Le Emozioni
Definizione
L’emozione può essere definita come uno stato mentale fisiologico di breve durata, associato a modificazioni psicofisiologiche, a eventi o stimoli interni, esterni, naturali, appresi; sono, cioè, risposte dell’organismo che si manifestano con specifici pattern di azioni e modificazioni dello stato interno.
Sono, inoltre, fenomeni molto complessi e formati da più componenti che il soggetto deve essere in grado di comprendere e gestire per poter condurre una vita sociale idonea; per poter comprendere, quindi, un’emozione bisogna partire analizzando le sue componenti e le relazioni di interdipendenza tra loro.
La maggior parte della nostra vita è regolata e accompagnata dalle emozioni, che offrono al cervello uno strumento grazie al quale siamo in grado di valutare immediatamente le variazioni dell’ambiente alle quali ci troviamo di fronte, e di reagire in modo adeguato ad ognuna di esse per sopravvivere e donare benessere al nostro organismo, reazione quindi che non utilizzi processi cognitivi ed elaborazione cosciente, ma sia immediata ed efficiente.
Un’importante funzione rivestita dalle emozioni è quella comunicativa, in quanto, attraverso la loro espressione, anche involontariamente, comunichiamo al mondo esterno ciò che stiamo provando in quel preciso momento, allo stesso modo osservandole sul volto di un’altra persona riusciamo a comprendere i suoi sentimenti e stati d’animo; è importante soprattutto durante una conversazione, poiché abbiamo un feedback dall’interlocutore, che può farci capire se ciò che stiamo dicendo lo interessa, lo rende d’accordo con noi, oppure in disaccordo.
Le emozioni sono innate e universali, uguali in tutte le culture e paesi, mentre invece varia l’intensità, il tempismo e la modalità con cui vengono espresse: ognuno di noi reagisce in modo diverso di fronte ad uno stimolo, a seconda del proprio essere più profondo e dell’esperienza passata: uno stimolo che in me provoca spavento, in un’altra persona può risultare indifferente , oppure provocare la stessa emozione ma in maniera minore.
Dal concetto che le emozioni sono innate e universali deriva quello espresso da Paul Ekman e da Darwin, che afferma che la mimica delle emozioni sia un comportamento con radici biologiche, quindi non ha bisogno di essere appreso per esprimersi o comprendersi.
Per supportare questa tesi, sono stati condotti esperimenti su neonati venuti al mondo da 36 ore; è necessario premettere che i neonati si annoiano facilmente, per cui dopo aver focalizzato la loro attenzione su un determinato stimolo per un tempo sufficiente distolgono lo sguardo, riportandolo su di esso solo se per loro risulta diverso da quello precedente.
Durante l’esperimento un adulto catturava l’attenzione del neonato assumendo un’espressione felice, o triste, o arrabbiata; appena il neonato distoglieva lo sguardo, la stessa persona mutava espressione; si è subito notato che tutti i neonati osservavano nuovamente il suo volto non appena questo cambiava espressione, e ciò ha portato alla luce il fatto che i neonati effettivamente sono in grado di distinguere le diverse emozioni presentate.
Ma la scoperta più interessante fu che i neonati erano in grado di imitare le espressioni osservate.
Paul Ekman ha effettuato numerosi esperimenti grazie ai quali ha potuto dividere le emozioni in due categorie distinte:
- Primarie (o di base): sono emozioni innate e universali, riscontrabili cioè in qualsiasi popolazione; possono essere elencate come segue:
- Rabbia
- Paura
- Tristezza
- Gioia
- Sorpresa
- Curiosità
- Disgusto
- Secondarie: queste emozioni hanno origine dalla combinazione delle varie emozioni di base e si sviluppano con la crescita dell’’individuo e con l’interazione sociale; si tratta, quindi, di emozioni più complesse e raffinate e per questo motivo hanno bisogno di più elementi esterni o pensieri eterogenei per essere innescate; possono essere divise in:
- Allegria
- Invidia
- Vergogna
- Ansia
- Rassegnazione
- Gelosia
- Speranza
- Perdono
- Offesa
- Nostalgia
- Rimorso
- Delusione
Le Teorie Neurofisiologiche
Nel corso degli anni le emozioni sono state studiate e approfondite attraverso varie teorie; in particolare, due di queste si sono concentrate sulle reazioni psicofisiologiche che avvengono, assumendo due punti di vista completamente opposti.
Una di queste è quella di William James e Carl Lange, proposta nel 1884 e definita “teoria periferica delle emozioni”.
Il loro obiettivo era quello di confutare quella che loro definivano “la teoria del senso comune” secondo la quale noi, ad esempio, piangiamo perché siamo tristi, oppure tremiamo perché abbiamo paura, quindi le espressioni delle nostre emozioni sono una conseguenza delle sensazioni che proviamo.
