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Il ruolo del TNPEE tra clinica e prevenzione: modelli teorici di riferimento

Il progetto BEST si colloca all’interno di un quadro teorico che fa riferimento principalmente a due tipi di metodologie rivelatesi particolarmente adatte al raggiungimento degli obiettivi preposti.

La metodologia di B. Aucouturier

E’ solo da poco più di due secoli che, in Europa, si è cominciato a guardare al mondo infantile e al corpo con più attenzione, riconoscendo loro un’identità specifica: in effetti, sin dall’antichità e per tutto il ‘700, nel tentativo di formare un uomo forte e razionale, privo di affetti ed emozioni, si è puntato alla negazione dell’infanzia e alla rettificazione da qualsiasi tipo di comportamento deviante: il bambino non ha un’anima, ma è solo un corpo, imperfetto quanto debole, da trasformare ben presto in adulto. La conseguenza di questa visione riduttiva dell’infanzia ha determinato un ridimensionamento di tutte le manifestazioni infantili, da quelle ludiche a quelle corporee.

Soltanto nel ‘900 la visione del corpo, considerato sino ad allora luogo di limitazioni e sofferenze, comincia a cambiare: numerosi studi (tra gli altri possiamo ricordare quelli della Montessori, di Piaget) hanno evidenziato come l’apprendimento si possa realizzare attraverso la corporeità̀; il corpo diventa quindi un luogo di liberazione immaginativa e comunicativa e la formazione corporea uno strumento fondamentale per la realizzazione della formazione intellettuale, etico-sociale, affettiva ed estetica.

Oggigiorno, come ha purtroppo ben affermato il sociologo americano Neil Postman, si sta nuovamente correndo il rischio di una nuova scomparsa dell’infanzia, dovuta ad una progressiva omologazione da parte dei bambini ai gusti e alla vita degli adulti; a causa delle agenzie mass-mediali, in effetti, questi si stanno sempre di più allontanando dalla dimensione ludica e creativa per essere trasformati in “adulti in miniatura”. Le trasformazioni sociali, tecnologiche e culturali di questi ultimi anni hanno mutato sicuramente i ritmi di vita e modificato il rapporto tra individuo e società; gli adulti devono però ripristinare la loro autorevolezza e chiarezza educativa per controbattere agli infiniti messaggi offerti dai media e “allenare” il bambino alla fiducia in sé stesso e nell’altro, alla creatività̀, all’affettività̀ e all’autonomia.

Tra le varie proposte educative valide in età prescolare, in cui troviamo in primo piano l’importanza della libera espressione, c’è la pratica psicomotoria la quale consente al bambino di esprimere le proprie potenzialità, impegnandolo in un percorso di crescita conoscitiva e comunicativa.

LA PRATICA PSICOMOTORIA DI AUCOUTURIER: DUE CAMPI D’AZIONE

Il lavoro portato avanti da Bernard Aucouturier (per molti anni professore di educazione fisica e direttore del Centro di educazione fisica specializzata, poi Centro di Pratica Psicomotoria di Tours) e dalla sua pratica psicomotoria parte da un presupposto totalmente antitetico: questa è infatti costituita da uno spazio e da un tempo nei quali il bambino si manifesta globalmente a livello motorio, affettivo e creativo. Quando parla di psicomotricità, Aucouturier, prende in considerazione la persona intesa come “stretta unione tra struttura somatica, affettiva e cognitiva”: vediamo allora che il corpo non è più al servizio del pensiero conscio ma un mezzo di espressione delle pulsioni e dell’inconscio.

Il corpo ha una sua organizzazione che interagisce con tutto il resto: la dimensione affettiva e psichica è direttamente collegata alla sensorialità, al tono, alla motricità. In effetti l'evoluzione affettiva, cognitiva e motoria, avvengono nel momento in cui vengono date al bambino libertà di movimento ed espressione; vengono accolte le emozioni come valori profondi della sua storia relazionale e le proposte vengono adattate al suo stato tonico-emozionale.

...quando mi riferisco alla globalità del bambino, intendo rispettare la sua sensomotricità, la sua sensorialità, la sua emozionalità, la sua sessualità, tutte contemporaneamente. Intendo rispettare una attivazione unitaria della motricità, dell’affettività e dei processi cognitivi. Intendo accettare i tempi del bambino; la sua maniera assolutamente originale di essere al mondo, di viverlo, di scoprirlo, di conoscerlo, tutto allo stesso tempo. La pratica psicomotoria deve articolarsi pienamente su questa comprensione del bambino e della sua espressività motoria. (Aucouturier, 1995)

La conoscenza di tale pratica mi è stata resa possibile dal tirocinio che ho svolto durante quest’ultimo anno di università. Nello specifico, la pratica psicomotoria di Aucouturier distingue due campi d’azione: l’ambito educativo e preventivo, e il piccolo gruppo d’aiuto.

La pratica educativa e preventiva è indirizzata ai bambini da zero a setto-otto anni ed ha come obiettivo principale la facilitazione del percorso evolutivo dal “piacere di agire al piacere di pensare” accompagnato dalla possibilità per il bambino di rassicurarsi in merito alle sue angosce.

