LA SINDROME DELL'X FRAGILE e IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO

Prima parte: Inquadramento teorico

  1. A SINDROME DELL'X FRAGILE
    1. 1.1 Sintomi e Caratteristiche
    2. 1.2 La Diagnosi
    3. 1.3 Interazione e Integrazione tra Progetto educativo e terapeutico
  2. IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO
    1. 2.1 Inquadramento Diagnostico
    2. 2.2 Epidemiologia e Eziopatogenesi
    3. 2.3 Diagnosi Differenziale
    4. 2.4 Le Basi Neurobiologiche del Distrubo dello Spettro Autistico
    5. 2.5 Interazione e Integrazione tra Progetto terapeutico ed educativo
    6. 2.6 Il Disturbo dello Spettro Autistico nella Sindrome X Fragile

INDICE PRINCIPALE 

  

INDICE

LA SINDROME DELL’X FRAGILE

La Sindrome dell’X Fragile è una condizione genetica ereditaria ed è causa di disabilità cognitiva, problemi di apprendimento e relazionali.

Si presenta sia nei maschi che nelle femmine e i sintomi si manifestano in maniera più evidente nei maschi. L’incidenza è stimata in 1 caso su 4000 maschi e 1 su 7000 femmine.

Dal 2001 è inclusa nell’elenco delle malattie rare stilato dal Ministero della Salute, che secondo la definizione italiana ed europea indica quelle che si manifestano in meno di 5 casi ogni 10.000.

La sindrome è stata descritta per la prima volta nel 1943 da Martin e Bell, ma solo negli anni Settanta divenne chiaro che la presenza di queste caratteristiche poteva essere ereditaria. Le basi molecolari della sindrome vennero scoperte nel 1991 quando un ricercatore di nome Verkerk e i suoi collaboratori riuscirono a isolare il gene che viene colpito dalla mutazione, il gene FMR1 posizionato sul braccio lungo del cromosoma X che presenta una rottura, da cui la definizione di “X Fragile”.

Sintomi e Caratteristiche

I sintomi e le caratteristiche delle persone con Sindrome X Fragile sono molto variabili, ma si possono suddividere in tre ambiti principali: cognitivo, comportamentale, fisico.

Dal punto di vista cognitivo si possono riscontrare: disabilità intellettiva, difficoltà di apprendimento, ritardo nello sviluppo del linguaggio, difficoltà di comunicazione, difficoltà ad organizzare le informazioni e a reagire ad esse in modo efficace, difficoltà nelle abilità motorie fini e grossolane.

A livello comportamentale si possono evidenziare: iperattività o disturbo dell’attenzione, ansia e timidezza, difficoltà a mantenere il contatto visivo, comportamento di tipo autistico, discorsi ripetitivi, aggressività, disagio ad essere toccati, scarso senso dell’equilibrio.

Caratteristiche tipiche a livello fisico possono essere: ipotonia, iperestensibilità delle giunture, viso stretto e allungato, fronte e mandibole prominenti, orecchie larghe e sporgenti, testicoli grandi nei maschi (macroorchidismo), piedi piatti, frequenti otiti, prolasso della valvola mitrale.

Tali sintomi possono presentarsi isolati e con intensità variabile.

La Diagnosi

La diagnosi della Sindrome X-Fragile avviene attraverso l’analisi di un prelievo di sangue che può essere eseguito in strutture specializzate.

La diagnosi molecolare della Sindrome X Fragile è una diagnosi diretta che analizza il gene responsabile o gene-malattia. Lo scopo è quello di individuare e definire con estrema accuratezza espansioni abnormi della regione di triplette ripetute CGG e caratterizzare lo stato di metilazione, e quindi lo stato funzionale del gene FMR1. Per rispondere a questi due quesiti è consigliato l’uso combinato di due tecniche: PCR e Southern blot.

Ad oggi la diagnosi può avvenire in epoca prenatale con indagini atte ad indagare lo stato di salute dell’embrione e del feto. La diagnosi prenatale di Sindrome X Fragile viene proposta, secondo quanto indicato dalle linee guida internazionali, a donne per le quali sia stato precedentemente accertato lo stato di portatrice di premutazione e/o mutazione completa FMR1.

L’analisi molecolare X Fragile viene eseguita su DNA estratto da amniociti o villi coriali, ottenuti con procedure invasive quali amniocentesi o villocentesi. L’amniocentesi, prelievo di liquido amniotico, viene eseguita tra la 15° e la 19° settimana di gravidanza. Prima di poter eseguire l’indagine, gli amniociti presenti nel campione prelevato vengono isolati e messi in coltura per 10/15 giorni; questo tempo di latenza, che sposta ulteriormente il momento della diagnosi, rappresenta lo svantaggio relativo di tale procedura. La villocentesi è la tecnica che consente il prelievo di villi coriali, porzione di placenta di origine fetale. Questo esame si effettua tipicamente tra la 9° e la 12° settimana di gestazione; il materiale prelevato non necessita di coltura, e ciò implica che il risultato del test genetico possa essere ottenuto in epoca più precoce rispetto all’amniocentesi. Per la diagnosi di mutazioni del gene FMR1 tuttavia l’epoca di esecuzione della villocentesi viene frequentemente ritardata per permettere di studiare l’eventuale componente di metilazione di una mutazione che risulta difficilmente apprezzabile prima del compimento della 12° settimana gestazionale.