La teoria periferica, invece, sostiene che ancor prima di provare l’emozione, nel corpo avvengono dei cambiamenti fisiologici dovuti a risposte espressive e comportamentali nei confronti di uno stimolo esterno, ed è solo alla fine di questi mutamenti che riusciamo a percepire i cambiamenti avvenuti nel nostro corpo e quindi a provare una determinata emozione (da qui il nome di “periferica”); l’emozione è quindi determinata a livello cosciente dalla percezione delle risposte che l’organismo ha verso stimoli esterni che causano ad esempio paura, rabbia, tristezza, gioia: in seguito ad uno stimolo terrificante (stimolo emotigeno), il nostro organismo reagisce mettendo in atto una reazione di fuga e le sensazioni somatiche relative alla corsa insieme alle risposte viscerali indotte dal sistema autonomo determinano in noi il senso di paura.
Secondo questa teoria quindi “non tremiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché tremiamo” (James, 1890) in quanto il timore (emozione conscia) non è originato dal pericolo (stimolo) ma dal fatto che tremiamo (risposta fisiologica). Quindi l’emozione può essere considerata come una risposta a mutamenti fisiologici, è biologicamente radicata nel nostro corpo soprattutto a livello viscerale ed è la sensazione percettiva soggettiva di ciò che accade.
A questa teoria si contrappone quella sostenuta da Cannon e Bard nel 1927, la “teoria centrale delle emozioni”.
Cannon sosteneva che gli organi viscerali sono strutture insensibili, quasi del tutto prive di nervi, quindi le modificazioni viscerali che ne derivano sono molto lente e non riescono a produrre le emozioni rapide e immediate; inoltre era stato dimostrato che le reazioni emotive sono presenti anche quando gli organi viscerali sono chirurgicamente isolati dal SNC; aspetto ancor più importante è che Cannon sosteneva, in base ai risultati di alcune ricerche, che ogni emozione non può essere associata ad un unico evento fisiologico: ad esempio gli stati viscerali che accompagnano la rabbia e la paura sono gli stessi associati alle sensazioni di freddo e alla febbre.
Secondo la teoria centrale di Cannon-Bard, lo stimolo emotigeno viene prima di tutto elaborato dai nuclei posteriori del talamo, che inviano le informazioni ai centri sottocorticali dell’encefalo, precisamente all’amigdala, localizzata nel lobo temporale e facente parte del sistema limbico; l’amigdala elabora lo stimolo e provoca una reazione autonomica e neuroendocrina (attraverso il rilascio di ormoni specifici) a seguito della quale l’organismo viene messo in uno stato di allerta che provoca una serie di modificazioni somatiche, come ad esempio la variazione delle pulsazioni cardiache e del ritmo respiratorio, oppure l’aumento o la diminuzione della sudorazione; questo fa si che venga elaborata una “emozione inconsapevole”, poiché l’amigdala reagisce ancor prima che ci rendiamo conto di cosa sta accadendo.
Mentre tutto questo processo avviene, il talamo invia le stesse informazioni mandate all’amigdala, anche alle cortecce associative che effettuano un’elaborazione più lenta e raffinata, provocando quindi una risposta adeguata alla situazione; questo fa si che “proviamo l’emozione”, ossia che abbiamo un sentimento, poiché ci rendiamo conto delle modificazioni somatiche a cui siamo sottoposti (aumento del battito cardiaco, sudorazione, etc.) ed etichettiamo questa variazione psicofisiologica (“paura”, “gioia”, “tristezza”).
Secondo questa teoria, quindi, le componenti soggettive e fisiologiche dell’emozione avvengono in modo simultaneo.
Successivamente a queste teorie se ne sono contrapposte altre, come ad esempio la “Teoria della valutazione cognitiva” di Arnold (1960) secondo il quale quando ci troviamo in una determinata situazione la valutiamo automaticamente come buona o cattiva tramite l’attivazione del sistema limbico, a cui consegue la tendenza ad agire sulla base delle valutazioni effettuate.
Nel 1962 Schachter e Singer hanno introdotto la “Teoria dei due fattori” secondo la quale l’emozione è la risultante di due fattori:
- L’attivazione di una componente fisiologica (arousal) che ci indica l’intensità dello stato emotivo.
- Una componente psicologica (cognitiva) che valuta ed “etichetta” lo stimolo emotigeno ed ha il compito di darci indicazioni esplicative dello stato emotivo.
Quindi si verifica lo stimolo, avviene un’attivazione fisiologica a cui segue l’etichettamento cognitivo, per giungere infine all’esperienza soggettiva dell’emozione. Una teoria successiva è quella di Robert Zajonc che nel 1980 ha parlato del “Primato dell’emozione”, sostenendo che le emozioni sono la prima risposta immediata ad un evento irriducibile a qualsiasi pensiero; l’appraisal emotivo, quindi, viene prima avvertito a livello mentale-corporeo (sottocorticale) e solo in seguito valutato razionalmente. Secondo tale teoria le emozioni, dunque, possono insorgere anche senza elaborazione cognitiva.
