessate da uno sviluppo alterato sono quelle relative alla comunicazione sociale, all’interazione sociale reciproca, al gioco funzionale e simbolico.

In termini più semplici e descrittivi, i bambini con autismo presentano:

  • compromissioni qualitative del linguaggio anche molto gravi fino a una totale assenza dello stesso,
  • incapacità o importanti difficoltà a sviluppare una reciprocità emotiva, sia con gli adulti sia con i coetanei, che si evidenzia attraverso comportamenti, atteggiamenti e modalità comunicative anche non verbali non adeguate all’età, al contesto o allo sviluppo mentale raggiunto,
  • interessi ristretti e comportamenti stereotipati e ripetitivi.

Tutti questi aspetti possono accompagnarsi anche a ritardo mentale, che si può presentare in forma lieve, moderata o grave.

Esistono quadri atipici di autismo con un interessamento più disomogeneo delle aree caratteristicamente coinvolte o con sintomi comportamentali meno gravi o variabili, a volte accompagnati da uno sviluppo intellettivo normale. Le caratteristiche di spiccata disomogeneità fenomenica suggeriscono che il quadro clinico osservabile sia riconducibile a una “famiglia” di disturbi con caratteristiche simili, al cui interno si distinguono quadri “tipici” – ossia con tutte le caratteristiche proprie del disturbo a diversa gravità di espressione clinica – e quadri “atipici”, in cui alcune caratteristiche sono più sfumate o addirittura assenti, sempre con una gravità fenomenica variabile: tutte queste tipologie di disturbi sono raggruppabili all’interno della definizione di “disturbi dello spettro autistico”, che comprendono il disturbo autistico, la sindrome di Asperger, il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato e il disturbo disintegrativo dell’infanzia. (ISS-SNLG, 2011)

 

Criteri diagnostici: dal DSM-IV al DSM-V

La diagnosi di autismo viene solitamente formulata facendo riferimento alle due principali classificazioni internazionali dei disturbi mentali: il DSM *Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e l’ICD *International Classification of Diseases (Classificazione Internazionale dei Disturbi e delle Malattie) dell’OMS *Organizzazione Mondiale della Sanità (Ballerini, 2013; Vivanti, 2014).

Fino alla penultima edizione del DSM le due classificazioni coincidevano sostanzialmente nei criteri diagnostici per l’autismo, mentre con il DMS-V (APA, 2013), la nuova edizione del DSM pubblicata nel maggio del 2013, sono stati introdotti numerosi cambiamenti, per cui i criteri diagnostici per l’autismo ora si differenziano in maniera consistente rispetto a quelli dell’ultima versione dell’ICD, l’ICD-10 (WHO, 1994).

La prima sostanziale differenza tra le due edizioni del DSM è che nel DSM-IV (APA, 2000) si parlava di “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo” che si distinguevano in: disturbo autistico, disturbo di Asperger, disturbo disintegrativo della fanciullezza (o disturbo di Heller), disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato, sindrome di Rett. Ora con il DSM-V questi sottotipi sono stati riuniti in un’unica categoria denominata “Disturbi dello Spettro Autistico” (ASD – Autism Spectrum Disorders), ad eccezione della sindrome di Rett che è stata posta tra i disturbi neurologici. Il DSM-V introduce inoltre il “disturbo della comunicazione sociale”, le cui caratteristiche diagnostiche si sovrappongono parzialmente con i disturbi dello spettro autistico, poiché la diagnosi di disturbo della comunicazione sociale richiede la presenza di una “menomazione del linguaggio pragmatico” e di una menomazione “nell’uso sociale della comunicazione verbale e non-verbale”; tuttavia la presenza di interessi rigidi e ripetitivi è un criterio di esclusione per questa diagnosi ed un criterio essenziale per la diagnosi di disturbo dello spettro autistico. Un’altra novità introdotta è la necessità di indicare la gravità della sintomatologia del disturbo dello spettro autistico su una scala di tre punti.

L’unificazione dei diversi disturbi pervasivi dello sviluppo in un’unica categoria è la conseguenza di studi scientifici che hanno dimostrato come la distinzione in sottotipi diagnostici non sia coerente nel tempo e come le differenze nelle abilità sociali e cognitive dei sottogruppi si caratterizzino meglio in termini di un continuum.

Inoltre, è stato rilevato che la diagnosi dei diversi sottotipi di disturbi pervasivi dello sviluppo è molto variabile tra i diversi centri diagnostici ed è più spesso associata a severità, livello linguistico o QI, piuttosto che alle caratteristiche specifiche dei diversi disturbi.

