La sindrome da deficit attentivo con iperattività (ADHD) in fisiopatologia della comunicazione. Aggiornamenti in tema di etiologia, diagnosi, prognosi e terapia
La sindrome da deficit attentivo con iperattività (ADHD) in fisiopatologia della comunicazione. Aggiornamenti in tema di etiologia, diagnosi, prognosi e terapia.
Di Massimo Borghese
Pubblicato sulla rivista "I Care", n.3, anno 2010, pagg. 95-102.
Introduzione
La sindrome da deficit dell’attenzione con iperattività, altresì nota come ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder) rappresenta una patologia rilevabile soprattutto o inizialmente in età evolutiva, e caratterizzata essenzialmente dalla presenza di sintomi quali iperattività, scarse capacità di concentrazione, impulsività, difficoltà di coordinazione.
Nel corso degli ultimi anni si sta assistendo ad un notevole incremento numerico di casi di ADHD, e non perché si sono affinate le capacità di osservazione e di formulazione diagnostica, ma per un effettivo aumento di bambini che sin dalla scuola materna manifestano diversi sintomi riferibili a tale sindrome, con un’intensità ed una durata sufficienti per poter parlare di vero e proprio disturbo.
Attualmente si calcola che più del 5% della popolazione scolastica rientri nell’ambito dell’ADHD, con netta prevalenza del sesso maschile (da 3 a 9 maschi ogni femmina), persistenza della sintomatologia fino all’adolescenza in circa i due terzi dei casi, e fino all’età adulta in un terzo.
Il bambino affetto da deficit attentivo con iperattività, spesso non riesce a: mantenere l’attenzione per un periodo prolungato, evitare di distrarsi, ascoltare e seguire istruzioni, prestare cura ai dettagli, affrontare compiti lunghi terminandoli nei tempi previsti, avere cura delle proprie cose.
A causa della sua patologia:
- Si muove eccessivamente anche in contesti poco adeguati.
- Sembra continuamente “mosso da un motorino”.
- Passa continuamente da un’attività all’altra.
- Parla eccessivamente.
- Interrompe ed è invadente verso gli altri.
- “Spara” risposte a caso.
- Nel gioco non sa aspettare il proprio turno ed è impaziente.
- Agisce senza riflettere, non valutando le conseguenze di ciò che fa.
- Ha una scarsa capacità di sopportare frustrazioni e di differire bisogni e desideri, scarsa autoregolazione di emozioni ed impulsi, scarsa autostima, scarsa motivazione e scarsa tenuta nelle attività che richiedono sforzo cognitivo.
Clinicamente è possibile osservare:
- forme in cui coesistono in misura ugualmente evidente nello stesso bambino, iperattività, impulsività, disattenzione;
- quadri dominati dal solo deficit attentivo;
- situazioni in cui prevalgono invece iperattività ed impulsività.
Etiologia
I fattori che possono concorrere come cause predisponenti e/o eventi scatenanti nei processi di innesco di una sindrome ADHD, sono numerosi, non costantemente evocabili in tutti i casi, e possono risultare anche diversamente combinati tra loro nel determinare tale patologia.
Uno studio combinato tra ricercatori di Oslo (Gjone e Sundet) e Southampton (Stevenson), su 526 gemelli omozigoti e 389 gemelli eterozigoti, ha definito l’ADHD ereditario quasi all’80%.
Si può effettivamente affermare che nell’80% dei casi di sindrome da deficit attentivo con iperattività, sia possibile riconoscere all’origine del problema, la presenza di fattori genetici. Supportano tale affermazione, i seguenti riscontri:
- Disfunzione di numerosi geni attivi durante la formazione e lo sviluppo della corteccia prefrontale e dei gangli della base, che risultano essere strutture cerebrali particolarmente coinvolte, quando alterate, come substrato anatomopatologico di questa affezione.
- Mutazioni di geni sensibilizzanti i recettori ed il trasporto della dopamina, soprattutto nella corteccia prefrontale e nei gangli della base.
