“Equitazione Terapeutica” - Dal mito alla Terapia
Essere meraviglioso difficilmente domabile, almeno nella propria essenza, è facilmente comprensibile come abbia conquistato un posto così rilevante nel corso dei secoli: che sia bianco come la luce a rispecchiare la divinità che incarna, oppure nero come gli inferi di cui pure si fa talvolta messaggero, che sia quindi legato all’acqua, al fuoco oppure all’aria nella quale vola trainando carri divini ed eroi, il cavallo è soprattutto manifestazione di vita e di continuità, di morte e di pericolo, quindi degli elementi fondamentali della vita di ognuno di noi, che si dispiega in una perpetua alternanza di luce e di ombra.
Autore : Mestrez a Louarn
Il cavallo tra Simboli e Mito
Qualcosa delle relazioni che l’uomo intrattiene con il cavallo possiamo desumerlo dalla storia con cui i simboli rilevano dimensioni dell’immaginario collettivo. Una credenza,che sembra radicata nella memoria di tutti i popoli, associa in origine il cavallo al mondo delle tenebre, sia che emerga galoppando dalle viscere della terra, o che scaturisca dagli abissi del mare.
Figlio della notte e del mistero, il cavallo è portatore sia di morte che di vita, legato al fuoco - distruttore o trionfatore - e all’acqua - che nutre o annega; ma la notte conduce al giorno e succede che il cavallo,seguendo questo processo,abbandoni le sue cupe origini per innalzarsi fino ai cieli in piena luce; con un maestoso abito bianco, il cavallo cessa di essere lunare e tenebroso e diventa solare ed entra a far parte del paese degli dei buoni e degli eroi,allargando così ancora di più il ventaglio delle sue accezioni simboliche. Il bianco cavallo, infatti, rappresenta l’istinto controllato, padroneggiato e sublimato ed è, secondo la nuova etica, la più nobile conquista dell’uomo. Però nessuna conquista è eterna e, nonostante quest’immagine luminosa, il cavallo tenebroso prosegue nel nostro intimo immaginario, la sua corsa infernale, alternando l’aspetto benefico a quello malefico. Non è un animale come gli altri ma è cavalcatura,veicolo,vascello e il suo destino è dunque inseparabile da quello dell’uomo: fra i due s’istaura una dialettica particolare, fonte di pace e di conflitto, che è la dialettica stessa dello psichico e del mentale. In pieno giorno, portato dalla potenza della sua corsa, il cavallo galoppa alla cieca e il cavaliere, con gli occhi spalancati, previene i suoi movimenti di panico e lo dirige verso uno scopo: la notte, quando il cavaliere diviene a sua volta cieco, il cavallo può farsi veggente e guida perché lui solo può varcare impunemente le porte del mistero inaccessibile alla ragione. Se cavallo e cavaliere sono in conflitto, allora la corsa intrapresa può condurre alla follia e alla morte; se fra essi vi è accordo la corsa diventa trionfale. Le tradizioni, i riti, i miti, i racconti e i poemi che parlano del cavallo, esprimono le numerose possibilità di questo gioco sottile. Nella steppa dell’Asia Centrale, paese di cavalieri e di sciamani, si è conservato nelle tradizioni e nella letteratura l’immagine di un cavallo con funzioni di guida e di intercessore essendo chiaroveggente, abituato alle tenebre, dotato di poteri misteriosi che suppliscono a quelli limitati dell’uomo, quando questi si arrestano alla soglia della morte. Presso la maggior parte di questi popoli, la sella ed il cavallo del morto sono deposti vicino al cadavere del defunto per garantirgli l’ultimo viaggio. Nelle cerimonie sciamaniche il cavallo chiaroveggente svolge un ruolo molto importante per la sua conoscenza dell’altro mondo tanto che nei viaggi divinatori, lo spirito benefico,che accompagna lo sciamano, ha “occhi da cavallo” che gli permettono di vedere a trenta giornate di distanza e di vegliare sulla strada degli uomini. Per la natura del suo istinto che lo fa sembrare dotato di tali poteri, il cavallo rappresenta componenti animali dell’uomo; nell’intimo rapporto tra destriero e cavaliere il cavallo istruisce l’uomo come l’intuizione illumina la ragione,insegna i segreti e sa scegliere la giusta via.
