Ricerca - azione, gruppo preventivo 0 - 3 anni
Conduzione del gruppo: metodologia e setting
Entriamo ora nel merito della questione andando ad analizzare il funzionamento e lo svolgimento di un progetto di prevenzione psicomotoria nella fascia 0-3 anni.
Il progetto si colloca all’interno di un pensiero sulla prevenzione così come è stato presentato nei capitoli precedenti; punto di partenza l’accoglienza del bambino e della sua mamma per aiutarli a vivere serenamente insieme ogni tappa dello sviluppo e superare alcuni ostacoli che questo riserva, utilizzando le specifiche competenze professionali del TNPEE.
Il progetto basato sull’attività di gioco si svolge per due mattine a settimana per tre ore e si situa in uno spazio pensato ed organizzato ad hoc per l’attività stessa. Il gruppo di circa otto bambini viene condotto da due terapiste.
Lo spazio dove si svolge il progetto deve essere ampio, ma non troppo per non risultare dispersivo e creare un senso di disorientamento nel bambino; deve permettere ad ogni bambino di muoversi con agio, correndo, scivolando, senza doversi sovrapporre agli altri bimbi e deve permettere la creazione di spazi personali e di spazi di piccolo e grande gruppo.
Riveste grande importanza per questa fascia d’età il numero dei bambini facenti parte del gruppo. I piccoli infatti hanno la necessità di essere inseriti in gruppi composti da poche persone, dieci al massimo. Il gruppo educativo- preventivo si colloca infatti come luogo che fa da intermediario tra la famiglia (in genere composta da un nucleo di 3-4 persone) e l’ambiente esterno. Passare dall’atmosfera intima di casa propria ad un ambiente estraneo caratterizzato da rumori e spazi differenti da quelli dell’ambiente casalingo, induce nel piccolo uno stimolo d’adattamento che risulterà quanto più efficace se il divario tra i due ambienti non è troppo. Inoltre le interazioni spontanee in un gruppo composto da bambini così piccole avvengono in gruppetti ridotti di due – tre bambini al massimo, aggiungere troppi individui al gruppo creerebbe disordine e confusione mentale ai piccoli che non hanno le risorse necessarie per gestire la situazione.
Così come è necessario avere un gruppo piccolo, è fondamentale che lo spazio, come detto prima non sia troppo ampio. Stiamo parlando di bambini che per la loro età ed il loro stadio evolutivo non hanno ancora chiara in mente la struttura dello spazio che li circonda. Dobbiamo essere noi grazie ai nostri accorgimenti ad aiutarli a sviluppare un’organizzazione spazio temporale che si verrà affinando nel tempo. Ambienti troppo grandi non permettono al bambini di crearsi punti di riferimento stabili creando nel bambino confusione. La creazione di uno spazio a misura di bambino ha un senso preciso e riveste anch’esso un ruolo importante per il buon adattamento del piccolo.
L’ambiente deve avere una pavimentazione accogliente e pulita, che favorisca un piacevole contatto corporeo con il suolo per eventuali scivolate e rotolamenti. Il tempo è anch’esso pensato e scandito attraverso le attività. Quando si avvia un progetto di prevenzione - educazione è necessario che sia già stata concordata tra gli operatori la scansione della giornata e l’organizzazione in zone dello spazio ludico.
Grande importanza viene data alla fase d’inserimento della coppia nel progetto. Non è solamente del bambino che dobbiamo prenderci cura nella nostra attività ma anche della mamma e soprattutto di loro due insieme. Il contesto ludico in cui stanno per inserirsi è il primo momento di distacco della diade: per la prima volta madre e bambino rimarranno delle ore separati e non nella stessa stanza, vivranno esperienze nuove fisicamente lontani. È facilmente intuibile dunque quanto bisogna essere prudenti e accompagnare dolcemente i due al distacco, dando alla mamma tutto il tempo necessario. La madre infatti potrà stare in stanza per tutto il tempo che ritiene necessario lasciando gradualmente il suo bambino anche se l’operazione richiederà un paio di mesi.
La mattinata inizia con l’arrivo dei bimbi con le loro mamme (i quali trovano lo spazio già allestito) o eventualmente con i papà, le nonne, le tate. Ad un primo momento di accoglienza e di scambio di informazioni tra la terapista e chi accompagna il piccolo, segue una situazione di gioco “libero”, in cui le terapiste tendono ad osservare e in cui i bambini si abituano piano piano al contesto ludico scegliendo spontaneamente i giochi.
Quando tutti i bimbi sono arrivati le terapiste propongono una prima attività che mette in gioco la motricità globale e l’esplorazione utilizzando materiale non strutturato e prendendo spunti dalla spontaneità dei bambini.
Alla fine dell’attività, sempre intensa e coinvolgente, si sceglie di fare una pausa: la merenda; anche questo intervallo è importante e la sua posizione all’interno della scansione della mattinata è studiata appositamente per dare ai bambini un momento di calma. Il momento della merenda serve inoltre a passare ai piccoli le prime fondamentali regole sociali di comportamento.
Dopo la merenda si organizza un’altra attività che può essere di manipolazione, simbolica, grafica, di motricità fine o sul ritmo e la musicalità. Prima dell’arrivo dei genitori c’è spazio ancora per un’attività tutti insieme come ad esempio il teatrino, la musica oppure la narrazione di una storia.
Al termine delle tre ore le mamme tornano a prendere i loro piccoli, e dopo essersi confrontati con le terapiste su come è andata la mattinata e sentirsi così più partecipi, possono lasciare lo studio serenamente, consapevoli del benessere del loro bambino.
La suddivisione della mattinata secondo una certa ritualità favorisce un orientamento temporale nel bambino, inoltre il ritmo scandito dalla terapista lo aiuta ad adattarsi al mondo esterno, per uscire dalla visione egocentrica tipica dell’età.
Predisporre la situazione ludica mettendo a disposizione il materiale e sistemandolo secondo precise disposizioni consente un rimando spaziale che lo aiuta nella fase di accoglienza in quanto gli facilita l’anticipazione a livello immaginativo del piacere che dì lì a poco andrà a provare.
