La Sindrome di Down

Come abbiamo visto  la Sindrome  Down , definita anche trisomia 21, è la più frequente tra le anomalie cromosomiche autosomiche. Benché il quadro clinico sia conosciuto dalla metà del  XIX secolo (Seguin 1846), è dal 1959 che fu ricollegato da Turpin, Lejeune e Gauthier ad una anomalia cromosomica: cromosoma 21 supplementare (45XY). Nel 92% dei casi si tratta di un cromosoma libero, nel 5% dei casi si tratta di una traslocazione (in circa 1/3 dei casi ereditaria) e nel 3% dei casi si tratta di un mosaico. 

Il solo fattore eziologico certo è l’età della madre: prima dei 30 anni il rischio è di 1:3.000, tra i 35 e i 39 anni del 4:1.000, oltre i 45 anni di 1:50 nascite. Per tutte le donne a rischio (donna anziana , esistenza di trisomia della anamnesi familiare, constatazione di una traslocazione equilibrata) l’amniocentesi e lo studio del cariotipo fetale permettono ora una diagnosi prenatale nel secondo trimestre di gravidanza con la possibilità di interromperla.

Epidemiologia

La situazione attuale, in termini numerici, dei soggetti che nascono con alterazione del cromosoma 21 è stata sempre pressappoco stabile o, secondo alcuni recenti studi, addirittura in aumento. In Italia la prevalenza è stata stimata in circa 1:1.100 nati nel 1975, si è attestata attorno ad 1:700 negli anni ’85-’95, per scendere nell’ultimo decennio  a <1:1.000, in rapporto alla crescente utilizzazione delle tecniche di diagnosi prenatale, nonostante attualmente oltre 1/5 della popolazione femminile si riproduca in un’età uguale o superiore ai 35 anni . Anche le attese di vita si sono notevolmente modificate nel tempo. In Italia nel 1992 è stata stimata una sopravvivenza media di circa 45-46 anni, in assenza di sopravvissuti all’età di 65 anni, con una sopravvivenza del 13% nella fascia di 45-64 anni. La stima del numero totale di persone Down in Italia (48.000 di cui 10.500 nella fascia 0-14 anni, 32.000 nella fascia 15-44 anni e 5.000 oltre i 44 anni) indica che la fascia di età adulta è quella a cui si dovrà rivolgere una particolare attenzione. (Dallapiccola, Mingarelli, Dagna Bricarelli. 2006)

Ci troviamo di fronte ad una vasta popolazione che se da un lato ha aspetti molto simili sia sotto il profilo somatico che psicologico, per altro verso, ogni soggetto è significativamente diverso dagli altri. Oltre ad esservi delle differenze tra le anomalie portate dalla patologia (fisionomia più o meno accentuata, difficoltà motorie, di apprendimento ecc…) abbiamo notevoli varianti a partire sia dalla situazione genetica di base di ogni soggetto, sia dalla situazione ambientale, socio-economica e culturale, che pesa enormemente sull’evoluzione del soggetto stesso. Si osservano, infatti, bambini profondamente deficitari, altri il cui comportamento si avvicina a organizzazioni psicotiche, altri ancora che si comportano come insufficienti mentali armonici con un deficit moderato.

La dimensione biologica

E’ vero, tuttavia, che nelle persone Down vi sono delle caratteristiche simili abbastanza comuni individuate genericamente in caratteristiche fenotipiche quali: le caratteristiche delle ossa craniche, l’obliquità della rima palpebrale, la piega dell’epicanto spesso bilaterale, macroglossia, la mano corta e tozza, il solco palmare traverso, le alterazioni biochimiche del sangue e delle urine, le alterazioni scheletriche del bacino, una ritardata velocità della crescita (tra i primi tre mesi di vita e i tre anni e tra i 10 e i 17 anni). iperestensibilità articolare ed una generale ipotonia più o meno accentuata.