- Maggiore incidenza dell’ADHD in famiglie con altri parenti già affetti da ADHD ed altre neuropatie centrali con quadri clinici riportanti sintomi simili o comuni a quelli riscontrabili nella sindrome ipercinetica.
Si può affermare invece che un 20% dei casi con sindrome da deficit attentivo con iperattività, siano riconducibili, per quanto riguarda la loro genesi, anche a fattori non genetici (sebbene una categoria di cause non escluda l’altra), quali:
- Nascita prematura.
- Uso di alcool e tabacco da parte della madre in gravidanza.
- Uso di droghe e alcool da parte di uno o entrambi i genitori.
- Esposizione a metalli pesanti nella prima infanzia.
Substrato anatomopatologico
Come già segnalato parlando delle cause genetiche quali fattori in grado di alterare lo sviluppo di alcune strutture cerebrali o modificarne captazione e trasposto di neuromediatori, le componenti del sistema nervoso centrale evidenziate come al di fuori della norma in diversi soggetti affetti da sindrome ADHD, sono risultate, per sviluppo in difetto: la corteccia cerebrale in sede prefrontale destra, il verme cerebellare, alcuni gangli della base (più frequentemente, il globo pallido ed il nucleo caudato).
Ricordiamo al riguardo che la corteccia prefrontale destra svolge, tra l’altro, funzioni di programmazione del comportamento, aumenta la resistenza alle distrazioni, favorisce lo sviluppo della consapevolezza di sé e del tempo. Il nucleo caudato ed il globo pallido fanno parte di strutture preposte, tra l’altro, all’interruzione delle risposte automatiche, al fine di consentire una decisionalità più accurata da parte della corteccia, e favoriscono la coordinazione degli impulsi diretti alla corteccia. Il verme cerebellare partecipa, tra le sue varie funzioni, al controllo della migrazione neuronale cerebrale in epoca pre- e perinatale.
Oltre alle citate strutture, andrebbero prese in considerazione come possibili basi anatomopatologiche della sindrome da deficit attentivo con iperattività, anche tutte quelle parti di sistema nervoso centrale di volta in volta riscontrate come alterate -strutturalmente, o per difetto di irrorazione, o impregnazione neuromediatoriale- nelle diverse patologie della comunicazione e del comportamento che presentano contestualmente anche sintomi riconducibili all’ADHD.
Iperattività, autismo, epilessia
Autismo, iperattività, epilessia, identificano tre situazioni cliniche unite tra loro in misura e modalità solo apparentemente saltuarie, ma in realtà hanno profonde radici comuni, ed in molti casi possono essere considerate come tre rami di uno stesso albero. E’ stata infatti identificata una stessa matrice genetica, rilevabile attraverso la tipizzazione HLA (Human Leucocyte Antigens, antigeni umani leucocitari, detto anche sistema di istocompatibilità) in numerosi bambini risultati con un pacchetto di geni identico, lo stesso, peraltro, che predispone alla celiachia.
Incrociando i dati emergenti da studi su celiachia, intolleranze alimentari, ipersensibilità del sistema nervoso centrale (in particolare le cellule gliali) nei confronti di peptidi oppiodi, quali gliadomorfina e caseomorfina, derivanti da alterate funzioni digestive in soggetti geneticamente predisposti e/o successivamente danneggiati a livello intestinale nei primi mesi di vita, effetti derivanti da specifiche restrizioni alimentari favorevoli sulla sintomatologia autistica, epilettica ed ipercinetica, si può leggere più che tra le righe ma in modo suggestivo ed evidente, un nesso molto significativo tra deficit attentivo con iperattività, alcune forme di autismo, ed alcuni tipi di epilessie farmacoresistenti.
La nostra esperienza personale si è arricchita nel corso degli anni, di rilievi che confermano in una significativa percentuale di casi (circa il 60%) il riscontro di tali affermazioni.
