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Paralisi Cerebrali Infantili ed Emiparesi Spastica - La pianificazione: funzione esecutiva ed esecuzione del movimento

Paralisi Cerebrali Infantili, inquadramento generale

Emiparesi Spastica

La pianificazione: funzione esecutiva ed esecuzione del movimento

Emiparesi spastica e pianificazione

INDICE PRINCIPALE

INDICE

Paralisi Cerebrali Infantili: inquadramento generale

Il primo capitolo è dedicato alla descrizione della patologia su cui ho deciso di approfondire il tema della pianificazione. Dopo una breve definizione generale della Paralisi Cerebrale Infantile e successivamente, in modo più dettagliato, dell'emiparesi, andrò ad approfondire le sue caratteristiche nelle diverse aree dello sviluppo.

Le Paralisi Cerebrale Infantili (PCI) vengono definite come una “turba persistente ma non immutabile della postura e del movimento, dovuta ad una alterazione organica e non progressiva della funzione cerebrale, per cause pre - peri - post natali, prima che se ne completi la crescita e lo sviluppo” (Bax, 1964).

Bax si riprende la precedente definizione di PCI fatta da Ingram, che descrive tale disturbo come "Persistent but not unchangable disorder of posture and movement" (Ingram, 1955), aggiornandola utilizzando il linguaggio dell' International Classification of Functioning, Disability and Health. Tale classificazione, diversamente dalle precedenti propone un nuovo modo di intendere la disabilità, considerandola come una condizione di salute inserita in un contesto sfavorevole (OMS, 2001).

Seguendo la definizione appena citata si può ricavare che il danno al Sistema Nervoso Centrale è fisso, persistente, non progressivo, a differenza della sua manifestazione: le complicanze nelle varie aree dello sviluppo possono diventare sempre più evidenti, basti pensare, ad esempio, alle limitazioni muscolari e alle deformità osteotendinee a livello muscolo-scheletrico, che con il tempo recano alla persona una limitazione sempre maggiore. La patologia, quindi, accompagna in modo permanente la vita dell'individuo, anche se presenta delle modificazioni cliniche e funzionali nel corso dello sviluppo. Esse avvengono non solo a livello del sistema locomotore, ma anche a quello delle capacità cognitive.

A questo proposito, la caratteristica della plasticità del Sistema Nervoso Centrale è fondamentale; grazie ad essa e alla possibilità di fare esperienze, è possibile pensare di lavorare con i bambini affetti da Paralisi Cerebrale e con le loro famiglie con il fine di garantire il raggiungimento del maggior stato di benessere possibile.

Possiamo quindi affermare che i provvedimenti terapeutici adottati in correlazione con il disturbo, sono alcuni dei fattori discriminanti riguardo alla modifica delle conseguenze strutturali e funzionali della Paralisi sull'individuo (Sabbadini, 1978).

L'ambiente nel quale è inserito il bambino, è fondamentale per il determinarsi di tali cambiamenti. Ambiente inteso sia nel senso fisico e contestuale, quindi tutti quegli strumenti fisici o facilitazioni ambientali che possono essere messe in atto, come ad esempio l'uso di ausili, ortesi che favoriscono un'igiene posturale ottimale, sia anche come persone che si occupano dell'individuo, quindi in prima linea i genitori e poi tutte le figure che si occupano della care. In conclusione, in termini descrittivi viene meno la definizione di "paralisi dello sviluppo", che lascia spazio invece a quella di "sviluppo della paralisi".

Con la crescita dell'individuo l'ambiente aumenta anche le richieste che fa nei suoi confronti, che con il tempo diventano sempre più complicate e, come una reazione a catena, se manca o è incompleta una determinata risposta ad una richiesta, anche quelle successive ne risentiranno, ma in maniera più pesante. (Sabbadini et al., 1982).

Nel corso dello sviluppo, al danno primario presente nel Sistema Nervoso Centrale, conseguono anche danni di tipo secondario o indiretti, intesi come la mancata acquisizione di competenze motorie, relazionali e cognitive; possiamo identificare, inoltre, danni di tipo terziario se facciamo riferimento al possibile sviluppo di contratture e retrazioni muscolari e deformità articolari, che vanno ad incidere e limitare ulteriormente le capacità motorie già limitate.

La lesione primaria, non riporta quindi conseguenze solamente a livello motorio, ma anche in tutte le diverse aree dello sviluppo, in relazione al fatto che l'individuo è un insieme complesso di sistemi, che non possono essere considerati separati gli uni dagli altri. Questa visione, detta olistica, non trova riscontro nella medicina convenzionale in quanto scinde il tutto nelle sue singole parti, operando esattamente in maniera opposta a quanto teorizzato anche dalla teoria della Gestalt, che afferma che "il tutto è più della somma delle sue singole parti".

E' anche secondo questa visione che la Paralisi Cerebrale Infantile può essere considerata come la "somma di differenti sindromi" (Olney, Wright, 2005).

Nella citazione di Bax fatta ad inizio capitolo, con il termine postura viene indicato il rapporto tra i vari segmenti corporei in relazione anche allo spazio nel quale sono inseriti e alle sue coordinate. (Berthoz, 1998).

Sherrington afferma che ogni movimento inizia e finisce con una postura e sembra che essa ne sia quasi l'ombra (Sherrington, 1906).

Il movimento può essere considerato come una successione di posture. Si può realizzare soltanto sulla base di un aggiustamento posturale a breve o a lungo termine, prima e durante la sua esecuzione” (Jackson, 1874).

Il movimento, quindi, a differenza della postura, implica anche il concetto di tempo; il corpo attraversa lo spazio in un determinato tempo passando da una postura ad un'altra e lo spostamento dei diversi segmenti corporei è finalizzato per realizzare una determinata azione.

Se il movimento implica il concetto di dinamismo, non è altrettanto corretto affermare che, in maniera opposta, la postura sia qualcosa di completamente statico, di congelato (Denny-Brown, 1969); essa è piuttosto una preparazione all'esecuzione del movimento: il corpo si trova in quella determinata posizione perché pronto ad una specifica azione rappresentata già a livello mentale; è un tenersi pronti all'azione (Bernstein, 1967) e ciò implica anche continui aggiustamenti dei vari segmenti corporei quantificabili attorno all'asse di riferimento prescelto. Possiamo considerare la postura come una costruzione tridimensionale (Milani Comparetti e Gidoni, 1967), mentre il movimento implica un'ulteriore dimensione: esso è una costruzione quadrimensionale, grazie appunto all'implicazione della componente temporale.

Le alterazioni a carico del Sistema Nervoso Centrale comportano poi come segni clinici anomalie a carico del tono muscolare, del repertorio dei movimenti e anche a carico delle competenze motorie. Queste si riflettono anche nelle diverse abilità, quali l'apprendimento, le competenze comunicative, l'adattamento emozionale, le competenze relazionali, il comportamento, ecc., avendo delle ricadute anche a livello delle attività della vita quotidiana: i bambini con PCI non riescono a svolgere in maniera adeguata, secondo l'età e il livello dello sviluppo, le attività previste a causa delle limitazioni dovute alla lesione.

La Paralisi Cerebrale Infantile è il disordine evolutivo più frequente tra quelli che comportano alterazioni a carico del sistema locomotore, andando quindi ad alterare la corretta funzionalità motoria. In uno studio è stata evidenziata l'epidemiologia di tale patologia, dimostrando che nei paesi in via di sviluppo, l'incidenza della paralisi è di 1-2 individui affetti su 1000 nati vivi. Inoltre, l'incidenza aumenta ancora di più se consideriamo che la nascita avvenga in corrispondenza di un'età gestazionale minore, tanto che la prevalenza di bambini affetti da Paralisi Cerebrale Infantile che nascono prima delle ventotto settimane gestazionali (Very Low Birth Weigh) aumenta a 100 individui su 1000 nati vivi (Else O., 2005).

Rispetto al passato, si è verificato un aumento dei casi di bambini affetti da tale patologia dovuto anche all'introduzione di cure neonatali sempre più specializzate e tecnologie in grado di sostenere e supportare i gravi pretermine, riuscendo a garantire la sopravvivenza ad età gestazionali sempre minori, prendendosi cura di bambini nati alla ventiquattresima settimana gestazionale. La precarietà dell'organismo che nasce e viene inserito all'interno di un mondo estremamente stressante e poco protettivo, fa si che, in alcuni casi, nemmeno le cure specialistiche possano evitare urgenze o difficoltà, legate ad esempio all'estrema fragilità del sistema circolatorio. La prevalenza dei casi di PCI è aumentata di due punti su mille nati vivi, negli ultimi quaranta anni, con un aumento in particolare dei casi di emiparesi (Else O., 2005).

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Cause

Le cause che precedono la lesione possono essere di diversa natura ed avvenire anche in momenti diversi dello sviluppo, a partire dalla gravidanza.

In questo periodo appena citato, ma riferendosi anche a quello precedente, ovvero prima del concepimento, le cause maggiormente correlate alla manifestazione di una successiva Paralisi Cerebrale possono includere fattori genetici, infezioni, malattie croniche materne, intossicazioni e disordini circolatori del circolo materno oppure di quello fetale.

Tali cause possono essere suddivise a seconda del soggetto da cui dipendono, ad esempio dalla madre, dall'ambiente uterino o direttamente dal bambino. I fattori genetici, anche se non ancora ben definiti, possono comportare malformazioni a carico del Sistema Nervoso Centrale, ovvero essere la base neuropatologica da cui poi si delinea il quadro clinico; tra di essi vi sono i disturbi della migrazione neuronale, ad esempio. Tra le infezioni è importante citare quella da citomegalovirus, da toxoplasmosi o la rosolia. I fattori infiammatori possono essere responsabili sia di una nascita pretermine, sia anche dell'inizio di una catena patogenetica che porta alla leucomalacia periventricolare, con conseguente alterazione della sostanza bianca e anche delle fibre nervose adiacenti. La leucomalacia può essere limitata nell'area adiacente al corpo posteriore del ventricolo laterale, estendersi alle aree adiacenti ai corni anteriore e posteriore del ventricolo, a tutta la parete dei ventricoli laterali oppure ampliarsi a tutta la sostanza bianca sottocorticale.

Se la lesione avviene durante il parto oppure nella prima settimana di vita, allora il periodo preso in esame viene definito perinatale; le cause che aumentano il rischio di Paralisi Cerebrale sono individuabili in tutte le situazioni che possono portare ad un'anomalia nel parto oppure nell'adattamento al mondo esterno. Tra di esse nomino: il distacco della placenta, le anomalie di presentazione del feto, la rottura precoce del sacco, le difficoltà respiratorie, l'ittero, i disturbi metabolici, ecc.

Tra le cause post natali, invece, ossia quelle che intercorrono dopo la prima settimana di vita, ma comunque entro i tre anni vengono incluse le infezioni, i traumi cranici, le intossicazioni ed i disturbi metabolici. Dopo i tre anni, il quadro clinico di Paralisi inizia ad assume le caratteristiche di una forma tipica dell'adulto.

I fattori che incidono maggiormente nella formazione di paralisi si possono collocare nel periodo prenatale.

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Classificazione clinica

Tale classificazione fa riferimento alla tipologia dei sintomi neurologici presentati nel quadro clinico.

Il primo tipo di paralisi che andiamo a citare è quella caratterizzata da una sintomatologia di tipo piramidale, nella quale si presentano ipertono spastico, riflessi patologici con iperreflessia profonda, sincinesie e clono.