Nell’ambito delle teorie che maggiormente si sono occupate della sfera emotiva, non potevano mancare due nomi fondamentali a riguardo, ossia Paul Ekman e Charles Darwin, che sono giunti a delle conclusioni notevoli, riportate di seguito nell’ambito dell’”espressione delle emozioni”.
Entrambi, comunque si sono occupati delle emozioni focalizzando la loro attenzione sul ruolo comunicativo, adattivo e di sopravvivenza; in particolare Ekman riporta alcune considerazioni:
- La prototipicità dell’espressione emotiva come segnale distintivo universale
- La trasversalità dell’esperienza emotiva primaria in altri primati
- La presenza di pattern neuro-vegetativi specifici
- La riconoscibilità di antecedenti universali elicitanti
- La spontaneità di automatismo dell’appraisal
L’espressione delle Emozioni
Una delle caratteristiche più importanti attribuite all’emozione è che essa, solitamente non è nascosta: noi vediamo i suoi segni attraverso l’espressione, che quasi sempre è involontaria e non intenzionale (a differenza, invece, dei gesti che vengono usati ad esempio per salutare, per esprimere consenso o disaccordo); ci sono, però, situazioni in cui le nostre espressioni sono volontarie ed hanno lo scopo di veicolare un messaggio preciso, ad esempio che ci stiamo annoiando, o che siamo d’accordo con un pensiero o addirittura per mentire su ciò che realmente proviamo.
Alla maggior parte delle emozioni che proviamo costantemente in ogni situazione nella quale veniamo a trovarci, corrispondono determinate espressioni che hanno delle funzioni molto importanti, tra le quali la più importante è quella comunicativa; quando vediamo un’espressione sul volto del nostro interlocutore sappiamo che quella persona sta provando una determinata emozione e, in base a quale sia, riusciamo a comprendere che qualcosa sta per accadere, poiché ogni espressione emozionale ci offre informazioni sul modo in cui agirà chi la sta manifestando: se vediamo il nostro interlocutore che durante una discussione si sta agitando, diventa rosso in volto, il suo respiro aumenta di frequenza, e sta per muovere un braccio, possiamo immaginare che da un momento all’altro potrebbe colpirci.
Esse servono anche come primo mezzo di comunicazione tra madre e bambino: lei sorride per approvare un’azione messa da lui in pratica e in questo modo lo incoraggia a proseguire.
Facilmente percepiamo negli altri, osservando la loro espressione, il sentimento di partecipazione e di simpatia, e in questo modo i sentimenti reciproci vengono rafforzati.
Le espressioni, inoltre, rivelano i nostri pensieri e intenzioni in modo più autentico delle parole, che possono essere falsificate.
Possono essere considerati atti espressivi, quelli di qualsiasi tipo che accompagnano uno stato mentale; fra essi troviamo non solo i movimenti di varie parti del corpo, ad esempio sollevare le spalle, secernere il sudore, aumentare il battito cardiaco, respirare affannosamente, ma anche gli strumenti vocali o altri in grado di produrre suoni.
Darwin nella sua vita si è occupato in maniera ottimale delle emozioni, in particolare della loro espressione; egli definiva l’espressione come qualsiasi azione che si accompagna ad uno stato mentale.
Sosteneva, inoltre, che il nostro modo di esprimere le emozioni è universale, innato e non appreso, ossia un prodotto della nostra evoluzione come specie (Fig. 4.1).
Fig. 4.1. La corrispondenza di espressioni emotive tra i primati e l’uomo
Ma come mai a particolari emozioni corrispondono determinate espressioni? Per spiegare ciò, Darwin si è servito di tre princìpi:
- Principio delle abitudini associate utili: secondo questo primo principio, alcune azioni risultano utili in alcuni stati d’animo, poiché alleviano o soddisfano determinate sensazioni; quindi ogni volta che si prova la stessa emozione, c’è la tendenza a ripetere quegli stessi movimenti eseguiti la volta precedente. Secondo questo principio, alcune espressioni si sono originate da movimenti che per i nostri antenati erano utili, e che poi sono stati associati a quel determinato stato d’animo e trasmessi alle generazioni successive.
- Principio dell’antitesi: quando proviamo un’emozione opposta a quella precedente, tendiamo ad eseguire movimenti di natura opposta; ciò significa che ad esempio quando ci sentiamo impotenti di fronte a una situazione, ci stringiamo nelle spalle perché questo è un movimento opposto a quello che compiamo con braccia e spalle quando ci sentiamo, invece, molto sicuri di noi stessi.
