CONCLUSIONI - Terapia Neuropsicomotoria in Età Evolutiva: centralità della collaborazione con la famiglia (anche) straniera

Terminata la somministrazione dei questionari e l’interpretazione delle rispettive risposte, è stato possibile trarre alcune conclusioni in merito il progetto di tesi qui sviluppato.

La maggior parte delle famiglie costituenti il campione si è resa disponibile allo studio. Durante i colloqui ha dimostrato stupore ed interesse nel vedere il questionario scritto nella propria lingua, si è aperta nei confronti del Terapista, raccontando situazioni difficili vissute nel paese d’origine, quali la mancanza di denaro per fare la spesa, riportando sentimenti di paura ed incertezza vissuti durante il viaggio per arrivare in Italia e ancora, insicurezze e fragilità riguardanti lo sviluppo e l’educazione del proprio/a bambino/a.

Proprio in questa circostanza si è presentato il primo limite dello studio, nonché la mancanza di una figura quale quella del mediatore culturale e linguistico. Seppur gran parte delle famiglie affermi di comprendere il linguaggio utilizzato dal TNPEE, nel comunicare con queste in italiano risulta complesso dare spazio ad argomenti personali, intimi, a noi sconosciuti quali le caratteristiche più intrinseche della cultura, l’elaborazione del lutto della diagnosi e/o le aspettative che hanno maturato in merito l’evoluzione del loro bambino/a. Diversi partecipanti nel momento di somministrazione del questionario, difatti senza entrare mai nello specifico, accennano la presenza, nel loro Paese d’origine, di tradizioni culturali molto differenti dalle nostre. Tuttavia, alla richiesta di spiegazione di tali usanze non trovano le parole per descriverle nella lingua italiana, per cui reagiscono irrigidendosi, affermando di averle in parte dimenticate e di essersi adattati alla nostra cultura. Tale risposta evidenzia, ancora una volta, l’importanza dell’uso della lingua madre, l’unica che consente all’individuo di emergere con le sue caratteristiche soggettive, di evocare l’universo inteso come fondo strutturale della sua esistenza fisica, affettiva ed esperienziale.

Per questo motivo, nella fase di creazione dei questionari, si era pensato di somministrarli con la partecipazione di tale figura. Purtroppo la mancanza improvvisa di questa all’interno del servizio, ci ha costretti a ridefinire le modalità di somministrazione.

Altro limite osservabile riguarda sicuramente l’ampiezza del campione oggetto d’analisi, costituito da soli 6 bambini di origine straniera. Nonostante all’interno del progetto di tesi si trovi un questionario generale creato appositamente per ricerche future rivolte ad un campione più ampio ed eterogeneo, si pensava di testare inizialmente il questionario su un campione di almeno 10 famiglie straniere.

In questo caso l’avvento della pandemia da Covid-19 ha portato ad erogare con metodiche differenti molteplici interventi neuro psicomotori. Per molti bambini a rischio, con disabilità complesse sono stati bloccati gli incontri con il TNPEE in presenza ed insieme alle famiglie, è stato deciso di attuare percorsi da remoto attraverso piattaforme quali Skype.

Di conseguenza la scelta di somministrare presso il servizio i questionari o comunque se lasciati da portare a casa, di effettuare un colloquio al momento della restituzione ha escluso dallo studio alcune delle famiglie straniere, dapprima incluse.

Nonostante questo, è stato possibile individuare alcune interessanti peculiarità nella compliance Terapista della Neuro e Psicomotricità e famiglia straniera.

Quest’ultima mostra completa fiducia nel terapista e nelle figure sanitarie presenti all’interno del servizio, non sempre però comprendendone il ruolo rivestito rispetto il proprio bambino/a. Seppur in linea generale tutte le famiglie abbiano accettato la diagnosi e siano consapevoli dei punti di forza e di debolezza che questa ne comporta sul proprio/a piccolo/a faticano a cogliere l’importanza di trasferire le abilità e le competenze emerse all’interno della stanza di neuro psicomotricità, nel contesto domestico. La non completa conoscenza della lingua italiana influenza sicuramente la relazione terapeutica tra TNPEE e figura di riferimento, già complessa tra individui appartenenti alla stessa cultura.

Questa caratteristica è stata evidenziata soprattutto al momento del colloquio, le difficoltà ad esempio delle famiglie straniere nel comprendere il fine di un’attività proposta al loro bambino o nell’esprimersi per raccontare un particolare avvenimento, le portano col passare del tempo ad abbondare l’idea di poter comunicare con l’altro, ad avere la percezione di essere giudicate, a chiudersi in sé stesse, vivendo di conseguenza

l’intervento riabilitativo del piccolo in maniera passiva, delegando il ruolo di genitori ed educatori al terapista. Tale motivazione pensiamo abbia influenzato anche molte delle risposte ai questionari, spesso tra di loro contrastanti e non veritiere.

Alla luce delle informazioni emerse dallo studio appare difficile distinguere quanto l’assunzione di tale atteggiamento dipenda dalla presenza di differenze culturali e linguistiche, da fattori esterni, indipendenti il Paese d’origine della famiglia o la combinazione di entrambi.

In conclusione, nella realtà dell’UONPIA di Voghera, il lavoro di tesi, ben accetto tra le famiglie prese in esame può essere considerato quale punto di partenza, per ripensare secondo un’ottica che sia interculturale l’intervento neuro psicomotorio. Un’ipotesi futura potrebbe essere quella d’includere la figura del mediatore culturale e linguistico all’interno dell’équipe multidisciplinare del servizio, ad oggi composta da Neuropsichiatra infantile, TNPEE, logopedista, fisioterapista, assistente sociale e psicologo, al fine di garantire una traduzione linguistica con le famiglie di origine straniera che tenga conto anche dei diversi fattori culturali.

Ovviamente vista l’incidenza sempre maggiore di bambini con origini migratorie all’interno dei reparti di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, tutto questo merita di essere approfondito con ricerche future e momenti di formazione interculturale, dove medici, terapisti e tutte le figure della riabilitazione possano avvicinarsi alla cultura d’origine dei loro pazienti, alle concezioni che le famiglie hanno rispetto il loro bambino/a e la malattia, col fine di cogliere la complessità esistenziale dello stesso e implementare interventi specifici.

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