Fig 1: Pegaso, cavallo alato
Tra le figure della mitologia greca, Pegaso,cavallo alato, rappresenta non tanto la fusione tra il mondo celeste e quello sotterraneo, quanto il passaggio, la sublimazione dall’uno all’altro: porta il fulmine a Zeus perciò è un cavallo celeste pur essendo figlio di Posidone e di Medusa, l’unica ad essere mortale delle Gorgoni,e quindi di origini tenebrose. Si può dire dunque che rappresenti la sublimazione dell’istinto. Il cavallo, originariamente di natura tenebrosa,a poco a poco diventa destriero solare consacrato ad Apollo, dio del Sole,di cui tira il carro. Così nei testi buddisti, in India e perfino in Grecia, i cavalli diventano soprattutto simbolo dei sensi aggiogati al carro dello spirito, che trascinano disordinatamente se non sono guidati dal sé,che è il signore del carro.
Aggiogato al carro del sole, il cavallo bianco, immagine di bellezza compiuta, attraverso il dominio dello spirito sui sensi,diventa simbolo di maestà,cavalcatura di eroi,santi e conquistatori.
Forza e rapidità,protezione e longevità sono attributi che in Cina lo esaltano; lo si trova anche come cavalcatura di dei o di re nelle raffigurazioni di templi scintoisti in Giappone.
In conclusione possiamo dire che il simbolismo del cavallo si estende ai due poli del cosmo: nel mondo sotterraneo appare come l’animale associato ai tre elementi base- fuoco,terra e acqua- e alla Luna; nel mondo superiore è associato invece all’aria,fuoco e acqua (nella loro accezione celeste) e al Sole. Il cavallo collega quindi gli opposti passando con facilità dalla notte al giorno, dalla morte alla vita e dalla passione all’azione, detiene qualità spirituali capaci di elevare l’uomo sopra i pericoli essendo manifestazione di continuità al di sopra della discontinuità della nostra vita e della nostra morte. I suoi poteri oltrepassano ogni capacità di comprensione e quindi non c’è da stupirsi che l’uomo l’abbia così spesso reso sacro nel corso della storia.
Le pulsioni umane e le passioni dell’anima, proiettate su figure mitologiche, tracciano forme di comportamento istantaneo,intenso, concentrato, esatto, determinato, privo della paura del rischio che tormenta invece l’essere umano. La separazione tra pensiero ed azione, tipica della natura umana, fa sì che l’atto animale repentino e il meccanismo innato trasmettano alla psiche di potere superare, grazie all’animale, i nostri limiti. Il potere della figura mitica può essere trasferito alla mente di un giovane grazie al modella che l’animale guida, incarna e rappresenta.
Karol Kerènyi, affermando che l’interesse psicologico è insito in ogni attività poetica, valorizza la dimensione mitologica come mezzo per penetrare nella radice storica dell’umanità. I fondamenti primordiali dell’animo umano lasciano tracce nell’immediatezza dell’immagine mitologica strettamente correlata ad un’attività creativa,artistica della psiche umana che arricchisce o rimpie l’anima; così come i suoni sono materia della musica, la mitologia narra storie che scaturiscono dal fondamento ideale di un popolo.
Nella nostra mitologia troviamo la figura del Centauro che incarna in sé l’uomo ed il cavallo, e come tale ha un duplice significato: da una parte rappresenta l’uomo animale, cioè il simbolo dell’istintualità, dall’altra l’educatore capace di convogliare la forza vitale verso la cultura. Il più famoso e sapiente dei Centauri era Chirone,figlio di Crono e di Fillira, che pur avendo la forma di un centauro era di tutt’altra estrazione e mentalità, e non aveva nulla a che vedere con i centauri figli di Issione, esseri litigiosi e sensuali, senza limiti nel godimento di donne e nel bere vino a fiumi. Infatti la leggenda narra che Crono per eludere la gelosa sorveglianza della moglie Rea, assumeva la forma di cavallo quando andava a corteggiare Fillira; questo giustifica la nascita di un figlio bimembre, metà uomo e metà cavallo.