Il fatto di ritrovare la stanza sistemata ogni volta secondo lo stesso ordine aiuta il bambino a porre le basi pratiche ed esperienziali per l’organizzazione spazio-temporale e dello schema corporeo.
Il bambino muovendosi attivamente potrà modificare il suo punto di vista principale in momenti successivi; se ripasserà negli stessi luoghi riattiverà le medesime prospettive sino a immaginarsele prima di raggiungere luoghi specifici. Si può affermare che la stessa immaginazione, legata agli aspetti figurativi dell’immaginazione mentale, rimanga profondamente influenzata dalla dimensione spaziale che scaturisce dalla interazione corpo/ambiente.
Dunque la sistemazione dello spazio avviene prima che i bambini arrivino, tutto ciò che viene messo nella stanza deve suggerire la creatività del bambino senza però avere lo scopo di ottenere performance prestabilite e giudicarle. Dobbiamo sempre pensare che abbiamo a che fare con bambini in sviluppo con un continuo bisogno di essere stimolati e sostenuti nel fare.
Seguendo le linee del progetto lo spazio viene suddiviso in zone diverse, ognuna delle quali pensata per un particolare utilizzo dei giochi.
Vicino all’ingresso si prepara una zona in cui disporre il materiale di tipo costruttivo: incastri, mattoncini di legno, lego.
Ci sarà inoltre lo spazio di valenza più simbolica; a seconda della giornata si andrà a costruire uno scenario con gli animali della fattoria oppure con quelli della giungla. Altre volte ancora magari si preferirà allestire lo spazio con la pista per le macchinine o con le bambole e i loro vestiti.
Nella parte maggiore della stanza si allestisce lo spazio senso-motorio in cui inserire lo scivolo e i materassini per attutire le discese. Importante lasciare in questa zona anche abbastanza spazio senza ostacoli per permettere ai bambini di correre liberamente.
In un angolo dello spazio senso-motorio si andrà infine ad allestire lo spazio morbido composto da materassini, cuscini e teli, dove i bambini si possono rifugiare per riposarsi o farsi leggere una storia.
Lavorando con questa fascia d’età l’attenzione che si rivolge allo spazio senso-motorio e alla motricità del bambino in generale deve essere molta.
Come detto prima è fondamentale l’esperienza di movimento attivo e di contatto con gli oggetti per la costruzione di mappe spaziali e della formazione di uno schema corporeo.
Come sostenevano già nel 1947 Piaget e Inhelder, l’intuizione dello spazio non è una lettura delle proprietà degli oggetti, ma invece, fin dall’inizio, un’azione esercitata su di essi; quest’azione arricchisce la realtà fisica e arriva ad oltrepassarla a poco a poco, fino a costruire degli schemi operatori suscettibili di essere interiorizzati e di funzionare deduttivamente per sé stessi. (La rappresentazione dello spazio nel bambino).
Affinché il bambino faccia esperienze diverse e possa stimolare il suo corpo e le sue abilità cognitive è indispensabile che vi sia a disposizione della terapista un’ampia gamma di materiale da poter consegnare al bambino nel momento più opportuno.
In una stanza allestita per un progetto di prevenzione nella fascia 0-3 è presente sia materiale strutturato che non strutturato (oggetti ausiliari ed oggetti fondamentali). Nella stanza poi ritroviamo anche materassini, cubotti, cuscini, uno scivolo, una casetta e un tavolino basso.
Prima di iniziare un discorso a parte sugli oggetti fondamentali, mi voglio soffermare a chiarire il significato degli oggetti ausiliari. Tra questi possiamo ritrovare tutti gli oggetti che per loro natura sono già predisposti ad un utilizzo già predefinito, che evocano in tutti noi significati simili o addirittura univoci. Anche questi però sono utili per la creazione dei giochi del bambino e lo aiutano a sviluppare particolari abilità o a provare determinate emozioni.
Si distinguono in sonori (strumenti a percussione e a fiato), simbolici (bambole, animali, burattini, peluches), manuali (scatoline, cordicine, perline, forbici), grafici (pennarelli, pastelli, gessetti, tempere) e materiale specializzato (libri, puzzle).
Le caratteristiche degli oggetti fondamentali sono invece differenti, essi infatti hanno come caratteristiche primarie quelle di essere neutri, aperti e trasformabili.
Tra questa categoria di oggetti ritroviamo cerchi, palle, corde, teli e bastoni, in genere sono dei quattro colori fondamentali (rosso, blu, verde, giallo) e almeno di due dimensioni grandi e piccoli, fatta eccezione dei teli che possono essere di diverse dimensioni e di diversi colori. Escludendo i teli gli altri oggetti non sono alla portata dei bambini e vengono portati in stanza solamente se le terapiste lo ritengono necessario.
Sono neutri perché non hanno già di per sé un valore di gioco unico rispetto ad un altro e ciò vuol dire che a seconda di chi lo utilizza possono essere diversi i modi di approccio e l’uso che viene in mente di fare. Sono aperti perché utilizzandoli si può passare facilmente da un gioco senso-motorio ad uno simbolico ad uno più cognitivo. Ed infine sono trasformabili perché se anche si decide di rimanere nella stessa area di gioco questi possono assumere significati diversi.
Questi oggetti non strutturati portano con loro aspetti sia di tipo cognitivo che emotivo - affettivo.
Il passare del tempo è scandito dalle azioni della terapista. Il bambino in questa fascia d’età agisce d’impulso; seguendo il suo istinto non riesce a dare una sequenzialità alle sue azioni e se lasciato solo finirebbe per ripetersi in brevi fiammate di gioco senza progettualità e senso.
Il compito della terapista è dunque quello di incanalare l’energia del bambino in attività da lei preparate di modo che il bambino possa accorgersi di essere accompagnato in un qualcosa di cui con il tempo e il ripetersi dell’esperienza capirà il senso. Funge da catalizzatore e mediatore di ogni attività.
