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LA COMUNICAZIONE

La comunicazione è un processo che nasce da un desiderio, un bisogno o da una condizione di necessità, ed è definita, nel senso più ampio, come "qualsiasi atto mediante il quale una persona dà o riceve da un'altra persona informazioni sui bisogni di quella persona, i desideri, le percezioni, le conoscenze, o gli stati affettivi" ²⁰. Questo processo prevede lo scambio di messaggi tra due o più individui, secondo un principio di circolarità (due individui costituiscono l’anello comunicativo minimo)²¹. La comunicazione è quindi un processo di socializzazione poiché normalmente comporta un’interazione fra soggetti comunicanti, in quanto la risposta suscitata dalla comunicazione nel soggetto che la riceve opera a sua volta uno stimolo nei confronti del comunicante.  

Affinché si attui un processo di comunicazione è necessaria la presenza di sei fattori: un “emittente”, un “ricevente” e un “codice”, che dev’essere almeno parzialmente comune ad entrambi; vi sarà poi il “messaggio” , costruito sulla base delle regole fornite dal codice, il “canale”, che permette al messaggio di passare dall’emittente al ricevente, e il “contesto” (o “referente”), ovvero l’argomento di cui si parla ¹². I messaggi che vengono trasmessi possono essere di natura diversa (verbale o non verbale) e possono essere veicolati da canali comunicativi diversi e di vario grado di sofisticazione. La comunicazione verbale prevede la trasmissione di un messaggio attraverso l’utilizzo di un codice linguistico; la comunicazione non verbale trasmette un messaggio attraverso l’utilizzo di un codice diverso da quello linguistico.         

Il fatto di comunicare con gli altri, di scambiare idee ed emozioni con le persone che ci circondano, rientra nell’esperienza primaria di ciascuno di noi. Infatti l’uomo, per la sua natura stessa, avverte il bisogno di parlare, di esprimere i propri stati d’animo, di partecipare agli altri ciò che pensa o che sente. Come sottolineava lo psicanalista Erich From “La coscienza che l’uomo ha di se stesso come entità separata, la consapevolezza della propria breve vita, il senso di solitudine, l’importanza di fronte alle forze della natura e della società, gli rendono insopportabile l’esistenza. Diventerebbe pazzo, se non riuscisse a rompere l’isolamento, a unirsi agli altri uomini, al mondo esterno.” ¹²

Riguardo alla comunicazione e alle sue “regole”, P. Watzlawick ha tentato di fissare alcuni assiomi, unificati tra loro per l’importanza pragmatica che rivestono, ovvero per la loro possibilità di riferimenti interpersonali ¹²:

  1. L’impossibilità di non comunicare: attività o inattività, parole o silenzio hanno tutti un valore di messaggio poiché influenzano gli altri, i quali, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni.
  2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione in modo che il secondo classifica il primo: una comunicazione non soltanto trasmette un’informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento che definisce il modo in cui si deve assumere l’informazione stessa.
  3. La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti: coloro che partecipano all’interazione introducono sempre qualcosa di importante e cioè “la punteggiatura delle sequenze di eventi”, ovvero le regole contingenti che concernono lo scambio in corso.
  4. Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico (verbale) che con quello analogico (non verbale): il linguaggio verbale ha una sintassi logica molto complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio non verbale ha la semantica ma non la sintassi adeguata. Di conseguenza, l’aspetto di contenuto della comunicazione ha più probabilità di essere trasmesso con un modulo numerico, mentre l’aspetto di relazione con il modulo analogico. 
  5. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari: nel primo caso il comportamento di un interlocutore tende a rispecchiare quello dell’altro, e perciò la relazione è caratterizzata dall’uguaglianza; nel secondo caso il partner completa il comportamento dell’interagente, per cui la relazione si basa sulla differenza.

 