La diagnosi genetica pre-impianto è una tecnica eseguita al terzo giorno dalla fecondazione, su embrioni allo stadio di 7/8 cellule. Identifica alterazioni genetiche di origine paterna o materna. Gli embrioni, ottenuti con fecondazione in vitro, vengono sottoposti a biopsia mediante la quale una o due cellule vengono rimosse e analizzate per una specifica malattia genetica. Se il DNA estratto dalla cellula non presenta l’alterazione specifica, l’embrione risulta non affetto; in questo caso l’embrione viene trasferito in utero ed inizia la gravidanza.

Una diagnosi di Sindrome dell'X Fragile o l’attestato di certificazione di disabilità, prevista dalla legge 104 del 1992, può consentire al bambino di usufruire di servizi di sostegno e di un piano educativo individualizzato e personalizzato.

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Interazione e Integrazione tra Progetto educativo e terapeutico

Un trattamento precoce prevede diversi interventi rivolti al bambino, come logopedia, terapia neuropsicomotoria, terapia occupazionale e terapia comportamentale, sempre in un’ottica multidisciplinare. Nelle sedute di valutazione si è osservato il gioco spontaneo del bambino determinandone punti di forza e di debolezza, i suoi bisogni e i suoi interessi. Solo successivamente è stato stilato il progetto terapeutico indicando gli obbiettivi di trattamento con le specifiche strategie, e stabilendo i futuri interventi riabilitativi basati sulle esigenze di cui il bambino ha bisogno in quel preciso momento.

Le famiglie sono parte integrante dello sviluppo di un bambino e la loro partecipazione attiva alle decisioni relative alla valutazione, all'intervento e ai servizi dei propri figli è cruciale. Per prendere decisioni informate l’equipe riabilitativa deve fare in modo di instaurare con la famiglia una relazione basata sulla fiducia e il rispetto, e fornire informazioni complete e imparziali.

Tra gli interventi riabilitativi consigliati per il bambino con Sindrome X Fragile troviamo la terapia neuropsicomotoria, che attraverso il gioco stimola l’apprendimento e un miglioramento dell’attenzione, della memoria, di problem solving. Le strategie messe in campo hanno l’obiettivo di promuovere la relazione adulto-bambino, attraverso interazioni faccia-faccia e attività che catturino l’attenzione del bambino.

Anche l’intervento logopedico riveste un ruolo importante sul potenziamento delle capacità del bambino di comprendere e utilizzare il linguaggio in modo efficace. Le strategie principali per i bambini piccoli con Sindrome X Fragile devono avere l’obiettivo di incoraggiare qualsiasi forma di comunicazione spontanea, sia questa verbale o non verbale. Uno strumento utile in questo campo è rappresentato dalla comunicazione alternativa aumentativa (CAA), metodo di comunicazione basato su immagini.

Tra gli interventi viene anche raccomandata la terapia occupazionale che utilizza la valutazione e il trattamento per sviluppare, recuperare o mantenere le competenze della vita quotidiana, affrontando anche l’aspetto dell’elaborazione sensoriale. I bambini con Sindrome X Fragile spesso sperimentano difficoltà sensoriali che possono interferire con la loro capacità di partecipare e apprendere nuove abilità. Queste difficoltà sensoriali spesso sono correlate a una scarsa regolazione di base dei cicli sonno/veglia, difficoltà di alimentazione e svuotamento e il terapista occupazionale può aiutare nella valutazione e nel trattamento di queste esigenze proponendo supporti ambientali, interazionali e la terapia diretta.

Tra gli interventi comportamentali per i bambini con Sindrome X Fragile potrebbero essere presi in considerazione, dopo un’attenta valutazione, servizi ABA e il modello Early Start Denver. In un recente studio[1], il seguente modello è stato valutato potenzialmente positivo per il coaching dei genitori per migliorare il comportamento e le abilità dei loro figli con Sindrome X Fragile.

A questi precedenti interventi possiamo associare il trattamento farmacologico, con stimolanti per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività; inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina per ansia, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo; agenti antipsicotici atipici per autolesionismo e comportamenti aggressivi. Sono in fase di studio nuovi trattamenti mirati per la FXS (gli antagonisti dei recettori mGluR5, gli agonisti dei recettori GABA-A e GABA-B e la minociclina), che potrebbero modificare il decorso della Sindrome dell’X fragile e migliorarne la prognosi.

Dato che l’approccio riabilitativo ha carattere multidisciplinare, anche l’ambito educativo sarà parte integrante del progetto riabilitativo del bambino con l’obiettivo di sostenere uno sviluppo armonico.

Questa complementarietà tra dimensione educativa e terapeutica ha indirizzato e trasformato le prime esperienze di inserimento scolastico verso un processo di reale integrazione e inclusione di bambini con problematiche comunicativo-interattive. Bisogna tenere in considerazione le condizioni di benessere psico-pedagogico, cioè considerare la crescita del bambino nella sua globalità, riconoscere la qualità genitoriale per sostenerla e stimolarla, tutelare le capacità ideative, progettuali e attuative degli operatori attraverso una dimensione formativa permanente, cogliere gli aspetti di mutamento e di sostenere la produzione di nuove domande da parte sia degli operatori sia dei genitori. In quest’ultimo caso acquistano rilevanza le supervisioni.