Il piccolo gruppo di aiuto ha come obiettivo l’uso del movimento per creare un canale di ascolto e sostegno per bambini che dimostrano difficoltà di sviluppo. Per Aucouturier, la patologia è data dall’impossibilità del bambino di crearsi delle rappresentazioni psichiche a partire da quello che è inscritto nel corpo; in aiuto, quindi, siamo in presenza di una deficienza di rappresentazioni psichiche, di dimensioni simboliche, di fantasmi. L’origine di tale mancanza deve essere ricercata nel periodo neonatale e prenatale. “In questo senso, la psicomotricità è un invito a porre attenzione alle azioni che il bambino compie, ricordandosi che l’espressività motoria è la via privilegiata di cui egli dispone fin dalla nascita (e prima) per mettersi in contatto con l’ambiente, per trasformarlo ed esserne trasformato.” (Colle, 2012)

La Pratica Psicomotoria si pone tre obiettivi principali:

  1. Favorire lo sviluppo della funzione simbolica attraverso il piacere di agire, giocare e creare; favorire il passaggio ai diversi livelli di simbolizzazione che permetteranno ai bambini di vivere, all’interno di un quadro strutturato, il percorso “dal piacere di agire al piacere di pensare l’agire”. Tale processo, per quanto possa sembrare puramente mentale, è in realtà molto legato alla corporeità in movimento di cui tanto parla la Pratica Psicomotoria Aucouturier. È muovendosi, infatti, che il bambino può rivivere determinate sensazioni di piacere e accedere poi ad una dimensione più simbolica. Se il bambino prova piacere a dondolarsi, ad esempio, è perché ciò gli ricorda qualcosa che ha già vissuto nella relazione primaria (in questo caso, l’essere cullato): il dondolio, allora, non dovrà più essere visto come un semplice movimento del bambino, ma come una prima rappresentazione psichica che il bambino si crea inconsciamente per riattualizzare un’azione su un fondo di piacere. Tutte le trasformazioni che il corpo di un bambino ha vissuto sin dalla nascita sono engrammate dentro di lui e ciò permette al bambino di crearsi una prima rappresentazione psichica incosciente che Aucouturier chiama fantasma. Tutta la motricità, secondo Aucouturier, è mossa da rappresentazioni psichiche ed è per questo che la PPA vuole accompagnare l’una per sviluppare l’altra e viceversa.
  2. Favorire lo sviluppo dei processi di rassicurazione rispetto alle angosce tramite il piacere di tutte le attività ludiche. A questo proposito, la Pratica Psicomotoria assumerà la sua dimensione preventiva attenuando il rumore di fondo delle angosce, affinché il bambino possa prenderne le distanze e accettarle. Tale processo non è cosciente nel bambino, ma l’espressività psicomotoria di quest’ultimo e la sua voglia di muoversi e giocare sono un segno della necessità per il bambino di vivere ed esprimere tali fantasmi per rassicurarsi rispetto a determinate angosce. L’attività psicomotoria deve così permettere al bambino di muoversi ed esprimersi liberamente proprio per lasciar uscire e vivere tali fantasmi necessari per un corretto sviluppo.
  3. Favorire lo sviluppo dei processi di decentrazione permettendo l’apertura al piacere di pensare e al pensiero operatorio. Si tratta di un processo psicologico che avviene nel bambino a livello incosciente e nel corso di vari anni. Tra i cinque e i sette anni il bambino diventa capace di percepire e vivere il mondo esterno indipendentemente dai suoi referenti personali, affettivi e fantasmatici. Qui il bambino è come se uscisse dal suo “pensiero magico” e accedesse al mondo esterno in maniera più oggettiva. In questa fase, ad esempio, il bambino è in grado di legare delle immagini alle sue emozioni: ecco perché, allora, la PPA cerca di aiutare il bambino a mettere parole sulle sue emozioni, lo conduce al decentramento attraverso il disegno, le costruzioni e

IL DISPOSITIVO DELLA SEDUTA

Come sostiene B. Aucouturier (2005) nel suo libro, l’evoluzione dell’espressività motoria dei bambini richiede un quadro di contenimento, cioè un dispositivo spaziale e temporale ben preciso.

Il dispositivo spaziale è strutturato in due luoghi: uno è riservato all’espressività motoria, mentre l’altro è riservato all’espressività plastica, grafica e al linguaggio.

Il primo luogo, più ampio, è dedicato a tutte le attività di gioco, mentre il secondo luogo ha dimensioni ridotte. È importante che il Terapista, prima che i bambini entrino in sala, prepari con cura questi due luoghi, che saranno entrambi dotati di materiale specifico.