Questo perché solamente vivendo in modo spontaneo e con un sostegno valido le esperienze il bambino può sperimentare un’esperienza positiva e formare la sua mente.
E’ necessaria una certa flessibilità nella mente della terapista, che deve riuscire a trovare la giusta congiunzione tra il progetto a cui ha pensato e ciò che i bambini rimandano nel qui ed ora; la giornata si snoda secondo momenti ben differenziati tra loro e che si ripetono ad ogni incontro, ricchi di novità ma stabili nelle condizioni di base. A seconda degli obiettivi la stanza verrà allestita in un determinato modo e compariranno o scompariranno alcuni materiali in un continuo e fluido cambio di scenario.
L’inizio della giornata è dettato dall’arrivo in stanza dei bambini accompagnati dalle loro mamme o dai loro papà, nonni, tate. Hanno bisogno di un ingresso dolce e graduale al contesto ludico in cui si trovano. I piccoli devono avere tutto il tempo necessario per potersi congedare da chi li ha accompagnati ed iniziare a giocare.
Quando arrivano nella stanza trovano la psicomotricista pronta ad accoglierli e lo spazio già allestito per il gioco e starà a loro scegliere con cosa e a cosa giocare, gli sarà lasciata massima libertà di scelta e l’accoglienza sarà connotata dal gioco libero.
In questa prima fase anche la mamma sarà libera di andare quando lo desidera, se ne sente la necessità potrà fermarsi qualche minuto in più a parlare con una terapista.
In questo primo momento di gioco spontaneo le terapiste si dividono tra i gruppetti che si andranno a formare aspettando l’arrivo di tutti. Il loro compito è quello di facilitare il gioco, arricchendolo di progettualità, dandogli un senso sempre più evoluto.
Volendo riportare degli esempi, la terapista vedendo dei bambini correre attorno allo scivolo si inventerà di volerli catturare e si inserirà anche lei nella corsa per poi aggiungere delle variabili come la casetta che è il rifugio oppure si procurerà dei teli e farà finta di acciuffarli.
Altrimenti se il bambino fa’ particolare fatica ad allontanarsi dalla mamma, la terapista chiederà agli altri bambini di aiutarla ad organizzare un gioco per il bimbo, così facendo il bambino si sentirà al centro dell’attenzione ma nel contempo anche gli altri piccoli si sentiranno importanti per aver aiutato la terapista.
Terminata la prima fase di accoglienza e acclimatamento dei piccoli le terapiste procedono con un’attività più organizzata. Sebbene ci sia già un progetto terranno sempre in considerazione gli spunti che i bambini portano nel gruppo.
Ci possono essere giornate in cui è evidente il bisogno dei bambini di muoversi, oppure giornate in cui prevale il loro istinto di distruzione …
Un’attività che piace molto ai bambini è il gioco dell’automobile. Le terapiste, con la collaborazione dei bambini che aiutano passando il materiale, costruiscono utilizzando cubotti e materassini un’automobile. I bambini montano sopra e forniti di cerchi come volanti fanno finta di guidare mentre le terapiste si reinventano continuamente passando da coloro che provocano scossoni alla macchina, al ruolo del vigile, del benzinaio … ecc.
Con questa attività vengono stimolate le capacità costruttive e simboliche dei bambini nonché la loro capacità di equilibrio e di mantenimento del tono muscolare.
Un ulteriore proposta può essere quella della piscina. Sotto allo scivolo vengono messi dei cubotti così da farlo diventare un trampolino. Vengono poi posizionati dei materassini per attutire la caduta. I bambini uno per volta utilizzeranno il trampolino per tuffarsi facendo poi finta di nuotare.
L’aspetto fondamentale nella realizzazione di queste attività è che il bambino si deve sempre sentire coinvolto; la peculiarità della terapista sta nel capire quando l’attività sta perdendo d’interesse e di conseguenza reinventarla aggiungendo nuove variabili che favoriscono il coinvolgimento del bambino. In questo inoltre si trova il senso stesso della presenza della terapista in questo contesto: da soli i bambini non riuscirebbero ad autoalimentarsi e proseguire il gioco per più di qualche minuto.
Non dimentichiamo poi l’aspetto cognitivo inserito in ogni attività, riproponendo di volta in volta attività simili ma con qualche variante il bambino riesce pian piano a mentalizzare l’idea di base e arricchirla la volta successiva con idee proprie. Fondamentale infatti che le terapiste accolgano le idee dei bambini e li aiutino a far evolvere la loro creatività.
Le terapiste fanno si che il momento in cui l’attività si è completamente esaurita coincida con l’arrivo della merenda.
Anche questo spazio, che arriva a metà mattinata è un momento da sfruttare per sviluppare le conoscenze e le abilità del bambino.
Come per tutto il resto della giornata ci sono precise regole che devono essere rispettate e che i bambini mettono in pratica con assoluta facilità, cosa che magari a casa non fanno: si aspetta il proprio turno e non ci si alza finché non si ha più niente nella bocca. Mentre si fa merenda poi si possono cantare delle canzoncine.
Quando tutti hanno finito prima di passare ad un’altra attività ci può essere un momento in cui le terapiste guardano da fuori quello che succede. È curioso uscire per un attimo dai loro giochi e vedere come si sanno organizzare da soli: c’è chi passerebbe tutto il tempo sullo scivolo o correndo, chi si impegna molto con i giochi di costruzione, chi preferisce stare da solo, chi ha sempre bisogno dell’intervento dell’adulto, chi si diverte a distruggere le costruzioni dell’altro e chi ama osservare da fuori tutto quello che sta succedendo in stanza.
Così, se osservando, la terapista nota comportamenti non idonei (instabili, impulsivi, provocatori, inattivi) tornerà nuovamente nel vivo dell’azione passando da una visione globale ad una individuale, aiutando il bambino in merito a superare questi suoi atteggiamenti poco ecologici e accompagnandolo nel gruppo.
È in questo tipo di situazione che va ricercato il vero momento clinico di tutto il progetto di prevenzione. L’osservazione partecipata è ciò che caratterizza e rende originale l’intervento del tnpee nell’attività educativo -preventiva.
