La riabilitazione in età evolutiva e l’uso dei videogiochi
Una definizione di riabilitazione
All’interno del mondo sanitario la riabilitazione viene definita come una disciplina che tende a intervenire direttamente sul paziente, attraverso diversi tipi di approcci e tramite professionisti differenti, ma sempre con il fine di garantire una vita il più normale possibile al paziente di cui si prende cura. (Ministero della sanità, 1998).
Lo scopo di ogni intervento riabilitativo è infatti quello di “guadagnare salute”, in un’ottica che vede la persona con disabilità e limitazione della partecipazione, non più come un “malato”, ma come una “persona avente diritti” (Conferenza per l’anno europeo della persona con disabilità, Madrid, 2002).
Compito dell’intervento riabilitativo è proprio prendere in carico la “persona”, per poi realizzare tutti gli interventi sanitari necessari a farle raggiungere, nell’ottica del reale empowerment, le condizioni di massimo livello possibile di funzionamento e partecipazione, in relazione alla propria volontà e al proprio contesto. Si parla infatti di “percorso assistenziale integrato”, quale riferimento complessivo del piano di assistenza e cura, che rende sinergiche tutte le componenti sanitarie e non sanitarie dell’intervento riabilitativo.
Anche la definizione di riabilitazione fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) richiama questi principi, perché la configura come un “insieme di interventi che mirano allo sviluppo di una persona al suo più alto potenziale, sotto il profilo fisico, psicologico, sociale, occupazionale ed educativo, in relazione al suo deficit fisiologico o anatomico e all’ambiente”. (Glossario OMS, 1998)
Si parla di “insieme di interventi” proprio in quanto all’interno della riabilitazione si differenziano tre tipologie prevalenti di intervento conosciuti come: “rieducazione”, “educazione” e “assistenza”, definendo un modello di presa in carico globale, che deve mirare “al più alto potenziale fisico, psicologico, sociale, occupazionale ed educativo possibile per il soggetto in base alle sue limitazioni, al suo margine di modificabilità e al suo ambiente”, avvalendosi di un’equipe multidisciplinare di professionisti, ognuno secondo il proprio ambito di specializzazione in maniera integrata con gli altri.
Esistono delle linee guida tracciate dal Ministero della Sanità (1998) per le attività di riabilitazione, che vanno a definire gli obiettivi fondamentali della disciplina:
- il recupero di una competenza funzionale che, per ragioni patologiche diverse, è andata perduta;
- l'evocazione di una competenza che non è comparsa nel corso dello sviluppo;
- la necessità di porre una barriera ad una regressione funzionale, cercando di modificare la storia naturale di una malattia cronico- degenerativa per ridurre i fattori di rischio e cercare di dominarne la progressione;
- la possibilità di reperire formule facilitanti alternative per le funzioni compromesse.
L'intervento riabilitativo ha inizio nel momento stesso in cui il danno si instaura. Il termine è definito invece da un accurato bilancio tra la stabilizzazione degli esiti e la presenza di potenzialità di recupero.
Il primo stadio della riabilitazione, in senso cronologico, ha luogo al momento stesso in cui si verifica la menomazione e, pertanto, o in fase acuta di malattia o all'accertamento di una patologia congenita o cronica.
Il secondo stadio della riabilitazione prende avvio in funzione delle disabilità che residuano non appena viene superata la fase acuta di malattia e richiede interventi sistematici per il ri-apprendimento e/o l’abilitazione di funzioni, effettuati presso strutture ospedaliere o extraospedaliere di riabilitazione. Il terzo stadio richiede infine interventi sanitari meno sistematici in quanto afferenti ad una condizione di handicap ormai stabilizzato, che vengono solitamente praticati in ambito ambulatoriale e sono finalizzati al mantenimento delle autonomie funzionali ed alla prevenzione delle possibili ulteriori involuzioni. I suddetti criteri valgono, almeno in linea generale per ogni età e per ogni patologia invalidante, o potenzialmente tale. (Ministero della sanità, 1998)
L’intervento riabilitativo ha inizio con la scrittura di un progetto riabilitativo individuale (PRI) che viene elaborata dall’equipe multidisciplinare e coordinata dal medico responsabile.
All’interno di tale progetto vengono indicati: il medico specialista responsabile del progetto stesso; i bisogni globali del paziente ma anche le sue menomazioni e disabilità, ma soprattutto le sue abilità residue e recuperabili, sulla base dei fattori ambientali, contestuali e personali; vengono definiti gli esiti desiderati secondo le aspettative e le priorità del paziente, dei suoi familiari, e dell'équipe curante.