Fig.2: Il Centauro Chirone mentre istruisce Achille sul tiro con l’arco
Si narra che nella sua giovinezza Chirone apprese da Artemide a conoscere le erbe medicinali e l’arte della medicina, della quale fu il primo maestro ad Asclepio (per i romani Esculapio). Quest’ultimo fu affidato da Apollo, suo padre, al sapiente centauro che era già stato precettore di grandi eroi come Eracle e Achille. La leggenda narra che Chirone vantasse anche un primato chirurgico; il più antico trapianto osseo, operato su un insigne neonato, Achille; la madre Teti lo aveva immerso nelle fiamme per garantirgli l’immortalità, ma nell’incantesimo si era verificato un disguido: il tallone del piccolo non aveva goduto il beneficio del trattamento, e per di più era rimasto gravemente ustionato.
Allora Chirone asportò l’osso corrispondente dallo scheletro disseppellito del gigante Danuso, che era stato rapidissimo corridore, e lo sostituì a quello originario. Così Achille divenne il più veloce degli uomini, sebbene in quell’unico punto il suo corpo fosse rimasto mortale. Non è da stupirsi che un simile maestro ispirasse ad un allievo, già provvisto di divini spiriti, una passione smisurata per la medicina, e Asclepio sviluppò le intuizioni e le esperienze di Chirone in un complesso di pratiche terapeutiche. Le sue cure restituivano il fiore della salute e la serenità del cuore a tutti gli uomini sofferenti, e la sua fama divenne immensa presso tutte le genti della Grecia. Asclepio esercitò la medicina durante la sua vita terrena, prima di essere assunto fra gli dei, e tale attività rimase la prerogativa specifica del suo culto che era benefico e pratico.
I molti santuari dedicati al tale dio guaritore furono il modello più antico di ospedali e centri di cura, e in questi luoghi di sacra devozione e solidarietà umana esercitavano i sacerdoti del dio, esperti nella cura di ogni sofferenza del corpo. La causa della morte di Chirone fu Eracle che, nella foga della guerra mossa ai centauri, per errore lo colpì al ginocchio con una freccia avvelenata con il sangue dell’Idra e siccome il buon centauro era immortale e l’inguaribile ferita lo faceva soffrire atrocemente, Zeus,commosso,per sottrarlo ai tormenti del dolore lo mutò nella costellazione del Sagittario.
La relazione tra Cavallo e Cavaliere: il passaggio dall’immaginario al reale che diventa progetto terapeutico
Per una migliore comprensione dell’impiego del cavallo come strumento riabilitativo, ho ritenuto opportuno fare alcune considerazioni di ordine generale partendo dai molteplici simboli e significati assunti dal cavallo nell’immaginario collettivo e nella mitologia. Tra le figure mitologiche ho scelto Pegaso, cavallo alato, che costituisce il simbolo di andare oltre, cioè del superamento delle capacità proprie della specie di appartenenza; in questa modalità di rappresentazione, così come nei monumenti a cavallo delle nostre piazze, si rispecchiano tematiche relative al sé grandioso. L’incontro con il cavallo reale implica inevitabilmente il passaggio dal rapporto immaginario, contraddistinto dal perfetto collimare dei desideri con la soddisfazione di essi, alla complessità concreta dell’interazione con l’animale. S’instaura così un delicato rapporto dialettico che porta il soggetto ad operare un continuo passaggio dall’immaginario al reale, alternando momenti di rivalutazione ad altri di ridimensionamento delle proprie capacità. Il cavallo nella mitologia è stato anche raffigurato come centauro, metà uomo e metà cavallo: da una parte simbolo dell’istintualità dall’altra educatore capace di convogliare la forza vitale verso la cultura. L’animale con le sue reazioni, talora imprevedibili, e la sua prepotente corporeità fornisce, nel processo di mobilizzazione di emozioni, una cornice ben precisa e perciò strutturante. Il cavallo interviene nel processo terapeutico non solo come simbolo ma anche come partner relazionale reale.
La relazione tra cavallo e cavaliere si basa su una comunicazione non verbale,analogica, imperniata sullo scambio corporeo come via finale comune delle intenzioni ed emozioni fra i due partners.