La lesione interessa la corteccia cerebrale e le strutture che poi sono collegate alla muscolatura, in modo particolare i motoneuroni del tratto corticospinale. Le fibre di tale tratto discendono dalla corteccia fino alle piramidi, dove circa l'80% di esse decussa collocandosi come tratto corticospinale laterale e continuando la discesa nel midollo. Il restante 20%, invece, procede omolateralmente ponendosi nella parte anteriore del midollo, discendendo come tratto corticospinale ventrale o anteriore. Le fibre di tali tratti corticospinali, nel midollo entrano in contatto con i motoneuroni spinali (II motoneurone) tramite un interneurone. Successivamente l'assone di questo motoneurone fuoriesce dal midollo, assieme ad altri assoni, formando il nervo motore; esso va ad innervare le fibre muscolari striate dei muscoli corrispondenti tramite la giunzione neuromuscolare.

Si parla di forme spastiche di paralisi quando i sintomi del quadro clinico riconducono a quelli citati in precedenza.

Le alterazioni del cervelletto, invece, comportano un quadro sintomatologico caratterizzato da ipotonia, atassia, tremori, dismetria, nistagmo ed adiadococinesia. Tale sintomatologia, che riguarda quindi un'alterazione nella coordinazione e dell'equilbrio, porta alla classificazione della paralisi come atassica.

Le forme discinetiche, invece, derivano da lesioni che avvengono nei nuclei della base. Essi sono strettamente collegati con le strutture encefaliche. Il nucleo caudato e il putamen formano il nucleo striato, che rappresenta il punto di arrivo di numerose fibre provenienti dalla corteccia.

Grazie alla grande connessione di fibre con il resto delle strutture corticali, si presume che i nuclei della base siano responsabili del controllo e della modulazione del movimento volontario, sia nella programmazione che anche nell'esecuzione del movimento stesso. Essi, inoltre, sembra che esercitino una funzione di attivazione o inibizione del movimento, grazie al collegamento di fibre con la corteccia frontale. Alle lesioni dei nuclei della base conseguono due tipologie di quadri clinici, il primo caratterizzato da acinesia ed ipertonia muscolare, mentre il secondo da discinesia e

ipotonia muscolare. Per acinesia si intende l'assenza di movimenti, mentre con discinesia si fa riferimento alla presenza di movimenti involontari ed abnormi, chiamati ipercinesie. Tra le forme discinetiche, inoltre, possiamo distinguere le atetosi e le distonie.

Possono essere presenti anche forme miste, caratterizzate dalla presenza di più di un quadro sintomatologico.

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Classificazione topografica

Questo tipo di sistema è quello maggiormente usato per la classificazione delle Paralisi Cerebrali Infantili e si basa sulla localizzazione prevalente della compromissione motoria.

La lesione, infatti, può comportare anomalie sia a carico di tutto il corpo, sia anche in maniera più evidente ad alcune aree o segmenti corporei.

Possiamo identificare quindi tali quadri clinici: la monoplegia, ossia la compromissione, anche se rara, di un solo arto; l'emiplegia, ovvero la compromissione di un emilato; la diplegia, che corrisponde ad un interessamento maggiore degli arti inferiori e minore di quelli superiori; la doppia emiplegia, quando vi è un interessamento di entrambi gli emilati in modo molto asimmetrico; la paraplegia, ovvero, la compromissione, anche se rara, dei soli arti inferiori; e infine la tetraplegia, dove vi è un interessamento di entità severa dei quattro arti, ma anche del capo e del tronco.

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Disordini associati

Collegati ai segni clinici di tipo motorio, i quadri di paralisi cerebrale infantile sono arricchiti anche dalla presenza di disordini associati. Essi possono essere di tipo cognitivo, con una prevalenza maggiore nei casi in cui vi è anche epilessia, che generalmente è osservabile nel 20-40% dei casi, soprattutto nell'emiparesi e nella tetraparesi (Else O., 2005).

Vi sono, inoltre, presenti anche alterazioni di tipo sensoriale e percettivo, come problemi visivi, uditivi, disturbi dell'integrazione degli stimoli sensoriali. Il danno motorio può compromettere anche le abilità prassiche a carico del distretto orobuccale, necessarie per l'alimentazione e nella comunicazione verbale, con presenza di disfagia e disartria.

Nelle complicazioni della sfera alimentare rientrano anche la scialorrea e il reflusso gastroesofageo; questi rendono molto complicato uno dei momenti di scambio relazionale con il genitore, etichettandolo progressivamente come momento emotivamente negativo e carico di preoccupazioni. Da non sottovalutare sono le problematiche legate al peso, soprattutto il malnutrimento. Seguono anche i disturbi comportamentali, emotivi e di regolazione (Rosenbaum et al., 2006).

Nei quadri complessi è opportuno tenere in considerazione anche disturbi del sistema respiratorio, in quanto incidono pesantemente sulla qualità della vita. Essi sono aggravati anche da eventuali asimmetrie muscolo-scheletriche del tronco, come la scoliosi.

Nel corso dello sviluppo è frequente anche la presenza di sub-lussazioni o lussazioni dell'anca e in alcuni casi può essere importante l'osteoporosi, con conseguente rischio di fratture.

I disordini associati non dipendono solo dalla patologia, ma anche dal bambino stesso, dal suo essere, dalla sua storia personale e dal contesto ambientale nel quale è inserito.

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L' Emiparesi Spastica

Descrizione ed evoluzione del quadro clinico

Nell'introduzione fatta precedentemente riguardo alle Paralisi Cerebrali Infantili, ho definito l'emiparesi come una compromissione di un emilato, ossia di un arto superiore ed uno inferiore omolaterali, associata a quella di capo e tronco. Questo implica che, a livello encefalico, la sede della lesione sia nell'emisfero controlaterale alla manifestazione dei segni clinici, in quanto quasi la totalità delle fibre corticospinali decussa a livello delle piramidi andando ad innervare poi un muscolo presente nell'emisfero opposto rispetto a quello di partenza nella corteccia.

L'emiparesi può essere considerata come un insieme di quadri clinici diversi a seconda dell'epoca di insorgenza del danno e alla patogenesi (Michaelis e edebol-Tysk, 1989). Sembra un tipo di paralisi cerebrale poco complesso, ma le compromissioni presenti a livello motorio, sia posturale che cinetico, percettivo, linguistico, cognitivo, affettivo e relazionale, dimostrano il contrario (Uvebrandt, 1998).

Questo sottolinea maggiormente quanto sia necessario un intervento multidisciplinare ed un lavoro di equipe tra i vari professionisti, la famiglia e gli eventuali insegnanti che ruotano intorno al bambino e fanno parte del suo ambiente quotidiano. Descriverò, in modo più approfondito, in seguito le varie problematiche che è possibile riscontrare in un bambino affetto da emiparesi.

Hagberg nel 1989 riporta alcuni dati epidemiologici riferiti al bambino nato a termine, indicando come il 70% dei casi presenta una lesione avvenuta in epoca prenatale, il 15% dei casi in cui la noxa patogena è avvenuta in epoca perinatale, mentre il restante 15% viene collegato ad un'eziologia nel periodo post natale. L'emiparesi è il quadro di paralisi cerebrale infantile più comune nei bambini nati a termine, mentre si situa al secondo posto, seguendo la diplegia, nei bambini pretermine. (Cioni G. et al., 1999).

I primi segni che si presentano in un quadro di emiparesi, che iniziano ad allertare la famiglia ed il terapista, sono: la scarsa mobilità di un emilato del corpo, con associata asimmetria tra i due emilati, e l'alterazione del tono e della forza muscolare, con un eccessivo reclutamento tonico soprattutto nei distretti distali. L'asimmetria può essere osservabile anche nel viso.

Con la crescita si nota che frequentemente lo schema all'arto superiore è flessorio, mentre estensorio a quello inferiore. Possono essere concomitanti disturbi sensoriali e neuropsicologici, più o meno evidenti, visibili maggiormente con l'aumentare dell'età. In alcune occasioni sono presenti anche crisi convulsive.

All'interno dei segni clinici rientrano, inoltre, le anomalie posturali, modificazioni della crescita delle ossa, presenza di movimenti speculari e di scoliosi, causata da un'asimmetria nella compromissione della muscolatura del tronco, rafforzata anche dall'orientamento posturo-cinetico che abitualmente prende il bambino. La distanza presente tra i due cingoli superiore ed inferiore risulta ridotta nell'emilato paretico rispetto a quello non compromesso.

I riflessi osteotendinei e superficiali sono alterati dal lato paretico: ipereflessia, clono, segno di Babinski o assenza del riflesso superficiale addominale (Cioni, Belmonti, 2012).

L'asimmetria presente può contribuire a creare un conflitto percettivo tra i due emilati, in quanto, fin da subito, l'orientamento visuo-percettivo e posturo-cinetico è verso l'emilato conservato. E' fondamentale prestare attenzione ai quadri di torcicollo, osservando in modo approfondito anche gli altri segmenti corporei, in quanto il torcicollo può essere la manifestazione più evidente della presenza di un' emiparesi, anche di grado lieve. Questa condizione può portare ad un'alterata percezione sensoriale dello spazio circostante.

Il bambino si muove usando anche l'emilato colpito, seppur con minor fluidità e schemi del movimento poveri e ripetitivi. L'aumento del tono a livello del cingolo scapolare, non permette l'esecuzione di movimenti adeguati a livello distale e, di conseguenza, la mano si presenta con dita flesse o chiusa a pugno. Questo è un altro dei segni che sono visibili già nei primi momenti anche dai genitori, ovviamente nei casi in cui la lesione ha portato una compromissione osservabile. In alcune occasioni, infatti, è possibile che l'emiparesi sia visibile a qualche anno di età e sia limitata solamente ad un atteggiamento in lieve inversione del piede, con possibile piatto-valgismo.

Intorno ai cinque mesi, il bambino inizia a raggiungere ed afferrare un oggetto solamente usando schemi di movimento poco armonici e fluidi, non solo a causa dei vincoli anatomici, ma anche a causa della componente percettiva che può essere alterata a gradi differenti. In questo periodo emergono le prime problematiche di organizzazione bimanuale. Riuscire a raggiungere la linea mediana con i segmenti corporei distali, in particolare con le mani, è molto importante, in quanto permette di sviluppare anche un corretto schema corporeo, grazie all'uso della funzione visiva, del tatto e delle sensazioni date dal movimento.

Lo sgambettio è un'altra esperienza corporea che il bambino emiplegico vive ed affronta in modo alterato rispetto allo sviluppo tipico, a causa della limitazione dei movimenti, dell'aumento della rigidità muscolare ("stiffness"), dell'asimmetria posturale e degli atteggiamenti degli arti superiore ed inferiore, che in futuro porteranno a contrazioni muscolari.

La posizione prona non è molto gradita dal bambino, soprattutto a causa delle scarse capacità di regolare il balance e le risposte antigravitarie dall'emilato paretico e a causa dell'asimmetria di carico, con impossibilità o difficoltà nell'esplorazione dell'ambiente e degli oggetti. I primi spostamenti, quali rotolo e striscio, avvengono grazie alla grande motivazione che spinge il bambino a muoversi; l'arto paretico superiore rimane adeso o imprigionato sotto al tronco, in particolare nel rotolo. Questo passaggio posturale viene eseguito con più facilità con il lato paretico in appoggio alla superficie su cui è posto il bambino, con il lato sano che prende l'iniziativa motoria. Nello striscio, l'arto inferiore viene mantenuto in intrarotazione ed estensione. In entrambi gli spostamenti, aumenta il tono all'emilato paretico, a causa anche della strategia che usa il bambino, ossia il ricorso alla velocizzazione del movimento.