Il progetto riabilitativo individuale definisce inoltre il ruolo dell'équipe riabilitativa, rispetto alle azioni da intraprendere per il raggiungimento degli esiti desiderati; specificando, nelle linee generali, gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, i tempi previsti, e le condizioni necessarie al raggiungimento degli esiti desiderati.
Si tratta di un documento che costituisce il riferimento per ogni intervento svolto dall'équipe riabilitativa che viene comunicato in modo comprensibile ed appropriato al paziente e ai suoi familiari, ma anche a tutti gli operatori coinvolti nel progetto stesso.
Viene ridefinito e corretto in base alle modifiche che occorrono al paziente stesso, siano esse modifiche anatomiche, funzionali e/o di bisogni familiari e ambientali. (Ministero della sanità, 1998)
Tale modello viene applicato anche nella riabilitazione pediatrica, definendo le aree che saranno soggette a riabilitazione, ovvero le aree di intervento di cui ha necessità il bambino.
All’interno del progetto riabilitativo compare il “programma riabilitativo”, che contiene invece gli obiettivi specifici di ogni intervento praticato, le modalità e i tempi di erogazione del servizio, gli operatori coinvolti e le modalità di verifica degli outcome.
Anche questo è un documento pubblico, condiviso con la famiglia, costantemente aggiornato durante il periodo della presa in carico quale importante elemento di verifica del progetto riabilitativo. (Servizio sanitario nazionale, 2010)
In Italia le operazioni di riabilitazione, in particolar modo quelle relative all’età evolutiva, vengono erogate per gran parte sotto forma di prestazioni ambulatoriali, che si affiancano alle operazioni riabilitative in regime di degenza ordinaria e day hospital, erogate da strutture semiresidenziali e residenziali. Queste ultime due forme necessitano della disposizione di posti letto all’interno della struttura sanitaria; secondo le stime del ministero della salute (Servizio sanitario nazionale, 2010), nell’ultimo decennio i posti letto accreditati, disponibili nei servizi pubblici e privati sono di 0,4 ogni mille abitanti su scala nazionale, con disomogeneità piuttosto conclamate all’interno delle diverse regioni (al primo posto la regione Molise con 0,89 posti letto ogni 1000 abitanti e all’ultimo la regione Sardegna con 0,11). La media nazionale italiana si dimostra decisamente più bassa rispetto a quella degli altri grandi paesi europei (Germania 2,1; Francia 1,1; Austria 1,0), nonostante abbia visto una crescita di quasi 4 punti percentuali dal 2004 al 2009 e poi ancora nel 2014, fino a portare la media nazionale ai numeri attuali.
Questi dati stanno a significare un aumento di risorse impiegate nel settore, che va di pari passo ad un aumento di domanda di richiesta d’assistenza e anche a una necessità sempre maggiore di ospitare pazienti in strutture specializzate. (Servizio sanitario nazionale, 2013)
Il crescere di richieste di assistenza e le difficoltà del sistema nazionale nel far fronte alle liste d’attesa, porta sempre maggiormente alla ricerca di nuove tecniche riabilitative e risorse che consentano una riabilitazione espletabile a cicli, che dopo un periodo di trattamento con l’operatore specializzato può continuare al domicilio, per fasi identificate e monitorabili.
Proprio in questa direzione si muove anche questo lavoro, quale ricerca applicata alle nuove frontiere della riabilitazione, applicabili anche in campo pediatrico.
La riabilitazione in età evolutiva
L’OMS ha rilevato che attualmente a livello mondiale, ci sono più di 1 miliardo di persone con disabilità, che corrispondono al 15% della popolazione. (OMS, 2015) È stimato che di questi, circa 93 milioni sono bambini, uno ogni 20 di età inferiore ai 15 anni, che vivono con disabilità severa o moderata. In Italia, secondo i dati ISTAT (2013), le persone con disabilità, al di sotto dei 18 anni sarebbero più di 200.000. (SSN 2013)
Il Gruppo Italiano per la Paralisi Cerebrale Infantile (GIPCI) ha redatto un manifesto (2000) in cui sono elencati gli obiettivi a cui deve tendere la riabilitazione del bambino, provando a tradurre le indicazioni ministeriali nel campo specifico della neuropsichiatria infantile o della neuropediatria, che va a configurare sempre disordini del neurosviluppo con bisogni peculiari diversi rispetto a quelli del paziente adulto. In questo manifesto la riabilitazione è ancora una volta definita come un processo complesso teso a promuovere nel bambino e nella sua famiglia la migliore qualità di vita possibile. Con azioni dirette ed indirette essa si interessa dell’individuo nella sua globalità fisica, mentale, affettiva, comunicativa e relazionale (carattere olistico della riabilitazione pediatrica), coinvolgendo il suo contesto familiare, sociale ed ambientale (carattere ecologico).