Esistono dei principi guida che possono aiutare nel rendere veramente efficace l’integrazione tra progetto terapeutico e riabilitativo: tutti gli attori del progetto famiglia inclusa devono essere a conoscenza delle procedure, le diverse figure professionali devono essere informate sulle modalità operative che ciascuno intende utilizzare definendo il proprio ruolo e in particolare quale compito gli è stato affidato o intende assumere. Ulteriori principi guida riguardano il ruolo e la specificità delle funzioni che devono essere tutelati, le varie fasi operative vanno documentate in modo che rimanga una traccia evidente dei passaggi effettuati e sia possibile ricostruire gli accadimenti passati, la scansione dei tempi di realizzazione del progetto devono essere il più possibile definiti.

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IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO

Inquadramento Diagnostico

L’autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, biologicamente determinato, con esordio nei primi 3 anni di vita. I criteri diagnostici secondo il DSM-5 sono:

A. Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, come manifestato dai seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:

  1. Deficit della reciprocità socio-emotiva
  2. Deficit dei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale
  3. Deficit dello sviluppo, della gestione e della comprensione delle relazioni

B. Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:

  1. Movimenti, uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi (per es., stereotipie motorie semplici, mettere in fila giocattoli o capovolgere oggetti, ecolalia, frasi idiosincratiche).
  2. Insistenza nella sameness (immodificabilità), aderenza alla routine priva di flessibilità o rituali di comportamento verbale o non verbale (per es., estremo disagio davanti a piccoli cambiamenti, difficoltà nelle fasi di transizione, schemi di pensiero rigidi, saluti rituali, necessità di percorrere la stessa strada o mangiare lo stesso cibo ogni giorno).
  3. Interessi molto limitati, fissi che sono anomali per intensità o profondità (per es., forte attaccamento o preoccupazione nei confronti di oggetti insoliti, interessi eccessivamente circoscritti o perseverativi).
  4. Iper- o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente (per es., apparente indifferenza a dolore/temperatura, reazione di avversione nei confronti di suoni o consistenze tattili specifici, annusare o toccare oggetti in modo eccessivo, essere affascinati da luci o da movimenti).

C. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo (ma possono non manifestarsi pienamente prima che le esigenze sociali eccedano le capacità limitate, o possono essere mascherati da strategie apprese in età successiva).

D. I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

E. Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) o da ritardo globale dello sviluppo. La disabilità intellettiva e il disturbo dello spettro dell’autismo spesso sono presenti in concomitanza; per porre diagnosi di comorbilità di disturbo dello spettro dell’autismo e di disabilità intellettiva, il livello di comunicazione sociale deve essere inferiore rispetto a quanto atteso per il livello di sviluppo generale.

Per il disturbo dello spettro dell’autismo associato a una condizione medica o genetica nota o a un fattore ambientale, o ad altro disturbo del neurosviluppo, mentale o del comportamento, bisogna indicare “disturbo dello spettro dell’autismo associato a (nome della condizione, disturbo o fattore)” (per es., disturbo dello spettro dell’autismo associato a sindrome di Rett). La gravità dovrebbe essere registrata in base al livello di supporto richiesto per ciascuno dei due ambiti psicopatologici (per es., “è necessario un supporto molto significativo per i deficit della comunicazione sociale ed è necessario un supporto significativo per i comportamenti ristretti, ripetitivi”).

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Epidemiologia e Eziopatogenesi

L’autismo sembra presentare una prevalenza di sesso, in quanto colpisce i maschi in misura di 3-4 volte superiore rispetto alle femmine, ma nessuna prevalenza di tipo geografico e/o etnico. Una prevalenza di 10-13 casi per 10.000 sembra la stima per le forme classiche di autismo, saliamo del 40-50 casi per 10.000 se consideriamo tutti i disturbi dello spettro autistico. Vanno comunque condotti ulteriori studi in relazione agli aumenti di prevalenza delle patologie autistiche che in questi ultimi tempi sono stati segnalati soprattutto dai paesi anglofoni e che porterebbero la prevalenza a 90 casi per 10.000. Questi dati devono essere confrontati con quelli che si possono ricavare dai servizi di Neuropsichiatria Infantile delle regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, che indicano una presa in carico di minori con diagnosi di autismo rispettivamente di 25 casi per 10.000 e di 20 casi per 10.000[2].

Le cause dell’autismo sono a tutt’oggi sconosciute. Va considerato che l’autismo si configura come la via finale comune di situazioni patologiche di svariata natura e con diversa eziologia. In base alle attuali conoscenze, l’autismo è una patologia psichiatrica con un elevato tasso di ereditarietà e con una significativa concordanza nei gemelli monozigoti: il rischio di un altro bambino con autismo è 20 volte più elevato rispetto alla popolazione generale se si è già avuto un figlio affetto. Ciò nonostante, non si conosce ancora il percorso eziopatogenetico che conduce allo sviluppo dei quadri di autismo; la ricerca si è orientata ad indagare il ruolo dei fattori genetici, rispetto ai fattori ambientali o di interazione gene-ambiente, focalizzandosi sullo studio del cervello, soprattutto attraverso le tecniche di neuroimaging, strumentale e funzionale. I dati finora raccolti hanno dimostrato una forte eterogeneità e complessità nella eziologia genetica e l’identificazione di percorsi cellulari o molecolari, possibile grazie alle nuove tecnologie, consente di avanzare ipotesi sull’origine del disturbo e nell’insieme non fornisce al momento elementi di certezza sulle cause.