Il dispositivo temporale è strutturato in fasi successive per permettere ai bambini di passare attraverso livelli diversi di simbolizzazione e di piacere e per favorire un percorso di maturazione psicologica che potrebbe essere sintetizzato nella frase “Dal corpo al linguaggio”. (Aucouturier, 2005)

Il primo tempo della seduta è riservato all’espressività motoria, il secondo tempo è dedicato alla storia raccontata al gruppo di bambini ed infine, il terzo tempo all’espressività plastica e grafica. Le tre fasi sono completate da un rituale di entrata e uno di uscita. La durata delle sedute varia in funzione dell’età dei bambini, solitamente, però, un’ora è sufficiente allo sviluppo delle fasi previste.

Nello specifico, durante il rituale iniziale, i bambini si siedono su una panca, vengono salutati uno alla volta e vengono pronunciati i nomi dei bambini assenti, per sottolineare l’importanza della perdita momentanea di alcune relazioni affettive tra i bambini. Vengono inoltre evocate le sedute precedenti e viene anticipato lo svolgimento della seduta stessa. È durante questa fase che vengono ricordate ai bambini le regole, ovvero che si gioca a “far finta di”, che non si fa del male agli altri bambini e non ci si fa male.

Dopo il rituale d’entrata, il segnale “Via!” pone fine all’attesa del desiderio di giocare. Terminato il tempo dedicato all’espressività motoria, è la fase della storia, utilizzata come mezzo di rassicurazione profonda attraverso il linguaggio. La storia va giocata su due registri: il primo si basa sull’aumento dell’angoscia, che dà valore drammatico alla narrazione; il secondo registro è invece basato sul ritorno alla rassicurazione emozionale.

È molto importante infatti che l’eroe della storia, col quale i bambini si identificano, sopravviva e trionfi sull’aggressore, in quanto l’onnipotenza magica è una risorsa favolosa per allontanare l’angoscia ed affermare la propria esistenza. Inoltre, la storia, collocata dopo il tempo dell’espressività motoria, dà ai bambini la possibilità di rappresentarsi delle azioni (quelle degli eroi) che rassicurano e, in particolare, quelle che allontanano l’intensità delle emozioni. La decentrazione che ne risulta faciliterà l’accesso a rappresentazioni che, coinvolgendo meno il corpo, faciliteranno il passaggio al secondo tempo della seduta, ovvero quello dedicato all’espressività plastica e grafica.

Le attività di costruzione e disegno permettono ai bambini di accedere ad un altro livello di capacità di simbolizzazione e di decentrazione. Infine, la seduta deve essere sempre chiusa con un rituale finale che varia in funzione all’età dei bambini.

Per quanto riguarda il materiale utilizzato per l’espressività motoria, la sala di Pratica Psicomotoria prevede alcuni arredi particolari come ad esempio spalliere, specchio, armadi, contenitori chiusi per sistemare il materiale e cavalletti metallici che possono sostenere assi in legno per la costruzione di strutture su cui i bambini possono arrampicarsi, saltare in basso, scivolare o stare in equilibrio. È previsto inoltre un materiale morbido composto da cuscini e cilindri in gommapiuma ricoperti di tessuti di diverso colore, che vengono utilizzati per costruire torri, case, castelli, auto… Oltre ai cuscini, in sala, sono presenti anche materassi, sempre in gommapiuma, di differenti spessori e dimensioni, che servono a proteggere i bambini quando scivolano, saltano e cadono. In sala ci sono inoltre tessuti colorati di tutte le dimensioni utilizzati per travestirsi o da usare come coperte da letto o tetti delle case e corde corte di cotone per i giochi di attacco o per legare qualcuno. Per quanto riguarda l’attività grafica, invece, si utilizzano tavolini ovali o rotondi su cui disegnare. Il materiale per il disegno è composto da fogli di carta bianca, pennarelli e matite colorate. Solitamente, è previsto inoltre materiale per l’attività costruttiva e quella plastica.

LA PRATICA PSICOMOTORIA: IL PICCOLO GRUPPO D’AIUTO

LA PRATICA PSICOMOTORIA: IL PICCOLO GRUPPO D’AIUTO

Per Aucouturier, la patologia è data dall’impossibilità del bambino di crearsi delle rappresentazioni psichiche a partire da quello che è inscritto nel corpo; in Aiuto, quindi, siamo in presenza di una deficienza di rappresentazioni psichiche, di dimensioni simboliche, di fantasmi.

Tutti i bambini hanno delle angosce, ma, se in condizioni di normalità un bambino è in grado di farvi fronte vivendole, attualizzandole, “affrontandole” abbastanza serenamente attraverso il gioco e la motricità, un bambino che non abbia alle spalle delle esperienze di piacere incamerate dentro di sé come riserva preziosa a cui attingere, si troverà a dover affrontare difficoltà corporee, strumentali, affettivo- relazionali e cognitive. Le difficoltà dei bambini segnalati per un gruppo di Aiuto rientrano appunto in queste tipologie.

L’Aiuto psicomotorio lavora dunque sulla restaurazione/instaurazione di una dinamica di piacere, necessaria per ogni ulteriore sviluppo (dal fantasma di dispiacere al fantasma di piacere attraverso la relazione).