Il passaggio alla posizione seduta avviene in modo asimmetrico, con orientamento quasi esclusivo verso l'emilato non compromesso; anche in questa occasione, la sola causa non è la limitazione motoria, ma vi concorre anche un'alterazione percettiva. Può comparire una reazione di startle nei momenti in cui vi è uno sbilanciamento o un movimento del baricentro. Una volta raggiunta la posizione, emergono nuovamente le problematiche di mantenimento del balance e dell'evocazione delle risposte antigravitarie dal lato paretico. Il bambino quindi, allarga la base d'appoggio flettendo ed abducendo l'arto inferiore paretico, mantenendo in estensione l'altro. L'arto superiore presenta difficoltà a portare in avanti la spalla, che quindi permane in retropulsione ed adduzione, mantenendo la sinergia flessoria. Come compenso per non riuscire ad equilibrare il baricentro, il bambino aumenta il reclutamento tonico. Una volta consolidata la posizione seduta, essa viene utilizzata come modalità di spostamento, sempre utilizzando la strategia della velocizzazione del movimento; l'emilato sano prende l'iniziativa motoria e guida tale spostamento.

Viene poi raggiunta con facilità la posizione in ginocchio, aggrappandosi su un supporto mediante l'uso dell'arto superiore sano, dove sono osservabili le stesse caratteristiche descritte anche il precedenza. Successivamente, per arrivare alla stazione eretta, il bambino emiplegico effettua il passaggio in half-kneeling: usando anche in questo caso un appoggio esterno, il carico viene portato sull'emilato sano per poter far avanzare quello compromesso mediante una flessione dell'anca; il carico, poi, viene spostato velocemente sul lato paretico per flettere in avanti anche quello sano per portare nuovamente il carico di nuovo su quest'ultimo. Anche in questo caso l'uso della velocità è fondamentale per il bambino, che così evita il controllo del baricentro e delle variabili articolari nei movimenti.

Una volta raggiunta la stazione eretta, il carico sulle piante dei piedi è asimmetrico, con un maggior peso controllato dall'emilato sano. Si nota maggiormente la retroposizione dell'emilato paretico con riduzione della distanza tra i due cingoli, semiflessione ed abduzione dell'anca e abduzione dell'arto inferiore. Il contatto del piede al suolo non permette una corretta raccolta degli stimoli sensoriali, in quanto vi è un appoggio alterato. Sono evidenti, inoltre, difficoltà nel mantenimento del balance e aumento del reclutamento tonico, in particolare all'arto superiore. E' possibile la presenza di grasp alla mano e di griff al piede. Abbassando il baricentro, il bambino riesce anche ad accovacciarsi.

La deambulazione generalmente si manifesta intorno ai 17/18 mesi di età. Inizialmente avviene la navigazione costiera, scegliendo preferibilmente la direzione verso il lato sano, che più facilmente riesce a compiere il movimento di abduzione dell'anca. Portare il carico sul lato paretico comporta l'emergere di una sensazione di paura da parte del bambino, che non riesce a gestire le risposte antigravitarie e controllare le oscillazioni del baricentro e di balance. Emergono, inoltre, le difficoltà percettive, che abitualmente sono orientate e specializzate nel lato sano. Inizialmente la base d'appoggio è molto ampia e gli arti superiori sono a guardia medio-alta, con aumento della reazione associata dell'arto superiore paretico. L'arto inferiore si presenta abdotto, esteso e in intrarotazione; l'emilato è retroposto. Nel cammino veloce e nella corsa si osserva un aumento della stiffness, con conseguente congelamento dei gradi di libertà a livello articolare.

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Classificazioni

Trovo fondamentale, inoltre, inquadrare le diverse forme di emiparesi, per fare maggiore chiarezza ed evidenziare fin da subito la complessità di un tipo di paralisi che tuttavia può permettere il raggiungimento, a livello quantitativo, delle varie tappe dello sviluppo neuroevolutivo, cadendo però dal punto di vista qualitativo. Il criterio maggiormente utilizzato per la classificazione è quello utilizzato da Cioni (1998), che fa riferimento al momento in cui è avvenuta la lesione. Grazie a questo sistema, possono essere distinti quattro tipo di quadri clinici:

  • la forma I o malformativa precoce
  • la forma II o prenatale
  • la forma II o connatale
  • la forma IV o infantile

Le prime tre forme rientrano nella definizione di emiplegia congenita, che raggruppa tutti i tipi di emiplegia causati da una noxa patogena che ha agito durante l'epoca

prenatale, perinatale e successivamente fino alle quattro settimane di vita. L'ultimo tipo di forma, invece, viene correlato con la definizione di emiplegia acquisita, la cui eziologia è identificabile dopo il primo mese di vita, ma comunque rimanendo entro i tre anni, secondo la definizione di PCI.

La forma I o malformativa precoce

La noxa agisce nel primo e secondo trimestre di gestazione, in particolare per cause vascolari, infettive o anche genetiche. La lesione comporta un'alterazione delle strutture influenzando anche la proliferazione, maturazione e, successivamente, la migrazione neuronale. Circa metà dei casi presenta anche una lesione nell'emisfero controlaterale. Il parto generalmente avviene a termine e, nonostante la vastità della lesione, rimangono integre le capacità collegate al linguaggio e anche alle funzioni corticali superiori. Uno dei segni patognomonici di questa forma di emiplegia è la presenza di una differenza di lunghezza e di trofismo tra gli arti colpiti rispetto a quelli controlaterali sani, evidente già dalla nascita.

La forma II o prenatale

L'epoca nella quale avviene la noxa patogena è il terzo trimestre di gestazione e la lesione è di natura ipossico-ischemica a livello della sostanza bianca periventricolare. Le conseguenze del danno coinvolgono anche l'altro emisfero in circa metà dei soggetti. In questa forma di emiparesi l'epilessia è meno frequente delle altre e sono spesso riconoscibili componenti disprattiche. Non sono evidenti grandi differenze nella lunghezza o nel trofismo degli arti compromessi rispetto agli altri.

La forma III o connatale

L'eziologia ha la stessa natura anossico-ischemica della precedente forma, ma l'epoca in cui il danno avviene è differente e corrisponde al termine della gravidanza o al periodo perinatale. Il danno avviene a livello di strutture corticali e sottocorticali; la sua entità e le relative conseguenze nell'area motoria, sensitiva, cognitiva, percettiva, nelle funzioni corticali superiori, possono essere severi. La stessa severità può essere presente anche per quanto riguarda l'epilessia. Le differenze nella lunghezza o nel trofismo degli arti non sono visibili alla nascita, ma possono rendersi evidenti successivamente.

La forma IV o infantile

Se la lesione avviene dopo il primo mese di vita, ma comunque entro i tre anni, l'emiparesi viene classificata come forma IV. Il danno è più spesso di natura vascolare, traumatica o tumorale. Sono presenti alterazioni anche nelle diverse aree come quella sensoriale, percettiva, cognitiva ed emozionale-relazionale. Possono emergere deficit dell'attenzione e disturbi dell'apprendimento, generalmente associati ad epilessia. In questo tipo di paralisi, definita anche acquisita, può manifestarsi una paralisi più evidente al volto, anche se comunque senza il coinvolgimento della sua parte superiore.

Cioni (2012), ha evidenziato, inoltre, che generalmente, la compromissione all'arto inferiore è più tipica delle lesioni avvenute in epoca prenatale, quindi riferite ad emorragie o leucomalacia, a differenza di quelle più tardive.

Successivamente, i quadri clinici possono essere descritti usando anche due classificazioni: la prima (Winters, Gage, Hiks, 1987) riguarda la tipologia di cammino, mentre la seconda (Ferrari, Cioni, 2005) la manipolazione.

Andiamo ad approfondire inizialmente le classi della marcia.

  • Classe I: in fase di swing prevale l'equinismo a causa dell'iperattività del tricipite, che può essere associata al deficit dei flessori dorsali del piede, in particolare il tibiale anteriore. Il contatto iniziale del piede a terra avviene con tutta la pianta o solo con la parte anteriore. Il primo fulcro è assente (il tallone), il secondo è quasi libero (la tibio tarsica, che non presenta limitazioni nella fase di appoggio), mentre il terzo è libero (metatarsofalangee). I compensi che possono essere utilizzati sono: flessione del ginocchio aumentata nella fase finale dell'oscillazione e nella prima fase dell'appoggio; l'anca dell'arto in swing in flessione marcata; aumento dell'antiversione del bacino e della lordosi lombare.
  • Classe II: sia in fase di swing che in quella di stance è presente l'equinismo a causa dell'aumento del tono del tricipite surale, del tibiale posteriore e del flessore lungo delle dita. In stance è possibile osservare anche l'estensione o il recurvato del ginocchio che sostiene il carico, causato da un'interruzione precoce del secondo fulcro, corrispondente alla tibiotarsica. Gli estensori del ginocchio e i flessori plantari sono molto attivi. E' presente una riduzione della velocità del cammino.
  • Classe III: vi è una contrazione contemporanea dei muscoli retto femorale e ischiocrurali che porta ad eseguire il cammino con il ginocchio rigido (stiff knee), con un movimento flessorio limitato in swing. Il piede rimane in equinismo in tutte le fasi del cammino. Si osserva anche antiversione del bacino ed accentuazione della lordosi lombare a causa dell'iperattività dei muscoli flessori ed estensori dell'anca. I compensi possono essere controlaterali, con inclinazione del tronco, oppure omolaterali, con una maggiore flessione dell'anca.
  • Classe IV: in questa fase è presente un maggior coinvolgimento dei flessori ed adduttori dell'anca. Il ginocchio assume le stesse caratteristiche della classe precedente con riduzione del movimento sul piano sagittale, così come si mantiene l'equinismo in tutte le fasi. Il bacino si presenta in antiversione e lateropulsione. Il compenso attuato è l'evocazione della lordosi lombare alla fine della fase di stance.

La classificazione di Ferrari e Cioni prevede una suddivisione in cinque classi della manipolazione. Affronterò le varie classi tramite una tabella, nella quale vi sono una descrizione dell'arto superiore dal punto di vista anatomico e secondo l'uso funzionale che ne viene fatto.