L’ osservazione psicomotoria risulta essere la modalità specifica d’intendere la prevenzione, adottando un atteggiamento “clinico” che parte dall’osservazione di ciò che il bambino fa spontaneamente nel gioco, e cioè la sua azione come sintesi di un’esperienza vissuta ed evocabile.
La differenza d’intervento di un’educatrice e di un tnpee si situa dunque a questo livello. Seppur di grande importanza e professionalità il lavoro svolto dall’educatore manca delle conoscenze nell’ambito clinico che favoriscono al terapista il riconoscimento di situazioni di rischio.
La prevenzione non è possibile senza competenze sullo sviluppo completo del bambino, ci devono interessare i processi attraverso i quali il bambino raggiunge gli stadi operatori più evoluti del suo sviluppo, e nemmeno senza conoscenze delle patologie dell’età infantile. (Ambrosini, Arcelloni, & Magnifico, 2002).
Allontanandosi per un momento dal vivo dell’attività la terapista si concede un momento per osservare in modo più clinico i bambini; se una situazione le risulta essere a rischio si soffermerà sul singolo.
Le categorie d’osservazione sono quelle già citate nel capitolo precedente: motricità, adattamento, gioco, attaccamento (il momento di osservazione partecipata può essere svolto anche quando le mamme sono in stanza con i loro piccoli), competenze sociali, competenze comunicative, espressività corporea e caratteristiche emotivo -comportamentali.
L’efficacia dell’intervento preventivo in un contesto ludico di “normalità” permette di affrontare l’eventuale disagio evitandone la medicalizzazione dandogli il giusto peso di possibile crisi dello sviluppo, ed impedendo che una situazione risolvibile accompagnata da ansie legate all’ambiente ospedaliero/medico aggravino la situazione.
La flessibilità della terapista è dunque fondamentale: si passa da una visione globale ad una individuale, dall’attività proposta dal singolo bambino, a quella che lei aveva pensato, il tutto senza stacchi netti passando da una modalità all’altra con disinvoltura.
Dopo questo breve momento di gioco spontaneo spetta ancora alla terapista “misurare la temperatura del gruppo” e proporre la giusta attività. In questo momento si può pensare di mettere della musica, travestirsi e cantare insieme delle canzoni girando per la stanza ballando o interpretando il pezzo. Oppure ci sarà bisogno di un’attività di scarico motorio come quella della “montagna”. In questo gioco si mettono l’uno sopra l’atro i materassini e il divertimento starà nello scalare la montagna e una volta raggiunta la cima scivolare giù.
Se durante le attività si assisterà a bambini che tendono ad isolarsi il compito della terapista non è di ignorare questo comportamento ma di saperlo leggere correttamente, ed il più delle volte il suo intervento mirerà a riportare il bambino nel gruppo. Un metodo usato per agganciare il bambino può essere l’imitazione. Guardando una persona adulta che fa quello che stanno facendo gli altri bambini può incuriosire il bambino e spingerlo a coinvolgersi nell’attività.
Nel corso dell’intervento nel gruppo 0-3, le mosse che la terapista userà sono precise e pensate, seppur spontanee: sguardo, dialogo tonico, rispecchiamento, sottolineatura verbale, investimento del proprio corpo, interazione, sincronia e reciprocità saranno usate per relazionarsi al bambino, sostenerlo nei suoi giochi, attivare le sue competenze, facilitare l’emergere delle tappe di sviluppo.
L’ultima parte della giornata viene dedicata ad attività più simboliche e di rielaborazione come disegni con i pennarelli o con le pitture a dita, racconti, semplici attività di drammatizzazione.
All’arrivo delle mamme le terapiste si fermeranno a parlare con loro di come è andata la giornata raccontando di quello che si è costruito insieme.
La relazione con le madri
È necessario prestare uno spazio a parte per discutere dell’importanza che riveste la relazione con la mamma del bambino in un contesto preventivo nella fascia d’età 0-3 anni.
Abbiamo già trattato nel primo capitolo di quanto sia profondo e di vitale importanza per il piccolo il legame con la sua mamma (o eventualmente il caregiver), di quanto un sano rapporto sia fondamentale per uno sviluppo ecologico del bambino.
Quando il genitore sente di poter riporre la sua fiducia in noi e di lasciarci il suo bambino è nostro compito mostrargli che ha fatto la scelta giusta, che lasciandoci il suo bambino non si sta allontanando da lui ma che gli sta permettendo di crescere e diventare così un individuo a sé.
Il primo periodo del progetto sarà così dedicato all’inserimento del bambino e della mamma nel contesto per permettere alla coppia di poter esplorare insieme lo spazio nuovo e condividere la gioia di conoscere nuove persone (coetanei e loro mamme). Trattasi del primo vero momento di distacco della coppia e questo rende l’idea di come sia un passaggio importante per il bambino ma anche per la sua mamma.
In questo momento così delicato la psicomotricista deve prestare massima attenzione al suo ruolo. Deve far capire da subito che lei sarà la figura di riferimento costante per tutta la durata del progetto, presenza fissa in quel contesto così come lo sono i genitori al di fuori di quella stanza.
Gradualmente, man mano che il bambino si abitua al nuovo spazio di giochi e che la mamma comprende di potersi fidare della terapista, si andrà a ridurre il tempo di permanenza della mamma in stanza. Nonostante ciò la mamma sa di essere sempre la benvenuta e che ogni volta ne sentisse il bisogno potrà restare insieme al suo bambino a giocare con lui.
Questo perché ciò che ci deve stare più a cuore deve sempre essere il benessere del bambino e di conseguenza il rapporto che lui ha con la sua mamma, la quale deve essere il più possibile serena e fiduciosa. Più la mamma si fida di noi e degli effetti positivi che il contesto avranno sul bambino, più il bambino sarà sereno e avrà meno problemi nel distacco.
