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CONCLUSIONI - Dall’idiozia mongoloide alla Trisomia 21: l’approccio terapeutico neuropsicomotorio in funzione dell’evoluzione della persona. Riflessioni sull’area emotivo-affettiva

Il lavoro di tesi fin qui esposto si è occupato di fare un’analisi dell’area emotivo-affettiva nel quadro della Trisomia 21, a partire dall’età evolutiva e fino all’età adulta, offrendo anche una cornice storica nella quale racchiudere i cambiamenti sociali e clinici che hanno portato all’odierno modo di intendere la disabilità e la Trisomia 21. L’interesse per le aree emotiva e affettiva deriva dal pensiero che esse rappresentino due aspetti che impattano in modo considerevole sulle possibilità di autonomia dell’individuo e sulle sue condizioni di salute. L’obiettivo principale è stato quindi quello di comprendere quali siano e come si modifichino durante l’arco di vita le difficoltà che caratterizzano questo ambito, al fine di cogliere elementi utili alla progettazione di un intervento precoce costruito in un’ottica di prevenzione terziaria.

Abbiamo già, infatti, sottolineato in diverse occasioni che la disabilità intellettiva, caratteristica costante del quadro della Trisomia 21, non comporta solo un deficit delle funzioni intellettive, ma anche una serie di limitazioni significative nel funzionamento adattivo, evidenziabili nelle abilità adattive concettuali, sociali e pratiche. Nei due lavori di tesi fin qui esposti, si è cercato di comprendere in che modo si potessero definire le disparità nel funzionamento adattivo, concentrando l’attenzione soprattutto sull’osservazione dell’area emotivo-affettiva nell’ambito della Trisomia 21, che rappresentando una delle maggiori cause di disabilità intellettiva, riteniamo possa essere considerata un paradigma rappresentativo di tale patologia.

Dai risultati che sono stati ottenuti dagli strumenti costruiti per effettuare un’analisi qualitativa di queste due dimensioni, è emerso, come ipotizzato, che nei soggetti con Trisomia 21 si possono riscontrare difficoltà nelle aree emotiva e affettiva, sia in età evolutiva sia in età adulta.

Nell’ambito dell’età evolutiva, si sono osservate in tutti i soggetti una limitata capacità di iniziativa e una scarsa strutturazione dell’azione, che si associano a una certa rigidità nell’utilizzo delle competenze acquisite, alla difficoltà di integrare elementi nuovi negli schemi già assimilati e a generalizzare questi ultimi. Nella maggior parte dei soggetti si riscontra una bassa soglia di tolleranza della frustrazione, alla quale generalmente reagiscono con condotte oppositive o di evitamento, necessitando di rinforzi esterni per persistere nel perseguimento dello scopo o di mediazione per negoziare in modo adeguato la relazione con l’altro.

La capacità di riconoscere le emozioni è stata osservata in tutti i soggetti del campione, mentre l’abilità di comprendere le emozioni altrui come stati interni è stata riscontrata soltanto nei soggetti più grandi, che avevano raggiunto un quoziente di sviluppo adeguato per poterne essere in grado. Al contrario, questi soggetti hanno dimostrato di avere molte più difficoltà nel comprendere le emozioni proprie: questa scarsa autoconsapevolezza può essere giustificata sia da difficoltà cognitive (che riguardano i processi metaemotivi) sia dalle scarse abilità linguistiche, che non permettendo di avere un linguaggio interiore articolato, rendono difficile un’adeguata elaborazione del proprio mondo emotivo. Tuttavia se opportunamente contenuti e guidati dall’adulto nel riflettere sulle loro emozioni e sulle conseguenti risposte comportamentali, dimostrano di riuscire a comprendere le cause esterne che possono generare le emozioni o l’adeguatezza o meno dei loro comportamenti.

Riguardo invece la capacità di regolazione emotiva, in tutti i soggetti si riscontra una difficoltà nel gestire le proprie emozioni, soprattutto quelle a valenza negativa (rabbia, tristezza, paura).