 

Classe I o MANO INTEGRATA:

ANALISI CINESIOLOGICA

UTILIZZO FUNZIONALE

 mano semiaperta con dita quasi completamente estese

 pollice allineato o leggermente abdotto, con possibile pinza distale con l'indice e/o il medio

 possibili movimenti isolati delle dita, soprattutto dell'indice

 capacità di pre-adattare la mano all'oggetto (anticipazione)

 polso esteso e sufficientemente mobile

 avambraccio leggermente pronato

 gomito leggermente flesso

 braccio allineato

 spalla complessivamente mobile

 afferra oggetti di piccole/medie dimensioni con possibilità di usare utensili sagomati

 l'afferramento non è influenzato dall'utilizzo della mano conservata

 esplora anche in supinazione

 la mano si adatta all'oggetto e compie sinergie complesse

 passa l'oggetto da una mano all'altra senza necessità di controllo visivo con pre-adattamento da parte della mano paretica alla presa

 rilascio dell'oggetto senza difficoltà

 esiste una parte dell'emispazio omolaterale dove la mano plegica viene usata prima

 

Classe II o MANO SEMIFUNZIONALE:

ANALISI CINESIOLOGICA

UTILIZZO FUNZIONALE

 mano semiaperta con dita prevalentemente estese e leggermente abdotte

 pollice allineato o modestamente addotto, possibile pinza intermedia (sub-termino-radiale) con l'indice e/o il medio

 possibili i movimenti isolati delle dita, specie dell'indice, ma con ridotta variabilità

 possibile anticipazione della presa e pre-adattamento della mano all'oggetto

 polso leggermente flesso e ancora sufficientemente mobile

 avambraccio semipronato con supinazione attiva limitata

 gomito semiflesso ma mobile

 braccio leggermente intraruotato con spalla modestamente abbassata e antepulsa

 afferra oggetti di medie dimensioni ed utensili sagomati purché di dimensioni adeguate

 l'orientamento della mano e l'afferramento sono poco precisi per ridotta modulabilità del pattern, ma ancora possibili anche se la mano conservata è attiva

 passa gli oggetti da una mano all'altra con necessità di controllo visivo, anche se non continuativo

 difficoltà alla supinazione ed estensione del polso

 la mano si adatta ma compie con difficoltà sinergie complesse

 motricità per l'esplorazione intrinseca ridotta o inefficace

 rilascia l'oggetto senza difficoltà ma in modo abbastanza grossolano

 solo in una parte estrema dell'emispazio omolaterale la mano plegica viene utilizzata per prima

 

Classe III o MANO SINERGICA:

ANALISI CINESIOLOGICA

UTILIZZO FUNZIONALE

 mano semiaperta con metacarpofalangee semiestese, dita semiflesse e leggermente abdotte

 pollice addotto, talora sottoposto alle dita, ma non imprigionato

 possibili movimenti combinati delle dita ma con scarsa partecipazione del pollice

 non vero preadattamento della mano all'oggetto, ma presenza dell'apertura stereotipata

 polso semiflesso, più o meno, in deviazione ulnare e con mobilità limitata

 avambraccio semipronato e con supinazione ridotta, gomito semiflesso ma ancora abbastanza mobile

 braccio abdotto e leggermente intraruotato

 spalla mobile, modestamente abbassata e antepulsa

 sinergia semplice di afferramento evocato tramite movimenti controllati di gomito e spalla ed eseguito sotto attento controllo visivo (chiusura della mano a "scatto")

 perché la presa risulti efficace l'oggetto deve essere idoneo o potersi adattare alla mano

 pattern di afferramento stereotipato, ma è ancora possibile la pinza tripodale

 spontaneamente il bambino afferra solo se la mano conservata partecipa alla stessa azione

 passa a fatica oggetti della mano plegica alla conservata (con meno difficoltà viceversa) con supplementazione visiva

 rilascia l'oggetto con difficoltà e in modo grossolano

 non esistono zone dell'emispazio omolaterale dove la mano plegica venga utilizzata spontaneamente per prima

 

Classe IV o MANO PRIGIONIERA:

ANALISI CINESIOLOGICA

UTILIZZO FUNZIONALE

 frequentemente chiusa a pugno attorno al pollice, ma anche flessa al polso ed estesa a metacarpofalangee ed interfalangee

 impossibili movimenti isolati delle dita; a volte vi è una liberazione parziale dell'indice

 polso più o meno flesso e in deviazione ulnare, possibile resistenza verso i movimenti passivi

 avambraccio generalmente pronato con ridotta supinazione anche passiva

 gomito flesso

 braccio leggermente abdotto ed intraruotato

 spalla abbassata ed antepulsa

 se non c'è negligenza, su richiesta appoggio del pugno chiuso in pronazione sul piano per fissare, battere, schiacciare, spingere.

 fissazione fra superficie radiale del polso e torace (pinza sussidiaria)

 contrasto della mano conservata sulla superficie radiale del polso della mano plegica durante l'afferramento a due mani

 l'afferramento, generalmente fra le dita, avviene tramite la mano conservata sotto controllo visivo continuativo

 rilascia l'oggetto con difficoltà; comunemente esso viene estratto dalla mano conservata

 la mano plegica viene caricata dello spazio paramediano e in approssimazione

 

Classe V o MANO ESCLUSA:

A caratterizzare questa classe di mano sono maggiormente le alterazioni percettive, piuttosto che quelle motorie.

ANALISI CINESIOLOGICA

UTILIZZO FUNZIONALE

 mano semiaperta con dita semiestese o moderatamente flesse, ma anche abbandonata in semiflessione

 pollice allineato o modestamente abdotto, non opponibile

 molto difficili o impossibili i movimenti isolati delle dita

 polso generalmente molto flesso

 avambraccio semipronato con ridotta supinazione anche passiva

 gomito semiflesso

 braccio lungo al tronco

 spalla a volte abbassata e antepulsa

 generalmente assenza di bimanualità e mano ignorata

 ampio uso delle pinze sussidiarie controllate dal braccio

 su richiesta possibilità di fissare fra mano e piano, ma solo sotto controllo visivo, e senza alcun adattamento della mano all'oggetto o al compito

 abitualmente assenza di attenzione visiva sulla mano plegica che viene tenuta fuori dal campo visivo o è totalmente insesistente

 mantiene un oggetto nella mano plegica, purché adeguato, fra pollice ed indice per breve tempo, possibile solo operando un costante controllo visivo

 rilascia con difficoltà l'oggetto e può anche perderlo inavvertitamente

 negligenza spaziale unilaterale (incapacità di processare informazioni sensoriali collocate in una certa posizione dello spazio)

INDICE

Disordini associati

E' stata riscontrata una forte correlazione tra comizialità e ritardo cognitivo (Cioni et al., 1999).

La presenza di tale condizione associata ha un peso maggiore rispetto all'estensione del danno o all'epoca di insorgenza dello stesso rispetto all'emergere di difficoltà cognitive (Vargha-Khandem F. et al., 1992).

La compromissione cognitiva si evidenzia anche nella scelta, da parte del bambino, delle strategie più adeguate nella risoluzione di un compito, che sono povere e poco variabili. Tali risposte possono risultare alterate o scorrette, non solo a causa del danno motorio, ma anche a causa della componente percettiva che impedisce la corretta processazione delle informazioni sensoriali.

Tenere in considerazione possibili alterazioni sensoriali, permette di non abbandonare la visione globale che si deve avere rispetto al bambino durante il trattamento; è dalle informazioni sensoriali che vengono poi organizzate le risposte motorie, quindi sono dati fondamentali per quanto riguarda anche l'esecuzione del movimento stesso, che non risulta alterato solamente da una limitazione muscolo-scheletrica. (Cooper J. et al., 1955).

La sensibilità tattile discriminativa, la stereognosi e la propriocezione sono le facoltà maggiormente compromesse (Cioni, Belmonti, 2012; Cooper J. et al., 1955 ). La stereognosia è la capacità di riconoscimento di oggetti sfruttando solo il senso del tatto ed inibendo quello della vista.

Le prassie, che potrebbero essere raggiunte tenendo in considerazione solo le risorse motorie, non sono adeguatamente sviluppate proprio a causa di questo alterato processo cognitivo ed anche sensoriale. Di conseguenza, quindi, l'entità dell'alterazione sensoriale spesso non rispecchia la gravità del danno motorio. Ne risentono anche la capacità di controllo dell'azione e, ancora prima, di pianificazione dell'azione stessa.

A livello fino motorio, è importante tenere in considerazione la presenza di sincinesie, ovvero movimenti involontari presenti soprattutto all'emilato sano quando l'altro compie un'azione. Essi sono causati dall'alterata organizzazione motoria (Briellmann R.S. et al. 2002).

I disturbi tattili, possono interessare sia il lato paretico che anche quello non compromesso, seppur in misura minore. L'alterazione avviene a livello della registrazione degli stimoli, ancora prima della percezione (Auld M.L. et al., 2012) e successivamente, risulta alterata la funzionalità bimanuale e non solo quella della mano paretica.

Nei compiti di scrittura i bambini emiplegici sono meno competenti rispetto a quelli sani che hanno acquisito la stessa lateralizzazione. Altre cause di questa evidenza, oltre alla compromissione sensoriale, sono la presenza di una non adeguata coordinazione bilaterale, fluidità, velocità di movimento degli arti superiori, percezione visiva e spaziale (Bumin G., Kavak S.T., 2008). Tutte queste informazioni, sono da tenere in considerazione quando il bambino frequenta la scuola primaria: le richieste ambientali aumentano ed al bambino viene chiesto di adattarsi ad un ambiente che propone delle attività complesse sotto il punto di vista prassico; questo può comportare dei vissuti di inadeguatezza e frustrazione, in particolare se il livello cognitivo, e quindi anche di consapevolezza, permettono al bambino di fare confronti con i pari.

Per quanto riguarda gli apprendimenti, inoltre, è stata correlata la diagnosi di emiparesi sinistra con difficoltà maggiori nel campo logico-matematico ( Kiessling L.S. et al., 1883). Le difficoltà nella percezione visiva, incidono anche nella scrittura e nella lettura di un tratto grafico, ma anche nella percezione delle forme.

La sensibilità, inoltre, è strettamente collegata anche al concetto di schema corporeo, ossia di percezione del proprio corpo come unità inserita in uno spazio, quindi l'insieme delle sensazioni provenienti dal proprio corpo, collegato con le informazioni che provengono dal mondo esterno. Possono essere presenti alterazioni nella rappresentazione di sé anche senza distorsioni nella rappresentazione di un corpo in generale. La rappresentazione grafica del sé può essere uno strumento molto valido per indagare il modo in cui un bambino percepisce sé stesso e anche le proprie compromissioni muscolo-scheletriche (Morin et al. 2001). Come affermato in precedenza, in alcune occasioni assume maggiore peso un'alterazione sensoriale piuttosto che quella motoria; se pensiamo alla mano esclusa nella classificazione di Ferrari, possiamo confermare la validità della frase precedente. Nei casi più gravi, la scarsa integrazione dell'arto paretico può portare anche ad una mancata attenzione verso gli stimoli che arrivano tramite esso o che sono presenti in tale emilato.

La negligenza o neglect, è la mancata considerazione di una parte dell'emicampo visivo, non riuscendo quindi a percepire o a prestare attenzione agli stimoli presenti nell'emilato controlaterale alla lesione (Robertson, 1999): l'orientamento che adotta il bambino, durante le attività della vita quotidiana e i momenti ludici, è esclusivamente

verso l'emilato sano (Nuara et al., 2019). Esso è più generalmente correlato con lesioni a carico dell'emisfero destro ed è più comune negli adulti che subiscono un trauma oppure un ictus; è stata riscontrata, però, la presenza di un disturbo simile anche nei bambini affetti, in particolare, da emiparesi, nei quali si evidenziano disturbi visuo spaziali.

Bambini con emiparesi sinistra hanno maggiori difficoltà nel campo attentivo e percettivo rispetto a quelli con emiparesi destra (Katz N. et al., 1998).

Vengono evidenziati anche deficit nell'organizzazione spazio-temporale (Cioni, Belmonti, 2012), collegati a disordini visuo-percettivi. La funzione visuo-percettiva implica la raccolta dei dati sensoriali mediante la vista; essi poi vengono analizzati, selezionati ed elaborati al fine di dare maggiore significato all'immagine che è arrivata alla retina. L'alterazione di questa capacità implica, appunto, delle difficoltà nella percezione e nel modo di esplorare ed organizzare lo spazio intorno a sé e la successiva integrazione con il mondo stesso.

La percezione spaziale può essere definita come la capacità di mettere in relazione, e di analizzare tale relazione, un oggetto con un altro ed anche con l'osservatore. Un esempio di percezione spaziale può essere il riconoscimento dell'orientamento delle linee. Esso sembra essere supportato dall'attività neurobiologica dell'emisfero destro; appare evidente, quindi, come possa essere intaccata la capacità di definire correttamente lo spazio circostante in presenza di una lesione encefalica.