Con il passare delle settimane e dei mesi il nostro rapporto con le mamme si farà sempre più intenso. Quando ha compreso che la terapista è una persona di cui lei si può fidare, che l’ascolta e che tiene al bene del bambino, la mamma inizierà a riportare i suoi dubbi e le sue paure circa la crescita del figlio.
Grazie alla sua formazione la TNPEE riesce con i suoi consigli, che sono essenzialmente volti all’incremento della fiducia che la mamma ripone in sé stessa nel ruolo di madre, a dare un valido sostegno morale ed educativo.
Questo perché non tutte le donne nascono con la stessa capacità di fare le mamme, oppure perché non tutte, impegnate come sono, riescono a prestare l’attenzione che vorrebbero ai loro figli. Ecco così che la terapista dà corpo e voce e fa da intermediario tra il piccolo e la sua mamma.
Quando una mamma sceglie di confidarsi con noi circa un disagio che ha riscontrato in suo figlio, il nostro atteggiamento dev’essere di ascolto e accoglienza anche se noi quel disagio l’avevamo già notato da tempo e stavamo già intervenendo per superarlo.
La sensazione che la madre deve avere è quella di essere una buona mamma, con un ruolo attivo nella vita di suo figlio. Lei è coprotagonista del nostro progetto, non le si dice quello c’è da fare ma lo si fa insieme.
Winnicott parla di madre sufficientemente buona come colei che possiede la cosiddetta preoccupazione materna primaria, uno stato psicologico indispensabile perché essa possa fornire le cure adeguate al piccolo e che le permette di "fornire il mondo" al bambino con puntualità, facendogli sperimentare l'onnipotenza soggettiva. La mamma sa che grazie alle sue cure, al suo sostegno fisico ma anche psichico, ai giochi corporei e gli atti affettivi (le carezze, il “mangiare” il pancino o i piedini del bimbo, i molteplici scambi cutanei) lei e il suo bambino matureranno insieme.
Inoltre l’eliminazione del “segreto” della stanza chiusa permette di spostare la zona dell’intervento dallo spazio proprio individuale del bambino allo spazio transizionale compreso tra mamma e bambino.
Il progetto inoltre dà la possibilità alle mamme di incontrare e riconoscere donne che si trovano nella loro stessa posizione, che anche loro fanno di tutto per fare sì che loro figlio cresca nei migliori dei modi. Così il momento dell’accoglienza nella stanza può diventare un momento di scambio di esperienze e di socializzazione che permette alle mamme di sentirsi meno sole e di scambiarsi consigli.
Trovando così delle mamme serene e fiduciose il momento del distacco sarà sempre meno traumatico senza sensi di colpa o ansie e il momento del ricongiungimento pieno di gioia di ritrovarsi.
Il caso del piccolo X.
Il bambino: X è nato nel 2009 e la mamma lo inserisce nel gruppo all’età di 2 anni. È un bambino nella norma, con sviluppo psicomotorio adeguato: la scelta di partecipare al gruppo è legata alla consapevolezza della madre dell’importanza per il bambino della socialità e di avere uno spazio di autonomia e stimoli sul piano psicomotorio.
Presento l’osservazione del bambino nella prima fase del progetto riferendomi alla proposta delle categorie d’osservazione di Ambrosini, Arcelloni e Magnifico (2002). Osservazione spontanea: Osservando motricità di spostamento e di posizione non si evidenziano difficoltà. Sa correre, saltare a piedi pari sul posto. Equilibrio, scioltezza muscolare, dissociazione e regolarità del movimento sono nella norma. Coordinazioni cinetiche settoriali (occhio-mano, occhio-piede) buone per l’età.
Buona corrispondenza tra i suoi schemi d’azione e quelli tipici della sua età. Coordina una sequenza di poche azioni semplici per realizzare un qualcosa che ha già in mente (es. aiuta nella costruzione degli scenari di gioco). Ha acquisito la permanenza dell’oggetto. Prassie transitive ed intransitive adeguate. Mangia da solo e collabora nella vestizione.
Predilige attività di tipo costruttivo o simbolico in quanto appare leggermente ipercontrollato nelle attività che richiedono coinvolgimento corporeo. Possiede una buona variabilità negli argomenti di gioco e si lascia coinvolgere in tipologie di gioco differenti.
Sta sviluppando buone capacità d’interazione, è interessato all’altro, soprattutto ai suoi coetanei e cerca l’attenzione dell’adulto. E’ capace di condividere lo spazio con gli altri in modo equilibrato e sa differenziare i presenti secondo i ruoli sociali (mamme, maestre.).
Il linguaggio è ad un livello ottimo, con corretta fonetica, sintassi e morfologia. È molto presente, a volte in modo eccessivo, ed è la sua principale modalità di comunicazione. Comunica anche con la comunicazione non verbale.
In ultima analisi si può dire che X è un bambino in ottima salute psicomotoria, pienamente in linea con le tappe dello sviluppo.
È un bambino intelligente e positivo, a volte timido con chi non conosce, molto legato alla mamma. Si mostra propositivo ed entusiasta di partecipare alle attività e di condividere lo spazio di gioco con gli altri bambini.
La mamma: la madre riporta una situazione familiare conflittuale e delicata in quanto da poco avvenuta la separazione dal padre del bambino. Il piccolo sembra aver reagito positivamente a quanto accaduto. La signora tuttavia anche se consapevole delle capacità del bambino, risulta essere preoccupata per eventuali difficoltà o sofferenze del piccolo, mettendo in atto un comportamento ambivalente tra il proteggerlo e il lasciarlo provare nuove esperienze.
Inserimento nel gruppo: Il piccolo X e la sua mamma iniziano sin da subito a frequentare lo spazio ludico di prevenzione – educazione. Il periodo d’inserimento è abbastanza rapido, il bambino è entusiasta ed anche la mamma appare serena, tuttavia sembra fare più fatica del piccolo ad allontanarsi. La madre infatti è ambivalente tra il lasciarlo andare in quanto lo ritiene competente e capace, e il volerlo vicino per via del legame esclusivo venutosi a creare dopo la separazione dei coniugi.
