L’importanza dei sensi nella relazione con la realtà: La chiave di apertura verso il mondo; Lo sviluppo sensoriale; La centralità del tatto, dell’udito e della vista nello sviluppo psicomotorio
CAPITOLO I: L’importanza dei sensi nella relazione con la realtà
- I sensi: la chiave di apertura verso il mondo
- Lo sviluppo sensoriale
- La centralità del tatto, dell’udito e della vista nello sviluppo psicomotorio
CAPITOLO II: Il tatto, l’udito e l’intersoggettività
CAPITOLO I: L’importanza dei sensi nella relazione con la realtà
I sensi: la chiave di apertura verso il mondo
Senso, dal latino sensus (sentire, provare sensazioni), è la facoltà di ricevere impressioni da stimoli esterni o interni, di avere percezione del mondo e di conoscere la realtà. Ogni esperienza si basa sulle informazioni che provengono dagli organi di senso e che vengono elaborate dal sistema nervoso centrale al fine di dare significato agli eventi e produrre risposte adattive. (Fazzi et al., 2011).
Prima di addentrarci nel comprendere come il soggetto si relaziona con l’ambiente tramite i sensi e di come questi siano essenziali per la crescita e lo sviluppo dell’individuo è necessario chiarire e tener ben a mente quali sono i meccanismi neurobiologici alla base delle rilevazioni degli input sensoriali e all’elaborazione di risposte funzionali.
Occorre così distinguere la sensazione dalla percezione, processo cognitivo più complesso.
La sensazione è un concetto più di carattere fisico, determinato dalla capacità di rilevare e di riconoscere gli stimoli provenienti dagli organi di senso; mentre la percezione è un’attività psichica articolata che permette di selezionare, organizzare ed elaborare le sensazioni percepite e registrate dai sensi, al fine di attribuirne un significato e trasformarle in rappresentazioni mentali.
A tal proposito il neuroscienziato Bachrach E. (2018) sottolinea che la percezione è una funzione mentale che riunisce tutte le informazioni provenienti dall’ambiente circostante, definiti come “stimoli” al fine di permetterci di conoscere e di muoverci nel mondo esterno. (Argiroffo G. C., 2019).
Secondo Lippmann è un processo attivo grazie al quale elaboriamo idee, opinioni, valutiamo situazioni, generiamo risposte ed infine archiviamo nella memoria ciò che impariamo. L’autore sostiene che tale processo permette all’individuo di costruire la realtà in stretta relazione con essa. (Argiroffo G. C., 2019).
È questo dinamismo di scambi di informazioni percepite e risposte adattive generate che permettono lo sviluppo neuropsicomotorio del bambino: il soggetto riceve, elabora ed interpreta le informazioni sulla base delle esperienze fatte, favorendo la formazione di nuove connessioni neuronali attraverso cui si strutturano nuovi legami sinaptici e si perfeziona la percezione del mondo. Anche la memoria a lungo termine svolge un ruolo determinante in tale meccanismo in quanto permette, poi, di integrare ed elaborare gli input sensoriali in riferimento alle conoscenze pregresse, che si definiscono come fonte dell’apprendimento. (Argiroffo G. C., 2019).
La frase di Aristotele “Niente è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi” ci aiuta a riflettere sul significato dei sensi come strumento di conoscenza, chiave di lettura della realtà, essenziale per l’apprendimento, la costruzione di sensazioni ed emozioni, di rappresentazioni mentali e della propria identità.
È proprio l’interazione precoce tra neonato-ambiente, mediata dagli organi di senso, a favorire lo sviluppo emozionale e la formazione dell’Io. (Chiarelli R., 1995).
Piaget sostiene che gli scambi continui con la realtà circostante e la possibilità del soggetto di trarne informazioni favoriscono lo sviluppo cognitivo: è la capacità del soggetto di relazionarsi con l’ambiente circostante, di esplorarlo, di compiere azioni sugli oggetti che ne permette la conoscenza e il verificarsi dei processi di assimilazione e accomodamento, alla base degli stadi da lui descritti.
L’autore afferma che la conoscenza, intesa come capacità cognitiva, è strettamente legata alla capacità di adattamento con l’ambiente sociale e fisico e alla relazione con questo.
Anche Winnicott si esprime al riguardo: il neonato si presenta all’ambiente con un bagaglio innato di potenzialità che permettono al soggetto di ricevere ed elaborare le informazioni al fine di produrne una risposta adattiva e sostenere lo sviluppo del bambino. Affinché ciò possa realizzarsi, l’autore afferma l’importanza di incontrare un ambiente facilitante che sia in grado di interpretare e condividere le funzioni adattive espresse dal soggetto.
La Montessori, importante autrice degli anni ’50 del secolo scorso, sottolinea in diversi suoi scritti, tra cui citiamo “La scoperta del bambino” e “La mente del bambino. Mente assorbente”, come l’esperienza sensoriale costituisce la base essenziale per la maturazione dell’intelligenza. È proprio grazie al contatto e all’esplorazione dell’ambiente circostante che l’intelligenza innalza il patrimonio di idee operanti, senza le quali il suo funzionamento astratto mancherebbe di fondamento e di precisione, di esattezza e di ispirazione. Dunque, la conoscenza del mondo esterno tramite le sensorialità e le abilità percettive hanno lo scopo di promuovere lo sviluppo autonomo delle capacità fisiche e mentali, con particolare riferimento all’apprendimento e all’aspetto motorio. (Montessori, 1948).
Lo sviluppo sensoriale
Autori quali Humphrey, Hooker, Venry, Morlet e MacFarlane sottolineano come lo sviluppo sensoriale non sia determinato soltanto da fattori maturativi e neurofisiologici, ma soprattutto dall’esperienza e dalla relazione con il mondo circostante.
L’esperienza determina una capacità sempre più raffinata di selezionare ed elaborare gli stimoli con specifici obiettivi conoscitivi ed è necessaria affinché si sviluppi la capacità di sintetizzare le informazioni provenienti dagli organi di senso, che altrimenti verrebbero comunque registrate a livello dei neuroni del Collicolo Superiore, ma non elaborate. (Wallace et al. 2004).
La capacità del soggetto di registrare le sensazioni e trarne informazioni necessarie al suo sviluppo è un processo che prende avvio già in utero.
Il tatto è il primo senso che viene a svilupparsi, primo canale dell’espressione comunicativa dell’uomo. (M. Micelli, 2011). Il suo precoce sviluppo permette al feto una riduzione degli stimoli da assorbire in quanto sono inizialmente solo di natura tattile.
Come riportato in diversi studi, tra cui citiamo quelli di Bremner e Spence (2017) Bremner, Lewkowicz e Spence (2012); Gallace e Spence (2014), Ammaniti e Ferrari (2020), dove è possibile approfondire lo sviluppo sensoriale in epoca fetale, i recettori somatosensoriali trigeminali e cutanei si sviluppano sin dalle prime settimane di età gestazionale permettendo alla percezione tattile di estendersi dal labbro superiore fino ai piedi, investendo tutto il corpo, ad eccezione della zona dorsale.
Figura 1: Sviluppo fetale dei sensi (Bremner e Spence, 2017)
Studi recenti dimostrano che l’elaborazione delle informazioni corporee si verifica durante il primo anno di vita ma più probabilmente è un processo che inizia già durante la vita intrauterina. Il feto percepisce le carezze dell’adulto tramite le pareti addominali ed uterine; tuttavia, molte abilità percettive tattili (come percepire il tocco sul mondo esterno oltre che sul proprio corpo) si sviluppano nei primi mesi di vita postnatale e richiedono del tempo per affinarsi, probabilmente come risultato di un esteso processo di connessione con altre modalità sensoriali che forniscono nuovi tipi di informazioni dalla nascita (es. vista e udito). (Bremner e Spence, 2017).