E' importante tenere in considerazione il concetto di plasticità cerebrale, in quanto, successivamente alla lesione, le aree cerebrali adiacenti o controlaterali al luogo dell'insulto possono specializzarsi preservando le funzioni che altrimenti verrebbero perdute completamente, soprattutto se la lesione è di tipo focale e localizzata in zone adiacenti alle strutture sotto-corticali (Briellmann et al., 2002).

La prognosi peggiore avviene se è l'area controlaterale ad equilibrare le funzioni mancanti, con un rischio maggiore di incorrere a problematiche visuo-prassiche e visuo- spaziali. La corteccia preservata, quindi, si occupa anche delle funzioni di cui dovrebbe occuparsi l'emisfero compromesso; tale fenomeno prende il nome di crowding o affollamento. Questo concetto può essere riportato anche nell'ambito della comunicazione verbale: il mantenimento del linguaggio da parte dei bambini affetti da emiparesi destra, è dovuto alla capacità plastica della corteccia cerebrale sia adiacente che controlaterale alla lesione; in associazione, però, vi è un peggioramento delle competenze comunicative non verbali, spiegato con il fenomeno del crowding. L'acquisizione del linguaggio, inoltre, sembra correlata anche con il livello di compromissione motoria del bambino ( Coleman A. et al.,2003).

I disordini associati compromettono le abilità adattive e la possibilità di partecipare alle attività della vita quotidiana (MacLennan et al., 2015; Van Zelst B.R. et al., 2006). Tra di essi rientra anche la difficoltà nella pianificazione del movimento, di cui discuterò nei capitoli successivi.

Non riuscire ad essere autonomi nello svolgere anche azioni che riguardano la cura personale, può portare nel bambino il nascere di un vissuto di inadeguatezza, collegato alla scarsa autostima ed alla scarsa considerazione di sé come essere indipendente. E' molto importante tenere in considerazione tutto ciò, in quanto può andare ad interessare anche il legame di attaccamento che il bambino ha con la madre. Spesso in situazioni di disabilità, la madre si prende cura del figlio quasi sostituendosi a lui; in alcune occasioni, le figure materne possono provare un senso di colpa nell'aver dato al mondo un figlio che presenta delle difficoltà, vedendolo anche come un "oggetto di riabilitazione". Un buon attaccamento con la madre è fondamentale per permettere il corretto sviluppo del processo di separazione-individuazione, collegato quindi alla formazione di un Io sufficientemente forte.

Eventuali problemi di alimentazione possono essere correlati anche con una scarsa partecipazione sociale (Samson-Fang et al., 2002). Spesso tali problematiche non riguardano solamente una difficoltà di tipo anatomica e funzionale, ma sono causate da disturbi della sfera psicologica, in particolare nei bambini che presentano un buon quoziente intellettivo ed una buona consapevolezza di sé. Sono loro, infatti, che maggiormente risentono del confronto con i pari, della sensazione continua di sentirsi inadeguati e "divisi". Questo, ovviamente, è correlato anche con l'entità del danno a livello del sistema nervoso centrale: è molto più probabile che tale vissuto sia associato ad un danno motorio di una certa entità rispetto ad un'emiparesi lieve dal punto di vista motorio.

C'è un'evidente correlazione anche tra emiparesi e disturbi del comportamento, tra i quali: disturbo della condotta, iperattività e disturbi della sfera emotiva, con una maggior prevalenza degli ultimi due. Uno dei fattori predittivi per il determinarsi di uno di questi disturbi è il livello cognitivo, strettamente correlato con l'entità della lesione; la localizzazione del danno non sembra rientrare tra tali fattori. (Goodman e Graham, 1996).

I disturbi del comportamento si evidenziano anche nel contesto terapeutico, in quanto spesso i pazienti emiparetici tendono a rifiutare i trattamenti o divengono poco collaborativi, intaccando la relazione terapeutica che deve essere la base di un percorso riabilitativo. Ciò è causato anche dal conflitto interno dovuto alla sensazione di non sentirsi integri, alla difficoltà nell'essere e nel sentirsi indipendenti.

Conoscere il livello di funzionamento dei bambini emiparetici, ma non solo, permette anche di fissare eventuali obiettivi riguardo alla partecipazione ed integrazione sociale, sia all'interno del nucleo familiare che con i pari. Risorse valide nell'area motoria e anche in quella comunicativa, sono fondamentali per permettere una buona partecipazione alle attività sociali, con diminuzione di alcuni fattori di rischio per disordini di tipo comportamentale (Alghamdi et al., 2017). La frequenza di partecipazione è determinata anche dalla capacità di regolazione del comportamento, dall'equilibrio presente a livello familiare e anche dal numero e dal tipo di attività ricreative; la capacità di adattamento è stata correlata anche con un maggiore stato di benessere all'interno del gruppo sociale (Chiarello La. et al., 2016).

INDICE

La pianificazione: funzione esecutiva ed esecuzione del movimento

La pianificazione come funzione esecutiva

Il termine "funzioni esecutive", inizialmente usato nel passato per riferirsi alle capacità perdute nella demenza dell'adulto, è stato poi preso in considerazione anche nell'ambito dell'età evolutiva, quando lo studioso Barkley, negli anni ottanta del secolo scorso, ha osservato come alla base del disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (ADHD) sia presente un'alterazione di tali funzioni (Barkley R.A., 1997).

Esse venivano chiamate anche "funzioni del lobo frontale" e consistono in un insieme di <<…processi cognitivi superiori coordinati per il raggiungimento di un obiettivo>> e, per la buona funzionalità delle stesse, è fondamentale appunto che la corteccia frontale sia integra (Elliott R., 2003; Welsh M.C., Pennington B.F., Groisser D.B., 1991). Sono, inoltre, coinvolte molte aree sottocorticali nella gestione delle stesse, tra cui i gangli della base. Alcuni studi, infatti, hanno dimostrato come le funzioni esecutive appaiono adeguate quando non sono presenti alterazioni nella corteccia prefrontale, ma anche nel circuito corticostriatale (Elliott R., 2003; Alexander G.E et al., 1986).

Funahashi definisce le funzioni esecutive come <<.. il prodotto delle coordinate operazioni dei diversi processi messi in atto per raggiungere un obiettivo in modo flessibile>> ( Funahashi, 2001).

I termini "coordinazione", "controllo" e "raggiungimento di un obiettivo" sono fondamentali per la descrizione di tali funzioni. Alle funzioni esecutive sono state date numerose definizioni, che esprimono la loro complessità. Tra di esse emergono anche quella di Stuss, il quale dice che << sono una serie di abilità che permettono alle persone di creare obiettivi, conservarli in memoria, controllare le azioni, prevedere gli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi>> (Stuss D.T., Benson F.D., 1992) e quella di Aron, il quale afferma che <<sono funzioni cognitive di ordine superiore che rendono capaci di formulare obiettivi e piani, ricordare questi piani nel corso del tempo, scegliere ed iniziare azioni che ci permettano di raggiungere quegli obiettivi, monitorare il comportamento ed aggiustarlo in modo da pervenire a quegli obiettivi>> (Aron A.R., 2008).

Aspetti differenti delle funzioni esecutive vengono associati a specifiche aree cerebrali. Per quanto riguarda gli aspetti della regolazione del comportamento e delle emozioni, compresa anche l'inibizione, maggiormente coinvolta è la corteccia ventro-mediale ed orbito frontale, mentre la corteccia cingolata anteriore interessa soprattutto le capacità metacognitive ed integrative, fondamentali per analizzare gli errori di un comportamento e compiere un'attività di automonitoraggio. Oltre a queste due componenti, secondo alcuni studi, nel lobo frontale possono essere incluse anche la funzionalità di "energization", o mantenimento delle energie, regolata dalla porzione superiore-mediale, la capacità di monitoring nella zona laterale destra, e quella di task setting nella porzione a sinistra (Stuss D.T., 2011). La corteccia prefrontale dorso- laterale regola la memoria di lavoro, la pianificazione ed il ragionamento concreto, mentre il giro frontale superiore viene attivato maggiormente con le capacità di selezione e flessibilità rispetto ad un compito.

All'interno di tali funzioni rientrano: l'inibizione, la flessibilità, la pianificazione, la memoria di lavoro, l'attenzione, la fluenza. Sono fortemente collegate tra loro e per sostenere lo sviluppo di una specifica di esse è necessario tenere in considerazione anche le altre, seguendo la visione olistica tipica dell'approccio neuropsicomotorio. Oltre alle competenze prettamente cognitive, tra le funzioni esecutive vengono inclusi anche gli aspetti emotivi e comportamentali.

La loro esistenza è stata teorizzata mediante lo studio di pazienti con danni al lobo frontale, tra cui anche Phineas Gage. Egli era un ragazzo che lavorava come capo cantiere per le ferrovie del Vermont. Il tredici settembre del 1848 subì un incidente nel luogo di lavoro: venne colpito da un'asta di metallo che gli trapassò il cranio. Il medico, dopo aver estratto tale oggetto, curò il giovane per un'infezione che lo portò ad un temporaneo stato di coma; il mese successivo all'incidente Phineas guarì. Diversamente da prima, uomo gentile e rispettoso, si mostrò più sregolato, oppositivo, violento, irrispettoso verso i compagni, incapace di pianificare nel tempo i compiti o organizzare i propri progetti; la sua personalità, quindi, sembrava cambiata.

La studiosa Hanna Damasio nel 1994 ha ricostruito, tramite tecniche di neuroimaging, il danno encefalico subito da Phineas Gage, evidenziando le conseguenze anatomiche dell'incidente con la barra di metallo. Ella ha dimostrato che al danno sono seguite alterazioni di entrambe le cortecce prefrontali. Lesioni al lobo frontale, infatti, portano ad anomalie nelle aree emotiva, cognitiva ed anche motoria.

Proprio per la loro complessità, esse non si sviluppano subito dopo la nascita, ma emergono e si complessificano con il tempo, in correlazione allo sviluppo e maturazione neuroanatomica della corteccia encefalica e delle strutture sottocorticali. E' possibile notare, infatti, come il comportamento dei bambini della prima infanzia sia poco o scarsamente adattabile alla modificabilità dei contesti e ai feebback provenienti da essi (Barcelo F., Knight R.T., 2002). Solitamente prima dei sei anni esse vengono elaborate all'esterno anche tramite il linguaggio verbale, che funge da facilitatore per la loro strutturazione, in particolare per la memoria di lavoro; solo successivamente vengono interiorizzate ed organizzate a livello cerebrale, strutturate da un linguaggio interiore che permette loro di seguire regole, costruire sistemi mentali che permettono la costruzione e la comprensione di nuove regole, interrogarsi sul proseguimento del compito controllandone le giuste procedure e riflettere su se stessi.

Le capacità proprie delle funzioni esecutive iniziano ad emergere quando nel bambino si affinano l'attenzione selettiva, l'inibizione comportamentale e la memoria di lavoro (Zelazo P.D. et al., 2004), ovvero le funzioni esecutive che possiamo definire basilari, che saranno la base di quelle successive. L'attenzione selettiva è la capacità di focalizzarsi sullo stimolo d'interesse analizzandone le caratteristiche e dando il via ad un' elaborazione ad un livello cognitivo superiore, che ne permette successivamente la risposta. Ad essa viene collegato anche il concetto di inibizione, in quanto tale capacità è fondamentale per permettere nel non considerare tutti gli altri stimoli che l'ambiente ci propone, oltre a quello di interesse. E' come se il nostro sistema percettivo, assieme a quello cognitivo, mettessero un filtro nell'esplorazione dell'ambiente, al fine di facilitare un'esplorazione più mirata ed efficace. Le informazioni non rilevanti o poco importanti non vengono elaborate a livello cognitivo.