Un’altra novità introdotta dal nuovo manuale dei criteri diagnostici è il raggruppamento dei sintomi in due categorie rispetto alle tre precedenti; più in particolare, nel DSM-IV si parlava di:

  • menomazione della reciprocità sociale;
  • menomazione del linguaggio/comunicazione;
  • repertori ristretti e ripetitivi di interessi/attività.

Ognuna di queste tre categorie comprendeva quattro sintomi e per effettuare una diagnosi di “disturbo pervasivo dello sviluppo” era necessario fossero presenti almeno sei sintomi, di cui almeno due nella prima categoria (menomazione della reciprocità sociale) e almeno uno per ciascuna delle altre due categorie.

Con il DSM-V le categorie di sintomi vengono ridotte a due:

  • deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale (che comprende sia le difficoltà sociali che quelle di comunicazione);
  • comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive.

La diagnosi di “disturbo dello spettro autistico” richiede la presenza di almeno tre sintomi nella categoria dei “deficit della comunicazione sociale” e di almeno due in quella dei “comportamenti ripetitivi”.

Importanti novità introdotte sono l’eliminazione del “ritardo/menomazione del linguaggio” fra i sintomi necessari alla diagnosi e l’introduzione della “sensibilità insolita agli stimoli sensoriali” come sintomatologia compresa tra i “comportamenti ripetitivi”. 

Ancora, mentre nel DSM-IV si parlava di esordio entro i 36 mesi di età, ora si parla più genericamente di un esordio nella prima infanzia.

Infine, se il bambino presenta sintomi aggiuntivi sufficienti a rientrare nei criteri diagnostici di un altro disturbo, secondo il DSM-V è possibile assegnare una doppia diagnosi, cosa che non era possibile con il DSM-IV.

Una delle principali conseguenze dell’introduzione del DSM-V dimostrata dagli studi effettuati successivamente alla sua pubblicazione, è la diminuzione della percentuale di persone diagnosticate con ASD, cosa che naturalmente ha suscitato numerose perplessità e dibattiti all’interno della comunità scientifica e fra i pazienti e le loro famiglie.

 

Secondo il DSM-V, il Disturbo dello Spettro Autistico deve soddisfare i criteri A, B, C e D:

  1. Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell´interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo e manifestato da tutti e tre i seguenti punti:
  2. Deficit nella reciprocità socio-emotiva che va da un approccio sociale anormale e insuccesso nella normale conversazione (botta e risposta) attraverso una ridotta condivisione di interessi, emozioni, percezione mentale e reazione fino alla totale mancanza di iniziativa nell´interazione sociale.
  3. Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l´interazione sociale, da una scarsa integrazione della comunicazione verbale e non verbale, attraverso anormalità nel contatto oculare e nel linguaggio del corpo, o deficit nella comprensione e nell´uso della comunicazione non verbale, fino alla totale mancanza di espressività facciale e gestualità.
  4. Deficit nella creazione e mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo (non comprese quelle con i genitori e caregiver), che vanno da difficoltà nell’adattare il comportamento ai diversi contesti sociali attraverso difficoltà nella condivisione del gioco immaginativo e nel fare amicizie fino all’apparente assenza di interesse per le persone.
  5. Pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi come manifestato da almeno due dei seguenti punti:
  6. Linguaggio, movimenti o uso di oggetti stereotipati o ripetitivi, come semplici stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti, o frasi idiosincratiche.
  7. Eccessiva fedeltà alla routine, comportamenti verbali o non verbali riutilizzati o eccessiva riluttanza ai cambiamenti: rituali motori, insistenza nel fare la stessa strada o mangiare lo stesso cibo, domande incessanti o estremo stress a seguito di piccoli cambiamenti.
  8. Interessi altamente ristretti e fissati, anormali in intensità o argomenti: forte attaccamento o interesse per oggetti insoliti, interessi eccessivamente persistenti o circostanziati. 
  9. Iper o Ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell´ambiente: apparente indifferenza al caldo/freddo/dolore, risposta avversa a suoni o consistenze specifiche, eccessivo annusare o toccare gli oggetti, attrazione per luci o oggetti roteanti.
  10. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare completamente manifesti finché le esigenze sociali non oltrepassano il limite delle capacità).
  11. L´insieme dei sintomi deve limitare e compromettere il funzionamento quotidiano.