Anche i neuroni dei recettori olfattivi si definiscono maturi intorno alla undicesima settimana di età gestazionale, permettendo al neonato di discriminare l’odore della propria madre e manifestare reazioni differenti agli stimoli considerati piacevoli o sgradevoli, come dimostrato dall’accelerazione del battito cardiaco, dalla variazione del ritmo respiratorio e della mimica facciale. Il feto, già in utero, vive una varietà di esperienze olfattive che vengono registrate a livello mnemonico, influenzando i comportamenti futuri del neonato, come leggibile dalla capacità di riconoscere l’odore del latte materno.
Le papille gustative maturano intorno alla dodicesima-tredicesima settimana permettendo già un’iniziale distinzione delle sostanze dolci da quelle amare ed acide contenute nel liquido amniotico: in presenza di uno stimolo piacevole il feto sorride e mette in atto movimenti di suzione e deglutizione, al contrario si allontana con una smorfia di disgusto e chiusura degli occhi. (Verny T.R. e Kelly J., 1981).
Dalla decima-quattordicesima settimana si sviluppano le cellule sensoriali nei canali semicircolari e successivamente si forma il nucleo vestibolare laterale; mentre alla nascita si osservano le prime reazioni alla forza di gravità e ai movimenti che provengono dall’orecchio interno. Il neonato è, inoltre, in grado di controllare i movimenti degli occhi e di eseguire successivamente gli aggiustamenti posturali automatici grazie all’integrazione degli input vestibolari e propriocettivi.
Anche l’udito si sviluppa e completa la sua maturazione durante la vita intrauterina: intorno alla nona settimana si struttura la coclea, la cui maturazione prosegue dalla regione basale, responsabile dell’elaborazione delle informazioni sonore ad alta frequenza, a quella apicale, permettendo la percezione dei suoni a frequenze minori.
Alla ventiquattresima settimana l’orecchio interno raggiunge la forma e la dimensione dell’adulto e l’organo del Corti è maturo. (Litovsky R., 2015). Intorno alla trentacinquesima età gestazionale i meccanismi acustici cocleari sono maturi. (Morlet et al., 1993). Il feto, pertanto, è capace già alla ventottesima settimana di rispondere ai diversi stimoli uditivi esterni attraverso i movimenti motori fetali, la modificazione della frequenza cardiaca e l’attivazione cerebrale che viene registrata tramite la magnetoencefalografia e la risonanza magnetica cerebrale. (Dunn, Reissland e Reid, 2015).
Come già espresso, la vista, a differenza di tutti gli altri sensi, avvia il suo sviluppo in utero, ma lo completa soltanto nel periodo post-natale, dalla nascita fino alla prima adolescenza. I neuroni primordiali della retina si strutturano intorno alla settima settimana, ma la mielinizzazione delle cellule gangliari avviene al terzo mese e la retina completa la sua maturazione intorno al quarto mese di vita. Il feto, già a diciotto settimane, si mostra capace di percepire la luce e compie, alla ventesima settimana, i primi movimenti oculari. A circa trentatré settimane le pupille si comprimono e dilatano a seconda dell’intensità luminosa che raggiunge il feto ed è possibile osservare dei movimenti bruschi quando si indirizza una forte luce sull’addome materno. (MacFarlane, 1980).
Il feto, in conclusione, vive in un ambiente ricco di stimoli soprattutto di carattere sonoro-tattile, che svolgono un ruolo di estrema importanza nel determinare un aumento delle sinapsi. (M. Micelli, 2011). Alla nascita poi, le sensazioni, le percezioni e il proprio movimento subiscono delle trasformazioni radicali e progressive, nelle quali l’orchestrazione tra i processi di maturazione del sistema nervoso, la fisiologia dei vari sistemi e i piani di crescita scheletrico-muscolare è molto complessa, ed è sostenuta e guidata attraverso un dialogo multidimensionale tra la programmazione genetica e l’ambiente. Il bambino deve adattarsi ad un nuovo ambiente, a nuove modalità di relazione in cui, soprattutto il programma motorio, grazie ai feedback tattili, va incontro ad una modificazione e ad un aggiustamento per permettere una maggiore sincronia ed efficienza con i movimenti materni. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
L’apparato sensoriale di cui dispone il neonato, seppur immaturo, garantisce il suo inserimento nell’ambiente esterno, sia fisico che sociale.
Il sistema nervoso centrale va poi incontro fino alla prima adolescenza ad un processo di riorganizzazione neuronale in cui viene costantemente modulata la sua mappatura tra corrispondenze sensoriali e motorie, permettendo cambiamenti cognitivi. (Paus, 2005).
I sensi per eccellenza che svolgono un ruolo centrale nello sviluppo del bambino sono primariamente il tatto, l’udito e la vista, nella loro valenza sociale e conoscitiva.
È per tale ragione che ci siamo focalizzati su questi e sulle loro proprietà nella strutturazione del protocollo, consci della loro importanza nell’apertura del bambino verso il mondo popolato di oggetti e soggetti.
La centralità del tatto, dell’udito e della vista nello sviluppo psicomotorio
L’importanza del tatto è stata approfondita soprattutto negli ultimi anni, portando ad una rivoluzione nella concezione di questo senso.
In modo un po' provocatorio potremmo riportare gli studi di Montagu che tendono a sottolineare il ruolo determinante di tale senso nell’interazione con l’ambiente circostante e nello sviluppo del soggetto, soprattutto a livello sociale. L’autrice partendo dall’evidenza che il nostro corpo sia ricoperto completamente dalla pelle e che il senso ad essa associato è proprio il tatto, dimostra come le stimolazioni cutanee e tattili, che il soggetto registra, siano essenziali per il suo sviluppo. Ne consegue, pertanto, che esso sia capace di compensare in grado elevato la carenza degli altri organi di senso.
Questa affermazione ci spinge a riflettere sull’importanza del tatto come principale strumento di promozione dello sviluppo soprattutto nei soggetti con deficit visivo.
Il tatto, in particolare, è un fondamentale strumento di conoscenza ed interazione con il mondo circostante: permette di percepire i nostri corpi ed il nostro senso del sé e favorisce l’accesso diretto al mondo esterno tramite l’esplorazione tattile. Similmente alla vista, Craig (2009) e Martin (1995) affermano che svolge un ruolo discriminatorio vitale, in quanto permette di definire lo stimolo, la sua posizione e come agire su esso; tuttavia, differisce per un aspetto peculiare: il tatto riceve percezioni non solo di carattere esterocettivo, ma anche interocettivo. (McGlone e Spence,2010).
Queste ultime sono essenziali soprattutto per il riconoscimento del proprio sé corporeo, nello sviluppo della distinzione sé-altro. Gli interocettori, situati negli organi interni, forniscono anche informazioni relative all’omeostasi, alla digestione, alla respirazione e a tutte le funzioni tipiche degli organi stessi.
La propriocezione, invece, tramite i recettori situati in muscoli, tendini ed articolazioni, dà indicazioni sulla posizione e sul movimento degli arti nello spazio. Questa, insieme alla sensibilità tattile profonda, è fondamentale in quanto supporta e favorisce l’attenzione ed il livello di vigilanza, lo schema corporeo ed il senso di posizione, il tono muscolare e la modulazione delle percezioni sensoriali. (Bremner e Spence, 2017).
In particolar modo uno studio di Jouen e Molina del 2005 ha evidenziato come i neonati siano di capaci di mettere in atto un movimento esplorativo generale attivo attraverso il quale possono conoscere e confrontare le proprietà dei differenti target presentati loro e unificarle in una percezione multimodale. Mandler definisce il confronto come il sistema di conoscenza che permette la categorizzazione degli elementi e di ordinare e strutturare il mondo reale al fine di ridurne la complessità. Nello studio del 2004 di Jouen e Molina, difatti, si può apprendere che i neonati modulano l’attività manuale al fine di conoscere le texture proposte: più precisamente si osservano movimenti maggiori in presenza di due target differente rispetto a due omogenei. (Jouen e Molina, 2005).