Riassumerei nei seguenti punti, i dati essenziali e maggiormente significativi al riguardo:
- Nell’anamnesi familiare di pazienti autistici vi è, rispetto ad un pari numero di soggetti non autistici, un’incidenza dieci volte maggiore di presenza in uno o più elementi della famiglia, di epilessia o altre sindromi di tipo convulsivo.
- Almeno un terzo dei casi di autismo presenta sintomi riconducibili alla cosiddetta sindrome ipercinetica.
- Follow up risalenti fino a otto anni fa, quando cioè non era ancora in uso suggerire diete prive di glutine e caseina a soggetti autistici, evidenziavano un’incidenza di forme epilettiche nell’autismo, in percentuali comprese tra il 30 ed il 40. L’ultimo follow up comprendente l’arco di tempo degli ultimi otto anni durante i quali la maggior parte dei soggetti autistici ha seguito per diversi anni una dieta priva di glutine e caseina, ha evidenziato un calo dell’incidenza di epilessia (e di manifestazioni ipercinetiche con deficit attentivo) nell’autismo, fino a scendere all’11%: e questo in piena sintonia con quanto riportato dai sostenitori di analoghe iniziative alimentari nell’epilessia indipendentemente dall’autismo ed altri disturbi associati.
ADHD in fisiopatologia della comunicazione. Casistica personale
Nel corso dell’attività di foniatra, ossia di specialista in fisiopatologia della comunicazione, che entra in contatto in un rapporto inizialmente diagnostico con soggetti comunicopatici, il riscontro di sindromi caratterizzate da deficit dell’attenzione con iperattività, a volte identifica una formulazione diagnostica diretta ed immediata, soprattutto nei casi in cui un bambino giunge in visita perché considerato disattento ed iperattivo (e quindi il dato anamnestico già di per sé costituisce un riconoscimento preliminare, da parte dei familiari, delle problematiche del bambino), altre volte invece identifica un rilievo aggiuntivo in un contesto clinico il cui quadro è dominato da altre sintomatologie, quali i ritardi di linguaggio, disturbi della fluenza verbale, alterazioni della voce, disabilità di apprendimento (lettura, scrittura, calcolo), psicosi, autismo. Quest’ultima patologia, negli ultimi anni è stata sempre più avvicinata all’ADHD, sia per effettivi riscontri di manifestazioni cliniche comuni in un’elevata percentuale di casi, sia in seguito a studi genetici che ne hanno evidenziato comuni origini.
Attingendo dalle mie personali casistiche, allo stato attuale posso identificare nei seguenti dati, i più significativi rilievi concernenti la sindrome da deficit attentivo con iperattività:
Numero di casi di riferimento: 300, selezionati a random tra bambini, adolescenti e adulti visitati negli ultimi 3 anni in diverse città italiane del nord, del centro e del sud.
Soggetti di sesso maschile: 255, di sesso femminile: 45.
Età della prima visita (espressione dei dati in percentuale):
- 2 anni: 3%
- 3 anni: 11%
- 4 anni: 16%
- 5 anni: 20%
- 6 anni: 14%
- 7 anni: 10%
- 8 anni: 14%
- 9 anni: 3%
- 10 anni: 3%
- 11 anni: 3%
- 12 anni 3%
- Forme pure, cioè senza sintomi associati evidenti in occasione della prima visita : 33%
- Forme con evidenti sintomi associati (disfemia, dislalie, disfonia, dislessia…) : 36%
- In ambito di sindromi autistiche: : 31%
In circa un terzo dei bambini appartenenti a questa casistica, ho concluso la prima visita-osservazione foniatrica con la diagnosi diretta di “sindrome da deficit attentivo con iperattività” quando la sintomatologia preponderante era rappresentata dall’evidente instabilità motoria, e le capacità di prestare attenzione alle consegne anche più semplici risultavano insufficienti. A seconda poi dell’età anagrafica, si riscontrava anche una relativa inadeguatezza delle abilità percettive, motorie globali e fini, grafiche, curriculari, cognitive, comportamentali.