Questo tipo di comunicazione elimina tutte le trappole del “verbale” e rimanda, per la sua autenticità e pregnanza corporea, a quella tra la madre ed il bambino. E’ come se il rispecchiamento madre-bambino, fondamentale perché il piccolo faccia esperienza di sé, sviluppi la percezione dei proprio bisogni ed impari a differenziarsi dall’altro, come se potesse in qualche modo essere rappresentato e riavviato attraverso il cavallo. In questo modo il cavallo renderebbe possibile una sorta di “rimaturazione” dell’ Io ponendosi come mediatore di esperienze riparatrici o come intermediario con cui esperire la realtà in maniera tollerabile sul piano percettivo ed emotivo. Alla luce di queste considerazioni riemerge la figura mitologica del centauro nella sua valenza forse più significativa, quella fusionale della dialettica tra gli opposti. E’ osservazione comune che per esempio un soggetto psicotico a cavallo inizialmente tende ad assumere atteggiamenti poco differenziati tra sé e l’animale oppure tra sé,l’animale ed il terapeuta, e talora può essere confuso o avere comportamenti aggressivi e di fuga. Nel dramma della simbiosi, con la sua carica di coercizione, rabbia, impossibilità di scelta, l’utilizzo del cavallo è di grande aiuto perché da una parte, attraverso il contatto corporeo, contiene e rassicura il bambino allontanando la minaccia insostenibile della rottura simbiotica, mentre dall’altra facilita la differenziazione con il suo continuo apporto percettivo e con la forza vitale delle sue reazioni.
Tutto ciò confluisce gradualmente, grazie anche alla funzione di guida svolta dagli operatori, nella percezione di sé e dell’altro da sé. Le due immagini del cavallo e del cavaliere inizialmente fuse e sfocate, acquistano con il tempo contorni precisi ed il loro essere insieme diventa scambio: il cavallo rispecchia direttamente nel suo comportamento gli stati d’animo spesso calati o non consapevoli del cavaliere così come il cavaliere sente la tonalità emotiva del cavallo, in maniera tale che l’incontro con l’animale diventa una “esperienza di sé”. Il contatto con il cavallo,dapprima puramente corporeo poi anche mentale, viene inizialmente utilizzato dal bambino come strumento di scoperta e delimitazione del proprio Io rudimentale, poi come mezzo di dialogo con il corpo ed infine come modalità di relazione con l’altro e con l’ambiente.
I vantaggi acquisiti a cavallo, di norma, vengono mantenuti anche al di fuori della terapia, così che il bambino riesce ad integrarsi più facilmente nel contesto socio-familiare e può fruire sinergicamente di altri interventi riabilitativi in precedenza non percorribili per la dirompenza psicopatologica o l’inaccessibilità razionale.
Tutto il lavoro che ruota intorno al cavallo ed al suo contesto può quindi divenire parte di un progetto terapeutico che deve essere necessariamente gestito da un’equipe medica specializzata, in quanto non è l’animale o l’attività equestre ad essere terapeutica di per sé ma può divenire tale se su di essa si lavora seguendo un percorso riabilitativo. L’Equitazione inserita in un metodo terapeutico globale attraverso la pratica di un’attività ludico-sportiva stimola l’individuo nel suo complesso motorio,psichico,intellettivo e sociale.
Il cavallo, soggetto vivente dotato di una propria sensibilità e individualità,si fa co-protagonista dell’azione terapeutica, in una relazione interattiva estremamente ricca e complessa.
Al disabile è richiesta una partecipazione attiva, perché il montare a cavallo necessita di una forma di “dialogo” e di interazione con l’animale. Il bisogno di sentire il movimento del cavallo, crea la spinta ad esprimere tale desiderio, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi modo, favorendo così progressivamente una comunicazione intenzionale e la consapevolezza di poter interagire con un' individualità complessa come quella del cavallo.
Nella terapia con il cavallo è da sottolineare l’importanza dell’ambiente per il recupero del soggetto: il maneggio, immerso nel verde e nella natura, rappresenta un ambiente “arricchito”, cioè capace di fornire stimoli numerosi e differenziati (visivi, acustici, tattili, olfattivi) da cui può derivare una gratificazione immediata. Tutto ciò genera nel soggetto una forte spinta motivazionale, elemento pregnante e fondamentale, in un programma terapeutico, per l’apprendimento e la stabile memorizzazione di ciò che si è appreso. Il vantaggio è una partecipazione finalizzata ed una gratificazione derivata dai reali risultati ottenuti, e cioè il riuscire a condurre il cavallo autonomamente, trottare e galoppare.
Indice |
INTRODUZIONE |
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CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
Tesi di Laurea di: Giulia Maria FRANGIAMONE |