Per quanto riguarda il distacco e il ricongiungimento ad inizio e fine mattinata, rifacendosi alle teorie d’attaccamento e agli studi compiuti da M. Ainsworth, le situazioni si svolgono secondo la norma.
Nella fase di separazione il bambino manifesta normali segnali di mancanza dal genitore (chiede dov’è, vuole sapere quando tornerà) ma riesce a coinvolgersi nei giochi e attivare le sue buone risorse. Nella fase di riunione il piccolo saluta il genitore con sorrisi, abbracci e baci racconta e mostra le attività svolte. Non sono presenti manifestazioni di affetti negativi, ambivalenza o rifiuto verso il caregiver.
Rapporto tra mamma e bambino: il rapporto tra i membri della diade è emotivamente molto intenso, esclusivo. È caratterizzato da rituali propri della coppia (decisione dell’abbigliamento la mattina, di saluti particolari prima di lasciarsi …) e da oggetti che li legano emotivamente sui quali si raccontano storie che sanno essere invenzioni loro e di nessun altro (racconti sull’orsetto che il bambino porta con sé la mattina oppure su altri oggetti appartenenti alla mamma).
Il rapporto fisico tra i due è molto intenso; il momento della separazione e del ricongiungimento è caratterizzato da baci, abbracci, coccole. Il bambino spesso scende le scale accompagnato in braccio dalla mamma pur essendo molto agile nel farlo da solo: la mamma lo tiene e lo trattiene in braccio a lungo prima di lasciarlo.
Il bambino nel gruppo: all’inizio dell’attività il bambino si dimostra attivo, propositivo, partecipante ed equilibrato anche se sembra essere un po’ controllato nelle sue dimostrazioni emotive.
Parla tanto per chiedere spiegazioni: si può dire che il suo linguaggio riempie lo spazio. Nel contesto e a confronto con i suoi coetanei a volte risulta addirittura eccessivo.
Nel rapporto con i pari sa mantenere le giuste distanze, ha buone capacità d’interazione e predilige giocare con i bambini della stessa età.
A giochi prettamente motori preferisce attività di tipo costruttivo (si diverte a costruire sia con i mattoncini di legno che a creare torri e casette con i cubotti di gommapiuma) e giochi simbolici e di ruolo (travestimenti, giochi con la cucina …).
Ha bisogno di più tempo rispetto agli altri bambini per investire nelle attività corporee e vivere il momento di scarico senso – motorio.
Il bambino e le terapiste: X cerca spesso il rapporto 1:1 e l’approvazione dell’adulto attraverso lo sguardo e la conferma verbale (guardami, vieni, …). Cerca spesso l’attenzione su di sé e su quello che sta facendo. Nell’insieme è capace però di una buona interazione con l’adulto, è un bambino che nel rapporto con l’altro si mostra solare, sorridente ed aperto.
Segnali di disagio: Nel corso dell’attività di gruppo, dopo un paio di mesi, si sono evidenziati dei segnali che hanno permesso alla terapista di evidenziare un disagio del bambino.
Alcuni elementi che potevano caratterizzare una situazione di ansia inespressa erano già visibili in precedenza:
- Un linguaggio troppo presente in qualsiasi attività del bambino, quasi a riempire spazi vuoti,
- il suo mostrarsi così trattenuto nei confronti delle attività di piacere senso- motorio,
- Il rapporto con la mamma eccessivamente esclusivo
- Ambivalenza della mamma che da un lato spingeva il bambino competente verso nuove esperienze e dall’altro sperava di vivere ancora in un rapporto
simbiotico per proteggere il figlio dall’esterno. A questa ambiguità il bambino risponde con atteggiamenti in contrasto che rispecchiano il comportamento della mamma: si dimostra quindi estremamente insicuro delle sue capacità e necessita costantemente della sua mamma o di un adulto sostitutivo come conferma.
Si notano:
- Improvvisa comparsa di pianto angoscioso al momento della separazione e scarsa consolabilità durante la mattinata;
- Ripetuti scoppi d’angoscia nel corso della mattinata e non attivazione delle risorse di autonomia affettiva.
- Inibizione della motricità e diminuita capacità d’interazione con i bambini che lo portano ad atteggiamenti di ritiro dalle attività che prima svolgeva con gioia. Partecipa ai giochi da spettatore, ripete spesso la frase: «Sto ma non faccio niente!».
- Messa in atto di atteggiamenti di controllo e dominio della mamma. L’adulto nella coppia sembra esser lui: decide quello che la mamma deve fare, dove si deve sedere nella stanza e quando dovrà tornare. Impone i suoi capricci e la mamma asseconda in pieno il bambino diventando vittima della sua “tirannia”.
- Richiesta di contatto corporeo e attenzione continua da parte della terapista.
A casa:
- Trattiene le feci;
- Mostra selettività nel cibo;
- Ha sonno disturbato e si rifugia nel lettone. Dorme solo con la mamma “attaccata fisicamente” a lui.
Tutti questi segnali portano alla luce una fase di crisi di sviluppo.
Analisi dei fattori di rischio: come esposto nel capitolo precedente per un corretto intervento preventivo è necessario analizzare i fattori di rischio che hanno permesso al disagio di manifestarsi.
La situazione familiare di X può essere associata a quella di molti bambini di oggi, inseriti in un nucleo familiare disgregato e abituato alla presenza di un solo genitore vicino a lui. Non esiste un progetto educativo comune tra i due ex coniugi e il bambino viene seguito per la maggior parte del tempo solo dalla mamma. La conseguenza di questa situazione è che la madre si ritrova ad essere sola, sempre più isolata dal contesto sociale in cui prima era ben inserita e a dover affrontare le problematiche fisiologiche dello sviluppo del suo bambino in completa solitudine, rendendo il rapporto con il figlio sempre più esclusivo.
L’istinto di protezione va a sovrapporsi e a rallentare le seppur buone capacità di pensiero materne che vorrebbero spingere e sostenere il bambino all’autonomia.
L’intervento del TNPEE: quando i segnali inviati dal bambino diventano sempre più chiari, la terapista decide di affrontare il problema con la madre con molta delicatezza, trovando la signora concorde nelle preoccupazioni e felice di aver un sostegno.