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Diagnosi Differenziale

Nella Sindrome di Rett l'interruzione dell'interazione sociale può essere osservata durante la fase regressiva (tipicamente tra 1 e 4 anni di età); quindi, una percentuale sostanziale di ragazze giovani affette può avere una sintomatologia che soddisfa i criteri diagnostici per il disturbo dello spettro autistico. Tuttavia, dopo questo periodo, la maggior parte delle persone con sindrome di Rett migliora le proprie capacità di comunicazione sociale e le caratteristiche autistiche non sono più una delle principali aree di preoccupazione. Di conseguenza, il disturbo dello spettro autistico dovrebbe essere considerato solo quando tutti i criteri diagnostici sono soddisfatti.

Nel mutismo selettivo il bambino affetto di solito mostra adeguate capacità di comunicazione in determinati contesti e ambienti. Anche in ambienti in cui il bambino è muto, la reciprocità sociale non è compromessa, né sono presenti modelli di comportamento limitati o ripetitivi.

In alcune forme di disturbo del linguaggio, possono esserci problemi di comunicazione e alcune difficoltà sociali secondarie. Tuttavia, il disturbo del linguaggio specifico non è solitamente associato ad anomalie di comunicazione non verbale, né con la presenza di modelli di comportamento, interessi o attività limitate e ripetitive. Quando un individuo mostra un deficit nella comunicazione sociale e nelle interazioni sociali ma non mostra comportamenti o interessi limitati e ripetitivi, possono essere soddisfatti i criteri per il disturbo della comunicazione sociale (pragmatico), invece del disturbo dello spettro autistico. La diagnosi del disturbo dello spettro autistico sostituisce quello del disturbo della comunicazione sociale (pragmatico) ogni volta che i criteri per il disturbo dello spettro autistico sono soddisfatti, e si dovrebbe prestare attenzione a indagare attentamente sul comportamento limitato/ ripetitivo passato o attuale.

La disabilità intellettiva senza disturbo dello spettro autistico può essere difficile da differenziare dal disturbo dello spettro autistico nei bambini molto piccoli. Anche gli individui con disabilità intellettiva che non hanno sviluppato abilità linguistiche o simboliche rappresentano una sfida per la diagnosi differenziale, poiché spesso si verificano comportamenti ripetitivi anche in tali individui. Una diagnosi di disturbo dello spettro autistico in un individuo con disabilità intellettiva è appropriata quando la comunicazione e l'interazione sociale sono significativamente compromesse rispetto al livello di sviluppo delle abilità non verbali dell'individuo (ad esempio, abilità motorie fini, risoluzione dei problemi non verbali). Al contrario, la disabilità intellettiva è la diagnosi appropriata quando non c'è apparente discrepanza tra il livello delle abilità socio-comunicative e altre abilità intellettuali.

Le stereotipie motorie sono tra le caratteristiche diagnostiche del disturbo dello spettro autistico, quindi non viene fornita una diagnosi aggiuntiva di disturbo del movimento stereotipato quando tali comportamenti ripetitivi sono meglio spiegati dalla presenza del disturbo dello spettro autistico. Tuttavia, quando le stereotipie causano autolesionismo e diventano il fulcro del trattamento, entrambe le diagnosi possono essere appropriate.

Le anomalie dell'attenzione (eccessivamente concentrate o facilmente distratte) sono comuni negli individui con disturbo dello spettro autistico, così come l'iperattività. Una diagnosi di disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) dovrebbe essere presa in considerazione quando le difficoltà di attenzione o l'iperattività eccedono quella tipica osservata in individui di età mentale paragonabile.

La schizofrenia con esordio infantile di solito si sviluppa dopo un periodo di sviluppo normale o quasi normale. È stato descritto uno stato prodromico in cui si verificano deficit sociali e interessi e convinzioni atipici, che potrebbero essere confusi con il deficit sociali osservati nel disturbo dello spettro autistico. Allucinazioni e deliri, che definiscono le caratteristiche della schizofrenia, non sono caratteristiche del disturbo dello spettro autistico.

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Le Basi Neurobiologiche del Disturbo dello Spettro Autistico