In un altro terzo (circa) dei casi, alla sintomatologia su descritta, si univa in misura altrettanto evidente, direi preponderante, la presenza di uno o più sintomi tipicamente “foniatrici” (almeno secondo l’accezione tradizionale) quali numerose dislalie, disfonia, disfluenza verbale. Va sottolineato che in più della metà di questo 36%, mi è capitato di rilevare due o più sintomi associati, come ad esempio, dislalie e disfemia, dislalie e disfonia…
Posso inoltre affermare di riscontrare con sempre crescente incidenza i classici sintomi dell’iperattività con deficit attentivo in molti bambini affetti da autismo. Gli aspetti salienti del quadro clinico tipico dell’ADHD sono sempre più frequenti nell’ambito della sindrome autistica, non solo a sintomatologia conclamata, ma anche in quelle che personalmente sono solito definire “forme in uscita dall’autismo”, cioè in quei quadri clinici osservabili in bambini che -grazie all’efficacia ed alla buona riuscita di determinati trattamenti- cominciano ad estinguere i sintomi più tipici dell’autismo (isolamento, scarsa socialità, stereotipie, mutismo…) lasciando il campo all’evidenza di sintomi più tipici della sindrome ipercinetica, quali l’iperattività, l’impulsività, il deficit attentivo, la scarsa accuratezza nel confezionare forme espressive ed atti motori che richiederebbero migliore qualità esecutiva e maggiore precisione.
Ancora in tema di diagnosi iniziale, credo sia interessante segnalare anche che, alla fine di una prima osservazione intesa come momento diagnostico, mi è capitato non di rado, di restare incerto sulla definizione da attribuire a quel determinato quadro clinico, avendo identificato in esso, sia i caratteri alquanto tipici dell’ADHD, sia quelli dell’autismo. Direi di essermi trovato di fronte ad una sorta di area di confine tra un ADHD grave ed un autismo meno severo, o comunque davanti ad un bambino identificante entrambe le sindromi la cui separazione dei caratteri non era certo realizzabile “a lama di coltello”.
Modalità di intervento terapeutico riabilitativo
Attualmente si possono annoverare nei confronti della sindrome da deficit attentivo con iperattività, numerose e diverse forme di intervento terapeutico, difficilmente riassumibili ed elencabili in modo completo ed esauriente. Si va da iniziative di stampo prevalentemente o esclusivamente psicodinamico che partono dal (per me erroneo) presupposto secondo il quale il bambino iperattivo è tale per un disagio psicologico, a iniziative di stampo nettamente farmacologico che prevedono la somministrazione di sostanze agenti sul sistema nervoso centrale, a iniziative terapeutiche tendenti a lavorare in senso educativo-rieducativo-riabilitativo sul bambino per migliorare le sue abilità attentive, percettive, espressive, di controllo motorio. Personalmente mi dichiaro propenso a seguire quest’ultimo tipo di criterio di intervento, almeno in linea generale e per la maggior parte dei casi.
Escludo infatti che una sintomatologia così complessa quanto ripetitiva e costante in alcune sue caratteristiche riscontrabili in migliaia di bambini che ne sono portatori, possa costituire l’espressione di un disagio emotivo-relazionale. Ritengo si vada ben oltre la sfera puramente psicologica nel dover rendere conto del perché un bambino sia ipercinetico, e di conseguenza non reputo concepibile un semplice intervento di tipo psicologico, soprattutto quando paradossalmente e assurdamente indirizzato verso le famiglie piuttosto che verso il bambino.
Specularmente mi ritengo poco incline anche a sostenere iniziative di tipo farmacologico, soprattutto quando stabilite “a priori”, come di prassi, e soprattutto quando realizzate con veri e propri psicofarmaci, anche, ma non solo, in considerazione dell’età spesso molto giovane dei soggetti cui tali sostanze dovrebbero essere somministrate, peraltro per diversi anni.