E ancora, la stimolazione del palmo della mano permette al bambino di acquisire le varie tappe dello sviluppo della presa. Questi aspetti manipolatorio-conoscitivi non hanno solo una valenza cognitiva, ma soprattutto sociale. Attivano il soggetto nella scoperta del mondo, indirizzano i suoi movimenti verso l’altro in modo più consapevole e favoriscono l’emergere di condotte comportamentali di condivisione della conoscenza della realtà con l’altro.
La risposta riflessa del neonato di chiusura del palmo della mano quando questo entra in contatto con il mondo non ha solo un ruolo conoscitivo, ma specificatamente sociale in quanto genera delle risposte precise e reciproche da parte del caregiver, utili per sostenere la loro relazione ed interazione. (Harlow e Zimmerman, 1959).
Si pone a questo punto un interrogativo: la presentazione di oggetti dalle diverse sensorialità tattili può aiutare il bambino nel produrre risposte adattive e motorie che vengano lette dal caregiver generando degli scambi reciproci in un’ottica più relazionale e sociale? E più precisamente è possibile individuare quale siano le proprietà tattili dell’oggetto che evocano una maggiore risposta sociale e motoria nel piccolo?
Tutti questi interrogativi sono alla base della creazione del nostro protocollo che si pone lo scopo di individuarli al fine di aiutare il terapista nella scelta adeguata di tali target per promuovere l’instaurarsi della relazione con il bambino, chiave di partenza per la promozione dello sviluppo neuropsicomotorio.
Anche il sistema uditivo ha un ruolo fondamentale nel permette al soggetto di entrare in relazione con il mondo circostante, grazie alla sua valenza chiave nella comunicazione sociale, nell’integrazione e nella capacità di apprendimento.
Il canale uditivo rileva i suoni con una frequenza compresa tra i 20 ed i 20.000 Hz, ma questa capacità si sviluppa con l’età e si affina durante la vita postnatale a seguito di processi maturativi ancora in atto che coinvolgono le strutture anatomiche e neuronali.
Alla nascita, i neonati presentano una soglia percettiva più alta di 25dB rispetto a quella dell’adulto ed è solo intorno ai sei mesi che tale soglia si abbassa e si osserva una sensibilità sonora simile a quella dell’adulto per le alte frequenze ( 4000 Hz). (Fuchs e Tucker 2015).
Il neonato mostra una capacità ridotta di reagire ai vari stimoli uditivi che determinano l’insorgenza di riflessi muscolari e neurovegetativi, isolati o associati, quali il riflesso cocleo-palpebrale o il riflesso di Moro; ma anche la rotazione del capo verso la sorgente sonora, la contrazione tonica degli arti, il corrugamento della fronte, l’apertura palpebrale, reazioni d’allerta come pianto, risveglio o modificazione del ritmo respiratorio. (J. Tafur, 2005).
A tre mesi, la capacità di discriminazione dei suoni è più deficitaria per i toni con frequenza di 4000 Hz rispetto ai 500 Hz; mentre questo modello risulta invertito a sei mesi, quando il piccolo riesce a distinguere il timbro, l’intensità e la durata di un suono. (Olsho et all., 1987).
Differenti studi hanno, inoltre, confermato che i neonati mettono in atto reazioni differenti a seconda della familiarità del suono proposto. Il termine familiare delinea uno stimolo acustico di cui il feto ha già fatto esperienza durante tutta la gravidanza, quale la voce materna o alcune melodie particolari a cui è stato esposto. Questo dimostra come il feto venga raggiunto già durante la vita intrauterina da specifici suoni di cui fa esperienza e conserva nella memoria. Più precisamente, già alla ventottesima settimana percepisce e risponde alle prime stimolazioni acustiche di intensità superiore ai 70 dB ed in particolar modo discrimina la voce materna da quella dell’estraneo. Questo sarà importante per lo sviluppo soprattutto relazionale e comunicativo.
È fondamentale inoltre anche approfondire la capacità del soggetto di localizzare la sorgente sonora, per via del suo significato non solo cognitivo ma anzitutto sociale.
Gli studi di Fuchs e Turker del 2015 hanno analizzato e approfonditamente studiato tale capacità del bambino, affermando che essa dipende dalla possibilità del soggetto di costruirsi una mappa spaziale della realtà circostante.
Intorno ai sei mesi, il neonato appare consapevole nel localizzare la fonte sonora sia in senso orizzontale che verso il basso; a differenza delle precedenti risposte incondizionate e riflessive di orientamento verso la sorgente sonora. Infine, verso i 21-24 mesi il target sonoro viene localizzato in tutte le direzioni. La precisione con cui la fonte viene individuata progredisce nel tempo: dai 2 mesi ai 2 anni di età il piccolo mostra un notevole cambiamento, ma sarà solo intorno ai 5 anni che la sua abilità sarà simile a quella dell’adulto. (Fuchs e Turker, 2015).
Questa capacità, come dimostrato dai diversi studi in letteratura nei soggetti con deprivazione visiva, ha un ruolo essenziale per lo sviluppo psicomotorio del bambino.
Più precisamente, il sistema uditivo svolge un ruolo vicariante e di sostegno, essenziale per conferire sostanzialità alla realtà. È proprio grazie alla capacità del bambino di percepire e seguire gli spostamenti dei target tramite il suono che il piccolo sviluppa, anche se più tardivamente, la permanenza dell’oggetto. E ancora, è grazie alla percezione della voce materna che si sposta nello spazio quando il piccolo non ne percepisce più la sua fisicità, che lo aiuta a conferire un senso di continuità all’esperienza e di acquisire positivamente il processo di separazione ed individuazione. (Zumiani, 2014).
Ed infine, è ancora una volta la possibilità di percepire e localizzare spazialmente la posizione del target che aiuta e motiva il piccolo a muoversi e scoprire la realtà. Si parla così di “Reach on Sound”, definendolo come una tappa fondamentale per la promozione dello sviluppo del bambino.
La possibilità del piccolo di raggiungere il target presentato solo tramite il suono permette non solo di favorire lo sviluppo motorio e cognitivo, ma più in generale di dare sostanzialità alla realtà, risolvendo il “problema concettuale” posto da Fraiberg. (Fazzi et al., 2011).
Ed infine, vogliamo ricordare l’importanza della vista nello sviluppo del soggetto e nella relazione con la realtà.
Gli studi pioneristici di Fraiberg del 1997 sottolineano con estrema forza e decisione l’importanza di questo senso, unico nel determinare una continuità percettiva.
L’autrice attribuisce agli altri sensi, quali tatto e udito, un funzionamento di tipo fasico, poiché si attivano solo dopo appropriata stimolazione, in forza della quale si può rischiare di frammentare la realtà in una serie di percezioni sganciate le une dalle altre e determinare un’instabilità percettiva con conseguente disintegrazione delle esperienze affettive e cognitive.
È stata proprio questa ambivalenza, facendo riferimento specialmente ai recenti studi sul tatto prima citati, che ci ha spinti ancor di più ad intraprendere questo percorso di tesi volto a sottolineare e analizzare l’importanza del tatto e dell’udito, più che della vista stessa, nella possibilità di determinare un’apertura del bambino al mondo circostante, soprattutto in termini sociali.
Autori come Fraiberg, Willis, Turner, Burlingham nei loro studi pubblicati nella seconda metà degli anni ’70 hanno messo in luce come il bambino con deprivazione visiva possa andare incontro ad una serie di difficoltà e ritardi nelle diverse fasi neuroevolutive, tanto da parlare di uno sviluppo peculiare. La vista è considerata, difatti, il senso capace di conferire identità alla realtà, popolata di oggetti e individui aventi una loro costanza percettiva, e di permettere al soggetto la costruzione di immagini e di rappresentazioni mentali del mondo circostante, ponendosi a pieno titolo come strumento finalizzato ad una serie di apprendimenti più o meno formalizzati e, dunque, all’edificazione della mente. (Fraiberg, 1977).
La vista è il sintetizzatore dell’esperienza (Fraiberg, 1977) poiché raccoglie tutti i feedback proveniente dal mondo esterno tramite i diversi canali sensoriali e li organizza in un unico codice visivo che dà fisicità alla realtà.