La riabilitazione si deve quindi occupare non solo del bambino in quanto paziente, ma deve prendersi carico anche della sua famiglia e indirizzare l’ambiente in cui il bambino vive, che diventa fondamentale per il successo dell’intervento stesso, in quanto è solo l’unità di intenti e la persecuzione di obiettivi comuni con famiglia, scuola e la cerchia di interesse del piccolo, che porta ad un più facile raggiungimento degli scopi. (GIPCI, 2000)
Anche in questo manifesto viene specificato che la riabilitazione si compone di tre diversi tipi di intervento, tutti collegati e integrati tra loro e tutti indispensabili per la riuscita del piano, che riguardano l’educazione e l’assistenza.
La rieducazione è competenza del personale sanitario ed ha per obiettivo lo sviluppo ed il miglioramento delle funzioni adattive; rappresenta un processo discontinuo e limitato nel tempo, che deve necessariamente concludersi quando, in relazione alle conoscenze più aggiornate sui processi biologici del recupero e per un tempo ragionevole, non si verifichino cambiamenti significativi né nello sviluppo, né nell’utilizzo delle funzioni adattive da parte del bambino.
L’educazione è competenza della famiglia, del personale sanitario e dei professionisti del settore ed ha per obiettivo sia la preparazione del bambino ad esercitare il proprio ruolo sociale (educare il disabile), sia la formazione della Comunità, a cominciare dalla scuola, ad accoglierlo ed integrarlo, per aumentarne le risorse ed accrescere l’efficacia del trattamento rieducativo.
L’assistenza ha per obiettivo il benessere del bambino e della sua famiglia ed è competenza del personale sanitario e degli operatori del sociale; essa deve accompagnare, senza soluzioni di continuità, il bambino e la sua famiglia, sin dalla diagnosi di disabilità.
L’integrazione di questi tre tipi di intervento richiede che il bambino venga preso in carico da un équipe di specialisti, al cui interno ogni professionista specifico si prenda cura del proprio ambito di specializzazione, in maniera sinergica con gli altri, in modo tale da garantire un intervento il quanto più globale possibile, che vada ad incidere su ogni sfaccettatura della realtà del piccolo paziente. (GIPCI, 2000)
L’attivazione del processo riabilitativo comporta l’acquisizione, con strumenti adeguati e nel più breve tempo possibile, della diagnosi di lesione (alterazione della struttura), della diagnosi di funzione (natura del difetto e sua storia naturale) e del profilo di disabilità (cosa è venuto meno e come può essere recuperato o vicariato e cosa è rimasto e come può essere opportunamente valorizzato).
La rieducazione deve tenere conto della molteplicità delle funzioni alterate (motorie, percettive, cognitive, affettive, comunicative e relazionali), delle loro peculiarità e delle loro interazioni reciproche, nella logica dello sviluppo patologico e nel rispetto dell’individualità e della diversità di ciascun bambino. (Associazione bambini cerebrolesi, 2010)
L’obiettivo di riferimento devono sempre essere le funzioni adattive e il loro corretto sviluppo, basato su una valutazione dinamica in grado di cogliere la loro variabilità e la loro modificabilità in relazione al soggetto, allo scopo ed al contesto di utilizzo. Gli obiettivi terapeutici devono basarsi sulla prognosi di recupero, cioè sulla valutazione dei margini di modificabilità di ciascuna funzione, in relazione alle risorse possedute dal bambino, alla sua motivazione ed alla sua capacità di apprendimento, in modo da essere obiettivi il più possibile reali e realizzabili.