Allo stato attuale (e tengo sempre a ribadire che anche in termini di iniziative terapeutiche, nulla dovrebbe considerarsi immutabile e definitivo) identifico le linee guida che personalmente propongo e realizzo nella gestione e nel trattamento di soggetti affetti da ADHD (nelle espressioni cliniche sopra descritte), in una presa in carico abilitativa allo stesso tempo globale e specifica, come da protocolli Intervento Foniatrico Integrato, che rappresenta una sorta di trattamento a 360 gradi, operante contemporaneamente sui versanti: percettivo, cognitivo-integrativo-decisionale, emotivo-relazionale-comportamentale, motorio-prassico-espressivo; e realizzato da diverse figure professionali quali logopedista, neuropsicomotricista, psicologo, educatore, chiamati ad agire, però (e contrariamente a quanto solitamente è dato osservare nella maggior parte dei casi) non in setting rigorosamente separati e distinti, ma in un continuum di lavoro in cui la diversificazione non risiede tanto nelle singole ore e stanze di terapia, ma nella differenza di matrice formativa di ciascuna delle figure professionali che realizzano un intervento abilitativo la cui progressiva messa in opera viene portata avanti con un programma comune svolto da tutti, indipendentemente, almeno per grandi linee, dall’essere logopedista, psicologo, educatore o psicomotricista.
Al lavoro di tipo educativo-riabilitativo, (e da circa otto anni) siamo soliti proporre anche una dieta priva di glutine e caseina, secondo modalità comuni a quanto prescritto anche nel trattamento delle sindrome autistiche, suggerendo cioè alle famiglie di seguirla per almeno un anno, per poi decidere alla fine di tale periodo se confermare o meno le linee guida alimentari prescritte. Contemporaneamente suggeriamo anche la somministrazione di integratori vitaminici e di sali minerali, contenenti -sempre nei limiti dei margini di sicurezza- dosi leggermente più elevate di vitamine del gruppo B, zinco, calcio, magnesio.
Vorrei soffermarmi ancora sulla tematica delle terapie con psicofarmaci, aggiungendo a quanto già scritto, che sono del parere di riservare la prescrizione di farmaci psicoattivi, solo nei casi a sintomatologia spiccatamente incompatibile con una vita minimamente normale per il bambino stesso e la famiglia, come ad esempio nei bambini che dormono non più di due-tre ore su ventiquattro, o che hanno comportamenti fortemente aggressivi e socialmente del tutto insostenibili. Ma situazioni come queste rappresentano una bassa percentuale degli ADHD, sicuramente di gran lunga inferiore a quella della maggior parte, a mio avviso non bisognosa di psicofarmaci.
Per fornire un ulteriore chiarimento delle mie attuali posizioni in tema di ADHD e relative possibilità di cura, accludo il contenuto di un articolo da me scritto recentemente, in occasione di un dibattito pubblico su questo tema:
“…Ed eccoci ad un altro punto fondamentale nell’ambito delle discussioni che stanno accendendosi in tema di sindrome ADHD (deficit dell’attenzione con iperattività): l’opposizione al ricorso ai trattamenti farmacologici, negando nel contempo che la sindrome ADHD sia una vera e propria patologia.
Da parte di molti sanitari, operatori della riabilitazione, opinionisti in genere, si sta assumendo questo atteggiamento di negazione dell’accettazione degli approcci farmacologici e, contemporaneamente, di propensione a definire tale sindrome come l’espressione di un semplice disagio e non come un autentico stato patologico.
Definisco subito la mia posizione al riguardo:
Sono anch’io poco o nulla favorevole al ricorso a farmaci -specialmente quando si tratta di veri e propri psicofarmaci- nei casi di sindrome ADHD, soprattutto in età evolutiva e nell’adolescenza, essendo del parere, tra l’altro, che i danni conseguenti al loro uso supererebbero di gran lunga i presunti benefìci. La sindrome ADHD non è però una semplice diversità comportamentale.