- Principio degli atti determinati dalla costituzione del sistema nervoso, totalmente indipendenti dalla volontà ed entro certi limiti anche dall’abitudine: secondo tale principio, le espressioni delle emozioni sono causate da un eccesso di energia nervosa che si diffonde (o si interrompe) grazie all’eccitazione del sistema sensoriale; quindi il sistema nervoso avrebbe un’azione diretta nell’espressione delle nostre emozioni.
Un aspetto da far notare è che, è vero che le espressioni hanno un’origine ereditaria e naturale, ma è anche vero che una volta che il soggetto le ha acquisite, le può utilizzare volontariamente e con coscienza, come mezzi di comunicazione; esse infatti permettono di rafforzare il linguaggio, che a sua volta consente la comunicazione interpersonale e, di conseguenza, lo sviluppo umano.
Nonostante i numerosi studi che hanno confermato l’universalità dell’espressione delle emozioni, si è notato che rimanevano delle differenze culturali che causavano incomprensioni nella comunicazione interculturale; da questa intuizione è nata la teoria neuro-culturale di Paul Ekman.
L’esperimento da lui condotto era diretto su individui giapponesi e americani: venivano registrate le loro risposte espressive durante la visione di un film, prima in modo isolato poi con la presenza in stanza di uno sperimentatore; dai risultati emerse che la presenza dello sperimentatore condizionava le risposte facciali dei soggetti, infatti gli individui giapponesi tendevano a nascondere le espressioni negative suscitate dal film con dei sorrisi, al contrario dei soggetti americani.
Questa differenza è stata attribuita a una serie di “display rules” ossia a regole sociali di esibizione delle emozioni, che hanno il compito di prescrivere il controllo e la modificazione delle espressioni emozionali a seconda della circostanza sociale.
Tali “regole di esibizione” sono culturalmente apprese, consentono al soggetto di sentirsi adeguato alle situazioni in cui si trova e possono essere divise in quattro livelli:
- Intensificazione, che esagera e accentua la manifestazione espressiva
- Attenuazione, che la minimizza e la riduce
- Inibizione, che sopprime l’espressione emotiva
- Mascheramento, che sostituisce la manifestazione dell’emozione realmente presente con una in quel momento non provata.
Ma quindi le emozioni non sono universali?
Si, sono universali: le espressioni di felicità, tristezza, paura, etc. sono uguali in tutto il mondo e si manifestano attraverso lo stesso programma motorio; ma l’appartenenza a diverse culture conduce ad un uso differente delle regole espressive, condizionando, così, sia la manifestazione che il riconoscimento emotivo.
La Comprensione delle Emozioni
La comprensione delle emozioni può essere definita come la conoscenza cosciente dei propri processi emotivi ed anche di quelli altrui; un aspetto che la rende indispensabile è che dona al bambino la capacità di trattare l’emozione come un oggetto di conoscenza.
Egli, infatti, attraverso questa modalità “compie operazioni” sulle emozioni: le identifica, le predice e le spiega sia in se stesso che negli altri, ossia è in grado di comprenderne la natura, le cause (sia interne che esterne) che le generano e le conseguenze, di controllare l’espressione emotiva e di regolarne gli effetti.
Per attuare questo processo, è necessaria la presenza di una precisa consapevolezza che viene raggiunta dal bambino solo dopo la prima infanzia, durante la quale emergono precursori importanti della futura abilità di comprendere le emozioni, come ad esempio il rispondere alle espressioni emotive degli altri, il riferimento sociale, l’empatia, grazie ad una buona comunicazione pre-verbale tra il bambino e le figure di riferimento.
La comprensione delle emozioni, quindi, inizia già nel periodo preverbale, ma si può parlare di comprensione vera e propria solo quando l’individuo ha un accesso consapevole alla propria esperienza emotiva, che può essere comunicata esclusivamente con il linguaggio; è proprio l’acquisizione della comunicazione verbale che permette al bambino, tra i due e i tre anni di età, di esprimere ciò che sta provando in una determinata situazione, di descrivere le emozioni provate in situazioni passate o di anticiparle in riferimento ad eventi futuri.
Essendo la comprensione delle emozioni un concetto abbastanza complesso e multicomponenziale, nel quale entrano in azione diverse abilità, è stata divisa negli anni in nove componenti:
- Riconoscimento: questa abilità viene acquisita dal bambino intorno ai due-tre anni di età, quando inizia ad essere in grado di riconoscere le emozioni di base (felice, triste, impaurito e arrabbiato) a seconda dei segnali espressivi del volto ed a nominarle, sia che le osservi su un disegno, sia in foto che “dal vivo”. Questa abilità aumenta tra i due e i cinque anni di età, quando il bambino impara a comprendere prima le emozioni positive, in seguito quelle negative.