Il neonato alla nascita percepisce stimoli non ben definiti che eccitano i campi recettivi della zona periferica della retina ed evocano movimenti riflessi saccadici finalizzati a localizzare, senza una sufficiente analisi del messaggio visivo. (Naegele, 1982; Atkinson, 1984). In particolar modo, già nelle prime ore di vita è possibile osservare la presenza di riflessi evocabili in risposta a mire luminose e del riflesso di fissazione non stabile ad una distanza specifica di 19-20 cm, che corrisponde alle capacità accomodative.
Il bambino alla nascita mostra una preferenza per i bersagli, strisce o cerchi concentrici a pattern bianchi e neri e per il volto stilizzato (Fantz, 1958) e discrimina una figura omogenea da una non omogenea. A 36 h di vita è stato evidenziato, inoltre, che il piccolo riesce a differenziare le prime espressioni facciali quali gioia, stupore e tristezza. (Field, 1982). È possibile osservare i primi movimenti di inseguimento, dapprima orizzontale, e i saccadici di attrazione. L’acuità visiva alla nascita è pari a 0.5 decimi e il campo visivo è ristretto.
Nelle settimane successive il bambino comincia a manifestare un iniziale interesse per le forme più complesse e poste lateralmente. Si sviluppa intorno alla quinta-settima settimana la capacità di accomodazione, mentre la convergenza appare ben sviluppata dal sesto mese.
Il bambino nei primi mesi comincia a manifestare un crescente interesse per l’ambiente circostante e per gli oggetti in movimento, riconoscendo la variazione dell’orientamento degli stimoli. Si sviluppa la capacità di accomodare immagini poste ad una breve distanza: in questo periodo i lattanti trascorrono molto tempo ad osservarsi le mani, auto esplorando il proprio corpo. Dal sesto mese si assiste allo sviluppo della visione binoculare, con un miglioramento sempre maggiore dell’acuità visiva, del campo visivo e dell’inseguimento anche per oggetti di piccole dimensioni e a distanze maggiori. A 2 anni si affinano sempre di più queste capacità anche per distanze superiori, tanto che non risultano poi così differenti da quelle riscontrate nei bambini più grandi. (Mercuri, Cioni e Fazzi, 2005).
Il sistema visivo del neonato, nonostante si presenti immaturo, è già capace dunque, di estrarre un gran numero di informazioni dall’ambiente e di favorirne l’interazione con la realtà circostante.
La vista occupa un ruolo primario anche nello sviluppo sociale, motorio, cognitivo e delle autonomie quotidiane; permette la conoscenza degli oggetti e la strutturazione della realtà.
Figura 2: Ruolo della funzione visiva nello sviluppo del bambino (Purpura e Tinelli, 2020)
Le abilità cognitive si sviluppano nei primi anni di vita del bambino attraverso un confronto attivo con il mondo: il bambino attraverso la vista riceve attivamente le informazioni, conosce gli oggetti, ne fa memoria e coordina tutte le esperienze. (Zumiani, 2014).
Secondo Piaget, la vista è il senso primario usato nella costruzione dell’intelligenza sensomotoria, dei processi di casualità, delle relazioni spaziali e della permanenza dell’oggetto.
La visione fornisce un riscontro importante ai sistemi vestibolari e propriocettivi permettendo l’emergere dei tentativi di reaching e afferramento dell’oggetto. (Prechtl et al. 2001). Guida il piccolo nelle abilità manipolatorie soddisfacendo la sua curiosità di conoscenza ed esplorazione. Si affinano così le capacità fino-motorie e di coordinazione oculo-motoria. Fraiberg, a tal proposito, afferma che la visione e la prensione evolvono sincronicamente, tanto che, quando il bambino è privato di tale senso, le mani risultano disinvestite della loro funzione manipolatoria. Anche la deambulazione tarda a svilupparsi nei soggetti con ipovisione come già affermato, proprio per sottolineare l’importanza di questo senso nel monitoraggio dell’azione e nello sviluppo motorio più in generale.
In conclusione, la vista è una funzione adattiva considerata prerequisito essenziale per tutto il neurosviluppo.
Alla luce di tutto questo, sottolineato l’essenziale ruolo di questi sensi nello sviluppo del bambino, con un maggiore attenzione e cura per l’aspetto relazionale, sembra doveroso ricordare che la percezione della realtà non appare slegata e circoscritta alle singole stimolazioni sensoriali di cui il bambino fa esperienza, tanto che oggi si parla di integrazione sensoriale.
A sostegno di questa tesi, Calvert, Spence (2004), e Stein (2004-2012) dimostrano come la vista e gli altri sensi cooperano con il tatto nel ricavare indizi durante l’autoesplorazione e la formazione del sé corporeo in un’ottica cross-modale.
Non si può parlare, dunque, di atti sensoriali separati, ma, come la psicologia sperimentale e le neuroscienze sostengono, i vari sensi interagiscono tra loro al fine di generare percezioni multisensoriali.
È l’integrazione multisensoriale delle informazioni relative al corpo, inclusa l’integrazione di stimoli visuo-propriocettivi e visuo-tattili, a fornire una base per la distinzione precoce tra il proprio corpo e quello degli altri. (Cascio et al., 2019). Input visivi, vestibolari, propriocettivi e tattili vengono integrati nei diversi livelli di consapevolezza corporea e l’integrazione somatosensoriale con segnali esterocettivi permette la formazione del sé.
Gli studi di Stein del 1993 mostrano come il processamento delle informazioni sensoriali e la relativa elaborazione di una risposta non avviene in specifiche aree del cervello deputate in modo singolare all’elaborazione di un unico dato percettivo, come primariamente sostenuto, ma coinvolge più livelli dell’emisfero cerebrale in un’ottica più globale, tra cui risultano interessate anche le aree deputate alla pianificazione ed elaborazione delle azioni.
Tra queste ritroviamo le strutture subcorticali, quali il Collicolo Superiore, le cortecce associative (es. regioni parietali posteriori) e le regioni corticali primarie, un tempo considerate unisensoriali, come la corteccia occipitale visiva, il giro temporale superiore e le regioni post-centrali specifiche rispettivamente per l’udito e per il tatto.
Il Collicolo Superiore è una struttura mesencefalica stratificata, necessaria per l’integrazione sensoriale, in quanto i suoi strati più profondi rispondono sia a stimoli visivi, uditivi e somatosensoriali, sia a input multisensoriali. Questa struttura gioca un ruolo fondamentale nel comportamento attentivo, di localizzazione e di orientamento permettendo al soggetto di voltarsi in direzione dello stimolo comparso. (Stein et al. 1993).
Talvolta, gli stimoli sensoriali vengono integrati direttamente a livello del midollo spinale determinando, invece, l’emergere di risposte riflesse.
In conclusione, l’integrazione sensoriale è processo neurobiologico che integra e organizza tutte le sensazioni che provengono dall’ambiente esterno e dal nostro corpo, strettamente connesso con l’apprendimento, la memoria, il controllo della produzione motoria e le risposte affettivo-relazionali. (Ayres, 2012; Ungerleider, 1995).
CAPITOLO II: Il tatto, l’udito e l’intersoggettività
L’uomo come essere sociale
Aristotele definì l’essere umano come un essere sociale proprio per sottolineare la sua tendenza alla socialità.
La ricerca in campo infantile ha ormai ampiamente dimostrato che i neonati sono predisposti a interagire socialmente, e più precisamente, potremmo avanzare l’ipotesi che questa predisposizione sociale sia presente già durante la vita intrauterina.
Recenti studi, in particolar modo quelli rivolti alle gravidanze gemellari, mostrano la possibilità del feto di compiere tre tipi differenti di movimenti rivolti verso sé stesso, verso la parete intrauterina e verso il proprio gemello. Questi ultimi “tocchi” presentano una maggiore lentezza, frequenza e durata, portando i ricercatori ad affermare come le azioni sociali possono comparire già a partire dal secondo semestre di gestazione, quando le condizioni ambientali lo permettono, come nel caso di un parto gemellare. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Gli autori Ammaniti e Ferrari (2020) hanno, pertanto, supposto la presenza di una predisposizione genetica a interagire socialmente fin dal periodo fetale, la quale porta a spiegare il perché, subito dopo la nascita, i neonati sono in grado di interagire con le persone con cui entrano in contatto imitandone le espressioni facciali.