Il processo di crescita psicologica della persona si realizza grazie ad un interscambio continuo fra fattori genetici e ambientali. I fattori genetici rappresentano le spinte “interne” del soggetto che lo portano ad agire: fra queste nel neonato troviamo la pulsione sociativa che permette all’individuo di entrare in relazione con gli altri. I fattori ambientali nei primi anni di vita sono invece rappresentati dall’universo materno, che racchiude in sé una serie di stimoli con valenza emozionale e relazionale. Il carattere “innato” di tale predisposizione, induce a ritenere la presenza, già alla nascita, di una specifica struttura anatomica e funzionale: un ruolo determinante viene svolto dall’amigdale e dall’ossitocina. A partire dalla nascita il neonato mostra un repertorio di comportamenti che con il tempo si arricchisce di nuove modalità espressive: fissazione, inseguimento visivo, imitazione, sorriso sociale. Tali comportamenti non sono intenzionali, ma rappresentano un esercizio spontaneo di riflessi, e le risposte dell’ambiente finiscono per conferire loro un’intenzionalità che prima non avevano. Emblematica, a questo proposito, è l’imitazione precoce, cioè la capacità del neonato di imitare espressioni mimiche: l’aspetto eccezionale è che il neonato non può effettuare un confronto visivo diretto fra il proprio volto e quello dell’adulto. Tutto questo è reso possibile dalla dotazione innata di un sistema particolare: quello dei neuroni specchio. Partendo dalle prime esperienze di imitazione il bambino comincia a sistematizzare le informazioni che raccoglie, le organizza e giunge alla presa di coscienza del volto e delle modifiche dei tratti distintivi che lo caratterizzano. Con l’acquisizione del concetto di identità, il bambino impara che esiste un insieme di dati percettivi i quali costituiscono il volto umano. Inoltre, il bambino impara che uno stesso volto può assumere configurazioni percettive diverse, ciascuna delle quali ha uno specifico significato. Le strutture encefaliche implicate nel riconoscimento del volto e delle espressioni facciali sono il giro fusiforme-solco temporale superiore-amigdala. La creazione di questa connessione permette al lattante di acquisire prima la capacità di individuare il volto, poi di leggere le differenze tra le espressioni facciali, ed infine di attribuire a ciascuno espressione un’emozione corrispondente. Nel bambino autistico si attivano circuiti diversi: non si osserva un’attivazione del sistema premotorio dei neuroni specchio, ma si riscontra un‘ipoattivazione di insula e amigdala con iperattivazione della corteccia visiva. Nel corso dello sviluppo il soggetto impara a raccogliere dall’ambiente dati sociali in maniera sempre più completa; attraverso la cognizione sociale il bambino acquisisce la capacità di riconoscere gli stati mentali quali organizzatori del comportamento proprio ed altrui, la sua acquisizione e comprensione richiede molto tempo e prende il suo avvio nel primo anno di vita. A questa definizione viene associata la Teoria della Mente che permette di capire le situazioni sociali e scegliere in comportamenti più idonei adeguati al contesto. Nel Disturbo dello Spettro Autistico è possibile ipotizzare la presenza di una menomazione “congenita” a carico di strutture e funzioni che permettono la realizzazione, già alla nascita, dei comportamenti di curiosità sociale e di disposizione ad agire ed interagire con l’altro. In particolare, molte ricerche tendono ad enfatizzare menomazioni a carico dell’amigdala e/o menomazioni che vedono coinvolti mediatori chimici quali ossitocina, dopamina, serotonina e vasopressina. Considerando il ruolo svolto dal giro fusiforme, dal solco temporale superiore e dell’amigdala è stata ipotizzata una menomazione funzionale a carico delle connessioni tra queste suddette strutture. La menomazione non riguarderebbe le strutture in sé stesse, ma le connessioni intra- e inter-emisferiche che le legano in una rete altamente funzionale. Il sistema dei neuroni specchio permetterebbe l’imitazione di espressioni mimiche attraverso le quali il soggetto procederebbe alla codifica dell’emozione corrispondente. Questo sistema, pertanto, favorirebbe le esperienze di sintonizzazione mimico-posturale, prima, e di sintonizzazione emozionale, dopo. È stato ipotizzato che un deficit congenito del sistema dei neuroni specchio può porsi come base interpretativa di una serie di sintomi autistici nelle fasi precoci dello sviluppo.

Nel primo anno di vita un'altra competenza visibile nel bambino è l’attenzione condivisa, situazione in cui due persone rivolgono la loro attenzione su uno stesso fuoco di interesse. I comportamenti con cui si realizza sono rappresentati da: triangolazione dello sguardo (guardare l’altro- l’oggetto/evento-riguardare l’altro), stendere il braccio, indicare con il dito, porgere, mostrare. In particolare sono riconoscibili la motivazione sociale che porta a prediligere l’altro come oggetto di polarizzazione attentiva, la consapevolezza sociale che porta il bambino a comprendere l’altro come agente mentale dotato di interessi e comportamenti verso l’altro, la comunicazione sociale cioè la capacità di utilizzare codici comunicativi. Molti gruppi di ricerca tendono a riconoscere in un deficit di attenzione condivisa la “causa” che sostiene molti dei comportamenti autistici. In particolare, nella fascia di età compresa fra i 2-4 anni il quadro sintomatologico si esprime con un fenotipo comportamentale prototipico: il bambino non parla, non sente, preferisce giocare da solo. Nei bambini con disturbo dello spettro autistico possiamo evidenziare disturbi e alterazioni della percezione sensoriale: vista, tatto, olfatto, gusto, udito, propriocezione e sistema vestibolare. Possiamo osservare tre aspetti della cattiva processazione sensoriale: l’input sensoriale non viene registrato correttamente e il bambino presta poca attenzione ad alcune cose mentre ad altre reagisce in modo eccessivo; difficoltà a modulare l’input sensoriale, in particolare le sensazioni tattili e vestibolari; la parte del cervello che gli fa desiderare di compiere delle azioni nuove e diverse non opera correttamente portando il bambino a manifestare comportamenti ripetitivi ed interessi ristretti. C’è un’area del cervello nel sistema limbico che “decide” quale input sensoriale deve essere registrato e portato alla nostra attenzione. Quest’area, deputata all’apprendimento, alla memoria, all’emozione e al comportamento, non funziona correttamente nel bambino autistico. Questo sistema è anche deputato all’apprendimento figurativo e associativo, fondamentale per l’integrazione sensoriale e la generalizzazione delle informazioni che portano allo sviluppo di capacità cognitive e di astrazione. Alcune atipicità si osservano anche al cervelletto e nei suoi circuiti, la cui funzione è quella di modulatore di funzioni cognitive e affettive del cervello. Inoltre, è stato scoperto che la regione postero-inferiore della corteccia cerebrale, con cui comunica direttamente al nucleo vestibolare del tronco encefalico, è significativamente atipica e potrebbe spiegare la disfunzione vestibolare presente nel Disturbo dello Spettro Autistico. Sono state riscontrate ulteriori anomalie anche a livello di tronco encefalico e in varie regioni della corteccia cerebrale[3]. In generale gli esperti3 di autismo tendono a suddividere le persone autistiche con problemi sensoriali in tre categorie: possiamo osservare soggetti con disturbo dello spettro autistico che ricercano continuamente sensazioni; soggetti con iperreattività sensoriale che sono estremamente sensibili agli input; soggetti con iporeattività sensoriale che manifestano una reazione debole o nessuna reazione a stimoli comuni. L’iporeattività e l’iperreattività sono due comportamenti diversi di reagire agli stimoli sensoriali, la cui causa è il sovraccarico sensoriale.