Le prime abilità, appena citate, emergono anche prima dell'anno di vita. Anderson afferma che il controllo attentivo nel bambino inizia ad essere presente dai nove mesi di età circa e vede la sua completa maturazione intorno ai dodici anni. All'interno del controllo attentivo vengono incluse anche le capacità di automonitoraggio, di autoregolazione e di inibizione, oltre all'attenzione selettiva.

All'attenzione segue poi la capacità di elaborazione delle informazioni, molto complessa in quanto il sistema nervoso centrale deve essere in grado di raccogliere le informazioni utili, dopo aver applicato i "filtri" caratteristici dell'attenzione selettiva e dell'inibizione, mediante un sistema sensopercettivo che deve essere adeguato e privo di alterazioni; sono necessarie le caratteristiche di velocità dell'elaborazione e di fluenza e tale capacità si sviluppa in modo più maturo dai tre-cinque anni fino ai dieci. Intorno ai quattro anni inizia ad emergere anche una maggiore flessibilità cognitiva, ovvero la capacità di passare da un pensiero all'altro, da uno stimolo all'altro, in base al contesto e alle richieste che esso pone, riuscendo a dare una risposta più adeguata possibile rispetto agli stimoli ambientali. Essa è supportata, appunto, dall'acquisizione e dallo sviluppo dell'attenzione, che permette di allocare le risorse necessarie per il compito specifico, in modo da poter scegliere il piano d'azione più coerente con il contesto. La maturazione della flessibilità cognitiva si colloca intorno agli undici anni. La flessibilità cognitiva è supportata dalla memoria di lavoro, in quanto permette di tenere un piano mentale sul quale poter agire tenendo conto anche dei feedback dell'ambiente manipolando le informazioni online; è supportata altresì dall'attenzione divisa, ovvero dalla capacità di prestare attenzione a più stimoli proposti contemporaneamente e dalla capacità di formulare strategie.

Tra i quattro fattori di Anderson la definizione dell'obiettivo, o decision making, vede per ultima l'apice dello sviluppo, che si situa intorno ai dodici anni, anche se tale abilità inizia ad emergere appena sono presenti le basi attentive e dell'inibizione. La pianificazione viene situata all'interno di questa categoria assieme anche alla capacità di ragionamento concettuale, all'iniziativa ed alla organizzazione strategica.

Questi quattro domini esecutivi, ovvero il controllo attentivo, l'elaborazione delle informazioni, la flessibilità cognitiva e la definizione degli obiettivi, cooperano e sono fondamentali per il "controllo esecutivo", che inizia ad emergere in modo significativo nel periodo adolescenziale (Anderson P., 2002).

Uno studio di Comalli, Wapner e Werner nel 1962 ha dimostrato, mediante la somministrazione dello Stroop Color-Word Task a partecipanti di età tra i sette e gli ottanta anni, come l'incidenza degli errori fosse maggiore verso gli estremi del range di età considerato. In questo test, indicato per indagare soprattutto la capacità di inibizione, vengono proposte al partecipante delle tessere in cui vi è scritto il nome di un colore ma colorato con un altro (ad esempio: la parola rosso viene colorata di giallo) e il partecipante stesso deve essere in grado di leggere correttamente quanto scritto senza farsi influenzare dallo stimolo visivo del colore che è discordante con la parola. Gli errori, quindi, sono dati dalla lettura non corretta del nome del colore.

Zelazo e Frye (1998) affermano che il cambiamento e quindi l'evoluzione delle funzioni esecutive, è possibile in corrispondenza del raggiungimento del più alto livello di complessità nelle strategie che il bambino formula e segue durante la risoluzione di un problema.

In generale, lo sviluppo delle funzioni esecutive nell'arco della vita dell'individuo segue l'andamento di una U rovesciata, che vede l'apice in corrispondenza dell'età adulta, mentre gli estremi sono appunto collegati alla prima infanzia, dove sta iniziando una graduale maturazione, e alla vecchiaia, dove le funzioni si dimostrano sempre meno adeguate. E' in corrispondenza dell'età adolescenziale che la corteccia frontale vede la sua completa maturazione; allo sviluppo neuroanatomico, quindi, consegue anche quello delle funzioni esecutive.

Esse sono, inoltre, collegate con lo sviluppo della teoria della mente, anche se gli studi fatti non sono riusciti a comprenderne appieno le cause. Sembra che le funzioni esecutive siano fondamentali per la realizzazione di una rappresentazione mentale delle varie abilità ed azioni da compiere e su questa base solida si fonda anche la teoria della mente. La memoria di lavoro, la capacità di inibizione e la pianificazione sono le funzioni che maggiormente evidenziano la correlazione con tale teoria, in quanto permettono di tenere in considerazione più aspetti, valutandoli ed eliminando quelli che non sono necessari o interessanti in base al contesto (Carlson S.M., Moses L.J., Claxton L.J., 2004).

Quando sono presenti anomalie in tali funzioni, il comportamento diventa scarsamente regolato e disinibito. Ciò comporta anche difficoltà nell'affrontare la vita quotidiana: dalle relazioni ed interazioni con le persone, alle competenze relative all'autonomia, al contesto scolastico, ma in generale a tutte le azioni, in quanto comunque nella definizione di azione si fa riferimento ad un processo che prevede il raggiungimento di un obiettivo.

Appare evidente come tali funzioni, oltre che utili al fine di raggiungere uno scopo, siano fondamentali per la regolazione, il controllo e la modificazione del proprio comportamento a seconda del contesto ambientale ed in tutte le situazioni che richiedano una capacità di problem solving.

E' importante anche sottolineare il concetto di azione per comprendere appieno il significato complesso della pianificazione stessa.

L'azione non è un semplice movimento di un segmento corporeo nello spazio, ma è un movimento finalizzato ad un fine specifico. Rientra quindi nella considerazione anche l'aspetto dell'elaborazione cognitiva delle informazioni sensoriali ed anche delle proprie pulsioni istintuali, dei propri bisogni e desideri.

Come afferma Habermas (1981) <<Un movimento corporeo è elemento di un'azione, ma non è un'azione>>; esso infatti è collegato strettamente ad un aspetto fisico, quindi all'integrità del sistema muscolo-scheletrico e anche all'efficacia della comunicazione neuronale. L'azione, invece, implica i concetti di intenzionalità, memoria, attenzione e accesso all'attività simbolica che permette la rappresentazione mentale delle azioni stesse; l'anticipazione dell'obiettivo e la preprogrammazione di un'azione possono considerarsi attività simbolica. Il simbolo permette di collegare il prima ed il dopo, ovvero l'azione appena compiuta e quella che la segue, permettendo lo sviluppo di un'adeguata sequenza di azioni.

L'azione è un'insieme complicato di processi mentali e la sequenza tra un'azione ed un'altra richiede che vi sia una relazione tra le due che vada a rispettare i principi di causa-effetto, antecedente-conseguente, eccetera. Ajuriaguerra sostiene: << L'azione non è una semplice attività motoria, ma sul piano delle strutture essa è un circuito sensitivo-motorio e, nel corso della sua realizzazione, è un'attività con uno scopo definito in uno spazio orientato rispetto al corpo>> (Ajuriaguerra J. de, 1979).

Non tutte le azioni richiedono l'esecuzione di un movimento, come per esempio accade per il "non fare". L'intenzionalità è intrinseca anche nell'atto motorio, ma lo scopo è tipico dell'azione in quanto richiede anche un'elaborazione del desiderio e del pensiero legato all'azione stessa. Le azioni più complesse sono formate da azioni più semplici ed esse vengono riconosciute sotto la stessa azione in quanto presentano tutte la stessa intenzionalità e sono direzionate verso il raggiungimento di un medesimo obiettivo.

E' importante sottolineare che il movimento è rivolto al presente, mentre l'azione al futuro in quanto il fine ultimo della stessa è <<la rappresentazione immaginaria di uno stato a cui si aspira come risultato di un'azione>> (Von Cranach M. e Harrè R., 1982).

Ancora prima della preparazione all'azione vi è una rappresentazione mentale e valutazione della stessa e l'uso della vista, strumento che viene direzionato verso lo scopo da raggiungere, permette di supportare questa funzione anticipatrice.

Nel collegare in sequenza due o più azioni è importante fare riferimento a quella che viene definita coscienza dell'azione, ovvero la consapevolezza di avere un piano d'azione ed uno scopo comuni a tutte le singole sotto-azioni semplici: si dà maggior valore alla globalità dell'azione complessa che ai singoli passaggi che la compongono (Berti E., Comunello F., 2011).

Trovo necessario fare un maggiore approfondimento per quanto riguarda la pianificazione, all'interno delle funzioni esecutive.

Essa viene definita in molti modi. E' la <<capacità di formulare un piano generale ed organizzare le azioni in una sequenza gerarchica complessa>> (Aron A.R., 2008); in un'altra definizione emerge che la pianificazione è l' <<insieme di attività cognitive che anticipano e regolano il comportamento e consentono di eseguire una sequenza di azioni al fine di raggiungere una meta>>.

Come detto in precedenza, tale funzione esecutiva emerge in modo significativo intorno ai quattro-cinque anni, successivamente allo sviluppo dell'attenzione e dell'inibizione. A questa età i bambini mostrano capacità migliori di organizzare in sequenza temporale azioni legate tra loro mediante una relazione di causalità rispetto a quelli di età minore (McColgan, K. L., McCormack, T. ,2008). Il tipo di pianificazione, inoltre, è più complesso ed il processo avviene con maggiore fluenza. E' intorno ai quindici anni, ovvero durante l'adolescenza, che tale funzione esecutiva si presenta sviluppata, in correlazione anche con la maturazione del lobo frontale.

Una rudimentale presenza di pianificazione si può considerare presente anche durante il periodo della Reazione Circolare Terziaria, ovvero dai dodici ai diciotto mesi circa. In questa fase il bambino si serve di un oggetto, ad esempio il bastone, per avvicinarsene un altro. Per compiere tale azione è necessario analizzare il compito, raccogliere le varie informazioni sensoriali ed elaborare una strategia mettendo in sequenza i diversi movimenti (Camaioni L., Di Blasio P., 2007).

E' fondamentale tenere in considerazione che la pianificazione è formata da una serie di processi cognitivi che permettono di regolare il comportamento attuale, di anticipare comportamenti futuri, tenere a mente le conseguenze di un'azione sulle altre, mettendo in atto delle strategie che permettono di porre in sequenza azioni che sono orientate al raggiungimento di un obiettivo. Alcuni autori parlano di pianificazione anticipata, proprio grazie alla peculiarità di riuscire ad anticipare il comportamento.

Se dovessimo suddividere in passaggi il "fare" delle funzioni esecutive potremmo affermare che la pianificazione ricopre il secondo punto, dopo l'analisi del compito. Ad essa seguono l'organizzazione delle azioni per raggiungere l'obiettivo, lo sviluppo di una linea di tempo per completare il compito, il monitoraggio (che consiste nel modificare o aggiustare gli step per arrivare al fine) ed infine l'ultimo punto è completare il compito in modo tempestivo. Affinché vi sia una buona capacità di pianificazione, quindi, deve essere adeguata soprattutto l'analisi del compito stesso, che implica la raccolta dei dati sensoriali provenienti dall'ambiente, la trasformazione di questi in prime forme dotate di significato attraverso il processo della percezione, e altri processi cognitivi che devono essere supportati da un buon funzionamento neuropsicologico, ad esempio il confronto del compito con compiti già vissuti e delle adeguate capacità mnesica ed attentiva.

Appare ovvio come un'alterazione del sistema sensopercettivo vada ad intaccare la corretta analisi del problema e quindi, di riflesso, anche una corretta pianificazione.