Da tale affermazione, oltre a cogliere la potenza dell’aspetto affettivo-relazione insita nel neonato come promotore di tutto lo sviluppo, è possibile comprendere come l’azione ed il movimento, ma anche l’imitazione sono letti dall’adulto come espressioni di una risposta sociale.
Più precisamente possiamo affermare che dopo la nascita il bambino è coinvolto all’interno di un primo sistema relazionale, definito da Flzval-Depeursinge E. e Corboz-Wareny A. “triangolo primario”, in cui si vedono coinvolte le figure genitoriali, con cui il piccolo interagirà.
Le ricerche classiche di Freud, ma anche Klein e Mahler descrivevano il bambino come essere passivo e simbiotico con la madre, caratterizzato da pulsioni finalizzate al mero soddisfacimento dei suoi bisogni primari. (Freud, 1905, 1915; Ammaniti, 2001).
Le ricerche condotte tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del secolo scorso, tra cui potremmo citare quelle di Sander, Samroff Emde, Stern, Beebe e Lachman, Ammaniti, Riva e Lavelli, modificano profondamente questa prospettiva, individuando nel neonato la capacità di essere attivo, impegnato in uno scambio reciproco con il suo caregiver, capace anche di interrompere l’interazione con le figure di riferimento in base ai suoi desideri. (Cova e Siano, 2020).
Beebe e Lachmann (2002) sottolineano come queste interazioni, presenti sin dai primi mesi di vita del bambino, sono predittive delle capacità cognitive e relazionali.
Per tale ragione il caregiver assume un ruolo di primaria importanza nella capacità di cogliere e rispondere attivamente alle manifestazioni del piccolo, al fine di favorire il consolidamento delle sue capacità comunicative e relazionali. (Cova e Siano, 2020).
Diventa, così, essenziale per il genitore cogliere quelli che sono i segnali comunicativi e interattivi messi in atto dal neonato.
Figura 3: Esempio di marking. (Ammaniti e Ferrari 2020)
Nelle prime settimane di vita avviene una vera e propria rivoluzione nel comportamento sociale e nelle capacità di espressione affettiva del neonato. Il lattante passa da uno stadio di allerta e di esplorazione dell’ambiente ad un maggiore interesse per i visi e le voci familiari. È proprio a partire dalla sesta-ottava settimana che si instaura un vero e proprio dialogo intersoggettivo con il genitore realizzato all’interno degli scambi face to face. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Nella diade madre-bambino si assiste ai primi fenomeni di turn-talking caratterizzati da sguardi, sorrisi, vocalizzi, imitazioni, modulazioni toniche all’altro, movimenti della bocca e carezze che si configurano precocemente come proto-conversazioni.
È grazie al canale visivo, che il piccolo legge ed imita le espressioni facciali, sviluppa la capacità di rispecchiarsi nell’altro e di condividerne gli stati emotivi.
Il volto umano diventa veicolo di una grande quantità di informazioni, permette di sviluppare un senso di identità e di esprimere emozioni e segnali linguistici. (Purpura e Tinelli, 2020). La lettura e l’imitazione delle espressioni e delle gestualità corporee che emergono nello scambio con l’altro, permettono la comprensione della realtà circostante e lo sviluppo dell’empatia.
“L’incontro tra due paia di occhi rappresenta la modalità primaria fondamentale che favorisce l’incontro interpersonale” (Heron, 1970). E ancora “è il contatto oculare ad aprire una porta all’incontro delle menti delle persone coinvolte nel guardarsi” (Hietanen, 2018). In questa prospettiva la funzione visiva svolge un ruolo di primaria importanza nella realizzazione degli scambi interpersonali e dunque nello sviluppo dell’area affettivo-relazionale. (Militerni R., 2019).
Eppure, non è più considerata solo la visione come principale strumento grazie al quale si articola questa interazione.
Si parla oggi, difatti, di una relazione con il caregiver espressa da moduli comportamentali ritmici, scambi di segnali multimodali, imitazioni vocali e facciali, in cui il piccolo mostra un interesse verso gli stimoli sociali quali volto umano, voce e carezze. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
L’intersoggettività, prima ancora di essere un fenomeno relazionale di natura affettiva, ha un fondamento corporeo, ed è per questo uno dei canali più antichi attraverso il quale il bambino ha un accesso all’esperienza dell’altro.
Verso la fine degli anni Settanta Trevarthen (1979) introduce il termine intersoggettività, che indica l’esperienza di condivisione dell’attività mentale con un altro essere umano, esperienza che si realizza all’interno di scambi comunicativi interpersonali (Trevarthen, 1979).
In questo senso l’imitazione ne fa da protagonista, veicolo di costruzione da parte del neonato di una relazione con il mondo adulto. È grazie ai neuroni specchio che il piccolo sarà in grado di ripetere le espressioni facciali dell’altro, condividendo le proprie emozioni e rispondendo ad esse con movimenti corporei armonici e differenziati in un rispecchiamento intuitivo.
L’imitazione neonatale non rappresenta, difatti, solo la ripetizione dei movimenti e delle espressioni di un’altra persona, ma probabilmente assume un significato interpersonale.
Meltzoff sostiene che l’imitazione precoce può essere un precursore della teoria della mente, per cui rappresenta un catalizzatore dello sviluppo cognitivo e sociale del bambino.
Durante questi scambi Ferrari sostiene che le informazioni sensoriali, in questo caso visive, possano arrivare direttamente alle regioni motorie, attivando delle coordinazioni motorie che corrispondono, grossolanamente, a quelle visive, senza avanzare l’ipotesi del meccanismo intermodale.
Altri autori invece come Stern ipotizzano che anche durante l’imitazione dei movimenti facciali e dei gesti della mano si possa parlare di una percezione intermodale in cui è possibile trasferire da un canale all’altro l’esperienza sensoriale in un’ottica più globale. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Il tatto, l’udito, oltre che la vista, rivestono un ruolo importante nella lettura ed il trasferimento delle emozioni: i neuroni specchio non sono solo responsivi all’informazione visiva, ma sono un sistema trimodale che risponde agli stimoli proveniente dal sistema uditivo, tattile e visivo e alla loro integrazione. (Geraldi M., 2016).
Alla luce di questi studi sorgono spontanei alcuni interrogativi: la vista permane il senso primariamente coinvolto nell’interazione ed imitazione? In che misura il tatto e l’udito svolgono un ruolo importante nel favorire i processi di imitazione? Cosa accade ad un bambino deprivato dell’informazione visiva?
Un nuovo panorama scientifico?
Come ben sappiamo, la vista rappresenta il senso per eccellenza che garantisce una sintetizzazione dell’esperienza in un disegno unitario e coerente nel quale si rinforzano vicendevolmente l’organizzazione dell’Io e la strutturazione della realtà. (Fraiberg, 1977).
Eppure, negli stessi anni Freud riporta nei suoi studi la centralità del corpo nella costruzione del mondo psichico, definendo l’Io come entità corporea, proiezione psichica del corpo, derivato da sensazioni corporee provenienti dalla superficie del corpo.
Anche Spinoza si esprime a riguardo sostenendo come l’oggetto dell’idea che costituisce la Mente umana è il Corpo.
Tuttavia, soltanto studi più recenti di Montirosso, Ferrari, Ammaniti, Montagu riconoscono l’importanza del corpo nello sviluppo del bambino, con particolare riferimento all’aspetto sociale.
“Il senso più importante di tutto il corpo -scriverà Taylor J. L.- è il tatto”.
Proprio questo senso negli ultimi anni ha conquistato una posizione primaria nel panorama scientifico, il quale si è preoccupato di riscattare la sua importanza da tempo sottovalutata.