Risulta necessario concordare con la donna un intervento che coinvolga mamma e bambino insieme nell’attività senza turbare l’equilibrio del gruppo in cui il piccolo è inserito. Durante tutte le fasi dell’intervento sarà la terapista a mediare, a trovare i tempi giusti, a favorire gli scambi tra mamma e bambino e tra la diade e il gruppo, per giungere agli obiettivi proposti.
L’intervento prevede una prima parte in cui la mamma ritorna alla prima fase iniziale dell’inserimento, sta in stanza con il bambino per tutta la durata dell’attività, partecipa ai giochi del gruppo. Piano piano il periodo di permanenza in stanza diminuisce, la terapista aiuta la mamma a trovare le modalità e il tempo giusto per uscire e sostiene i due durante la separazione.
L’obiettivo finale sarà quello di permettere alla mamma di lasciare il suo bambino in modo sereno senza angoscia da parte di entrambi, capaci di poter stare bene da soli attivando le loro peculiari risorse e ritrovandosi con gioia per raccontarsi le loro avventure.
OBIETTIVI:
- Spezzare la dinamica di relazione tra mamma e bambino in cui è il piccolo a dettare le regole alla mamma senza che questa si faccia valere: la mamma deve ritornare autorevole, fonte di sicurezza, esempio di limite; si presenta come una base sicura che permette al bambino di allontanarsi con sicurezza, certa di poterla ritrovare al suo ritorno.
- Riacquistare l’armonia tra momento di separazione e ricongiungimento.
- Far riappropriare la mamma dei suoi spazi personali per poterle permettere di vivere la propria quotidianità in modo indipendente senza sensi di colpa, rimandando al figlio un vissuto di tranquillità, di sicurezza nel lasciarlo a belle esperienze per favorire l’autonomia del sé.
- Tornare a far vivere al bambino le esperienze positive e il desiderio di usare il proprio corpo come strumento di conoscenza.
- Permettergli nuovamente di investire sul corpo e sul movimento, strumenti utili per l’affermazione di un sé positivo.
- Mediare la relazione fra i due, facilitando l’acquisizione di una giusta distanza fisica ed affettiva modulando i tempi tra loro.
- Attraverso lo scambio con il gruppo proporre un modello di interazione più aperto agli altri e più equilibrato,
- riscoprire una visione più realistica del bambino vero rispetto a quello idealizzato,
- favorire le competenze e le risorse del bambino che si scopre capace e felice anche da solo.
Nello specifico: la mamma accompagna il bambino allo spazio gioco e resta con lui per tutta la mattinata, giocano insieme e condividono le stesse esperienze. Già in questa fase una delle terapiste (sempre la stessa) inizia il suo intervento. Si pone come mediatore della relazione della coppia ed utilizza l’holding come strumento per permettere alla mamma di comprendere il modo migliore di relazionarsi al suo piccolo entrando ed uscendo dall’attività modulandosi sulla loro risposta. Con la mamma presente osserviamo bene quale sia il livello di dominio che il bambino esercita su di lei: decide quale sarà il suo ruolo nel gioco, il suo spazio e i suoi tempi.
Ad esempio il momento della merenda. Quando giunge l’ora di fare merenda tutti i piccoli del gruppo si siedono uno vicino all’altro in attesa. X ordina alla mamma di sedersi con lui in braccio, la mamma sta per farlo ma la terapista la invita a sedersi solo vicino a lui e ricorda a X che gli altri non hanno la mamma con loro. Il piccolo inizia un capriccio ma la terapista con sguardo e postura fermi e un sorriso esprime fermezza e sostiene la mamma nel mantenere l’atteggiamento corretto. La madre imita la terapista e rimane dov’è mettendo così un mattone per la riconquista del proprio ruolo, il bambino si adegua e mangia tranquillo.
La posizione nello spazio riveste grande significato in psicomotricità infatti man mano che il progetto si sviluppa, lo spazio della stanza assume valori particolari per il bambino.
Lo spazio centrale della motricità globale evoca nel piccolo sensazioni quali il piacere del movimento e del piacere corporeo. Gli spazi più raccolti vicino ai muri o gli angoli sono quelli in cui il bambino sviluppa i giochi più simbolici e le relazioni più affettive.
In un approccio che da’ tanta importanza al corpo e alla sua posizione nello spazio è fondamentale riconoscere le differenze di significato che assumono le diverse posture e il grado di vicinanza corporea tra soggetti. Il corpo della terapista è totalmente aperto e consapevole ed è il mezzo privilegiato della relazione con il bambino. Da questo la madre può trarre stimoli per potersi meglio inserire nella comunicazione con suo figlio.
Usare un tono di voce fermo e una postura stabile è utile per rimarcare che l’adulto nella coppia è lei ed è lei che prende le decisioni.
Stare seduti sulle ginocchia o a gambe aperte rimanda al bambino un’immagine di disponibilità e favorisce l’accoglienza emotiva. La mamma impara che la si può utilizzare per concordare una decisione o al momento del ricongiungimento.
Con il passare dei giorni la mamma si sposterà dalla zona centrale della stanza e dalla condivisione delle attività ad una posizione defilata da osservatrice che non agisce, vicino al muro accanto alla porta. Lo spostamento avviene progressivamente, favorito dalla terapista che stimola e sostiene la mamma nelle azioni, non più ascoltando le disposizioni del bambino che decideva anche questo, es: «mentre io gioco tu ti siedi lì …» oppure «tu mamma, vieni dentro alla casetta con me!».
Procedendo nell’intervento il tempo di presenza della mamma nella stanza si ridurrà fino a rimanere fuori per un tempo sempre più lungo.
L’alleanza tra madre e terapista permette che sia lei a decidere quando è il momento di andare: il momento è delicato, la madre è sollecitata e sostenuta dalla terapista che predispone una situazione idonea al lasciarsi.