Le principali differenze rilevate nel campione invece si riferiscono per lo più all’ambito affettivo-relazionale: sono stati osservati infatti, bambini socievoli e molto disponibili alla relazione, altri piuttosto isolati e con delle chiusure relazionali piuttosto consistenti ed altri ancora maggiormente inibiti o addirittura presentanti una tipologia adattiva di inerzia. Un’ampia variabilità interindividuale inoltre si denota dalle tipologie adattive e caratteristiche temperamentali differenti, che insieme alle competenze affettive, influenzano ulteriormente il grado di dipendenza dall’adulto e le modalità espressive emotivo-comportamentali del soggetto.

Pertanto le difficoltà si manifestano, seppur con gradi diversi, sia in ambito emotivo che affettivo-relazionale.

Dai risultati ottenuti dallo studio sugli adulti con Trisomia 21, sebbene emerga un discreto grado di autonomia nelle capacità adattive pratiche, sono state rilevate comunque delle difficoltà in quelle abilità che richiedono un maggior grado di pianificazione, quali la gestione delle finanze, la cucina, l’organizzazione della propria giornata e il fare la spesa.

Nel momento in cui si trovano in difficoltà, i ragazzi richiedono l’aiuto di un educatore, che si pone quindi come punto di riferimento dal quale sono parzialmente dipendenti. Questa figura assume una certa importanza anche nelle situazioni in cui devono affrontare una novità. In generale non sono particolarmente intimiditi dalle nuove proposte, ma molto spesso possono mettere in atto comportamenti di isolamento, derivati da una certa paura verso la situazione, o comportamenti impulsivi, che li portano a precipitasi per inserirsi nelle attività. In ogni caso, si tratta di comportamenti sufficientemente contenibili. Sul piano affettivo sembrano non presentare difficoltà evidenti, dimostrando di essere in grado di creare rapporti preferenziali e di saper discretamente usare strategie volte alla risoluzione di un conflitto interpersonale o di mettere in campo modalità di sostegno e conforto dell’altro.

È sul piano emotivo che si riscontrano le principali problematicità. Nei momenti di difficoltà e di novità sembrano saper gestire la reazione emotiva, anche se questa, essendo per lo più una richiesta di aiuto, evidenzia il loro grado di dipendenza. Sembrano comprendere le emozioni altrui, identificando i momenti di malessere di un amico e attivando per questo comportamenti finalizzati all’offerta di un conforto, ma sembrano poco consapevoli delle loro percezioni emotive. Molto spesso sottovalutano l’intensità con cui si manifesta un’emozione. La scarsa autoconsapevolezza comprende anche la capacità di identificare le proprie abilità, che possono essere sopravvalutate.

Nel gruppo degli adulti sembra esserci anche una minore variabilità delle risposte sia emotive che comportamentali rispetto al campione di soggetti in età evolutiva, pur permanendo delle differenze intersoggettive presumibilmente legate al fatto che ognuno di loro ha un diverso temperamento, osservato durante la somministrazione del questionario.

Le differenze e analogie riscontrate nei due gruppi, sembrano offrire un quadro sufficientemente chiaro per individuare le principali difficoltà riguardanti l’area

emotivo-affettiva sia nel periodo evolutivo che in età adulta. Sul piano affettivo si riscontrano difficoltà soprattutto in quei soggetti che manifestano chiusure relazionali o inibizioni; tuttavia anche quelli che hanno acquisito buone competenze relazionali dimostrano talvolta di avere difficoltà a comprendere appieno le dinamiche intersoggettive, poiché esse si configurano come processi complessi e dinamici, che si costruiscono su elementi astratti e impliciti. Queste difficoltà si rilevano soprattutto nei bambini, ma anche negli adulti, seppur in maniera ridotta.