L’Aiuto psicomotorio a piccolo gruppo prevede un tipo di attenzione al bambino molto sottile e preciso anche per quel che riguarda tutto ciò che circonda il bambino: al di là dell’attenzione al setting in cui si svolgono le sedute di psicomotricità, infatti, bisognerebbe, per quanto possibile, ottenere informazioni sul bambino all’interno della sua famiglia e all’interno della classe, informazioni circa le sue esperienze passate o, eventualmente, circa fatti salienti della sua vita. Tali informazioni permettono di crearsi un quadro globale della situazione in cui vive il bambino e ciò risulta importante anche ai fini di una sempre migliore terapia per il bambino.

In Aiuto psicomotorio, sarà necessario, se non fondamentale, avvalersi anche di un lavoro di equipe che comprenda sia esperti che svolgano tutti gli esami diagnostici necessari, sia esperti che provvedano ad una continua supervisione del Terapista e di tutto il gruppo di lavoro.

Il periodo migliore per l’Aiuto in gruppo è dai quattro ai sette anni, periodo che corrisponde a difficoltà di decentrazione tonico-emozionale in un certo numero di bambini.

IL DISPOSITIVO DELLA SEDUTA

Il dispositivo della seduta di un gruppo d’Aiuto è come quello utilizzato in Pratica Psicomotoria educativa, ma più flessibile. La flessibilità del dispositivo si gioca sulla possibilità di offrire ai bambini una pluralità di linguaggi per rappresentare attraverso molteplici mezzi espressivi e per scoprire diverse forme di comunicazione che lo aiuteranno ad aprirsi più facilmente agli altri membri. In particolare, il ruolo del Tnpee consiste nel modificare la durata delle fasi della seduta in funzione dei comportamenti emozionali e delle capacità di simbolizzazione dei bambini.

Il materiale non cambia rispetto ad una seduta di Pratica educativa, in quanto, anche nella Pratica di Aiuto psicomotorio, il materiale e la sua sistemazione debbono indurre situazioni di rassicurazione profonda (nello spazio dell’espressività motoria). Nello spazio dell’espressività grafica e plastica invece si può introdurre materiale per modellare o materiali trasformabili all’infinito, che offrono la possibilità di rappresentazioni tridimensionali in breve tempo. Nel disegno individuale, ogni bambino del gruppo va aiutato a parlare della propria produzione, ponendogli domande e aiutandolo a scoprire l’intensità emozionale della sua simbolizzazione, metafora della sua storia personale.

IL DISPOSITIVO DELLA SEDUTA

In generale, si può concludere sostenendo che l’intervento di Aiuto si basa sul piacere di interagire col gruppo di bambini, sostenuto dallo sviluppo dei processi di rassicurazione originari che mobilizzano l’immaginario, quindi la funzione simbolica e la comunicazione.

Nell’Aiuto psicomotorio, il Terapista valorizza tutte le competenze simboliche del bambino inviandogli “un’immagine positiva di sé” che gli permetta di riacquistare fiducia in se stesso e di accettare più facilmente le frustrazioni che accompagnano la crescita in uno spazio sociale che impone limiti, come può essere ad esempio l’ambiente scolastico.

 

La metodologia neuro e psicomotoria

Il modello generale della terapia neuro e psicomotoria fa riferimento alla relazione madre-bambino; così come la madre, il Tnpee opera per immettere il bambino in un mondo significativo e condiviso.

La madre compie le prime fondamentali segmentazioni di un continuum indifferenziato di sensazioni e percezioni espresse tramite manifestazioni tonico-motorie e foniche. L’idea di base del legame con la relazione precoce è che il Tnpee ritrasmetta al bambino la produzione caotica di queste manifestazioni, strutturata e marcata come “comunicazione” tramite azioni motorie e sensomotorie. Ciò significa porre l’intersoggettività al centro dell’intervento psicomotorio.

L’intersoggettività si realizza primariamente e principalmente nell’azione condivisa, ovvero uno spazio comune che include azioni, intenzioni, scopi, valori, significati e affetti. Ciò implica anche considerare la relazione interpersonale come il luogo, il fine e lo strumento dell’intervento terapeutico.

L’instaurarsi della relazione precoce avviene principalmente tramite una strutturazione temporale, ossia una durata comune scandita da un ritmo composto di sincronie e alternanze di azioni e manifestazioni, che utilizza i canali dello sguardo, dell’azione e della voce; dall’intersoggettività nasce quindi la soggettività.

Queste proprietà e caratteristiche sono state il risultato dell’osservazione e delle riflessioni riguardanti l’interazione adulto-bambino. La scoperta dei neuroni specchio, con la loro distribuzione e complessità nel cervello umano, ha confermato queste ricerche, fornendone le basi neurobiologiche. Tali neuroni dimostrano il radicamento biologico dell’intersoggettività con la comprensione immediata e preconcettuale non solo dell’azione ma anche degli stati emotivi dell’altro.

La simulazione incarnata dell’agire e del sentire altrui appare essere allora il substrato materiale necessario per la costruzione dei legami sociali che, a loro volta, sono alla base dello sviluppo cognitivo e affettivo individuale.