“Un essere umano può trascorrere la vita cieco o sordo o completamente privo dei sensi dell’olfatto e del gusto, ma non può sopravvivere senza le funzioni proprie della pelle” (Montagu, 2015).
Questa affermazione appare ancora oggi molto rivoluzionaria soprattutto nelle conoscenze relative alla capacità del bambino di relazionarsi con il mondo circostante.
Si è da sempre sottolineata l’importanza della capacità di stabilire un contatto oculare con l’altro come possibilità di accesso al mondo e alla relazione: è grazie alla capacità del bambino di osservare il mondo che lo circonda ed imitarlo nei suoi gesti, che il piccolo riesce a compiere atti motori leggibili come risposte sociali che generano a sua volta reazioni da parte del caregiver in uno scambio diadico e sociale.
I recenti studi dell’autrice prima citata, invece, ribadiscono l’importanza del contatto corporeo nella possibilità di stabilire i primi contatti con il mondo e di essere coinvolto in una nuova dimensione di esperienza: l’esperienza del mondo degli altri. Montagu sostiene che “il contatto corporeo con gli altri è fonte primaria di benessere, sicurezza, calore e predispone sempre più a nuove esperienze” e ancora “un bambino cullato, abbracciato, accarezzato, sostenuto, vezzeggiato, manipolato, toccato, massaggiato disporrà di tutto ciò di cui ha bisogno per crescere sano, forte e sereno.”
A sostegno di questa innovativa affermazione ritroviamo gli studi di Hammett, Harlow, Montirosso, Field, Bremner e Spence, e dello stesso Montagu.
Negli studi di Hammet del 1922 condotti sui ratti fu scoperto come l’accarezzamento poteva essere determinante per la vita o per la morte degli animali e di come questo producesse un comportamento mite e non eccitabile. Questo portò lo studioso a sottolineare come la stimolazione tattile fosse determinante nello sviluppo non solo comportamentale, ma anche organico.
Similmente nell’uomo, la stimolazione cutanea, nelle varie forme in cui i neonati la ricevono, è decisiva per il sano sviluppo fisico e comportamentale, nonché nello sviluppo dei rapporti emotivi ed affettivi. (Montagu, 2015).
Sono proprio le manipolazioni e le carezze che permettono esperienze positive per il piccolo tali da garantirne lo sviluppo organico, cognitivo, motorio, linguistico e sociale. I bambini deprivati del contatto materno vanno incontro ad una profonda depressione con perdita dell’appetito, decrescimento osseo, deperimento, marasma fino alla morte. (Montagu, 2015; Patton e Gardner, 1963).
Figura 4: Benefici fisiologici e psicologici del tocco nel primo anno di vita. (Carozza e Leong, 2021)
La stimolazione cutanea, esplicata nelle condotte di massaggio infantile, determina un’accelerazione dello sviluppo cerebrale, in particolare si osserva un aumento della maturazione dell'attività elettroencefalografica e della funzione visiva, in particolare dell'acuità visiva. (Guzzetta et al., 2009).
Il tocco permette, inoltre, la riduzione del dolore come è stato dimostrato nei neonati tenuti a contatto pelle-pelle, portando gli studiosi a parlare di “kangaroo care”. Questa tecnica, sperimentata soprattutto nei reparti di terapia intensiva neonatale, ha permesso di registrare una diminuzione della mortalità e di patologie severe, di mantenere costante la temperatura, aumento di peso, lunghezza e circonferenza cranica ed una migliore relazione genitore-bambino, aiutando l’adulto nei processi di genitorialità. (Conde-Agudelo A. e Diaz-Rossello J.L., 2014; Tuoni C. et al., 2012).
Sono stati evidenziati anche degli effetti benefici a lungo termine, come nel miglioramento della qualità del sonno e delle prestazioni cognitive, permettendo un innalzamento dei livelli di attenzione e di vigilanza, ma anche dell’acuità visiva, con un aumento della produzione degli ormoni tiroidei. (Field, Diego e Hernandez-Reif 2010; Field, 1998).
Anche l’allattamento svolge un compito importante in questo ambito, poiché permette sia il sostentamento e lo sviluppo organico del lattante, sia il suo sviluppo emotivo e sociale. Il rapporto madre-bambino dopo la gravidanza diventa, così, intensamente funzionale e reciprocamente legante.
La stimolazione cutanea, derivante dal contatto pelle-pelle, dal calore materno e dalle stimolazioni periorali durante l’allattamento, permette il potenziamento delle funzioni respiratorie, ma anche vantaggi immunologici, di riduzione dello stress, neurali, organici e psicologici. (Montagu 2015, Carozza S. e Leong V., 2021, Montirosso e McGlone F., 2020). Il rapporto reciproco che si instaura tra madre e bambino durante questo momento così intimo per entrambi permette la creazione di un ambiente emozionale di sicurezza e di amore nel quale il piccolo può crescere e maturare, soprattutto a livello sociale. (Montagu, 2015).
A sottolineare l’importanza del tatto inteso come contatto interpersonale nello sviluppo del bambino troviamo anche gli studi di Field T. degli anni 2000, che si soffermano sull’asserire che a causa del retaggio culturale su cui si fonda la società moderna, non viene fornito tutto il contatto interpersonale di cui i bambini necessitano. L’autore sostiene che la capacità dei recettori tattili di trasdurre le informazioni presentate direttamente sulla propria pelle tramite il tocco ha una particolare importanza nel generare risposte affettive ed emotive, soprattutto nel primo anno di vita. (Bremner e Spence, 2017).
La parola chiave è, dunque, contatto, derivata dal latino cum (“con”) e tactus (“toccato”, ma anche “tatto”). Sebbene il tatto non sia di per sé un elemento emotivo, i suoi input sensoriali inducono cambiamenti neurali, ghiandolari, muscolari e mentali che chiamiamo complessivamente sentimento. Per cui il tatto non è sentito come una semplice modalità fisica, come sensazione, ma affettivamente, come sentimento.
Inoltre, durante le manipolazioni e il dialogo tonico, il bambino, attraverso la pelle e i propriocettori, capta il comportamento dei legamenti delle inserzioni muscolari della persona che lo tiene in braccio. (Montagu, 2015).
Anche gli studi di Harlow e Zimmerman del 1959 si soffermano sul sostenere l’importanza di tale contatto e delle stimolazioni tattili come basi per lo sviluppo dell’attaccamento. Il loro famoso esperimento sui macachi suggerisce, ancora una volta, il ruolo sociale del tatto inteso come mediatore del legame interpersonale.
Fairhurst, Löken, and Grossmann nel 2014 hanno esaminato alcuni bambini di 7 mesi, concludendo che i piccoli mostrano maggiore interesse per le carezze di 3 cm/s, spostando più fluidamente e sincronicamente lo sguardo in direzione della carezza.
È stata, a tal proposito, scoperta una nuova classe di fibre afferenti tattili definite afferenti C-Tattili (CT), che permettono di generare una risposta quando la pelle viene accarezzata ad una velocità compresa tra 1 e 10 cm/s. (Löken, Wessberg, Morrison, McGlone e Olausson, 2009; McGlone e Spence, 2010). Queste fibre rispondo alle sollecitazioni che presentano uno scopo comunicativo ed emotivo: sono sensibili alle stimolazioni corporee lente definite “tocco affettivo”.
“Il tocco sociale è una forza potente nello sviluppo umano, che modella la ricompensa sociale, l'attaccamento, la regolazione cognitiva, comunicativa e emotiva fin dall'infanzia e per tutta la vita.” (Cascio et al. 2019).
Quando si verifica l’accarezzamento o il massaggio infantile, queste fibre trasmettono le informazioni tattili ad aree del cervello che codificano per le emozioni, come l’insula posteriore e la porzione mediana del lobo temporale. Tali fibre sono state, dunque, associate agli aspetti più piacevoli e sociali della stimolazione tattile, poiché favoriscono il mantenimento del benessere fisico e sociale nell’uomo. (Morrison et al, 2009).