- Causa esterna (situazionale): intorno ai tre-quattro anni di età il bambino inizia ad acquisire la concezione secondo la quale le emozioni proprie ed altrui possono venire influenzate da cause esterne. A questa età è in grado di anticipare la tristezza che un altro bambino proverebbe se gli si rompesse uno dei suoi giochi preferiti, oppure la felicità che un altro proverebbe nel ricevere un regalo. In particolare, i bambini durante l’acquisizione di questa competenza, distinguono prima le situazioni che provocano felicità, poi quelle che suscitano tristezza, un po’ come avviene con la componente del riconoscimento.
- Desiderio: a quattro anni il bambino inizia ad acquisire consapevolezza del fatto che le reazioni emotive degli altri dipendono dai loro desideri, quindi comprendono che due persone provano emozioni differenti di fronte alla medesima situazione perché hanno diversi desideri.
- Conoscenza (credenza): anche se il concetto di falsa credenza emerge nel bambino intorno ai quattro anni di età, è solo tra i cinque e i sei anni che si sviluppa nel bambino la capacità di comprendere che le credenze, vere o false, che una persona ha possono stabilire la sua reazione emotiva ad una data situazione.
- Ricordo: questa componente si sviluppa tra i tre e i sei anni, quando il bambino inizia a comprendere quale relazione ci sia tra un ricordo ed un’emozione; ad esempio, a questa età è in grado di capire che l’intensità di un’emozione si affievolisce con il trascorrere del tempo e che ci possono essere elementi particolari in una determinata situazione che riportano alla luce emozioni passate.
- Regolazione: man mano che crescono i bambini imparano ad utilizzare diverse strategie per controllare le loro emozioni; a sei-sette anni di età si servono di strategie comportamentali, mentre invece da otto anni in poi iniziano a rendersi conto che le strategie psicologiche a volte sono più efficaci.
- Occultamento (nascondere): l’espressione emotiva di qualcuno non sempre corrisponde all’emozione che veramente sta provando in quel momento; così i modelli espressivi dei bambini si articolano sempre di più con lo sviluppo: mascherano un’emozione sempre più frequentemente, ne regolano l’intensità o la sostituiscono con un’altra. Anche la comprensione segue lo stesso andamento: intorno ai quattro-sei anni, il bambino inizia a comprendere che tra l’espressione emotiva e l’emozione realmente provata può esservi una discrepanza, ma questa comprensione non è completa fino al termine del periodo prescolare, poiché a sei anni il bambino ha un quadro più particolareggiato delle motivazioni che spingono ad esprimere una specifica emozione e quindi riesce meglio ad identificare la dissimulazione.
- Emozioni miste (ambivalenti): la competenza di capire che qualcuno possa provare molteplici e anche contraddittorie (ambivalenti) emozioni in conseguenza di uno specifico evento si sviluppa nel bambino intorno agli otto anni. In particolare, a partire dai sette anni inizia a comprendere che è possibile provare due emozioni diverse in una data situazione, purchè abbiano la stessa valenza (entrambe positive o negative), fino a giungere agli undici anni quando il bambino sa di poter provare due emozioni opposte come risposta ad un evento.
- Morale: dagli otto anni di età il bambino comprende che da azioni moralmente sbagliate, come ad esempio rubare, disobbedire, mentire, etc. derivano stati d’animo negativi, al contrario quelli positivi sono conseguenti ad un’azione moralmente degna di nota, ad esempio fare un sacrificio, confessare di aver commesso un fatto, compiere un’opera buona nei confronti di un’altra persona, etc.
In sintesi, le componenti appena citate possono essere raggruppate in 3 categorie:
- comprensione della natura delle emozioni, che include le componenti di riconoscimento ed emozioni miste
- comprensione delle cause delle emozioni, in cui troviamo le componenti di causa esterna, desiderio, conoscenza, ricordo, morale
- comprensione del controllo delle emozioni, che comprende occultamento e regolazione.
La divisione è raffigurata nella Figura 4.2. in cui vengono anche riportate le corrispondenti età di acquisizione.
Comprensione della natura delle emozioni |
Comprensione delle cause delle emozioni |
Comprensione del controllo delle emozioni |
Riconoscimento (due-tre anni) |
Causa esterna (tre anni) |
Occultamento (sei anni) |
Emozioni miste (otto anni) |
Desiderio (quattro anni) |
Regolazione (otto anni) |
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Conoscenza, credenza (sei anni) |
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Ricordo (cinque-sei anni) |
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Morale (otto anni) |
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Fig. 4.2. Componenti della comprensione delle emozioni divise per categoria con annesse età di acquisizione
Teoria della Mente e Comprensione Emotiva
Prima di affrontare il rapporto esistente tra la comprensione delle emozioni e la Teoria della Mente, è opportuno spendere qualche riga per definire quest’ultima.
La Teoria della Mente è la capacità di comprendere che non solo le emozioni, ma anche i desideri e le credenze degli altri possono spiegare il proprio e l’altrui comportamento; sono, cioè, gli stati mentali che attribuiamo a noi stessi e agli altri. Grazie ad essa il bambino è in grado di interpretare mentalmente il mondo, infatti riconosce che le altre persone hanno determinati pensieri e convinzioni sul mondo esterno e che si comportano in funzione delle loro credenze.