INTERSOGGETTIVITA’ E  NEURONI SPECCHIO

La cultura psicomotoria propone il ruolo centrale della relazione, dell’intersoggettività, la logica della complessità e quindi la non predeterminazione degli esiti, la co-costruzione del senso e dei percorsi.  Il bambino è interessato al mondo delle relazioni molto prima e molto di più che al mondo del sapere ¹⁵. E’ stato infatti stabilito come assunto base della pratica psicomotoria il riferimento alla relazione madre-bambino. Di fatto, è sulla base di essa che si sviluppa l’inter-soggettività, intesa come spazio comune all’interno del quale il genitore realizza un’azione condivisa col bambino che si carica di senso e significato. L’intersoggettività si realizza primariamente e principalmente nell’azione condivisa, ovvero uno spazio comune che include azioni, intenzioni, scopi, valori, significati, affetti ecc. Ciò implica anche considerare la relazione interpersonale come il luogo, il fine e lo strumento del proprio intervento terapeutico ³. Ciò che accomuna genitore e terapista è proprio il loro ruolo di attribuire valore e significato a gesti, azioni, sentimenti e espressioni del bambino, che riesce quindi a dare un senso a ciò che prova e che fa. Questi comportamenti permettono a madre e figlio di stabilire una consonanza affettiva che svolge un ruolo importante nel successivo sviluppo di modalità di relazione più sofisticate che includono l’uso del linguaggio. Esistono però delle differenze che intercorrono tra genitore e terapista, e che assumono una funzione fondamentale in quanto riguardano lo scopo e la modalità dell’intervento riabilitativo. Infatti, mentre la madre agisce in modo spontaneo, il TNPEE si attiene alle linee guida in modo preciso, compiendo determinate scelte con consapevolezza e progettualità. Inoltre, la madre è totalmente coinvolta nella relazione col proprio figlio, al contrario del TNPEE, che possiede una diversa risonanza affettiva col bambino: mostra e utilizza un atteggiamento empatico, in quanto deve creare un legame affettivo col bambino, ma si pone alla giusta distanza, mantenendo il proprio ruolo asimmetrico ¹⁴.

Ponendo quindi attenzione ai principi teorici e alla cultura psicomotoria di riferimento, risulta importante che il terapista porti il bambino a sviluppare l’intersoggettività, in quanto solo attraverso di essa si può sviluppare la soggettività e, di conseguenza, la consapevolezza e il riconoscimento della propria identità.       

In realtà i più recenti studi relativi ai neuroni specchio hanno evidenziato come la capacità di intenzionalità condivisa possa esistere assai prima di quando si sviluppa una teoria consapevole della mente. Il sistema automatico dei neuroni specchio, che non richiede quindi alcuna consapevolezza, entra in risonanza con le azioni effettuate da un altro, promuovendo l’attivazione dello stesso pattern motorio necessario a compiere le azioni osservate, senza però agire concretamente. Questo sistema assume un ruolo fondamentale nell’imitazione, nella condivisione di emozioni, nella comunicazione e nel linguaggio e, in quanto tale, sembrerebbe rappresentare il sistema che sta alla base dell’intenzionalità condivisa, dell’empatia e, verosimilmente, dello sviluppo della capacità di comunicare prima attraverso i gesti e poi attraverso il linguaggio. E’ attraverso questo sistema che gli stati mentali, le sensazioni, le emozioni possono essere condivise in uno spazio che mette in relazione sé e altro da sé in una dimensione più globale che è alla base dell’intersoggettività ⁹.

Essendo un sistema automatico, e quindi presente fin dalla nascita, è importante che sia attivato e stimolato a crescere attraverso l’interazione con l’altro, che consente la progressiva costruzione/condivisione dei significati. Questo avviene, inizialmente e principalmente, grazie al rapporto madre-bambino, caratterizzato da uno scambio reciproco all’interno del quale la madre dovrà pensare e reagire il più correttamente possibile agli stati mentali del bambino, poiché solo in tal modo gli permetterà di costruire la capacità di comprendere i propri stati mentali e quelli degli altri.

 

LA NASCITA DELLA COMUNICAZIONE

Un bambino appena nato ha il proprio corpo come primo e unico mezzo di comunicazione con l’ambiente esterno. L’uso della tonicità, delle posture, del movimento, del gioco, dello spazio, del tempo e degli oggetti è infatti ciò che permette al bambino di essere in costante stato di intercambio con l’ambiente esterno, con il mondo degli altri e degli oggetti, e sarà anche e soprattutto la modalità di espressione del mondo emozionale interno nella prima infanzia ¹⁵.

La comunicazione infantile, già presente nei neonati, non è solo un precursore della comunicazione linguistica, ma anche e soprattutto una significativa forma di comunicazione umana che dovrebbe essere considerata come un esito dello sviluppo cognitivo e delle esperienze socio-interattive nel primo anno di vita ¹¹. Recenti studi hanno individuato fattori sia cognitivo-sociali sia socio-interattivi che influenzano la comparsa della comunicazione gestuale, in particolare del puntamento. Indicare e mimare rappresentano infatti i primi gesti comunicativi naturali, incredibilmente potenti e specie-specifici, e fortemente correlati ad altre forme di sintonizzazione mentale ⁹.    