La trasmissione nervosa di sensazioni tattili piacevoli è già presente nei primi mesi di vita e si è ipotizzato sia importante per regolare il tono affettivo, come mostrato dalla diminuzione della frequenza cardiaca e dall’aumento dell’ossigenazione del sangue in presenza di stimolazioni lente e dinamiche. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
È attraverso la manipolazione della madre che il piccolo interiorizza tutte queste esperienze, che saranno la base per l’esplorazione e conoscenza del proprio corpo.
A tal proposito, Montirosso afferma che negli scambi relazionali corpo a corpo tra la madre ed il proprio piccolo si verifica un fluttuarsi di stati di sintonizzazione e desintonizzazione che definirà riparazione incarnata. È proprio il verificarsi di questo meccanismo insito negli scambi diadici ed espresso da comportamenti di contatto tattile quali il tocco affettuoso che, secondo l’autore, la madre contribuisce alla sintonizzazione corporea e alla co-creazione del sé corporeo del bambino. (Montirosso e McGlone, 2020).
Il tatto può essere definito, dunque, come l’impalcatura sensoriale su cui si costruisce il senso del sé: il feto già in utero comincia a sperimentare il proprio corpo ed il tocco di sé portando le mani verso la bocca, area ricca di innervazioni somatosensoriali.
Alla nascita, tali esperienze si modificano e si arricchiscono delle nuove informazioni provenienti dal contesto esterno in cui esse si realizzano: il piccolo può sia assumere una nuova gamma di posizioni, sia percepire numerosi stimoli provenienti da differenti sensi per una stessa azione. Secondo Merleau-Ponty (1964), lo sviluppo della percezione del corpo è caratterizzato dall'apprendimento di come le sensazioni derivanti dal proprio corpo si riferiscono nello spazio e nel tempo alle nuove sensazioni riguardanti il mondo esterno. A tal proposito, l’esperienza visiva assume un ruolo fondamentale per lo sviluppo della codifica spaziale esterna del tatto e la comprensione della relazione corpo-ambiente circostante nei primi 2 anni di vita.
Si struttura così la rappresentazione mentale del proprio corpo e la sua collocazione spaziale in relazione alla realtà. (Montagu, 2015).
Le esperienze relazionali di interazioni corpo a corpo, oltre che i processi neuro-maturativi ereditari, gettano le basi per la costruzione del sé minimo, precursore delle successive distinzioni “sé-altro”. (Montirosso e McGlone, 2020).
Il sé corporeo è la capacità di percepire il nostro corpo come separato dalle altre entità e fornisce la base dell’auto-percezione. Svolge un ruolo determinante nelle interazioni sociali, nell’interpretazione e nella capacità di prevedere i pensieri, le azioni e i comportamenti altrui. (Meltzoff, 2017).
Le sensazioni cutanee, di origine interocettiva ed esterocettiva, sono fondamentali per la formazione del sé corporeo: attraverso l’autoesplorazione e la percezione delle informazioni sensomotorie contingenti il bambino comprende cosa appartiene al proprio corpo. (Gergely e Watson, 1999; Filippetti et al., 2013).
Il tocco leggero consente l’innalzamento del livello di vigilanza, mentre la forte pressione tende ad inibire e modulare l’attenzione e le emozioni, ma facilita la stabilità posturale, la consapevolezza corporea ed il proprio sé-corporeo. (Bremner e Spence, 2017).
La stimolazione tattile affettuosa viene, pertanto, riconosciuta come un bisogno primario essenziale affinché il bambino si sviluppi come essere umano sano. (Montagu, 2015).
Il tatto fornisce, dunque, un contributo chiave nell’aspetto sociale e cognitivo, considerato come conoscenza attiva dell’ambiente circostante e nella percezione del sé.
Inoltre, questo senso ha il primato nelle esperienze del bambino poiché determina il consolidamento dei rapporti oggettivi. È tramite il tatto che il mondo del bambino comincia ad essere popolato di persone ed oggetti, in quanto è il senso per eccellenza che richiede la presenza di altri corpi con cui interagire. Ortega y Gasset, a tal proposito, afferma che il tatto e il contatto determinano la struttura del mondo del soggetto.
A concorrere allo sviluppo neuropsichico del bambino, tuttavia, non è solo il tatto in senso isolato, ma la sua integrazione con gli altri sensi. Ad esempio, durante l’allattamento il piccolo riceve stimolazioni uditive derivate dai suoni che entrambi emettono, e segue con gli occhi la madre durante tale atto.
Yarrow, afferma, dunque, che “la madre, come stimolo sociale, procura stimolazioni sensoriali al bambino con mezzi tattili, visivi e auditivi, cioè accarezzandolo, abbracciandolo, parlandogli, giocando con lui e anche semplicemente standogli davanti agli occhi”.
Anche l’udito ha un ruolo primario nello sviluppo sociale, affettivo-relazionale, comunicativo-linguistico, oltre che nello sviluppo motorio, cognitivo, nello apprendimento e nella conoscenza dell’ambiente circostante.
In particolar modo, è la voce materna che ha una valenza rilevante nello sviluppo sociale del bambino.
Il feto, come già affermato, viene raggiunto da numerosi stimoli interni ed esterni, tra cui rilevante è proprio la voce materna che si propaga attraverso non solo la parete intrauterina, ma anche le ossa ed i tessuti raggiungendo il piccolo con un’intensità maggiore di circa 24 dB rispetto agli 8-10 dB di tutti gli altri suoni.
Durante l’esposizione a questo suono, si osserva una prima fase in cui si verifica il rallentamento del battito cardiaco, associato ad un processo attentivo, ed una seconda fase caratterizzata dal suo incremento, in cui si verifica il processo di riconoscimento. Verso la fine della gestazione i feti mostrano solo un incremento del battito come risposta.
Il piccolo rileva solo l’intonazione prosodiaca del linguaggio (intensità, timbro, ritmicità) che viene definitivo “motherese”, da cui coglie gli aspetti emotivi e relazionali che permettono di gettare le basi per la formazione del rapporto madre-bambino e per il successivo sviluppo sia sociale che linguistico-comunicativo. (Mason et al. 2019; Ammaniti e Ferrari, 2020). Gli elementi prosodiaci, inoltre, sono molto importanti in quanto aiutano il neonato a orientare, durante queste interazioni, la propria attenzione e a regolare il tono dell’affettività. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Il neonato alla nascita si mostra capace di discriminare la voce materna da quella degli altri individui (DeCasper e Fifer, 1980) e mostra, anche se esposto in epoca fetale al suono della voce paterna, una preferenza maggiore per la prima. (Hepper et al., 1993).
Montagu, nei suoi studi, sostiene che la relazione madre-bambino si realizza all’interno di un dialogo tonico caratterizzato non solo da un contatto corporeo ma anche dalla sua voce materna che culla il piccolo.
Con il tempo, il lattante impara a reagire al suono come reagirebbe al suo tocco: è una forma riflessa di condizionamento, in cui lo stimolo originario, la voce, sostituisce il tocco, e conserva sempre la sua qualità “tattile” calmante, carezzevole, rassicurante. (Montagu, 2015).
La voce materna permette di attivare diverse aree del cervello come la corteccia uditiva, l’amigdala, il nucleo accumbens e la corteccia orbito-frontale, aree che giocano un ruolo fondamentale per l’esperienza affettiva e di piacere del neonato. Difatti, il grado di connettività che si realizza fra le varie aree cerebrali attivate dinanzi a tale stimolo permette di predire le capacità di comunicazione sociale del bambino. Pertanto, la proto-conversazione che si stabilisce all’interno della diade madre-bambino caratterizzata da questa simultaneità e reciprocità nello scambio vocale risulta fondamentale al fine di favorire un corretto sviluppo relazionale e sociale del piccolo.