Ogni procedura terapeutica adottata deve essere fondata su una sperimentazione attiva favorevole alla propositività del bambino, rispettosa dei suoi bisogni ed aperta ai suoi desideri. La possibile ripetitività dell’esperienza, quando necessaria per il raggiungimento di una vera abilità, non deve risultare in alcun modo afinalistica, stereotipa o oppressiva, ma deve basarsi su una variazione delle caratteristiche dei compiti e dei contesti, in grado di facilitare nel soggetto l’acquisizione delle procedure e delle regole, piuttosto che l’apprendimento di una singola prestazione, sia essa motoria o cognitiva. (Associazione bambini cerebrolesi, 2010)
Anche in riferimento all’età evolutiva nell’ambito del territorio nazionale esiste una rete di servizi per l’attività di riabilitazione.
Le attività di riabilitazione intensiva ad alta specializzazione, che richiedono particolare impegno di qualificazione, mezzi, attrezzature e personale, sono erogate presso presidi di alta specialità, secondo quanto stabilito dal D.M. 29.01.1992.
Si tratta di unità espressamente destinate ad affrontare i complessi e gravi problemi diagnostici, valutativi e rieducativi degli esiti di patologie motorie e cognitive congenite od acquisite, dell'età evolutiva. Sono dimensionate per bacini sovraregionali e articolate solitamente in sub-unità che, in funzione delle patologie afferenti, vengono attivate all'interno dei presidi ospedalieri specialistici, dove vengono garantite competenze specialistiche negli ambiti della rianimazione e terapia intensiva, della patologia neonatale, dell’ortopedia pediatrica, della medicina fisica e riabilitativa, della neuropsichiatria infantile, ecc.
Sono dotate di personale specificatamente addestrato e qualificato e si caratterizzano prevalentemente per un'attività di consulenza e valutazione finalizzata all’approfondimento diagnostico relativo alle gravi menomazioni e disabilità dell'infanzia; alla formulazione tecnica operativa del progetto riabilitativo e del programma terapeutico, nonché al controllo sulla sua realizzazione; oltre che prevedere attività di ricerca clinica e di documentazione del progresso scientifico nel settore dell'infanzia e osservazione dei dati epidemiologici sulle patologie. (G. Vallar, A. Cantagallo, S. F. Cappa, P. Zoccolotti. 2012) L'Unità per le disabilità in età evolutiva coordina il proprio intervento nella rete dei servizi sanitari di riabilitazione estensiva o intermedia ed intensiva, con i quali si raccorda per seguire il bambino nel proprio territorio di vita, garantendo il completamento del percorso riabilitativo, secondo protocolli ben definiti, garantendo l’informazione e l’addestramento dei familiari e/o del personale che effettuerà l'assistenza domiciliare relativa alle problematiche cliniche, l’assistenza protesica e il superamento delle barriere architettoniche. (Ministero della sanità, 1998)
Nonostante l’esistenza di programmi specifici che vanno a differenziare, qualificare e in un certo senso specializzare la riabilitazione in età evolutiva, le famiglie di molti bambini sostengono che lo stato della pratica e della ricerca scientifica in questo ambito siano ancora fortemente carenti, tanto che le disabilità dello sviluppo possono essere considerate una “patologia orfana”, anche se tutt’altro che rara. (Associazione bambini cerebrolesi. 2010)
Le famiglie segnalano ancora grossi limiti a livello culturale, intesi come carenza di competenza tecnico-scientifica da parte del personale e infine la mancanza più nota è certamente la difficoltà da parte delle Strutture di far fronte all’aumento di richiesta di intervento, causato da un sempre maggior numero di casi di bambini con disturbi del neurosviluppo, anche grazie al miglioramento delle diagnosi precoci. Si diffonde quindi nei confronti della riabilitazione un senso di malessere generale che spesso provoca una percezione di inefficacia dei trattamenti offerti, soprattutto nei casi di disabilità grave, che non deriva tanto dalla lentezza o assenza con cui avvengono i progressi del bambino, ma più che altro dalla sporadicità con cui vengono somministrati i trattamenti ambulatoriali.
Molte famiglie si sentono poi escluse, poco coinvolte nella partecipazione alla facilitazione dello sviluppo del figlio, che in molti casi rimangono competenza esclusiva del personale professionista, con conseguente abbandono o disinteresse e distacco da parte della famiglia, a causa della discontinuità dell’intervento e dalle valutazioni sporadiche condivise dei progressi e delle prospettive di sviluppo del proprio bambino.