Indicare è un gesto deittico che ha la funzione di attirare l’attenzione dell’altro per dirigere l’attenzione condivisa e portare l’altro a inferire ciò che il comunicatore vuole che il ricevente faccia, sappia o percepisca. Alla base di questo processo vi è la tendenza naturale dell’uomo a seguire la direzione dello sguardo dell’altro e quindi del gesto. L’importanza dell’additamento si accresce sempre di più nel tempo: esso diviene per il bambino uno strumento fondamentale per esplorare le relazioni tra gli oggetti, la loro collocazione e i loro proprietari; inoltre è accompagnato da vocalizzi e dal volgere dello sguardo verso l’interlocutore ¹².

Di fatti, nel produrre il gesto di indicare con intenzione dichiarativa il bambino intende influenzare l’attenzione e l’interesse dell’altro circa il mondo esterno. In questo caso è necessaria la capacità di usare uno strumento costituito da un atto comunicativo per condividere l’attenzione con l’interlocutore: si tratta di una vera e propria intenzione comunicativa, in quanto implica una comunicazione “come scopo in sé” piuttosto che “come strumento per altri scopi” ⁶. In questo stadio, uno strumento importante a disposizione della madre è la lettura di libri. Infatti il guardare insieme testi illustrati concentra l’attenzione congiunta della madre e del bambino su centri di interesse molto specifici, che permetterà la nascita di uno schema dialogico fondamentale per lo sviluppo della denominazione. In questa fase infatti (da un anno a quindici mesi circa), la madre inizia a indurre il bambino a guardare, indicare e vocalizzare, andando a costituire quella che è una condizione preliminare per lo sviluppo del linguaggio.          

Mimare è un altro gesto deittico che ha la funzione di indirizzare l’immaginazione altrui, per poter comunicare su cose che non sono immediatamente presenti. In questo caso, alla base del processo di imitazione, vi è la tendenza naturale dell’uomo a interpretare le azioni altrui come intenzionalmente dirette a ottenere un risultato o a trasmettere informazioni.

Sia per quanto riguarda l’indicare che il mimare, affinché l’intento comunicativo sia decifrabile dall’altro, è necessaria la conoscenza del contesto di riferimento e questa conoscenza deve condivisa da entrambi i “partner comunicativi”. Il contesto comunicativo infatti, include tutto ciò che è rilevante per l’interazione sociale e viene definito da Tomasello (2009) “terreno comune” ⁹.       

Un terreno comune noto e condiviso tra genitore e bambino viene a crearsi attraverso la ripetizione regolare di sequenze (la poppata, il bagnetto, condividere la lettura di un libro ecc..), grazie alle quali diventa più facile per il bambino seguire lo sguardo dell’adulto, individuare cosa indica, imitarne il comportamento. Vengono così a crearsi tra madre e bambino scambi ritualizzati e contestualizzati in cui il bambino, condividendo l’attenzione con l’adulto, impara ad attribuire attivamente un significato alle azioni e alle espressioni della madre e impara a produrre segnali più stabili e condivisi ⁹. In questo modo il bambino inizia a comprendere che anche i suoni e gli atti che produce hanno un significato, riconosciuto e restituito dalla madre, e che essi sortiscono effetti sugli altri. Quest’attenzione visiva congiunta, fondamentale per la nascita e lo sviluppo della comunicazione, diventa man mano meno importante quando li bambino impara a usare il linguaggio per sintonizzarsi con l’altro.

 

Indice

 
 
INTRODUZIONE - ABSTRACT - PREMESSA E SCOPO
 
  1. LA COMUNICAZIONE: Intersoggettività e neuroni specchio; La nascita della comunicazione
  2. LA COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA: La nascita e l’evoluzione della CAA, La CAA in Italia, I soggetti con BBC; Prerequisiti e “falsi miti” per l’intervento di CAA; Perchè leggere
  3. Laboratorio di esposizione alla LETTURA AD ALTA VOCE di libri in simboli: Setting; Strumenti e metodi, Libri in simboli, Modeling, Questionario sull’impatto socio-familiare della lettura in simboli, Questionario di esposizione alla lettura ad alta voce; Utenti, Descrizione del campione
  4. Ambiente e generalizzazione degli apprendimenti: ICF; Esperienza e partecipazione, Incontro a scuola, Uscita serale
  5. RISULTATI: Grafici de “questionario sull’impatto socio-familiare della lettura in simboli”; Grafici de “questionario sull’esposizione alla lettura ad alta voce”
  6. DISCUSSIONE: Considerazioni su “questionario sull’impatto socio-familiare della lettura in simboli”; Considerazioni su “questionario di esposizione alla lettura ad alta voce”

 

 
CONCLUSIONE
 
BIBLIOGRAFIA
 
APPENDICE
 
Tesi di Laurea di: Noemi MOLTANI 
 

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