Questa competenza viene acquisita dal bambino a partire dai tre fino ai cinque anni di età, si sviluppa quindi di pari passo con la capacità di comprendere le emozioni e le intenzioni.
In particolare, lo sviluppo della Teoria della Mente segue precise tappe:
- A partire dai due anni i bambini sono esperti di quella che può essere definita “psicologia del desiderio” (voglio un gioco e cerco in tutti i modi di averlo) e non trovano difficoltà nel comprendere l’emozione che può scaturire dal soddisfacimento di quel desiderio (ho ottenuto il gioco quindi sono felice).
- Dai tre anni iniziano pian piano a rendersi conto del fatto che le azioni della vita quotidiana sono guidate dalle credenze: il gioco si trova nell’armadio, quindi vado a cercarlo li.
- Dopo il quarto anno di età comprendono tre concetti importanti:
- Due persone possono avere credenze diverse riguardo alla realtà
- Queste visioni potrebbero anche non corrispondere al vero
- Le persone agiscono in base a come vedono la realtà
È per questo che i bambini di quattro anni sanno che se il loro fratellino pensa che il gioco sia nell’armadio, andrà a cercarlo li (anche se loro sanno che la mamma lo ha spostato su un ripiano più in alto).
È possibile, a questo punto, pensare alla Teoria della Mente e alla comprensione delle emozioni come due abilità reciprocamente dipendenti: una in grado di descrivere i fattori cognitivi, l’altra soprattutto quelli affettivi.
La relazione non è, però, solo tra loro due, ma anche con altri fattori quale ad esempio il linguaggio che risulta essere indispensabile per lo sviluppo della Teoria della Mente e della comprensione delle emozioni. Le abilità linguistiche, infatti, rappresentano un ottimo predittore dello sviluppo della TOM: le conversazioni tra madre e bambino sugli stati mentali sono importanti per maturare questa capacità, poiché semplicemente l’uso frequente di termini riferiti a stati mentali consente al bambino di focalizzare la sua attenzione su credenze, intenzioni ed emozioni altrui; le emozioni, dal canto loro, assumono significato nelle relazioni e negli scambi comunicativi che hanno il compito di definire e arricchire l’esperienza emotiva del bambino. Il linguaggio, dunque, si definisce come uno strumento cruciale perché il pensiero del bambino si possa strutturare.
Differenze Individuali nella Comprensione delle Emozioni
Da diverse ricerche che sono state condotte nel tempo, si è notato che sono presenti grandi differenze individuali nella comprensione delle emozioni, che possono emergere anche molto precocemente.
Queste differenze si notano a età diverse da un individuo all’altro, rimangono abbastanza stabili nel tempo, sono generali piuttosto che specifiche (non riguardano cioè singole componenti della comprensione emotiva). Per cercare di comprendere queste differenze, gli studi hanno indagato i vari fattori che possono essere alla base del loro sviluppo.
Abbiamo, così, due modelli di lettura: affettivo e cognitivo. Nel primo vengono viste come derivanti dalle esperienze affettive: il bambino è in grado di comprendere un’emozione senza la necessità di rappresentarla a livello cognitivo. Il secondo modello, invece, sostiene che i fattori influenti siano di origine simbolica e cognitiva: il bambino può comprendere un’emozione anche senza averne avuto esperienza diretta. Secondo il modello affettivo la qualità delle esperienze affettive a cui è sottoposto il bambino soprattutto con il suo caregiver è di fondamentale importanza perché la comprensione delle emozioni si sviluppi; bambini che mostrano un attaccamento sicuro hanno una miglior comprensione emotiva rispetto ad altri che hanno ad esempio un attaccamento ambivalente o evitante, sono maggiormente in grado di comprendere le implicazioni emotive contenute nei discorsi che ascoltano, l’influenza delle credenze sulle emozioni e le emozioni miste; ciò accade perché grazie alla relazione con una figura di accudimento stabile e responsiva, ha modo di svilupparsi l’attenzione congiunta e il bambino può essere il protagonista delle prime esperienze sociali legate allo sviluppo della comprensione delle emozioni.
In conclusione, quindi, il modello affettivo ipotizza che il benessere affettivo del bambino e dei suoi caregivers costituisca una base imprescindibile per la comprensione emotiva.
L’ approccio cognitivo, dall’altra parte, sostiene che la qualità delle capacità cognitive e simboliche del bambino e del suo caregiver è di primaria importanza per lo sviluppo della comprensione delle emozioni.
In particolare, esiste una relazione positiva tra linguaggio (competenze linguistiche del bambino e l’input comunicativo a cui è esposto quotidianamente in famiglia) e la suddetta comprensione; molti studi hanno dimostrato infatti che le abilità semantiche e sintattiche del bambino sono positivamente collegate con la sua comprensione degli stati mentali e delle emozioni.