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Interazione e Integrazione tra Progetto terapeutico ed educativo

Una diagnosi precoce o l’individuazione di sintomi precoci, consente di accedere ad interventi terapeutici personalizzati, tempestivi ed efficaci nel ridurre l’impatto del disturbo sullo sviluppo globale, individuare e sostenere le potenzialità del bambino, contrastando l’eventuale acquisizione di comportamenti disfunzionali, sostenendo le autonomie anche in famiglia e a scuola. La diagnosi implica il coinvolgimento di un’equipe multidisciplinare (NPI, TNPEE, logopedista, educatore). Le fasi di una presa in carico efficace sono rappresentate dall’anamnesi, dalle osservazioni cliniche e dalla restituzione.

L’anamnesi deve tenere conto di alcuni campanelli d’allarme, in particolare in relazione alla consanguineità e alla presenza di autismo o altre condizioni cliniche associate assimilabili in famiglia. In merito a quest’ultimo aspetto, particolare attenzione va riservata ai fratelli e ai loro stili comportamentali, qualora indicativi di difficoltà nella relazione, comunicazione, presenza di interessi bizzarri e ripetitivi. Per quanto concerne le notizie riferite al periodo prenatale e al parto vanno raccolti dati relativi a segni di alterazioni della vita fetale. Risulta di fondamentale importanza la conoscenza delle tappe di sviluppo del bambino e delle modalità di organizzazione delle principali competenze adattive. Particolare riferimento merita il racconto dei genitori rispetto alle abitudini alimentari del bambino, il ritmo sonno-veglia, gli aspetti temperamentali e a come questi elementi vengono vissuti all’interno della giornata. Una sezione dell’anamnesi viene dedicata alla storia medica, al fine di individuare la presenza di segni e sintomi indicativi di disturbi specifici. Tutte le notizie riferite alle caratteristiche del quadro clinico completano la raccolta anamnestica, a cui segue l’esame medico.

L’osservazione neuropsicomotoria, svolta dal TNPEE in un clima relazionale rassicurante, permette di cogliere le caratteristiche espressive del bambino e rilevare ulteriori dati a completamento del quadro diagnostico funzionale. La diagnosi non può prescindere dall’utilizzo di scale diagnostiche specifiche per il disturbo dello spettro autistico, come CARS, ADOS-2, ABC, M-CHART. L’intervista maggiormente utilizzata a livello internazionale è l’ADI-R per ottenere informazioni sul comportamento del bambino su tre aree di funzionamento: linguaggio e comunicazione, interazione sociale reciproca, comportamenti stereotipati e interessi ristretti. Durante tutto il processo diagnostico i genitori sono soggetti attivi, partecipando a sedute e colloqui, ciononostante il momento della comunicazione della diagnosi è delicato e doloroso e l’equipe si pone come punto di riferimento. È necessario fornire informazioni chiare rispetto alla diagnosi, alle caratteristiche specifiche del quadro clinico, al profilo di sviluppo del bambino e al progetto terapeutico. Risulta molto utile rilevare i punti di forza e le competenze emergenti del paziente, per favorire la costruzione di rappresentazioni genitoriali dinamiche e a riattivare un’aspettativa di cambiamento sullo sviluppo del bambino.