Aiuta la mamma proponendole un oggetto da lasciare al bambino “in custodia” durante il tempo in cui lei non ci sarà. In questo modo il bambino sa’ che lei dovrà tornare e la mamma si allontana più serena perché non lo lascia in lacrime.
Nei primi momenti in cui la mamma esce dalla stanza X rimane concentrato sul suo compito di custode e non vuole abbandonare l’oggetto lasciatogli (chiavi della macchina); questo non è un problema e il piccolo se vuole può restare a fare l’osservatore.
Le terapiste stimolano la sua curiosità e la sua voglia di giocare usando un gioco di scarico motorio per coinvolgere tutti: costruire la montagna con i tappetoni oppure realizzare i percorsi con lo scivolo che diventa trampolino risulta essere per tutti molto divertente!
All’inizio del gioco X resiste e rimane spettatore poi dimostra attraverso la comunicazione non verbale il suo desiderio. La terapista lo coglie ed allora interviene accompagnando il bambino nel gruppo, instaurando con lui un rapporto 1:1. Concede ad X tutte le sue attenzioni e con continui rimandi verbali sottolinea le azioni e la gioia del bambino nel coinvolgersi totalmente con il proprio corpo («com’è difficile scalare questa montagna! Forza!» oppure «che salto grande che hai fatto!».)
Un’attività analoga è quella di dipingere un grande foglio con i colori a dita insieme a tutti gli altri bambini. Il piccolo all’inizio mostra diffidenza e non si vuole sporcare, intinge solamente la punta delle dita e non si diverte, ma quando vede che anche la terapista si sporca con lui e lo incita si lascia andare. Mescola tra di loro i colori e gioca con gli altri bambini esprimendo la sua gioia con grandi sorrisi.
Con il passare del tempo X lascia la mamma meglio: partecipa con entusiasmo alle attività, il tempo “di attesa” tra la separazione e il coinvolgersi nel gioco diventa sempre più breve, si sente sicuro, ha voglia di giocare, non chiede più il rapporto 1:1.
La mamma al momento del ricongiungimento trova un bambino felice di vederla e stanchissimo per tutte le attività vissute a pieno. Dai suoi racconti e da quelli della terapista capisce che il bambino non ha sofferto dopo che lei lo ha lasciato. Questo la rassicura ulteriormente e le permette di riacquistare fiducia e desiderio del lavoro nel gruppo per il suo bambino. Lo spazio dedicato a sé stessa le ha permesso di ripensare al rapporto con suo figlio per ricalibrarlo in modo tale da essere sia mamma che donna e di considerarlo altro da sé.
Risultati dell’intervento: gli obiettivi che ci eravamo posti ad inizio intervento sono stati raggiunti a pieno: la mamma si è riappropriata del suo ruolo materno, non subisce più le costrizioni del figlio e si sente libera e capace di decidere per il suo bambino, consapevole delle sue doti di mamma e fiduciosa in sé stessa. L’intervento ha favorito la ripresa di un equilibrio nei ruoli di genitore e figlio, la riconferma del valore dell’autorevolezza e del limite come base di sicurezza.
La madre ora ha ritrovato e dato valore al suo tempo libero per i suoi progetti lavorativi e i suoi bisogni. Ha riacquistato la sua dimensione di donna e non soltanto di mamma chiusa nella coppia con suo figlio. Questo le ha permesso di essere più serena e aperta a nuove esperienze con il suo bambino e le mamme del gruppo.
X è diventato un bambino sereno. L’ipercontrollo e l’uso eccessivo del linguaggio iniziali sono cambiati: ora è più sciolto, ha acquistato maggiore consapevolezza del proprio corpo, ha migliorato la sua capacità di regolazione delle emozioni, si diverte con i suoi coetanei e non ha bisogno di spinte per “gettarsi nella mischia”, sorride e si sente sicuro.
Il linguaggio molto evoluto è diventato un valore aggiunto alla sua personalità.
Lo stato di benessere raggiunto ha permesso ad entrambi di riacquistare fiducia nel gruppo. La mamma si è resa conto che separarsi dal suo bambino per affidarlo alle terapiste non significa abbandonarlo, bensì permettergli di giocare le sue risorse in un contesto adeguato che gli conferma le sue capacità e lo conduce all’autonomia e alla crescita. Si è sentito capito e accettato, ma nello stesso tempo stimolato ad utilizzare le sue competenze e a condividerle con gli altri. L’intervento gli ha restituito l’immagine di un bambino capace, competente, bravo anche senza la sua mamma, aiutandolo nello sviluppo di una buona immagine di sé.
Il bambino è riuscito a superare la sua sensazione di abbandono che non gli permetteva di coinvolgersi con il gruppo nelle attività, questo grazie alla terapista che è riuscita a rispettare i suoi tempi e a farlo sentire sempre accettato.
In generale si è modificata la modalità di comunicazione tra i membri della coppia, la mamma seguendo gli esempi della terapista ha imparato ad ascoltare ed esprimersi meglio con il suo bambino. Madre e figlio riescono a separarsi con maggior sicurezza e senza senso di ansia per entrambi, facilitando l’interazione con l’esterno ed evitandosi di chiudersi nella coppia come succedeva in passato. La mamma è consapevole delle capacità e dei limiti del suo bambino, riuscendo così a sviluppare nella sua mente un’immagine di suo figlio coerente con la realtà.
Alla fine dell’anno la situazione dunque è tornata sotto controllo con la disponibilità da parte del centro a essere disponibile per eventuali follow up o per risolvere insieme altri momenti di crisi che sono fisiologici nel corso dello sviluppo.
Questo intervento di prevenzione è stato attivato riconoscendo un momento di crisi nello sviluppo. Rifacendomi alla classificazione di Ander (presente in appendice) riteniamo si trattasse di una turba del comportamento. La durata di circa un paio di mesi e la capacità del bambino di reagire positivamente e relativamente in fretta alla situazione di disagio hanno permesso di avvalorare tale tesi.
Indice |
RIASSUNTO; PREMESSA; SCOPO. |
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CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA - APPENDICE |
Tesi di Laurea di: Laura PIZZI |