Le relazioni interpersonali svolgono un ruolo centrale nello sviluppo delle strutture cerebrali nelle prime fasi della vita e, poiché fare ipotesi e agire di conseguenza è il meccanismo conoscitivo di base del bambino, tutte le attività materne, comunicative e di cura, sono organizzate in modo da presentare al bambino, e costruire con lui, un mondo prevedibile.

La prima e più importante forma di prevedibilità è data dal tempo. Abbiamo già visto come la costruzione di un tempo comune, principalmente sotto forma di ritmi, sincronie e alternanze, costruisca l’impalcatura (scaffolding) della relazione precoce.

Concomitanti e intrinseche alla costruzione/regolazione temporale, le manifestazioni emotivo-affettive dell’adulto mantengono un carattere di coerenza e continuità con quelle del bambino.

Per costruire un modello prevedibile, la madre opera una selezione restrittiva dei propri comportamenti diretti al figlio (es. baby talking). La sintonizzazione degli affetti vitali descritta da Stern è un caso raffinato di tale selezione che inizia dal primo giorno di vita. In questo modo la madre introduce il figlio nell’umanità e il bambino comincia ad apprendere che qualunque comportamento può essere segno di qualcosa d’altro. Va sottolineato che tutto ciò non avviene per iniziativa unilaterale della madre, bensì attraverso continue contrattazioni e aggiustamenti reciproci che riconoscono l’altro come soggetto intenzionale.

Il Terapista della Neuro e Psicomotricità procede lungo le linee appena descritte, ma in modo ancora più attento e specifico. La madre agisce in modo spesso automatico e inconsapevole sulla base della propria dotazione bioculturale, il Tnpee invece agisce con maggiore consapevolezza e progettualità: l’inevitabile e necessaria implicazione affettiva si realizza perciò a un livello diverso da quello della madre, a una “giusta distanza”.

Nel rapporto con il Terapista, inoltre, il bambino si trova improvvisamente, per una decisione altrui, da solo con un adulto sconosciuto: la presentazione di un mondo prevedibile diventa allora forse ancora più importante che nella relazione precoce. La costruzione della prevedibilità è quindi la prima e più importante forma di rassicurazione senza la quale nessun progetto terapeutico può realizzarsi.

Come nella relazione precoce la prevedibilità si realizza principalmente tramite la gestione del tempo, per cui l’operazione fondamentale che il Tnpee comincia ad attuare sin dall’inizio è quella di “restituire il tempo al bambino e il bambino al tempo” (Berti & Comunello, 2011).

La reciproca restituzione del tempo marca tutto il percorso terapeutico e può avvenire nei modi più svariati secondo le caratteristiche del bambino. Il primo modo consiste nel mettere a sua disposizione un segmento di tempo quantitativo (la durata della seduta) secondo una scansione regolare. Come la madre crea dei rituali nell’interazione con il figlio, così il Tnpee ne costruisce con il bambino: i primi e i più importanti sono quelli di inizio e fine seduta.

La prevedibilità va però ben oltre la costruzione di rituali condivisi: il Terapista ha bisogno di rendere prevedibili le proprie azioni e iniziative affinché il significato sia più chiaro e il bambino possa organizzare meglio la propria risposta. La prevedibilità può essere data dall’annuncio verbale come da un assetto posturale o un accenno di azione.

Come la madre con il figlio, il Tnpee seleziona il proprio repertorio comportamentale finalizzandolo alla chiarezza e alla comprensibilità dei messaggi, sulla base di una formazione professionale e culturale e secondo l’età, il tipo e la gravità della disabilità del bambino. Anche il Terapista deve necessariamente essere attento a modulare il proprio tono muscolare su quello del bambino, riattualizzando il dialogo tonico primitivo.

La particolare attenzione e consapevolezza del tono muscolare proprio e del bambino è una caratteristica specifica del Tnpee, il quale tiene sotto controllo la “risonanza” immediata che il tono dell’altro ha sul proprio “vissuto tonico” per evitare di dare una risposta automatica. “Il tono può essere allora definito come il principio informatore della relazione del soggetto con il mondo, ciò che trasforma una posizione in una postura, determina l’organizzazione e la qualità del movimento e, tramite questo, informa delle connotazioni affettive di cui sono stati investiti il tempo e lo spazio.” (Berti & Comunello, 2011)

Il tono muscolare (nel quale è compreso anche il tono della voce), quindi il dialogo tonico, sono per la psicomotricità il canale privilegiato nella comprensione della soggettività e nella costruzione dell’intersoggettività.

La logica di quanto argomentato finora è che la terapia psicomotoria è una terapia dell’azione attraverso l’azione. Essa è la ricomposizione e la connessione di azioni o frammenti di azione attraverso l’interazione di gioco, ossia la costruzione di un senso condiviso.

Il gioco è un processo attivo attraverso il quale il bambino diventa consapevole del proprio mondo interiore e di quello esteriore, incominciando ad accettare le legittime esigenze di queste due sue realtà. Attraverso il gioco il bambino raggiunge diversi obiettivi fondamentali per la sua crescita e per il suo sviluppo personologico.