 

Il Disturbo dello Spettro Autistico si può presentare con tre livelli di gravità:

 

Livello 3: Richiede supporto molto sostanziale

  • Comunicazione sociale: i gravi deficit nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, causano una grave difficoltà nel funzionamento; iniziativa molto limitata nell´interazione sociale e minima risposta all´iniziativa altrui.
  • Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi che interferiscono marcatamente con il funzionamento in tutte le sfere. Stress marcato quando i rituali o le routine sono interrotti; è molto difficile distogliere il soggetto dal suo focus di interesse, e se ciò avviene egli ritorna rapidamente ad esso.

Livello 2: Richiede supporto sostanziale

  • Comunicazione sociale: deficit marcati nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, l´impedimento sociale appare evidente anche quando è presente supporto; iniziativa limitata nell´interazione sociale e ridotta o anormale risposta all´iniziativa degli altri.
  • Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi appaiono abbastanza di frequente da essere evidenti per l´osservatore casuale e interferiscono con il funzionamento in diversi contesti. Stress o frustrazione appaiono quando sono interrotti ed è difficile ridirigere l´attenzione.

Livello 1: Richiede supporto 

  • Comunicazione sociale: senza supporto i deficit nella comunicazione sociale causano impedimenti che possono essere notati. Il soggetto ha difficoltà a iniziare le interazioni sociali e mostra chiari esempi di atipicità o insuccesso nella risposta alle iniziative altrui. Può sembrare che abbia un ridotto interesse nell´interazione sociale.
  • Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: rituali e comportamenti ripetitivi causano un´interferenza significativa in uno o più contesti. Resiste ai tentativi da parte degli altri di interromperli.

 

Epidemiologia

L’autismo non sembra presentare prevalenze geografiche e/o etniche, in quanto è stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale; presenta, viceversa, una prevalenza di sesso, in quanto colpisce i maschi in misura da 3 a 4 volte superiore rispetto alle femmine. Una differenza che aumenta ancora di più se si esaminano i quadri di sindrome di Asperger, una delle forme dei disturbi dello spettro autistico.

Una prevalenza di 10-13 casi per 10.000 sembra la stima più attendibile per le forme classiche di autismo, mentre se si considerano tutti i disturbi dello spettro autistico la prevalenza arriva a 40-50 casi per 10.000. Vanno comunque condotti ulteriori studi in relazione agli aumenti di prevalenza delle patologie autistiche che in questi ultimi tempi sono stati segnalati soprattutto dai paesi anglofoni e che porterebbero la prevalenza dei disturbi dello spettro autistico a 90/10.000. Questi dati devono essere confrontati con quelli che si possono ricavare dai sistemi informativi delle regioni Piemonte ed Emilia*Romagna, che indicano una presa in carico ai Servizi di neuropsichiatria infantile di minori con diagnosi di autismo rispettivamente di 25/10.000 e 20/10.000. (ISS-SNLG, 2011)

 

Eziopatogenesi

Le cause dell’autismo sono a tutt’oggi sconosciute. La natura del disturbo, infatti, coinvolgendo i complessi rapporti mente-cervello, non rende possibile il riferimento al modello sequenziale eziopatogenetico, comunemente adottato nelle discipline mediche. Va inoltre considerato che l’autismo, quale sindrome definita in termini esclusivamente comportamentali, si configura come la via finale comune di situazioni patologiche di svariata natura e probabilmente con diversa eziologia. In base alle attuali conoscenze, l’autismo è una patologia psichiatrica con un elevato tasso di ereditabilità e con una significativa concordanza nei gemelli monozigoti: il rischio di avere un altro bambino con autismo è 20 volte più elevato rispetto alla popolazione generale se si è già avuto un figlio affetto.

Nonostante queste prove, non si conosce ancora quale sia il percorso eziopatogenetico che conduce allo sviluppo dei quadri di autismo. La ricerca si è orientata maggiormente a indagare il ruolo dei fattori genetici, mentre una minore attenzione è stata posta sui fattori ambientali o sulla interazione gene-ambiente, e si è focalizzata, specie negli ultimi anni, sullo studio del cervello, soprattutto attraverso le tecniche di neuroimaging, sia strutturale che funzionale. (ISS-SNLG, 2011)

 

Prognosi

II bambino con diagnosi certa di autismo cresce con il suo disturbo, anche se nuove competenze sono acquisite con il tempo. Tali competenze, tuttavia, sono “modellate” da e sul disturbo nucleare e avranno comunque una qualità “autistica”.