L’apertura alla possibilità di estendere gli interventi riabilitativi al domicilio, come ad esempio quella possibile con la proposta sperimentata in questo lavoro, che vede il trasferimento di parte del programma di lavoro e dei suoi obiettivi al domicilio, in presenza del genitore adeguatamente istruito, potrebbe rivelarsi una possibile soluzione anche nel contrastare questa percezione negativa.
Viene infine criticata da parte dei genitori anche la scarsità di informazioni riguardanti alternative terapeutiche possibili e/o altri servizi disponibili, dovute per lo più alle carenze di connessione nella rete di servizi e amplificate dalle modalità della presa in carico che spesso obbligano il genitore ad interfacciarsi con un numero elevato di operatori e professionisti, ricercando in ognuno di essi un riscontro positivo isolato, che talvolta potrebbe non arrivare. Anche in questo senso la proposta qui presentata si configura come risposta utile perché promuove l’operatività di una figura unica, quella del Terapista della neuro e psicomotricità evolutiva (Tnpee), quale terapista unico, specialista esclusivo per l’età evolutiva, con competenze specifiche e peculiari nel trattamento dei disordini del neurosviluppo, in grado di far fronte a tutte le alterazioni funzionali che si vengono a creare nei diversi casi di disabilità complesse, attraverso un programma a carattere olistico, non esclusivamente centrato sulla funzione, ma sull’uso funzionale della stessa nel contesto e con il coinvolgimento costante della famiglia, secondo un modello reale di riabilitazione ecologica.
La riabilitazione ecologica in età evolutiva e l’uso dei videogiochi
J.J. Gibson, nel 1966, fu il primo a pensare a un approccio riabilitativo che fosse ecologico. Il significato di questo termine deriva dalla considerazione che organismo e ambiente sono un unico sistema e che lo sviluppo delle funzioni dell’individuo poggia direttamente sulla relazione con la realtà fisica che lo circonda. L’approccio ecologico in seguito è stato applicato a diversi ambiti del sapere, dalla fisiologia del movimento, alla neuropsicologia.
In Italia il primo promotore di questa teoria è stato Marcello Mario Pierro (1982), applicandola alla riabilitazione pediatrica dei bambini con cerebrolesione, di cui si occupava. Tale prassi fonda le scelte operative quotidiane su base scientifica. Assunto fondamentale è che l’organismo e l’ambiente sono considerati come un unico sistema e il comportamento esprime l’evoluzione di questa relazione.
Il soggetto umano nasce con predisposizioni di interazione per il raggiungimento di specifici scopi biologici indispensabili per la sopravvivenza (funzioni adattive), che costituiscono proprietà emergenti dall’attivazione in parallelo e/o in sequenza di moduli di interazione specializzata. (Rizzolatti e Gentilucci. 1988).
L’effettiva capacità di compiere azioni abili implica la specificazione delle funzioni attraverso l’uso in uno specifico contesto e la modulazione delle capacità interattive nel raggiungimento dell’obiettivo in condizioni variabili e mutevoli, rispetto ai vincoli estrinseci (geometria e contesto) e intrinseci (caratteristiche del corpo). La riabilitazione ecologica mira a determinare, attraverso un percorso specifico d’esperienze d’interazione del bambino con l’ambiente, l’evoluzione e la riorganizzazione adattiva del SNC. (Pierro, 1998). L’oggetto della valutazione e della rieducazione funzionale sono quindi le azioni, cioè i comportamenti caratterizzati dall’uso finalizzato di una o più funzioni adattive in una sequenza di atti motori indirizzata a conseguire un risultato significativo del bambino. Il compito del terapista diventa quello di specificare un compito (entro un gioco) e un contesto che inducano il bambino a cercare la soluzione. (Pierro, 1998). Si deve quindi procedere nel far confrontare il bambino con un determinato compito adattivo, che implica l’uso delle funzioni per il raggiungimento degli scopi e modulare le variabili contestuali per permettere l’esplorazione.
L’approccio ecologico e le sue basi teoriche, quindi, ci insegnano a cercare di garantire lo sviluppo di funzioni specifiche, grazie alla relazione con l’ambiente fisico che “circonda” il paziente, che nel mondo della tecnologia può significare proprio modificare la realtà, introducendo il soggetto all’interno di un mondo ideale, creato ad hoc per le necessità, proprio secondo un concetto di realtà virtuale.