Per questi motivi, il gioco nella terapia neuro e psicomotoria, viene sempre più considerato non solo come mezzo per arrivare all’obiettivo, ma un fattore in sé importante per la crescita e per il benessere del bambino, all’interno di una visione che comprende l’aspetto relazionale e psicologico come parte integrante dell’intervento riabilitativo.

Oltre alla relazione, la psicomotricità pone al centro della sua attività il “corpo” nella sua interezza; considera il bambino come un'unità globale e il movimento come il motore della vita mentale e sociale. La centralità del movimento riconduce non solo alla significatività dell’atto, ma anche alla storia di quell’atto che ci parla della storia di quel bambino. Con il movimento il bambino costruisce se stesso e lo fa con interesse, energia, piacere ed è questa componente del movimento che è accolta e favorita nella terapia psicomotoria.

La terapia psicomotoria, pertanto, non ha come obiettivo primario quello di sviluppare l’efficienza motoria o favorire specifici apprendimenti, né di individuare particolari deficit motori. Essa, tramite le azioni del Tnpee, cerca invece di integrare le capacità motorie, espressive e comunicative di ogni bambino per riconoscerlo innanzitutto come sé agente, ovvero come essere capace di volere, sapere e potere effettuare trasformazioni sull’ambiente e condividere significati.

Considerare il bambino un essere intenzionale e quindi un portatore di storie significa riconoscergli a priori una capacità contrattuale e quindi un potere contrattuale che da essa deriva. Con un bambino in difficoltà, il Tnpee comincia attribuendo ai suoi comportamenti valore di significato, anche se appaiono poco comunicativi e apparentemente privi di significato. Per questo motivo, l’espressione “presa in carico” nella terapia psicomotoria, può essere sostituita con quella di “contratto terapeutico”.

Abbiamo visto come il Tnpee assuma una posizione d’ascolto orientata al movimento, all’azione e all’assetto tonico-posturale, alla ricerca di una condivisione emozionale e di senso con il bambino. È bene però distinguere tra movimento e azione, in quanto il movimento è un evento corporeo dipendente da cause fisiche, mentre l’azione è connessa a intenzioni, scopi, regole sociali.

Il congresso dell’ANUPI (Associazione Nazionale Unitaria Psicomotricisti Italiani) tenutosi a Napoli nel novembre 1997 ha definito, pertanto, che lo specifico della terapia psicomotoria è l’azione, configurandosi quindi come una terapia dell’azione attraverso l’azione. Ma, per quanto detto precedentemente riguardo la relazione precoce e l’intersoggettività dell’azione, possiamo dire che anche l’azione più individuale e solitaria è sociale, dunque la terapia neuro e psicomotoria è una terapia dell’interazione e, poiché le interazioni fra i due partner (Terapista e bambino) si ripetono regolarmente, è una terapia della relazione.

Secondo Ajuriaguerra (1974), “l’azione non è una semplice attività motoria, ma sul piano delle strutture essa è un circolo sensitivo-motorio e, nel corso della sua realizzazione, è un’attività con uno scopo definito in uno spazio orientato rispetto al corpo.” La definizione sottolinea il carattere attivo, l’intenzionalità e il rapporto mezzi- scopo dell’azione. In terapia psicomotoria, dunque, l’azione del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva mira a connettere e rendere più coerenti le porzioni di realtà che il bambino si è costruito. È una terapia che privilegia la qualità dell’azione, cioè i modi con cui viene realizzata.

“I modi dell’azione sono una miscela di categorie psicomotorie, di strumenti operativi e di analisi specifici di questo approccio terapeutico.” (Berti, et al., 2001) I modi possono mutare il significato di un’azione, danno indicazioni sulla qualità di una interazione, sugli stati affettivi ed emotivi dei partecipanti e riguardano il tempo (durata, velocità, lentezza, accelerazioni, rallentamenti, pause, alternanze), le posture (tipi, variazioni posturali, simmetrie, asimmetrie), il tono muscolare (grado di tensione, presenza o assenza di modulazioni toniche), lo spazio (lo spazio occupato dall’azione, lo spazio in cui essa avviene, lo spazio interpersonale e le sue variazioni), la voce (timbro, tono, volume, variazioni dell’intonazione), le modalità d’uso degli oggetti: il tutto sintetizzato nella qualità del movimento.

L’azione del Tnpee tende proprio a integrare, prolungare, variare, comunque a rendere più complessa l’azione del bambino.

L’attenta analisi degli elementi dello stile di azione e di interazione del bambino, cioè le caratteristiche di ciascuna categoria psicomotoria, permette di tracciare un profilo individualizzato del bambino e suggerisce come intervenire e cosa non fare. Essa può fornire indizi sugli stati emotivo-affettivi, sulla qualità della relazione e sullo stato del processo terapeutico.

Solitamente, con i bambini in difficoltà si tende a focalizzare l’attenzione e l’intervento quasi esclusivamente sulle competenze, cioè su ciò che il bambino sa o non sa fare, mentre la specificità osservativa e operativa del Tnpee consiste nel dare rilievo proprio alle caratteristiche delle categorie psicomotorie, sia nell’azione individuale che nell’interazione.