Ogni intervento deve avere come obiettivo quello di favorire il massimo sviluppo possibile delle diverse competenze compromesse nel disturbo: analogamente a quanto già dimostrato nella riabilitazione di disabilità acquisite nell'adulto, dove la tempestività e la specificità dell'intervento sono elementi determinanti, e in sintonia con la prassi della riabilitazione di disabilità neuromotorie del bambino, dove la precocità dell’intervento riabilitativo è diventata una buona prassi consolidata, anche gli interventi sugli aspetti funzionali e mentali potrebbero giovarsi di metodologie specifiche, applicate precocemente.

Nel complesso, la particolare pervasività della triade sintomatologica e l’andamento cronico del quadro patologico determinano condizioni di disabilità, con gravi limitazioni nelle autonomie e nella vita sociale che persistono anche nell'età adulta.

Queste sono le prove che anche l’osservazione clinica naturalistica rende attualmente manifeste: va peraltro ricordato che l’attenzione per questi disturbi è notevolmente cresciuta a partire dagli anni novanta e che quindi nei prossimi anni sarà possibile capire se la capacità di giungere alla diagnosi più precocemente rispetto al passato e gli interventi abilitativi che si sono conseguentemente sperimentati in varie parti del mondo saranno stati in grado di modificare in maniera significativa e oggettivamente dimostrabile il grave outcome invalidante. (ISS-SNLG, 2011)

 

L’AUTISMO DAL PUNTO DI VISTA NEUROPSICOLOGICO

Allo stato attuale ci sono tre teorie prevalenti che tentano di spiegare i deficit cognitivi e neuropsicologici nell’Autismo.

 

Teoria delle deficitarie funzioni esecutive.

Questa teoria spiegherebbe, utilizzando i risultati di molti studi neuropsicologici, una caratteristica distintiva dell’autismo, rappresentata dal campo ristretto di interessi e dalla ripetitività rigida di molte azioni e comportamenti, avvicinando il comportamento autistico ad un malfunzionamento frontale.

Per funzioni esecutive si intende un insieme di operazioni cognitive che permettono all’individuo di adattare il suo comportamento alle esigenze e alle modificazioni improvvise dell’ambiente; esse entrano in gioco in situazioni nuove per il soggetto, che necessitano la risoluzione di un problema.

Le risorse attenzionali verrebbero quindi, nel soggetto normale, utilizzate in modo strategico e flessibile dagli individui: in quelle circostanze in cui è richiesto un comportamento più articolato e meno rigido, relativo alla soluzione dei problemi, al controllo di ipotesi e all’apprendimento attraverso tentativi ed errori. Alcune ricerche hanno evidenziato, nei soggetti con DSA, deficit nell’attenzione focale e divisa, nella pianificazione e nella produzione di parole categoriali e disegni.

 

Teoria della mente (Frith, Baron-Cohen).

Secondo questo approccio i soggetti con DSA sarebbero incapaci di rappresentarsi lo stato mentale di se stessi e degli altri. Secondo Uta Frith nei bambini con Autismo il disturbo linguistico sarebbe il risultato del fallimento nella costruzione di un’adeguata teoria della mente, in quanto essi sarebbero incapaci di attribuire pensieri interni, credenze, sentimenti ed intenzioni agli altri e a loro stessi, con conseguenze devastanti sullo sviluppo del linguaggio e della comunicazione.

Questo deficit di mentalizzazione spiegherebbe bene i deficit di comunicazione, immaginazione e socializzazione caratterizzanti questo Disturbo.

Dei ricercatori interessati si sono chiesti quali precursori per una teoria della mente si possono individuare nei primi due anni di vita.

Tre tipi di teorie mettono in relazione ciò che accade in questi primi anni con il successivo padroneggiamento di una teoria della mente e cercano di spiegare questa relazione (Battaglia, 2003):