In questo preciso caso ad avere potenzialità non indifferenti di utilizzo sono i nuovi sistemi di immersione, che consentono al soggetto che li utilizza, di entrare in un mondo precedentemente creato e reso adatto allo scopo che il programmatore vuole raggiungere, e di muoversi all’interno come se si trattasse effettivamente del mondo reale, con spostamenti della visuale dovuti ai movimenti del corpo, oppure oggetti irreali afferrati con il movimento della mano.
Uno dei servizi italiani che utilizza la Realtà Virtuale, e in particolare la Telepresenza Immersiva Virtuale (TIV), è l’Istituto Auxologico Italiano. Questo sistema offre un approccio innovativo per supportare il recupero funzionale delle abilità nei pazienti affetti da disturbi cognitivi nelle fasi iniziali, disturbi motori quali ictus o malattia di Parkinson, disturbi psicologici come ansia, fobie o stress.
Questa metodica consiste nell’esecuzione di programmi virtuali finalizzati a promuovere l’esercizio delle funzioni compromesse al fine di gestire, superare, ridurre o compensare i deficit. I programmi di riabilitazione TIV si basano sull’esecuzione di attività con livelli di difficoltà graduabili all’interno di un dispositivo immersivo (CAVE) che simula in modo estremamente realistico e interattivo situazioni e contesti di vita quotidiana.
Nel CAVE vengono riprodotti su tre schermi e sul pavimento ambienti domestici ed esterni generati dal computer e con i quali il paziente può interagire utilizzando un joystick. Il paziente indossa dei particolari occhiali simili a quelli utilizzati per la visione tridimensionale (3D) al cinema o alla televisione e gli vengono inoltre applicati sensori di posizione che rilevano i suoi movimenti per trasmetterli al computer. Tale approccio consente al paziente di sperimentarsi con successo negli esercizi e sviluppare gradi crescenti di autonomia, ulteriormente supportati dalla costante supervisione del terapeuta.
Il CAVE è utilizzato nell’ambito di un progetto riabilitativo individuale. Lo scopo è quello di migliorare le capacità motorie e/o cognitive e lo svolgimento delle attività della vita quotidiana. Il trattamento permette la riabilitazione di molteplici domini cognitivi e motori ed è personalizzato sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni paziente.
I principali vantaggi della riabilitazione TIV rispetto alle tecniche tradizionali sono:
- la possibilità di situare l’esercizio riabilitativo in un ambiente che riproduce le caratteristiche degli ambienti di vita;
- la stimolazione multisensoriale;
- l’opportunità di adattare la difficoltà degli esercizi in modo dinamico rispetto alle abilità acquisite dal paziente;
- il monitoraggio sistematico degli indicatori di performance durante l’esercizio riabilitativo.
I bambini che nascono oggi sono proiettati all’interno di un mondo in cui tecnologia e immagini che mostrano la realtà, sono all’ordine del giorno. Questo fenomeno ha spinto a coniare il termine di “nativi digitali”, proprio per stare a indicare coloro che sono nati in corrispondenza di questa era informatica. (M. Prensky. 2001)
La nascita in questo tipo di realtà e l’esposizione continua a strumenti tecnologici spinge costantemente l’interesse dei bambini verso questo mondo, li porta a controllarne le funzionalità fin dall’infanzia, creando soggetti predisposti ad immergersi in questi nuovi canali.
Unendo le proposte della riabilitazione ecologica e la realtà dei nativi digitali si può subito arrivare a pensare all’utilizzo delle nuove tecnologie come strumento per la riabilitazione delle funzionalità deficitarie, non solo motorie, ma anche cognitive anche in età pediatrica.
L’utilizzo dei videogiochi qui proposto si configura pertanto come risorsa peculiare, che va incontro alle abitudini e alla quotidianità dei piccoli pazienti, che possono sentirsi a proprio agio di fronte a strumenti conosciuti e soprattutto più motivati all’apprendimento in quanto immersi in un contesto ludico per definizione.
L’alta accessibilità che questi mezzi hanno al giorno d’oggi consente inoltre a qualsiasi famiglia di poter mettere a disposizione del proprio figlio questi strumenti, che opportunamente indirizzati e strutturati possono diventare strumenti di intervento flessibili, utili soprattutto alla reiterazione di competenze in autonomia, ma anche alla possibilità di garantire una continuità di trattamento con la struttura, con conseguenti ricadute in termini di costo del servizio, per entrambi gli interlocutori.
Indice |
INTRODUZIONE |
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DISCUSSIONE - CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
Tesi di Laurea di: Manuel LIVERI |