Pretendere di sostenere questa “buonistica” concezione della patologia, significherebbe ripetere lo stesso grave errore commesso con l’autismo, quando si è voluto a lungo sostenere che non si trattasse di una malattia del corpo ma soltanto di un disagio psichico. Sono ormai numerosi ed attendibili gli studi che hanno identificato basi organiche e matrici genetiche comuni tra la sindrome ADHD ed altre neuropatie centrali quali, appunto, l’autismo, ed alcune forme di epilessie farmacoresistenti.
La sindrome da deficit attentivo con iperattività riconosce un substrato organico, identificabile in danni a carico di più parti del corpo ed apparati, quali il digerente, l’immunitario, il metabolismo in generale, il sistema nervoso centrale. Tutto ciò non può ridursi esemplificativamente e superficialmente ad un semplice “comportarsi in modo diverso”.
Un conto è rifiutare approcci farmacologici di dubbia efficacia e di appurata pericolosità, un conto è però minimizzare il significato e la portata di una sindrome che va studiata ed affrontata con la dovuta completezza di studio e di impegno terapeutico.
Lo dichiaro e lo sostengo perché in un arco di tempo ormai più che attendibile (superiore a venti anni) ho potuto constatare come in molti casi -oltre i due terzi del totale di quelli esaminati- la sindrome ADHD si sia manifestata come una punta di iceberg di molte altre problematiche di tipo percettivo, espressivo, cognitivo e comportamentale, in soggetti che potevano essere inquadrati come “iperattivi con deficit attentivo” solo in determinati momenti di un cammino costellato da ben altre problematiche che avevano preceduto, accompagnato, o soprattutto seguito la fase ADHD.”
Ritengo altrettanto interessante ed utile al fine di disporre di ulteriori contributi di esperienze che aiutino a comprendere meglio tanti aspetti ancora non sufficientemente esplorati di questa patologia, allegare anche una lettera-testimonianza inviatami lo scorso anno da un genitore:
“Egr. Dott. Borghese, vorrei, a proposito di questo, portarle mio figlio come esempio in quanto ritengo di avere una testimonianza molto particolare.
Mio figlio ha presentato dopo il vaccino mmr (morbillo parotite rosolia) combinato con antipolio a circa 1 anno e mezzo una grave reazione post vaccinale a tal punto che la stessa asl mi ha sconsigliato i richiami del calendario vaccinale. A seguito di ciò è diventato aggressivo ed iperattivo ma fortunatamente con un Q.I. altissimo ed una memoria eccezionale per cui non ha mai avuto difficoltà nello studio ma solo, si fa per dire, nell'area sociale. A seguito di un banale incidente all'età di nove anni ha subito l'asportazione della milza e nonostante le mie perplessità su iniettargli dei vaccini (a detta loro per protezione della splenectomia) ed averli avvisati delle reazione avute precedentemente, hanno ritenuto comunque necessario inoculare tre vaccini, due in contemporanea (pneumococco, meningococco), ed in un secondo tempo influenza tipo B. Per farla breve, mio figlio ha avuto reazioni avverse come in precedenza, ma la cosa sconvolgente è stato il fatto che, dopo circa due settimane ha iniziato ad avere comportamenti "strani", quali dolori fortissimi di pancia con alternarsi di diarrea e stitichezza. Mio figlio che prima era super logorroico, diceva di non avere più voglia di parlare, di fare fatica a mantenere il contatto con noi, cominciava a dondolare davanti alla tv, ad accendere e spegnere interruttori senza sosta o aprire e chiudere le maniglie, non riusciva più a disegnare e tendeva ad isolarsi sempre più in un mondo tutto suo e a non accettare nemmeno il contatto fisico con nessuno. Anche la lettura, da lui sempre amata, era diventata una difficoltà quasi insormontabile. Egli stesso si rendeva conto del suo disagio.