  • Teorie modulariste (Baron-Cohen, 1995; Leslie, 1994). Secondo queste teorie, i cambiamenti associati con l’età nella comprensione della mente si spiegano grazie alla maturazione di moduli che si attivano in determinati momenti dello sviluppo; il bambino, infatti, acquisisce, sulla base della maturazione neurologica, una serie di meccanismi modulari dominio-specifici atti a processare l’informazione rilevante nel dominio della comprensione sociale. Baroh-Cohen (1995) propone un’architettura modulare che mette in evidenza l’importanza di leggere la direzione dello sguardo come base per comprendere le intenzioni. Nel suo modello tre moduli precedono la comparsa del modulo della teoria della mente vero e proprio (ToMM): l’ID (Intentionality Detector, ovvero Rivelatore di Intenzionalità), l’EDD (Eye-Direction Detector, ovvero Rivelatore della Direzione dello sguardo) e il SAM (Shared Attention Mechanism).
  • Teorie costruttiviste (Tommasello e Camaioni, 1997). Secondo queste teorie la comprensione della mente propria e altrui si costruisce a partire dall’attività del bambino e dalla sua esperienza nel mondo sociale. In particolare, riconoscere l’intenzionalità delle proprie e altrui azioni gioca un ruolo cruciale nella comprensione delle relazioni psicologiche tra agenti e oggetti. Specifiche abilità che compaiono nel secondo anno di vita documentano una primitiva capacità di leggere la mente e forniscono importanti componenti alla teoria della mente matura. In particolare, Camaioni (1997) ha analizzato e interpretato la comunicazione intenzionale di tipo dichiarativo come una forma iniziale di comprensione della mente che i bambini tipicamente padroneggiano tra gli 11 e i 14 mesi di vita circa.
  • Teorie dell’imitazione (Gopnik e Meltzoff, 1994). Queste teorie assegnano un ruolo cruciale alla comprensione dell’equivalenza sé-altro come base per lo sviluppo di una teoria della mente. Secondo questi ricercatori la capacità del bambino di imitare è fondamentale perché gli fa comprendere ciò che una persona potrebbe sperimentare nel momento in cui produce la stessa azione o espressione facciale.

 

Teoria della debole coerenza centrale.

L’ipotesi di un deficit di coerenza centrale (Frith, 1989; Happé, 2001) ipotizza una difficoltà nelle operazioni di “sintesi” ed integrazione dell’informazione e delle sue componenti cognitive ed affettive, “prerequisito” anch’esso dello sviluppo della teoria della mente. Il sistema cognitivo normale possiede una naturale propensione a formare una coerenza interna, a cui è riconducibile il maggior numero di stimoli possibile, e ad identificare elementi comuni nei vari contesti. Le percezioni e le rappresentazioni di base devono integrarsi al livello più alto del pensiero centrale che è il livello di meta-rappresentazione. Tale inabilità si esprime nell’incapacità di integrare diverse e dettagliate informazioni proprie in concetti di ambito superiore che indirizzano il comportamento a lungo termine. I bambini con DSA sembrano trarre molto meno vantaggio da informazioni dense di significato e strutturate rispetto a informazioni random e senza significato.

Molti autori concordano nell’affermare che sono soprattutto deficitari i processi di significazione delle percezioni e di integrazione transmodale. Vi sarebbe, cioè, una difficoltà nel padroneggiare stimoli multipli e nel separare le caratteristiche ridondanti (uditive, visive, motorie) dello stimolo.

 

Indice

 
 
INTRODUZIONE
 
  1. I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO: Definizione dei Disturbi dello Spettro Autistico; Criteri diagnostici: dal DSM-IV al DSM-V; Epidemiologia; Eziopatogenesi; Prognosi.
  2. L’AUTISMO DAL PUNTO DI VISTA NEUROPSICOLOGICO
  3. PRINCIPALI MODELLI DI INTERVENTO NEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
    1. Trattamenti comportamentali: ABA: Analisi Applicata del Comportamento, DTT: Discrete Trail Training, Verbal Behavior
    2. Trattamenti evolutivi: Floor Time, Il programma TEACCH, Denver Model
  4. COMPORTAMENTI PROBLEMA E COMUNICAZIONE: Burrhus Skinner e l’analisi sperimentale del comportamento; Definizione dei comportamenti problema
    1. Strategie di intervento; La comunicazione; Comunicazione Aumentativa Alternativa; Il sistema PECS (Picture Exchange Communication System)
  5. ASPETTI PERCETTIVI NEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO: Lo sviluppo senso-percettivo; Possibili esperienze sensoriali nell’Autismo; Il profilo senso-percettivo; Il modello DIR, La prima valutazione.
  6. DISPRASSIA E AUTISMO: Ontogenesi delle prassie; Classificazione delle prassie
  7. LA FIGURA DEL TERAPISTA DELLA NEURO E PSICOMOTRICITA’ DELL’ETA’ EVOLUTIVA
  8. MATERIALI E METODI: Il setting; Casistica
  9. RISULTATI
 
CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA
 
 
Tesi di Laurea di: Serena SIRI 
 

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