Ma collegato a questo aspetto troviamo anche l’accesso alla comunicazione: infatti il contenuto e lo stile dei discorsi che vengono affrontati in famiglia riguardo agli stati mentali e alle emozioni contribuisce allo sviluppo delle differenze individuali nella comprensione emotiva.
Emerge, dunque, che non è tanto importante la quantità delle interazioni, quanto la qualità, da intendersi come la ricchezza dei termini riferiti agli stati mentali, la loro coerenza interna e la loro capacità di coinvolgere e interessare più di un interlocutore. Oltre all’influenza del linguaggio sulla comprensione delle emozioni, è importante focalizzare l’attenzione anche sulla relazione tra quest’ultima e altre abilità cognitive che sono, come quelle comunicative, correlate positivamente ad essa.
Secondo questo modello, dunque, la capacità del bambino e del suo caregiver di creare una rappresentazione simbolica e cognitiva delle emozioni è più importante del benessere affettivo per quanto riguarda lo sviluppo della comprensione delle emozioni.
Dalla citazione e dalla spiegazione delle differenze individuali per quanto riguarda la comprensione emotiva, con i due modelli che hanno approfondito questo concetto, emerge un dato importante: esistono forti legami tra comprensione delle emozioni e peculiarità dei bambini e della loro famiglia, siano esse di natura affettiva, quindi esperenziale, oppure cognitiva (simbolica).
La Competenza Emotiva
La competenza emotiva può essere definita come l’insieme delle abilità che ci consentono di riconoscere, comprendere e rispondere in modo coerente ed adeguato alle emozioni di chi abbiamo di fronte, ossia di regolare la nostra espressione emotiva per adattarci efficacemente all’ambiente.
Questa competenza riguarda diverse abilità, come ad esempio la consapevolezza di provare determinate emozioni, la capacità di regolarle, la conoscenza del lessico emotivo, l’empatia, il saper comunicare le emozioni all’interno di una relazione, etc. Una delle autrici che ha approfondito questo tema è Carolyn Saarni, secondo la quale la competenza emotiva comprende tutta una serie di competenze fondamentali per fa sì che l’individuo possa sentirsi autoefficace durante gli scambi relazionali emotivi. Possiamo distinguere diverse abilità che sono necessarie per il raggiungimento di questa competenza.
- Consapevolezza del proprio stato emotivo:questa abilità può svilupparsi grazie alle interazioni sociali; infatti già prima di compiere un anno di età il bambino, quando si trova di fronte a persone sconosciute, si basa sulle espressioni emotive dei caregivers per regolare le proprie. A due anni, quando il lessico inizia il suo sviluppo, il bambino lo utilizza in modo appropriato alle diverse situazioni in cui si trova; questa abilità diventa sempre più articolata e complessa fino a raggiungere la consapevolezza che possono co-esistere due emozioni differenti in relazione allo stesso stimolo o evento.
- Distinzione e comprensione delle emozioni altrui: si tratta dell’abilità del bambino di riconoscere le emozioni degli altri servendosi di indizi espressivi quali il tono della voce, la mimica facciale e la gestualità; per far si che questa competenza si sviluppi, però, è indispensabile che il bambino sia in grado di analizzare le cause delle emozioni che sta osservando nell’altro e di entrare in sintonia con lui, immedesimandosi in ciò che prova (empatia).
- Utilizzo di un vocabolario emotivo ricco e di espressioni comunemente disponibili nella propria cultura: questa abilità consente di comunicare le proprie esperienze emotive agli altri, di elaborarle e integrarle con le altrui rappresentazioni.
- Empatia: capacità di riconoscere e produrre segnali emotivi partecipando all’esperienza emotiva dell’altro; per essere in grado di fare ciò, l’individuo deve avere una marcata consapevolezza di sé, grazie alla quale può entrare in relazione con altre persone.
- Consapevolezza che gli stati emotivi interni, sia propri che altrui, non corrispondono sempre alle manifestazioni esterne:questa competenza consente al bambino di poter attuare una distinzione tra le proprie esperienze emotive e i comportamenti messi in atto; vengono, così, appresi i processi di regolazione dell’espressione emotiva e ciò equivale all’abilità del bambino di capire che il proprio comportamento e il proprio modo di esprimere le emozioni hanno un impatto sulle altre persone e sulle relazioni. Il bambino, quindi, deve essere in grado di gestire le proprie esperienze emotive in funzione della sua cultura di appartenenza.
- Adozione di comportamenti che permettano di affrontare situazioni negative o dolorose a livello emotivo: ciò avviene attraverso l’uso di strategie di regolazione emotiva; tutto ciò implica, comunque, l’uso di funzioni quali il problem solving, la ri cerca di aiuto nell’altro, l’evitamento: ad esempio, i bambini per fronteggiare situazioni che provocano in loro tristezza, pensano ad eventi felici o impegnano il tempo in attività ludiche.