La pianificazione è collegata a molte delle capacità più complesse e superiori, tra cui l'organizzazione del materiale e del comportamento, il problem solving, la capacità di monitoraggio, in quanto il comportamento viene continuamente controllato ed orientato verso l'obiettivo, l'attenzione, la memoria di lavoro e la memoria prospettica. E' da tenere in considerazione quindi anche la memoria, che per definizione è la capacità di organizzare ed immagazzinare le informazioni per poi recuperarle quando necessario, in modo da aggiornare continuamente la propria realtà. La memoria di lavoro, che è una forma di memoria a breve termine, regolata dalla corteccia frontale, permette di tenere a mente un piano di lavoro e favorisce quindi la scelta delle azioni necessarie per l'obiettivo prestabilito, eseguendo la sequenza di azioni più adeguata al contesto in cui ci si trova.

I compiti in cui è richiesta la pianificazione richiedono alla persona di prevedere l'obiettivo da raggiungere, di scomporre l'azione in sotto obiettivi intermedi mettendo in sequenza successivamente le varie sotto-azioni da eseguire, mantenere tali passaggi nella memoria di lavoro e monitorare l'esecuzione del compito rispetto all'obiettivo fissato all'inizio.

La pianificazione è collegata, come accennato in qualche paragrafo precedente, anche alla Teoria della Mente. Alcuni studi hanno teorizzato come lo sviluppo di entrambe proceda in modo quasi parallelo (Atance C., O'Neill D.K., 2001). Intorno ai due anni i bambini iniziano a parlare e a proiettare il pensiero verso il futuro, ma è solo verso i quattro anni che emerge la capacità di mettere in sequenza le varie azioni necessarie per raggiungere un obiettivo, periodo in cui inizia maggiormente ad affermarsi anche la teoria della mente. Frye afferma che è fondamentale saper gestire e comprendere il ragionamento delle frasi al condizionale (se- allora) per avere un'adeguata capacità di pianificazione, correlata alla scelta della strategia e della sequenza di azioni più adatta, eliminando, inibendo le altre (Frye D., 1999). Questo permette al bambino di riflettere sul problema, riuscendo poi a dare una risposta coerente e adeguata. Ciò si collega anche con la teoria della mente, in particolare nel compito "unexpected location false belief", nel quale il bambino deve capire il luogo esatto in cui si trova l'oggetto di interesse, o un personaggio, tenendo conto degli stimoli ambientali, ricostruendo il suo piano mentale, senza farsi influenzare dal luogo in cui ci si aspetta che sia. La tipologia di pianificazione maggiormente correlata è quella legata alle funzioni esecutive, ovvero la capacità di sequenziare le azioni per raggiungere un obiettivo, non tanto la pianificazione dell'atto motorio.

Tra le strategie implicate maggiormente nella pianificazione ed esecuzione di un'azione si può affermare l'aggiornamento della memoria di lavoro, con l'inserimento di nuove informazioni in essa, la capacità di essere flessibili, passando da un tipo di comportamento ad un altro a seconda del contesto, e la capacità di inibire comportamenti inappropriati (Moran S., Gardner H., 2018). Le azioni attuate nel presente vengono eseguite tenendo conto anche delle esperienze passate, dei desideri futuri, dei valori personali, delle caratteristiche contestuali.

Per dare una risposta che sia adeguata alle caratteristiche ambientali, è necessario che ci sia un continuo aggiornamento e monitoraggio del proprio compito, della propria sequenza di azioni, in modo da poter reindirizzare il proprio agire se necessario. E' fondamentale che sia presente la consapevolezza dell'obiettivo da raggiungere e che venga attuato anche un controllo delle componenti strumentali, fisiche o inerenti al mondo degli oggetti, per verificare se sono adeguate o se è necessario trovare ulteriori strategie adeguate.

Tale funzione esecutiva riveste un ruolo fondamentale nel processo di problem solving perché è grazie all'elaborazione di un piano e delle strategie per risolvere un problema, che si riesce a far fronte ad una situazione di difficoltà. Possiamo suddividere l'atto prassico in tre categorie, dove la pianificazione rappresenta la componente di programmazione sequenziale dell'atto stesso, a cui precede la rappresentazione mentale dell'azione e segue poi l'esecuzione dell'atto prassico mediante la componente "strumentale" del corpo. La rappresentazione mentale dell'atto coincide anche con la componente ideativa dello stesso.

La valutazione strumentale viene fatta mediante alcuni test, tra i quali: Figura di Rey, torre di Hanoi, torre di Londra ( Cammisuli D., Timpano Sportiello M., Danti S., 2013; Anderson P., 2002; Mencacci C., Durbano F., Anniverno R., 2001)

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Esecuzione del movimento

Nei lobi frontali risiedono anche la funzione di controllo dell'organizzazione e dell'esecuzione del movimento; sono, inoltre, collegati anche alcuni aspetti dell'attenzione e della memoria. (Bridge Denckla M., Mahone E.M., 2018).

E' la corteccia motoria primaria, o area numero quattro di Brodmann, che provvede all'esecuzione dei movimenti, in particolare quelli più grossolani, adeguandoli al contesto ambientale; mentre nell'area premotoria, che fa parte della corteccia motoria secondaria e corrisponde all'area sei di Brodmann, vengono codificati diversi aspetti del piano motorio tra cui il controllo di movimenti che richiedono l'attivazione di più articolazioni oppure la regolazione dell'integrazione tra i due emisomi.

Nella corteccia motoria secondaria risiede anche la corteccia motoria supplementare, che è deputata al controllo della coordinazione e pianificazione dei movimenti complessi. I movimenti finomotori vengono eseguiti sotto il controllo di un circuito prefrontale-parietale. Queste aree motorie sono connesse tra di loro ma anche con aree sensoriali ed associative, tra cui la corteccia somatosensoriale e la corteccia associativa prefrontale (Svoboda K., Li N, 2018).

La corteccia motoria supplementare è collocata nella superficie mediale di ogni emisfero posta anteriormente rispetto alla corteccia motoria primaria, mentre la corteccia premotoria è situata nella superficie laterale, in modo speculare rispetto alla precedente.

Oltre all'esecuzione dei movimenti, la corteccia motoria ne regola anche la pianificazione ed il controllo. Con movimenti si fa riferimento a quelli volontari, in quanto quelli riflessi vengono eseguiti a livelli inferiori del sistema centrale, ovvero a livello del midollo spinale, dal momento che non richiedono controlli superiori.

La corteccia può essere suddivisa in aree mediante le mappe somatotopiche, nelle quali una specifica zona corticale viene collegata con il segmento corporeo che funge da effettore nel movimento: i neuroni partono dalla corteccia, il loro assone si inserisce nel midollo spinale e le giunzioni neuromuscolari sono situate a livello della zona specifica da controllare.

Appare evidente come una lesione della corteccia motoria vada a compromettere il movimento del segmento corporeo associato. Le aree corporee non sono rappresentate in base alla loro effettiva dimensione, in rapporto alle altre, ma a seconda della complessità richiesta per l'elaborazione dei movimenti collegati alle stesse (Hauk O., Johnsrude I., Pulvermuller F., 2004).

E' importante sottolineare, inoltre, che la rappresentazione muscolare a livello della corteccia motoria è ridondante e questo permette di combinare l'attivazione muscolare a seconda dell'azione da eseguire.

La corteccia motoria riceve afferenze dalla corteccia somatosensitiva primaria, dal midollo spinale e anche dalla corteccia parietale posteriore. In quest'ultima zona risiede la corteccia somatosensoriale, sito iniziale di elaborazione corticale e di percezione degli stimoli propriocettivi e somatoestesici; tale area cerebrale è in grado di identificare la sorgente del segnale sensoriale e percepirne l'intensità, discriminando anche spazialmente due stimoli proposti contemporaneamente.

Le informazioni che vengono processate nella corteccia somatosensoriale vengono poi inviate ad aree sensoriali superiori che sono adiacenti alla stessa.

I neuroni dell'area premotoria proiettano nell'area motoria ed anche direttamente nel midollo spinale, dove si collegano a quelli provenienti dalla corteccia motoria primaria. Essa, inoltre, presenta connessioni anche con la corteccia prefrontale, dove risiedono alcune delle funzioni esecutive, e con il cervelletto, il quale contribuisce alla qualità esecutiva del movimento. Si pensa che la pianificazione del movimento, inoltre, venga controllata da quest'area in quanto lesioni specifiche ad essa hanno portato a difficoltà nella pianificazione dei movimenti nello spazio.

L'immaginazione di un movimento va ad attivare le medesime aree premotorie che attiverebbe il movimento stesso; questa caratteristica può risultare fondamentale nella riabilitazione: anche solo nell'immaginazione può essere presente apprendimento.

In tale area, inoltre, risiede la funzione di ripetizione mentale di una sequenza di micromovimenti per raggiungere un obiettivo. Le aree premotorie laterali si occupano della scelta dei gesti da eseguire riferendosi ad una specifica informazione sensoriale precedentemente raccolta durante l'esplorazione dell'ambiente e l'analisi del compito da svolgere. La rappresentazione del movimento viene ricollegata sempre a questa area corticale. Le informazioni sensoriali sulle quali si basa derivano soprattutto dalla corteccia parietale posteriore, situata posteriormente rispetto alla somatosensoriale.

L'area premotoria si occupa anche di orientare i vari segmenti corporei verso l'obiettivo; per compiere ciò necessita di un continuo aggiornamento riguardo alla posizione del corpo in relazione alla meta. Questo processo di monitoraggio è fondamentale per permettere la corretta formulazione dell'atto motorio volontario e permette che le sue caratteristiche, tra cui forza e direzione, siano adeguate allo scopo.

La direzione del movimento e la forza muscolare da evocare sono fattori che vengono controllati da specifici gruppi muscolari; sono presenti, inoltre, neuroni che controllano la preprogrammazione di un'azione. Essi inviano il segnale all'effettore muscolare prima che abbia inizio il movimento. Sono inseriti nella corteccia premotoria e l'attivazione di essi in uno dei due emisferi controlla la preprogrammazione di un atto motorio che avviene nell'emisfero opposto, mentre l'attivazione simultanea e bilaterale di tali neuroni controlla un'azione che interessa entrambi gli emisferi (Li N., Chen T.W., Guo Z.V., et al., 2015).

Altri studi affermano che, in realtà, il segnale di output provenga da entrambi gli emisferi e che l'informazione non parta solamente da uno di essi, non solo per le azioni bimanuali ma anche per quelle che interessano un solo emilato. Quando uno dei due arti compie un movimento, o durante la preparazione del movimento stesso, allora anche i neuroni della corteccia ipsilaterale vengono attivati. La natura di tale caratteristica è nota, ma non è altrettanto chiara la causa; in una delle ipotesi, però, si afferma che i due emisferi della corteccia motoria processino informazioni complementari tra loro in maniera contemporanea, mentre in un'altra si sostiene che l'informazione motoria venga processata da entrambi gli emisferi in maniera parallela. Tale caratteristica non si presenta solamente nella corteccia motoria primaria, ma anche in quella secondaria e nella corteccia parietale (Ames K.C., Churchland M.M., 2019).

La preprogrammazione è importante, per esempio, per attivare una corretta prensione nella mano, in modo che essa possa afferrare adeguatamente l'oggetto. Dopo la raccolta delle informazioni sensoriali, i neuroni della corteccia premotoria vengono attivati in modo che la mano inizi il movimento avendo già un'apertura delle dita tale da permettere l'adattamento all'oggetto da prendere. Per compiere questo processo in modo adeguato è fondamentale che le afferenze siano correttamente elaborate al fine di creare una rappresentazione mentale dell'azione da eseguire in relazione all'oggetto ed anche alla posizione del corpo e dei suoi segmenti nello spazio.