Sul piano emotivo si osserva, invece, come permangano delle difficoltà soprattutto nella comprensione delle proprie reazioni emotivo-comportamentali, particolarmente in riferimento alla natura e alle cause delle emozioni, nonché l’intensità con cui esse si presentano. Questa scarsa autoconsapevolezza, insieme alla conseguente inadeguata espressione delle emozioni sul piano verbale, anche nell’adulto sono plausibilmente legate alle difficoltà cognitive (soprattutto in merito a processi di tipo metaemotivo) e di tipo linguistico.

Inoltre, da bambini tendono ad avere una scarsa capacità di autoregolazione delle emozioni, mentre in età adulta questo sembra essere un fenomeno più contenuto, probabilmente agevolato dal fatto che la maturazione dell’individuo, la sua integrazione sociale e l’aver seguito dei percorsi riabilitativi (di tipo neuropsicomotorio, logopedico ed educativo) possono aver favorito l’acquisizione di strategie utili ad una maggiore capacità di gestione delle emozioni.

Come infatti ha sostenuto Vianello (2006), i principali fattori che maggiormente influiscono sull’evoluzione globale dell’individuo con disabilità intellettiva, sembrano essere la qualità sia dei legami affettivi durante i primi anni di vita sia delle esperienze nei differenti contesti sociali, oltreché un intervento riabilitativo precoce estremamente personalizzato.

In quest’ottica quindi il TNPEE assume un ruolo fondamentale, nell’accompagnare l’individuo con disabilità intellettiva e, nel nostro caso, con Trisomia 21 nel raggiungere un maggior livello di sviluppo possibile. Pertanto occorre attribuire a quest’ultimo un ruolo progressivamente più attivo, per quanto possibile, nell’acquisizione di una maggior autoconsapevolezza e competenza emotivo-affettiva, al fine di limitare il grado di dipendenza dall’Altro e promuovere un adattamento più funzionale all’ambiente, in vista di un maggior benessere psicologico e sociale. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso la significazione degli atti del bambino, la quale favorisce la creazione di un linguaggio interiore e di un sistema integrato di significati, che vengono assimilati mediante un continuo rapporto interattivo con l’ambiente e permettono all’individuo di orientare in modo più funzionale il proprio comportamento.

Per fare ciò il TNPEE deve tenere conto non soltanto dei limiti e delle potenzialità del bambino (definite anche dal grado di disabilità intellettiva), ma anche del suo momento evolutivo e del suo rapporto con i contesti di vita per lui maggiormente significativi. Per questo motivo risulta fondamentale un’alleanza terapeutica tra l’equipe riabilitativa, la famiglia e le istituzioni scolastiche e sociali, per attuare un approccio integrato e sinergico, che favorisca la generalizzazione delle strategie apprese.

A conclusione di tutto si vuole sottolineare che questo lavoro si configura come uno studio osservativo preliminare, volto a mettere in luce le principali difficoltà e potenzialità che i soggetti con Trisomia 21 possono presentare nelle aree emotiva e affettiva durante l’arco di vita. Con esso si è cercato quindi di portare l’attenzione a queste due dimensioni che spesso passano in secondo piano rispetto all’area intellettiva. Si pensa invece che sia fondamentale, in un’ottica di prevenzione terziaria delle criticità presenti in età adulta e di interesse per il benessere e l’integrazione sociale dell’individuo, che esse vengano implementate in un trattamento precoce finalizzato e personalizzato.

Il favorire lo sviluppo di una migliore competenza emotiva fin dall’età evolutiva, può plausibilmente promuovere l’acquisizione di un più ampio numero di strumenti utili nell’ambito sociale e favorire una miglior espressione e comprensione dei propri bisogni.

Si crede che il lavoro fin qui esposto abbia raggiunto in parte gli obiettivi che si era prefissato, offrendo al tempo stesso molti spunti favorevoli ad analisi future che possano da una parte approfondire le questioni che si sono rivelate essere di maggiore problematicità e dall’altra favorire lo sviluppo di protocolli di intervento o di strumenti di osservazione e/o valutazione specifici per queste aree.

 

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