La presa in carico, dopo il momento della valutazione, prosegue con la definizione dell’intervento riabilitativo che si basa su principi fondamentali[4] primo fra tutti quello dell’integrazione di professioni e persone che con ruoli diversi accompagnano il bambino nel suo percorso di crescita. L’approccio integrato rappresenta un lavoro di equipe, in cui ogni operatore è facilitatore nel costruire una rete tra i singoli sistemi implicati nella relazione di aiuto, il tutto all’interno di un processo il cui fine è quello di generare autonomia sia nel bambino che negli operatori. In relazione ai fattori ambientali, il modello ICF-CY dà grande importanza a tutti gli elementi che “formano il contesto di vita di un individuo e hanno un impatto fondamentale sul funzionamento della persona” (OMS, 2007, p. 213). La necessità di un approccio integrato viene inoltre sostenuto nel documento Bioetica e Riabilitazione[5] in cui si pone l’accento sul concetto di condivisione, fiducia, aiuto tra le persone impegnate nel percorso riabilitativo. Le strategie terapeutiche ed educative devono nascere da un’alleanza riabilitativa alimentata dal dialogo continuo e dalla collaborazione reciproca tra tutti i soggetti coinvolti. Facilitare la costruzione di reti consente di esplorare i diversi livelli di complessità del Disturbo Spettro Autistico e di porre attenzione alle barriere e alle facilitazioni, ai limiti e alle risorse presenti nel contesto di vita del bambino. I modelli di intervento non devono essere importati in modo acritico, ma bisogna capire in quali contesti questi strumenti siano nati e ragionare sull’efficacia che possono avere sul bambino. Gli interventi rispondono ad esigenze personali del bambino, quindi è fondamentale che siano personalizzati. All’interno della terapia neuropsicomotoria, per fornire al bambino suggerimenti visivi e seguire una ruotine e un programma prevedibile, la costruzione di un setting che sia stabile, regolare e coerente risulta fondamentale. All’interno della stanza i materiali presenti saranno poco strutturati (cuscini, teli, materassi) per consentire e facilitare l’accesso al bambino ad esperienze di attivazione e interazione sul piano corporeo, cinestesico, sensoriale, alla base dello sviluppo di schemi senso-motori e interattivi. Importante sarà spazializzare la stanza e creare attività di decentramento che favoriscano l’organizzazione funzionale, simbolica, prassica e comunicativa del bambino. Tale suddivisione permette fin da subito di osservare cambiamenti temperamentali e comportamentali del bambino in termini di competenze adattive e di intenzionalità. Importante inoltre costruire specifici profili sensoriali per minimizzare le stimolazioni sensoriali disturbanti per il bambino. Particolare attenzione è data alla fase di osservazione neuropsicomotoria, una metodologia osservativa in cui si modificano le condizioni naturali, per favorire la comparsa di determinate azioni, che si avvale del ruolo di supporto dell’adulto nelle attività condivise con il bambino. Questa specifica strategia di intervento sostiene l’azione spontanea del bambino e il gioco nelle sue diverse forme, in quanto vettori principali del processo di sviluppo. Altro principio fondamentale è rappresentato dalla specifica attitudine a privilegiare la mediazione corporea come condizione primaria per l’integrazione delle relazioni interpersonali e delle funzioni mentali, così da prevedere facilitazioni costanti e stabili, finalizzate a promuovere processi di regolazione, continuità e integrazione. Individuato il profilo interattivo si procede fissando gli obiettivi evolutivi dell’intervento terapeutico, per il cui raggiungimento il terapista può avvalersi di giochi di attivazione sociale, giochi di esplorazione e uso sociale dell’oggetto e giochi sensomotori a valenza rappresentativa.

L’equipe non ha solo il compito di gestire l’intervento sul bambino, ma deve nel frattempo sostenere i genitori nelle diverse fasi della presa in carico. Gli specialisti dovranno fornire ai genitori informazioni rispetto alla descrizione del disturbo, alle caratteristiche specifiche in quel momento preciso dello sviluppo, alla prognosi, e in generale, sui dati più recenti della ricerca. Questo momento è importante anche dal punto di vista psicologico, perché informazioni il più chiare ed oggettive possibili, possono attivare sentimenti di rassicurazione ed accoglienza. Bisogna sostenere nel genitore il livello di consapevolezza del proprio malessere, e di come questo possa distorcere in modo più o meno significativo la rappresentazione reale del bambino. Solo così il genitore può vedersi come risorsa nel sistema di aiuto integrato, come partecipante attivo. L’obiettivo dell’intervento mediato dai genitori è il raggiungimento di gradi sempre più complessi di autonomia non solo nel bambino ma anche nella sua famiglia. Fin dall’inizio l’intervento è caratterizzato dall’assunzione, da parte dell’operatore, del ruolo di facilitatore della comunicazione, in relazione ai soggetti, ai contesti e all’intervento. Da ciò deriva un intervento articolato in tre fasi: definizione e individuazione dei bisogni e delle risorse, individuazione e condivisione degli obiettivi dell’intervento, valutazione del cambiamento. Per la prima fase le strategie utilizzate sono principalmente rappresentate dai colloqui con i genitori che hanno l’obiettivo di raccogliere informazioni provenienti dai vari contesti di vita, di accedere ad una visione comune delle competenze e delle difficoltà del bambino, focalizzare l’attenzione sulle risorse piuttosto che sui deficit. Ulteriori strumenti possono essere rappresentati dalla somministrazione di questionari, l’utilizzo di video-feedback, sedute di gioco congiunte. Durante l’intervento, il coinvolgimento dei genitori risponde a degli obiettivi specifici individuati nel programma riabilitativo. Questi comprendono la necessità di collocare le sollecitazioni nell’area di sviluppo potenziale del bambino e mai in quella deficitaria, allo scopo di evitare il senso di inefficacia; l’importanza di mantenere la specificità dei contesti, dei ruoli e delle strategie, evitando di trasformare l’ambiente familiare in un ambiente eccessivamente terapeutico; la possibilità di articolare l’attivazione delle aree di stimolazione, in ambiente familiare ed educativo, secondo il reale profilo interattivo del bambino, per ampliare gli interessi di gioco, stimolare le capacità comunicativo-linguistiche e le capacità adattive/autonomia.

Uno strumento che richiede la partecipazione attiva del genitore è il modello PACT (Paediatric Communication Therapy) basato su video-feedback. Lavora sulle competenze comunicative del bambino (attenzione condivisa, intenzionalità comunicativa, pragmatica) e sull’implementare e attivare le risorse naturali del genitore sostenendo la sua individualità, il tutto in un setting familiare (ambiente di casa). Preceduto dal colloquio conoscitivo con il genitore dove viene illustrato il contratto terapeutico, il PACT è strutturato in 4 momenti: una seduta di gioco genitore-figlio di circa 10 minuti che viene videoregistrata, vi è un momento di video-feedback con il genitore con il quale si stende il programma riabilitativo, dopo qualche giorno il terapista si reca nel contesto familiare per assistere ad un momento di gioco tra genitore-figlio, in conclusione nella seconda seduta il genitore condivide con il terapista la sua esperienza e tutto la procedura ricomincia dall’inizio. In questo modo il TNPEE guida il genitore a riflettere e capire quali sono i segnali comunicativi del bambino, ad identificare le interazioni reciproche efficaci, riflettere sul loro personale contributo.