Tali neuroni sono collegati anche a quelli che si attivano durante l'osservazione di un'azione compiuta da altri, quindi è possibile affermare che l'area corticale interessata viene interessata nel processo di osservazione ed esecuzione del movimento. Nell'osservazione di un'azione, in particolare, nell'uomo vengono attivati i neuroni che si trovano nella parte posteriore del giro frontale inferiore di sinistra, oppure nel giro temporale e nella corteccia occipitale, in particolare per la processazione degli stimoli visivi (Rizzolatti G., Fadiga L., Gallese V., et al., 1996).

L'esecuzione di un movimento nuovo, mai sperimentato prima, richiede l'intervento di diverse zone delle aree corticali premotorie e motorie; grazie all'apprendimento si può osservare una diminuzione del reclutamento dei neuroni attivati.

Appare evidente come l'esecuzione di un movimento volontario sia un processo molto complesso, che richiede l'attivazione di diverse aree della corteccia cerebrale, tutte strettamente collegate tra loro. E' difficile stabilire l'esatto punto di partenza per il compimento dell'atto motorio. Grazie alle numerose zone che si occupano di tale funzione, in presenza di una lesione la plasticità cerebrale fa si che comunque venga mantenuta la capacità di compiere il movimento, a discapito comunque della qualità esecutiva.

Le informazioni da un emisfero possono essere bilanciate dall'altro in presenza di lesione e la corteccia premotoria, indipendentemente da essa, svolge il ruolo di preprogrammare l'azione stessa (Li N., Daie K., Svoboda K. et al., 2016).

L'attività neuronale, in particolare della corteccia motoria, è molto rapida e gli stimoli si susseguono molto velocemente; unica differenza è data dall'attuazione dei processi che richiedono un feedback dall'ambiente, che evidentemente sono maggiormente complessi e rallentano l'abituale velocità di trasmissione delle informazioni (Li N., Daie K., Svoboda K. et al., 2016).

Nella corteccia motoria esistono diversi tipi di neuroni, tra cui quelli corticospinali, i più comuni della tipologia di neuroni piramidali presenti in tale sede. Essa può essere suddivisa in sei strati, che dal primo all'ultimo riportano la seguente nomenclatura: strato molecolare, strato granulare esterno, strato delle cellule piramidali esterne, strato granulare interno, strato delle cellule piramidali interne e strato delle cellule polimorfe e fusiformi (Sheets P.L., Shepherd G.M.G., 2011). Alcuni studi hanno dimostrato come nei livelli secondo e terzo risiedano le sinapsi in output dei circuiti della corteccia motoria e anche i siti di input dei neuroni corticospinali (Anderson C.T., Sheets P.L., Kiritani T., et al., 2010).

La corteccia premotoria non è collegata solamente ad azioni di tipo motorio ma anche a competenze cognitive, tra cui l'imitazione, la comprensione delle azioni ed anche la percezione spaziale (Rizzolatti G., Fogassi L., Gallese V., 2002). Queste caratteristiche sono fondamentali per permettere la rappresentazione mentale di un'azione, processo basilare non solo per l'esecuzione di un singolo atto motorio ma per la sequenza di più atti motori al fine di raggiungere un obiettivo. Nel progetto terapeutico è importante considerare il ruolo anche dei neuroni a specchio per cercare strategie che facilitino l'esecuzione di un'azione.

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Emiparesi spastica e pianificazione

Nel capitolo precedente ho delineato il significato di pianificazione sia nel caso delle funzioni esecutive, sia per quanto riguarda l'esecuzione del movimento; ora entrambe le concezioni della pianificazione verranno affrontate considerando l'emiparesi spastica.

Tale patologia comporta una compromissione nella rappresentazione mentale del movimento, quindi una difficoltà di partenza nell'esecuzione degli atti motori. Risultano alterate sia l'idea di azione presente a livello cognitivo che anche la struttura muscolo- scheletrica che ne permette la realizzazione. La capacità di pianificazione consiste nell'essere abili anche nell'anticipare lo scopo dell'azione adattando il movimento ad esso. Molte abilità della vita quotidiana richiedono lo svolgimento di più azioni in sequenza per raggiungere un obiettivo ed è in queste occasioni che le abilità di pianificazione del movimento diventano fondamentali.

La pianificazione del movimento è strettamente correlata con la rappresentazione del movimento stesso e ad esse è collegata anche la capacità di eseguire l'atto motorio. Ad una pianificazione eseguita in modo frammentato, corrisponde anche un movimento frammentato.

Non è possibile identificare una zona della corteccia dalla quale ha inizio il processo di programmazione dell'atto motorio a causa sia della complessità dei processi ma anche delle interconnessioni neuronali.

In soggetti sani, la corteccia presente nell'emisfero sinistro si occupa maggiormente di regolare questo aspetto dell'azione, mentre, nel caso in cui il Sistema Nervoso Centrale venisse lesionato, si è osservato che ad alterazioni neuronali dell'emisfero sinistro conseguono maggiori difficoltà nell'ambito della pianificazione rispetto a quelle che interessano l'emisfero destro; questo significa che il tipo di emiparesi spastica maggiormente coinvolta è quella destra, dal momento che le fibre muscolari che partono dalla corteccia decussano e vanno ad innervare l'emilato opposto rispetto a quello di partenza.

Nel caso della tipologia di prensione è evidente come i bambini affetti da tale emiparesi abbiano maggiori difficoltà nell'afferrare adeguatamente un oggetto, presentando tipologie di prensione qualitativamente deficitarie oppure non completamente adeguate. La modalità con cui viene afferrato un oggetto dà informazioni per quanto riguarda anche lo scopo dell'atto motorio e permette al soggetto stesso di tenere a mente l'obiettivo secondo anche una "coscienza dell'azione". I bambini con emiparesi, generalmente, programmano solamente l'inizio della prima sotto-azione che fa parte del progetto globale, non riuscendo a vedere il fine del piano dell'azione complessa, (Crajè C., Kamp J. van der, Steenbergen B, 2009).

E' come se i bambini affetti da emiparesi pianificassero passo dopo passo durante lo svolgimento dell'azione, non riuscendo a pianificare già inizialmente e ad orientare da subito l'azione verso l'obiettivo finale.

L'attenzione, invece di essere rivolta verso il target finale, è concentrata sulla raccolta delle informazioni sensoriali che sono fondamentali per la pianificazione del movimento. Il controllo visivo è molto importante per l'efficacia dell'esecuzione motoria, ma questo va in contrasto con la funzione esecutiva: il bambino non riesce a tenere a mente l'obiettivo da raggiungere alla fine della sequenza di azioni, ma si focalizza su un obiettivo intermedio oppure sull'azione iniziale (Steenbergen B., Gordon A.M., 2006).

Il tipo di forza esercitato nella prensione di un oggetto dipende anche dall'immagine interna dell'oggetto stesso, creata usando sia le informazioni sensoriali visive sia quelle ricavate dalle esperienze pregresse rinvenute grazie alla memoria. Nei casi di emiparesi, con la mano paretica, i bambini riescono a considerare l'aspetto della forza prima di iniziare l'azione, adattando così le dita, solamente dopo diverse esperienze di manipolazione dell'oggetto stesso. L'intervento della mano non compromessa, inoltre, permette di migliorare la performance esecutiva, e quindi anche la pianificazione dell'atto motorio, in quanto mediante essa vengono ricavate maggiori informazioni riferite all'oggetto, come se tali informazioni passassero da una mano all'altra. Possiamo affermare, quindi, che l'alterazione nella programmazione dell'atto motorio sia strettamente influenzata dalle difficoltà nella rappresentazione mentale delle caratteristiche fisiche dell'oggetto da afferrare, ma dipende anche dalla difficoltà dell'integrazione delle informazioni sensoriali con quelle dirette in efferenza alla muscolatura per l'esecuzione del movimento nell'emisfero compromesso.

Nell'afferrare un oggetto la pianificazione del movimento non è rivolta solamente alla mano o alle mani, ma anche a tutto il corpo, in quanto anche la postura deve essere orientata a seconda dello scopo da raggiungere; in alcuni casi, infatti, i bambini presi in considerazione all'interno dello studio, si concentravano maggiormente sul pianificare il movimento del segmento distale dell'arto superiore non considerando a sufficienza quello prossimale, arrivando così alla fine del movimento assumendo una postura non favorevole.

Tenendo in considerazione le difficoltà nel mantenere in memoria le sequenze motorie, nella riabilitazione di questa facoltà nell'emiparesi spastica, può essere utile proporre più momenti, anche di breve durata, in cui viene favorita l'imitazione rispetto a proporre una sola attività prolungata nel tempo.

Le differenze tra i vari bambini, riferite alla pianificazione, sono strettamente individuali e non sembrano avere correlazione con la severità della paralisi o con il livello di quoziente intellettivo: sono i fattori personali ad incidere maggiormente a parità dei due fattori appena citati.

Non è possibile correlare in modo preciso eventuali deficit cognitivi con le difficoltà nella pianificazione, ma appare ovvio che è necessaria la possibilità di accedere a processi cognitivi superiori affinché tale capacità risulti adeguata. Considerando la patologia neuromotoria, la presenza di un'alterazione cognitiva andrebbe ad aggravare maggiormente le difficoltà già evidenti a causa della limitazione muscolo-scheletrica, della non efficace percezione degli stimoli sensoriali e anche della presenza di una lesione neuronale (Steenbergen B., Jongbloed-Perboom M., Spruijt S., et al., 2013).

Come affermato in precedenza, le limitazioni che sono conseguenti alla lesione presente in un emisfero, non sono causate solamente dal sistema muscolare e scheletrico, ma sono dovute anche alle difficoltà nella pianificazione del movimento (Crajè C., Kamp J. van der, Steenbergen B, 2009). Le informazioni visuopercettive sono fondamentali per iniziare il processo di pianificazione: vengono raccolte dalla corteccia somatosensoriale e poi, in base ad esse, viene creata una risposta motoria; la corteccia visiva, quindi, è fondamentale per la pianificazione.

La difficoltà nella pianificazione delle azioni ha come principale conseguenza quella di intaccare il livello di autonomia riferito alle attività della vita quotidiana (Steenbergen B., Verrel J., Gordon A.M., 2007).

Studi eseguiti con la Risonanza Magnetica Funzionale permettono di osservare come l'area fronto-parietale bilaterale venga attivata nei compiti che richiedono la pianificazione. L'attivazione avviene senza difficoltà per i pazienti affetti da emiparesi sinistra, che presentano quindi una lesione all'emisfero destro; mentre per chi presenta un'alterazione della sostanza neurale a destra, l'attivazione dell'area precedente risulta molto deficitaria.

La pianificazione risulta deficitaria non solo a livello dell'emilato compromesso, ma anche in quello sano.

Come un circolo vizioso, una corretta rappresentazione mentale di un atto motorio è permessa dall' esperienza dell'atto stesso e anche dalle capacità motorie necessarie per eseguirlo; la rappresentazione, poi, favorisce anche un'adeguata pianificazione e quindi anche una risposta motoria ad uno stimolo ambientale più efficace possibile. La rappresentazione del movimento si può definire come l'atto di immaginare di eseguire un movimento mediante la memoria di lavoro. Tale attività prevede l'attivazione di diverse aree encefaliche dell'emisfero sinistro: l'area motoria supplementare, la corteccia premotoria dorsale, il giro sopramarginale, il lobo parietale superiore, la corteccia cingolata e la regione cerebellare. (Chinier E., N'Guyen S., Lignon G., et al., 2014).

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