Ho ritenuto che presentasse dei quadri che conducevano con una velocità incredibile a perdere mio figlio per sempre ed ho iniziato a studiare e scoprire un mondo che fino allora ritenevo molto lontano dalla mia realtà quotidiana di “sola” iperattività ed aggressività.
Grazie a questo mio timore, alla mia costante attenzione verso mio figlio, ed ad internet, ho provato a metterlo a dieta rigidissima ed ho iniziato un vero pellegrinaggio tra medici, centri ecc. (prendendo anche delle cantonate mostruose, ovviamente).
Ho tolto per un lungo tempo, latte, glutine, lievito e zucchero, e dopo circa 1 mese o forse poco più ho rivisto mio figlio non solo rifiorire e perdere questi atteggiamenti di cui sopra ma anche e soprattutto diminuire quasi totalmente l’ iperattività e l’aggressività.
Perciò la mia testimonianze ed il mio dubbio è: se mio figlio non avesse iniziato tempestivamente la dieta, avrebbe commutato da adhd in autismo? Io dico di sì, e per quello che ho visto, l'adhd è solo una sfumatura dell'autismo. Forse inizialmente i bambini autistici presentano un quadro di adhd (vedi sonno, evacuazioni irregolari, pianto, ecc.) per poi in un secondo tempo, isolarsi e presentare un quadro più complesso e grave come l'autismo. Questo è solo un parere di una mamma, non di un medico ovviamente.
Cordialmente”…
Quale futuro per i bambini con ADHD?
La maggior parte delle casistiche internazionali parla di persistenza di quadri clinici di ADHD nell’adolescenza in circa due terzi dei casi, e in età adulta in un terzo del totale. Occorre inoltre domandarsi e verificare in quali forme cliniche questo può avvenire, dal momento che i quadri sintomatici sfumano e si modificano con il trascorrere del tempo, e soprattutto con gli effetti -favorevoli o indesiderati- dei diversi trattamenti attuati.
Personalmente, ad esempio, ho avuto modo di riscontrare a dir poco due situazioni diametralmente opposte, quando cioè ho incontrato soggetti adulti con evidenti manifestazioni psicotiche (per citare uno degli estremi clinici) che avevano avuto nella loro infanzia e adolescenza una diagnosi di ADHD, così come ho potuto osservare “in progress” i cambiamenti dei quadri clinici di pazienti inizialmente ADHD, e successivamente, ad esempio, sempre meno ADHD, ma in cammino verso la comparsa di varie forme di dislessie, altre disabilità di apprendimento, balbuzie, disfonie, in contesti di quadri clinici prestazionali generali quasi del tutto normali, o viceversa alterati in uno o più livelli del loro profilo comunicativo.
Un'altra questione che merita a mio parere un’attenzione che forse non ha avuto fino ad oggi, potrebbe identificarsi nel seguente quesito: Quanti tra gli attuali adulti che presentano sintomi psicotici, e che 15-20 anni fa erano stati definiti affetti da ADHD, sono stati nel frattempo trattati con psicofarmaci? Mi pongo questa domanda perchè, considerato che diversi "ex ADHD" oggi hanno sintomatologie di tipo psichiatrico, mi sembra anche legittimo chiederci in che misura l'innesco di tali patologie possa dipendere anche dall'evoluzione naturale della sindrome ADHD e/o dall'effetto degli psicofarmaci che intanto erano stati somministrati, e in alcuni casi peraltro sospesi con tempi e criteri non correttamente gestiti.
Risultati terapeutici da casistica personale
Come già descritto nel paragrafo dedicato alle modalità di intervento terapeutico riabilitativo, attualmente la nostra tendenza nel trattamento di soggetti affetti da ADHD nelle sue diverse forme cliniche, si identifica essenzialmente in un approccio di tipo educativo-riabilitativo, e in suggerimenti di tipo alimentare.