- Consapevolezza che la natura delle relazioni è definita dalla qualità della comunicazione emotiva e dalla genuinità della sua espressione: questa abilità permette al bambino di affrontare in modo adeguato l’interazione con gli altri a seconda del contesto e del tipo di relazione presente con l’interlocutore.
- Riconoscimento delle proprie emozioni, attribuzione di un significato e accettazione delle stesse:il bambino riesce in questa complessa operazione grazie alle personali teorie sulle emozioni, derivate dalla sua esperienza personale, che lo faranno sentire più o meno emotivamente appropriato al contesto in cui si trova e gli consentiranno di giudicare i suoi sentimenti positivi, negativi, funzionali o disfunzionali. Per far si che il bambino possa sviluppare tale abilità deve conoscere se stesso e guardarsi dentro, riflettere e migliorare le proprie modalità di relazione, saper fronteggiare le emozioni negative regolandone l’intensità senza reprimere le proprie manifestazioni emotive.
La Socializzazione Emotiva
Associare i termini “emozione” e “socializzazione” è un grande passo, poiché significa mettere in evidenza il legame complesso che è presente tra lo sviluppo emotivo e l’interazione sociale.
Attraverso la socializzazione emotiva viene proposto un modello secondo il quale determinati eventi-stimolo, sia interni che esterni, possono attivare emozioni, quindi le interazioni tra individuo e ambiente in cui si trova assumono un significato ben preciso. Inoltre, la socializzazione delle emozioni mette a disposizione dell’individuo gli strumenti per affrontare le situazioni e gli stimoli emotivi; infatti il bambino, come già affermato nei paragrafi precedenti, durante il suo sviluppo non solo impara ad attribuire un significato alle proprie emozioni, ma apprende anche le strategie da adottare per regolarle; esse sono flessibili, variano da un contesto all’altro, possono concentrarsi sia sull’esperienza emotiva (regolazione interna) sia sulla manifestazione di tale emozione (regolazione esterna), e mediante queste strategie il bambino può conservare la propria autostima e l’immagine di sé.
Parlare di socializzazione emotiva, inoltre, porta alla luce un altro assunto importante: lo stato d’animo di un individuo all’interno di un preciso contesto, la modalità con cui lo esprime e ciò che sa rispetto ad esso, sono parzialmente appresi nel corso delle sue interazioni con gli altri.
In particolare, secondo la teoria di Lewis e Michalson (1993), i bambini attraverso la socializzazione emotiva imparano:
- Come esprimere le proprie emozioni
- Quando esprimerle
- Come definirle attraverso un uso lessicale idoneo
- Come classificare quelle altrui
- Come interpretare i comportamenti emotivi propri e altrui all’interno di una situazione sociale.
Un modello importante da prendere in considerazione per quanto riguarda la socializzazione emotiva è senz’altro quello proposto da Halberstadt (1991) e rielaborato da Denham (1998), nel quale vengono elencati tre meccanismi di apprendimento sociale che sono coinvolti nella socializzazione emotiva:
- Modeling. Un bambino impara cosa è un’emozione e come si esprime osservando le espressioni emotive dei suoi genitori; questo meccanismo avviene anche in modo involontario, senza cioè l’intento esplicito di insegnare qualcosa al bambino, e non avviene solo mediante il canale delle espressioni facciali, ma anche attraverso quello verbale e comportamentale; attraverso il modeling viene socializzato non solo un determinato comportamento espressivo che il bambino vede e imita, ma anche altri aspetti fondamentali della competenza emotiva, come ad esempio la conoscenza delle emozioni e l’abilità di regolarle.
- Coaching. I genitori mediante i loro insegnamenti espliciti rivolti ai bambini in merito alle emozioni, creano delle situazioni ideali di apprendimento; i suddetti insegnamenti, quasi sempre mediati dalla comunicazione verbale, sono stimolati da specifici eventi emotivi nei quali i bambini si trovano coinvolti sia direttamente che indirettamente. Secondo quanto appena affermato le conversazioni quotidiane tra genitori e figli sono per i bambini le occasioni ideali per apprendere i significati di determinati eventi, espressioni e termini emotivi.
- Contingency. I bambini apprendono in base alle reazioni che i genitori attuano in conseguenza della loro espressione emotiva; queste reazioni posso essere mediate dal canale verbale, comportamentale oppure espressivo.
A prescindere dai vari modelli e dalle numerose ricerche che sono state effettuate, un concetto deve essere ben messo in evidenza: tutte le interazioni sociali del bambino, siano esse con i pari, con i genitori, con gli insegnanti a scuola, o con qualsiasi altra figura, contribuiscono in modi differenti allo sviluppo, o al contrario alla disorganizzazione, della sua competenza emotiva.