La voce materna, inoltre, stimola anche le aree motorie centrali, mostrando una connessione tra il linguaggio e l’articolazione dei suoni. Uno studio sulle risposte motorie buccali del feto agli stimoli acustici materni alla venticinquesima settimana ha mostrato come si è già capaci di compiere movimenti con la bocca che simulano il suono della sillaba “la”. L’unicità di tale risposta, tuttavia, porta ad ipotizzare comportamenti ancora rudimentali di risonanza motoria ad uno stimolo persistente, quale la ripetizione di tale sillaba, che possono diventare funzionali solo nel periodo postnatale.
Dopo la nascita alla percezione del suono, si aggiunge quella dei movimenti articolatori della bocca che favorisce l’imitazione dei suoni vocali e lo sviluppo del linguaggio. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
È possibile così affermare che la percezione dei suoni umani e l’acquisizione dei ritmi del linguaggio avviano il loro sviluppo già in epoca fetale e non dipendono solo da moduli cerebrali innati, ma anche dall’esperienza in utero.
L’essere esposti a suoni ritmici in gravidanza gioca un ruolo determinante nel creare una continuità rassicurante tra la vita intrauterina e quella dopo la nascita e probabilmente influisce sullo sviluppo della disposizione musicale. (Ullal-Gupta et al., 2014).
I suoni con una struttura acustica formata da frequenze medio-basse tipiche di rumori intrauterini, come il battito cardiaco della madre, hanno infatti un effetto tranquillizzante sul neonato e favoriscono un suo miglior equilibrio emozionale.
In conclusione, le esperienze fetali arricchite poi dalle risposte sociali dell’adulto durante la vita neonatale, rappresentano un importante requisito per il riconoscimento familiare, la categorizzazione e la comprensione del linguaggio e lo sviluppo relazionale.
Il movimento come risposta sociale
Esiste una connessione tra motorio ed interpersonale? Come entriamo in relazione con gli altri? Come si sviluppa tale capacità? Lo sviluppo motorio e, più propriamente l’azione, può essere considerata espressione di un’intenzionalità sociale?
Piaget sosteneva che l’esperienza motoria era fondamentale per la cognizione individuale ma non per quella sociale. Studi più recenti, di autori quali Ammaniti e Ferrari, abbandonano tale concezione considerando, invece, l’io motorio come il fondamento della relazionalità interpersonale.
Von Hofsten scrive che la percezione e l’azione sono strettamente legate e si sviluppano nell’interazione fra il sistema nervoso centrale, il corpo e l’ambiente.
Ricerche moderne sullo sviluppo motorio fetale hanno portato gli autori a parlare di un sistema motorio di azione-percezione che favorisce l’evoluzione cerebrale del piccolo e ne facilita la relazione con il mondo esterno. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Negli ultimi anni si è osservato che le aree corticali motorie, primariamente considerate coinvolte solo nelle funzioni motorie, intervengono anche nell’elaborazione di informazioni sensoriali. Quando, ad esempio, il feto deve compiere un movimento direzionato verso la bocca questo, grazie ai continui feedback sensoriali, risulterà più lento e meglio coordinato.
Figura 5: immagine ecografica di un feto che con il braccio destro tocca la schiena del gemello. (Ammaniti e Ferrari, 2020)
Per molto tempo si è ritenuto che la motricità neonatale avesse un carattere esclusivamente riflesso. Il progresso scientifico odierno ha, invece, permesso di dimostrare l’esistenza di movimenti funzionali, organizzati e coordinati, propri di obiettivi, direzionalità e flessibilità, variabili a seconda degli stimoli ambientali.
È la percezione che guida la pianificazione dell'azione: il feto si mostra capace di decelerare i movimenti indirizzati alla bocca e al gemello, per risultare maggiormente delicato, o ancora, appare capace di anticiparli con un’apertura del cavo orale all’arrivo della mano.
Alla luce di tutto questo, i ricercatori hanno avanzato l’ipotesi della presenza dell’intenzionalità motoria, parlando, così, di intelligenza motoria o rappresentazione motoria. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Alla nascita, il piccolo, appare capace di atti motori intenzionali ricchi di una valenza sociale e influenzati dalle risposte ambientali. Sin dai primi scambi diadici madre-bambino, si verifica una corrispondenza immediata e reciproca di comportamenti senso-motori intenzionali in cui origina l’intercorporeità e, tramite i neuroni specchio, prende forma lo scambio intersoggettivo.
Ad esempio, durante l’allattamento, il piccolo è in grado di compiere un movimento di suzione determinato non solo dal bisogno di nutrizione, ma anche di autoconsolazione e di risposta sociale alla voce materna. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Le azioni e le rappresentazioni corporee assumono un ruolo determinante nell’interazione e nell’incontro con l’altro e si declinano in un linguaggio implicito, fatto di espressioni facciali, movimenti e intonazioni vocali. E ancora, è proprio grazie alle azioni che il piccolo stabilisce un legame interpersonale con l’altro fatto di emozioni e sensazioni che favoriscono una consonanza intenzionale capace di generare una vicinanza e familiarità, attraverso i meccanismi di rispecchiamento.
Tutto questo si articola maggiormente nella capacità del piccolo di imitare le espressioni facciali dell’adulto con cui entra in relazione e con cui stabilisce una sintonizzazione affettiva ed emotiva, oltre che corporea. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
La capacità del neonato di comprendere il comportamento altrui e trarne insegnamento è legata alla propria competenza motoria. Questo sostiene la tesi per cui i meccanismi di azione e percezione sono un’abilità sociale.
La predisposizione neurale del neonato che lo porta ad osservare le proprie azioni che trovano una corrispondenza nell’altro è alla base del sistema di azione-percezione.
Una delle sue principali funzioni è, difatti, quella di promuovere l’affiliazione reciproca, ossia il legame affettivo fondamentale per sostenere la cooperazione e l’empatia, necessarie per affrontare sfide più complesse. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
L’espressione corporea svolge un ruolo fondamentale per la realizzazione di questi scambi diadici, in cui l’intenzionalità implicita diviene via via più esplicita nella consapevolezza del sé e degli altri.
Daniel Stern afferma a questo proposito che è nell’incontro con gli altri che il bambino costruisce il proprio senso del sé, in cui le sensazioni corporee e l’autoesplorazione svolgono un ruolo chiave nel determinare i propri confini e nel favorire lo sviluppo dei processi mentali più complessi. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Le sensazioni e gli scambi precoci con le figure significative diventano, inoltre, espressione di un pensiero simbolico.
L’organizzazione del movimento e i feedback sensoriali, di cui esso risente, sono, nei primissimi mesi, un nodo centrale nello sviluppo cerebrale e cognitivo del neonato.
Il corretto sviluppo dei sistemi sensoriali e motori predicono, difatti, la maturazione delle altre aree del cervello, tanto che un’anomalia nel loro sviluppo può determinare conseguenze negative sulle funzioni cognitive, evidenti solo nel periodo successivo. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Quando il bambino è pronto per il mondo, il rapporto diadico si apre alla realtà oggettuale verso cui il piccolo mostra attenzione. In questo periodo, ad attivare la spinta energetica all’azione è, ancora una volta, proprio la socialità e l’esplorazione. La scoperta delle proprie capacità motorie e delle caratteristiche del mondo circostante induce il piccolo ad afferrare gli oggetti e portarli alla bocca. Ben presto anche l’esplorazione assumerà un carattere sociale, espressione del desiderio di condivisione con l’altro della realtà conosciuta. Questa motivazione sociale pone il bambino in un contesto più ampio che fornisce informazioni, rassicurazioni e protezione. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
Possiamo dunque concludere affermando che lo sviluppo delle competenze motorie del bambino avviene mentre il suo cervello è immerso in un mondo fatto di relazioni esplicate dal contatto visivo, espressioni facciali, vocalizzi e gesti. (Ammaniti e Ferrari, 2020).
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INTRODUZIONE |
N.B. Per questioni di tempi è probabile che per il momento la presente tesi sia stata inserita parzialmente o in formato immagine. Al più presto completeremo l’inserimento rispettando i canoni da noi prefissati e cioè editando direttamente il testo nei diversi articoli del portale. 18/03/2022 - Redazione web |
CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
Tesi di Laurea di: Sara RINALDI |