A partire dalla metà degli anni ’50 sono stati pubblicati diversi  studi che hanno  messo in evidenza una serie di rischi quali:

  • Leucemia, presente 10-30 volte in più rispetto alla popolazione generale  (con una prevalenza dell’1% circa tra i bambini con SD);
  • cardiopatia congenita, presente nel 50% dei pazienti circa ( in caso di riscontro di un difetto atrio-ventricolare completo è indicato l’intervento chirurgico precoce) e presenza di disfunzioni valvolari in età adolescenziale o nel giovane adulto;
  • problemi dentari e del cavo orale (eruzione dentale irregolare e ritardata) con possibile patologia periodontale;
  • patologia otorinolaringoatrica, favorita dalla pecularietà delle strutture ossee cranio-facciali come la ristrettezza della faringe, le anomalie di sbocco della tromba di Eustachio nel rinofaringe e anomalie della catena ossiculare e della coclea. Tale particolare struttura anatomica da spesso luogo a frequenti infezioni rinofaringee che associate alle inadeguate difese immunologiche e ad un’alterata funzione ciliare si accompagnano spesso ad otiti catarrali o muco-purulente, o ad otiti croniche con effusione, con conseguente possibile ipoacusia;
  • apnee nel sonno di origine ostruttiva (da cause anatomiche)  o funzionale (da ipotonia)
  • problemi tiroidei: ipotiroidismo congenito (dovuto ad assenza o alterazione o dislocazione della ghiandola tiroidea) o ipotiroidismo acquisito, che molto può incidere sulle funzioni cognitive e sulla crescita;
  • diabete (colpisce il 10% circa dei soggetti);
  • problemi nutrizionali, causati da riduzione del metabolismo basale (fino anche al 10%), che portano all’instaurarsi dell’obesità con il conseguente rischio di insorgenza di malattie degenerative nei giovani adulti, ma anche problemi a carico dell’apparato digerente quali difetti congeniti (rari) o celichia data dalla propensione all’autoimmunità nella popolazione Down (interessa dal 7 al 16% dei bambini con SD);
  • altre patologie conseguenti all’ autoimmunità: oltre alla tiroidite e all’insulite possono presentarsi anemia emolitica, epatite cronica, vitiligo, alopecia (quest’ultima è la più frequente tra quelle testè menzionate); 
  • patologie della funzione visiva: molto frequenti sono la catarrata (presente alla nascita o ad esordio successivo), la blefarite (legata alla alta suscettibilità alle infezioni), oltre che orzaioli, calazi e congiuntivite. Inoltre sono possibili ancora cheratocono (deformazione conoide della cornea che insorge prevalentemente in adolescenza)  nistagmo, ostruzione del dotto lacrimale che causa lacrimazione e infezioni.

La vulnerabilità e le problematiche biologiche connaturate alla SD che possono comparire nel corso dell’età evolutiva possono essere oggetto di bisogni particolari, problemi fisici, timori ed ansie parentali tali da ritenere utili sistematici accertamenti pediatrici, oltre ai necessari percorsi neuro-psicologici,  riabilitativi e sociali previsti per questi soggetti (Cfr. Giorgi, 2005),

Caratteristiche cliniche

La crescita di un bambino affetto da SD è costituita da un processo di sviluppo rallentato nel corso del quale si manifesta gradualmente il RM. Da un iniziale rallentamento delle tappe di maturazione cognitiva e di acquisizione delle autonomie personali e relazionali, lo sviluppo del bambino Down va verso un progressivo e cronico ritardo quantitativo e qualitativo.

I diversi ricercatori hanno messo in luce alternativamente i diversi aspetti nella determinazione del RM:

  • alcuni hanno concentrato le proprie analisi sulle capacità cognitive del soggetto Down, sia in termini d’individuazione del mancato sviluppo di specifiche competenze intellettive, sia intermini di capacità residue che consentono una specifica maturazione cognitiva;
  • altri hanno dato priorità alle competenze relazionali del soggetto Down, soprattutto all’interno del nucleo familiare. In particolare sono state indagate: le caratteristiche comportamentali del bambino; le modalità interrelazionali e di cura sia della figura materna che si quella paterna; le variazioni/integrazione delle variabili temperamentali e del contesto familiare per la strutturazione della personalità e delle componenti sociali del piccolo nei riguardi degli altri;
  • altri ancora hanno posto l’attenzione sulle componenti motorie e psicomotorie;
  • altri, infine, hanno studiato le componenti fondamentali per la strutturazione di interventi educativi e riabilitativi, mirati a favorire lo sviluppo ottimale delle capacità intellettive del soggetto Down e del suo integrale funzionamento, per favorire la maturazione di autonomie personali, sociali e comportamentali più elevate possibile, in relazione alle caratteristiche del soggetto.