I MEZZI DEL TERAPISTA: SGUARDO, DIALOGO TONICO-EMOZIONALE

Nella seduta di psicomotricità viene a crearsi un’interazione terapista-bambino. Fondamento del comportamento interattivo è l’orientamento reciproco, che può essere inteso anche come risultato della consapevolezza di direzione di uno degli attori verso l’altro.

Uno dei principali canali utilizzati per questo scambio è lo sguardo. Il Terapista segue il bambino con lo sguardo e con il corpo durante tutta la seduta, non solo per l’osservazione, ma anche per far trovare al piccolo un ritorno dell’azione che ha compiuto, un punto di ascolto, una condivisione. Proprio lo sguardo condiviso è l’espressione di co-orientamento dell’azione stessa, dando una consapevolezza dell’intenzionalità di entrambi i soggetti dello scambio.

I rimandi terapista-bambino sono veri e propri scambi comunicativi: le reazioni tonico- emozionali costituiscono una delle più importanti modalità di relazione tra i due soggetti. È il Terapista che coglie le variazioni toniche del bambino che sono inevitabilmente connesse con le emozioni e con l’interiorizzazione delle esperienze affettive. Le modulazioni toniche del Terapista si sintonizzano su quelle del bambino.

Ciò è un’operazione interattiva nel corso della quale i soggetti imparano uno dall’altro. In questo modo il vissuto tonico va a costruire la matrice della differenziazione del proprio corpo, giocando un ruolo preponderante nella presa di coscienza di sé e nella conoscenza del mondo e dell’altro.

Nella terapia neuro e psicomotoria, questo processo di lettura intersoggettiva avviene tramite l’osservazione, mentre il contatto corporeo va a creare uno stato di benessere e di distensione che favorisce un’interazione ludica. Il gioco corporeo sollecita il piacere del movimento in una cornice di scambio comunicativo.

LE “MOSSE” DEL TERAPISTA

L’intervento neuro e psicomotorio prevede inoltre che il Tnpee metta in scena delle “mosse”, ovvero azioni non verbali di breve durata, con finalità ben precisa, che sono frutto di una strategia del Terapista i cui scopi sono contenere, facilitare o modificare il comportamento interattivo tra il bambino e l’ambiente psicomotorio.

Wille e Ambrosini sostengono che “le mosse influenzano il comportamento del bambino solo quando non sono accompagnate dal linguaggio verbale e, sono dunque delle lievi pressioni esterne ambientali a cui il soggetto può reagire spontaneamente”. (Wille & Ambrosini, 2010)

Di seguito, si riportano alcune delle “mosse” del Terapista e le relative funzioni.

Rispecchiamento imperfetto

I risultati delle ricerche nel mondo della neurobiologia sono la base scientifica del rispecchiamento come modalità, non solo di relazionarsi, ma soprattutto di entrare nella mente dell’altro e capirne le intenzioni.

Attraverso questo approccio, il Terapista entra nell’azione del bambino: per rispecchiamento si intende l’imitazione parziale di ciò che sta facendo il soggetto, nella quale vengono modificati uno o più parametri, come lo schema motorio, l’uso dello spazio, del tono muscolare o del suono, per evitare una relazione completamente chiusa, rischiando la fusione con l’altro.

Le principali funzioni sono quelle di:

  • veicolare un messaggio sull’identità;
  • sintonizzarsi con il bambino;
  • promuovere una comunicazione più diretta;
  • attivare l’attenzione del bambino sui contenuti delle sue azioni.

Nella stanza di psicomotricità, il Tnpee sa che il bambino lo osserva e lo segue con lo sguardo. La sua presenza e il suo corpo che si muove sono un linguaggio ed una realtà esistenziale molto simile alla sua, quindi di facile comprensione.

In questa cornice il Terapista inizia ad imitare il piccolo, non attraverso una riproduzione “tecnica” di ciò che sta facendo, ma cercando di trasformare il modello comunicativo, assumendo espressioni e movimenti più o meno simili ai suoi. Il Terapista continua ad essere se stesso, ma allo stesso tempo cerca di comunicare un desiderio di vicinanza, di incontro, di accettazione. Con la sua funzione di specchio intelligente, favorisce la presa di coscienza da parte del bambino della distanziazione da sé: “Ti sono presente perché sto facendo quello che fai tu” ma anche “Esisti perché, imitando la tua azione, ti individuo come soggetto”.

Il riconoscimento, l’accettazione o il rifiuto da parte del bambino dell’imitazione, sono degli indicatori sia per definire le problematiche o le aree di possibile intervento, sia per qualificare lo stato della relazione terapeutica.

Nel momento in cui il bambino, durante la sua attività, si ferma per guardare se il Terapista agisce nello stesso modo, fa emergere l’intenzionalità di stabilire una relazione nella quale il piccolo è consapevole della sua esistenza e di quella dell’altro.