INDICE

Il Disturbo dello Spettro Autistico nella Sindrome X Fragile

La Sindrome X Fragile è il disturbo monogenico più comune associato al Disturbo dello Spettro Autistico, rappresentando circa l'1-6% di tutti i casi di questa patologia (Muhle et al., 2004; Schaefer & Mendelsohn, 2008). Le caratteristiche comportamentali della Sindrome X Fragile, sebbene piuttosto variabili, possono includere molte caratteristiche del Disturbo Spettro Autistico, come difficoltà con l'interazione sociale e la comunicazione, movimenti ripetitivi, necessità di uniformità e comportamento autoaggressivo. Pertanto, sono necessari un attento discernimento e una valutazione clinica per capire se il Disturbo Spettro Autistico è presente in un individuo con Sindrome X Fragile. Molti individui con quest’ultima diagnosi soddisfano i criteri per una diagnosi di Disturbo Spettro Autistico, con una prevalenza stimata di Disturbo Spettro Autistico in Sindrome X Fragile pari a circa il 50% per i maschi e il 20% per le femmine (Bailey et al. 2008; Clifford et al., 2007; Kaufmann et al., 2017). Esistono prove, basate su studi di geni e proteine nelle cellule neurali (Wheeler et al., 2015), che FMRP svolge un ruolo nei processi che portano al Disturbo Spettro Autistico. FMRP, che è assente o carente nella Sindrome X Fragile, normalmente disattiva la sintesi proteica a livello delle connessioni tra i neuroni. Quando alcuni recettori vengono attivati, tale processo rilascia FMRP che consente la produzione di proteine. In questo modo, FMRP regola i livelli di quelle proteine responsabili del mantenimento delle connessioni cerebrali. Inoltre, molte di queste che hanno funzioni simili a FMRP, e con cui interagiscono, sono state trovate associate con il Disturbo Spettro Autistico. Pertanto, i deficit di FMRP sembrano essere collegati a cablaggi anormali e ad anomalie cerebrali correlate che portano a sintomi comportamentali del Disturbo Spettro Autistico.

Le caratteristiche neurologiche e comportamentali comuni sia alla Sindrome X Fragile che al Disturbo Spettro Autistico includono: problemi di interazione sociale e scarso contatto visivo, disturbi della comunicazione, uso ripetitivo di oggetti e movimenti ripetitivi, disabilità intellettiva, reazioni insolite agli input sensoriali come ipersensibilità o iposensibilità, buona memoria visiva, difficoltà nella coordinazione motoria, difficoltà di attenzione, livello di gioco, regolazione emotivo-comportamentale e umore, problemi di regolazione sonno-veglia. Al contrario, le differenze riscontrabili tra le due patologie riguardano l’aspetto comunicativo, relazionale e cognitivo. Mentre bambini con Disturbo Spettro Autistico presentano livelli più elevati di coordinazione motoria e hanno maggiori probabilità di mostrare abilità linguistiche espressive più elevate rispetto al linguaggio ricettivo, gli individui con Sindrome X Fragile tendono a mostrare abilità linguistiche ricettive più elevate rispetto all'espressive. In generale, l'interesse per la socializzazione e la consapevolezza sociale è maggiore nei bambini con Sindrome X Fragile rispetto al Disturbo Spettro Autistico. Le abilità di imitazione motoria sono tipicamente migliori nella Sindrome X Fragile rispetto al Disturbo Spettro Autistico. L'elaborazione sequenziale è in genere più difficile per le persone con Sindrome X Fragile rispetto al Disturbo Spettro Autistico. Rispetto agli individui con Sindrome X Fragile che non soddisfano i criteri per il Disturbo Spettro Autistico, quelli che ne soddisfano i criteri presentano problemi cognitivi e comportamentali più gravi che includono:

  • Abilità linguistiche meno sviluppate, in particolare quelle ricettive. Spesso livello comunicativo non verbale o minimamente verbale.
  • Punteggi QI inferiori.
  • Abilità adattive inferiori.
  • Problemi comportamentali generali più gravi: problemi di attenzione, iperattività e impulsività, ansia (in particolare dopo l'infanzia), irritabilità/aggressività/agitazione/ autolesionismo, ipersensibilità agli stimoli e comportamento ossessivo compulsivo/ perseverativo.
  • Problemi di sonno, in particolare dopo l'infanzia.
  • Convulsioni.

Quando si effettua la diagnosi di Disturbo Spettro Autistico in Sindrome X Fragile, è necessario tenere in considerazione il livello cognitivo dell'individuo per garantire che i sintomi del Disturbo Spettro Autistico siano più compromessi del previsto in base al livello di sviluppo generale.

 

Indice
 
INTRODUZIONE
 

Prima parte: Inquadramento teorico

Seconda parte: Progettazione e attuazione del progetto terapeutico

DISCUSSIONE - CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
 
Tesi di Laurea di: Mariagrazia Marika GERBINO
 

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