Nello specifico, realizziamo una presa in carico “a 360 gradi” del bambino, monitorando e curando gli aspetti: percettivo, cognitivo-integrativo, motorio-prassico-espressivo, emotivo-relazionale-comportamentale, del suo profilo comunicativo, affidando la messa in pratica di tale gestione osservativo-terapeutica, ad un gruppo di operatori formato da logopedisti, psicomotricisti, psicologi, educatori, coordinati e diretti dalla figura medica del foniatra. A tutte le famiglie viene inizialmente suggerito di far seguire ai bambini presi in carico, una dieta priva di glutine, caseina, soia e mais, prescrivendo nel contempo integratori a base di vitamine e sali minerali.
Dopo un tempo massimo di dodici mesi dall’inizio della dieta, confermiamo o rimuoviamo il consiglio di seguire tale regime alimentare, o ne rimodelliamo le indicazioni, a seconda di come il bambino ha risposto, ripresentando o meno i sintomi estinti, in occasione di progressive reintroduzioni degli alimenti inizialmente proibiti.
Nei casi che presentano concomitanti manifestazioni epilettiche, suggeriamo di rivolgersi contemporaneamente ad un epilettologo (possibilmente di fiducia) per l’instaurazione di trattamenti farmacologici specifici, delle cui prescrizioni e gestioni posologiche non ci occupiamo noi direttamente.
Confrontando i risultati ottenuti in periodi precedenti il ricorso ai provvedimenti dietetici, con quelli riscontrati in questi ultimi anni durante i quali i bambini con ADHD sono stati sottoposti sia a terapia educativa-riabilitativa che a dieta, possiamo affermare che una quota di soggetti, pari a circa il 55% del totale, mostra effettivi benefici con l’adozione della dieta in affiancamento al trattamento foniatrico logopedico. Tale affermazione scaturisce dal riscontro di tempi più rapidi di estinzione dei sintomi riferibili al quadro di deficit attentivo con iperattività, nonché di più significative e visibili modifiche dei quadri clinici, soprattutto per quanto riguarda l’ipercinesia, che rispetto all’inadeguatezza attentiva, risulta maggiormente sensibile agli effetti favorevoli della dieta.
Ipotizziamo peraltro che potrebbe esserci una percentuale anche più elevata di miglioramenti, se le famiglie osservassero con maggior precisione le indicazioni alimentari.
Considerazioni conclusive
I dati riportati nella casistica personale ed alcuni temi presentati soprattutto parlando di comorbidità, credo che possano diventare oggetto di successivi singoli approfondimenti, argomento per argomento. Una legittima quanto auspicabile rimessa in discussione di tante affermazioni e posizioni riguardanti il vasto e ramificato capitolo dell’ADHD, dovrebbe però avvenire alla luce non di radicate e preconcette convinzioni, ma in base ad una mentalità disposta all’apertura, all’accettazione del nuovo che può anche destabilizzare vecchie e cristallizzate posizioni. Nella nostra esperienza diagnostica e terapeutica abbiamo cercato di aprirci sempre alle novità ed alle segnalazioni di nuove scoperte, pur conservando la tendenza a cercare sempre di discernere ciò che è credibile da ciò che risulta palesemente indimostrabile e soprattutto non confermato dai risultati concreti.
In definitiva, scelte terapeutiche quali l’adozione di modalità di intervento precoce, intensivo, pluridiversificato, a stampo foniatrico, affiancate da provvedimenti di tipo alimentare; il rifiuto di ipotesi etiologiche e di concezioni curative di stampo esclusivamente psicodinamico, ed allo stesso tempo il rifiuto di una politica quasi del tutto “psicofarmacologica”, costituiscono per noi, il frutto di una serie di valutazioni scaturite sempre e comunque dall’aver cercato nella realtà e nella pratica, l’attendibilità e la credibilità di ridefinizioni, classificazioni, revisioni di interi capitoli della scienza medica, nonché delle strategie rimediative di volta in volta adottate.
M. Borghese
Centro Studio Diagnosi e Terapia dell’Autismo ed altre Comunicopatie. Napoli. Milano
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