La nascita di questa comunicazione non verbale ha come base la reciprocità e, di conseguenza, uno schema alternato organizzato in turni e adiacenze. Il bambino assume uno schema temporale nel quale ha interiorizzato la distinzione dell’altro da sé ed è in grado di adottare in successione ruoli diversi e, concetto più importante, sa che anche l’altro conosce tutto questo.

Amplificazione

Per incoraggiare il bambino a perseverare nelle sue azioni e valorizzare la sua spontaneità e creatività, il Terapista è portato, in determinate situazioni, ad enfatizzare il comportamento spontaneo del bambino.

L’accompagnamento amplificato dell’azione può essere effettuato tramite l’uso di parole, espressioni onomatopeiche, linguaggio extra-verbale come ad esempio gesti e mimica del viso. Significativa è inoltre la modulazione del tono della voce.

Scaffolding

Attraverso modalità somatiche (inserite in una cornice definita) il bambino viene introdotto nel mondo della realtà oggettiva e sociale e nell’universo simbolico del linguaggio, grazie ad un’operazione di sostegno (scaffolding) che J. Bruner attribuisce alla figura materna durante l’interazione con il figlio; in terapia neuro e psicomotoria viene ripresa questa funzione, dove la competenza comunicativa prelinguistica funge da premessa a quella linguistica.

Il Terapista può intervenire nell’azione non solo con il corpo, ma anche con le produzioni vocali. Il linguaggio verbale, costituito da parole, suoni o vocalizzi, accompagna determinati momenti dell’attività.

La spontaneità delle parole del Terapista durante la seduta ha sempre il senso di sostenere il bambino nel percorso della costruzione del sé e più precisamente assume accenni tonici e accenni di senso:

  • il senso di aiutare ogni bambino a “dire parole” su ciò che cerca di esprimere; il Terapista dà molta importanza alle minime componenti non verbali della comunicazione;
  • il senso di aiutare a “dire parole” sulle emozioni attribuendo un sostantivo a quello che il piccolo sta provando;
  • il senso di dare punti di riferimento per le caratteristiche e i parametri che permettono al soggetto di integrare spazio e tempo senza “imporli” come insegnamento.

Le parole non vengono utilizzate solo come rinforzo di “conoscenza” che permette quindi un passaggio alla rappresentazione simbolica, ma anche come vera e propria forma di aiuto.

LA CONDUZIONE E LE FASI DELLA SEDUTA PSICOMOTORIA

Sulla base del progetto riabilitativo e degli obiettivi da perseguire, in riferimento anche alle caratteristiche cliniche e di interazione del bambino, si utilizzano tipologie di conduzione della seduta differenti:

  • la conduzione indiretta, che promuove l’evoluzione naturale del bambino nella sua globalità, essenzialmente attraverso il gioco e l’espressione spontanea dell’azione. Lavora principalmente sull’implicazione corporea per favorire la comunicazione interpersonale e l’autonomia nella risoluzione dei problemi. Il bambino viene guidato dal terapista indirettamente e non esplicitamente, modellando il suo comportamento attraverso l’interazione, il setting e alcune azioni quali contenimento fisico, rispecchiamento, azioni parallele, etc.
  • la conduzione facilitante, che consiste in un continuo supporto e aiuto corporeo al soggetto, finché l’azione non può partire dalla sua volontà. Viene guidato attraverso i movimenti e le manovre corporee del Terapista. Le mosse sono spesso accompagnate con parole le che sottolineano o le enfatizzano, oppure con suoni onomatopeici e voce cantata.
  • la conduzione diretta, che si esplicita attraverso una richiesta del Terapista al bambino di attivazione di schemi di azione finalizzati alla conquista consapevole di un obiettivo definito in anticipo. Presuppone l’intenzionalità riflettuta e consapevole delle azioni da parte di entrambi gli interlocutori.

La stabilità della seduta neuro e psicomotoria implica essa stessa l’organizzazione del tempo a disposizione che deve favorire il massimo coinvolgimento del bambino tenendo conto del suo temperamento, delle sue capacità attentive e del suo livello di faticabilità.

Generalmente vengono individuate tre fasi che, indipendentemente dalle modalità di conduzione, hanno tratti comuni per quanto riguarda l’ordine delle sequenze:

  • la fase di contatto è quella iniziale, in cui non si richiede un immediato impegno adattivo del bambino, ma gli si lascia il tempo per coinvolgersi. L’obiettivo è quello di creare un clima di accoglienza e distensione tramite un gioco o una breve conversazione.
  • la fase centrale è quella che comprende la realizzazione degli scopi terapeutici veri e propri e si manifesta in maniera molto differente a seconda del tipo di conduzione.
  • la fase di congedo è quella in cui il Terapista aiuta il bambino a concludere le sue attività in modo graduale e non brusco. È importante far capire al bambino che la fine della seduta è motivata solamente da fattori logistici, legati al rispetto di una durata standard scelta per poter lavorare al meglio.

Le singole fasi occupano tempi e spazi differenti a seconda della tipologia di conduzione e soprattutto del bambino che abbiamo di fronte.

 

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