Nonostante i diversi approcci, è stato messo in luce come tutte le ricerche pongono come variabile discriminante il livello intellettivo raggiunto dal soggetto in una determinata età cronologica.

Tuttavia, per quanto riguarda la SD, il ritardo mentale non è l’unica variabile discriminante da prendere in considerazione. Si ritiene più idoneo distinguere i soggetti in base ad almeno due criteri fondamentali: il livello di gravità del RM e le caratteristiche del contesto sociale ed  ambientale in cui è inserito, in quanto esso può svolgere  un ruolo di stimolazione intensa o, viceversa, d’interferenza nell’acquisizione delle autonomie  del soggetto Down. (Di Giacomo, Passafiume, 2004)

Caratteristiche neuropsichiche

Il messaggio genetico alterato determina delle conseguenze sul sistema nervoso e ciò condiziona la soglia di reattività agli stimoli e a tutti i processi di elaborazione dell’informazione e di regolazione delle emozioni. Il soggetto con SD non ha solo un RM ma è anche caratterizzato da disarmonie, discontinuità, difficoltà nelle transizioni dell’evoluzione del pensiero, di cui un progetto educativo-riabilitativo deve tenere conto.

Come precedentemente detto, la valutazione del quadro intellettivo  è data dall’analisi del grado di RM e del differente coinvolgimento delle singole funzioni : motricità, ragionamento, linguaggio, comunicazione, memoria, attenzione, competenza sociale (anche negli aspetti dell’iniziativa e della responsività sociale ed emotiva)..

Dal punto di vista psicomotorio l’ipotonia e il ritardo cognitivo sono i due principali fattori che determinano un ritardo posturo-motorio. Infatti la motricità fin dall’inizio ha bisogno delle componenti mentali che organizzano finalisticamente il movimento, fattori che vanno tenuti di conto anche in sede di trattamento. I bambini Down presentano difficoltà prassiche, dell’equilibrio dinamico, della coordinazione e, spesso, dislaterizzazione, espressione dell’organizzazione e dei rapporti tra i due emisferi cerebrali. Altra conseguenza importante sono i disturbi dello schema corporeo. Lo schema corporeo  consiste nella rappresentazione mentale del proprio corpo fermo o in movimento, che in genere si sviluppa gradualmente durante il primo sviluppo, ma in modo sufficiente da darci quell’esperienza indescrivibile dell’unità e della posizione del corpo nello spazio. Tale esperienza nei soggetti con SD è rallentata, poiché rallentata è la sintesi percettiva di tutti gli elementi che costituiscono l’informazione sul proprio corpo che sono elmenti propriocettivi, che vengono dai muscoli, ed esterocettivi, che vengono dagli stimoli della cute, sugli occhi e sull’orecchio. Questo insieme di stimoli, che vengono fuori dall’ambiente, associati tra loro, ci da la percezione unitaria del corpo che innesca e dà origine alla rappresentazione, cioè un’attitudine della  fantasia del bambino che si sente tutto unito e soggetto nel rapporto con il mondo. Questo processo così essenziale per la nascita dell’io mentale, è probabilmente colpito e rallentato in modo particolare nel bambino Down.

Nella SD, inoltre, piuttosto compromessa è anche la capacità costruttiva, ovvero la capacità di mettere in sequenza  movimenti complessi (costruire una torre, montare un puzzle, fare un gesto simbolico) per la difficoltà a staccarsi dal dato visuo-percettivo per creare una sovrastruttura immaginaria. Inoltre è maggiormente compromessa la capacità di percezione analitica, rispetto a quella sintetica, mentre sufficientemente sviluppata è la capacità visuo-spaziale (Pfanner, Canepa, 2005).

Il disturbo cognitivo del RM più evidente e maggiormente studiato in letteratura è la competenza linguistica.

Gli studi sulle abilità specifiche della patologia hanno messo in evidenza nel bambino con SD una funzionalità mentale disomogenea, con una competenza maggiore nel sistema semantico rispetto a quella lessicale; secondo i ricercatori il bambino Down è deficitario nelle capacità di produzione, con annesse difficoltà nelle aree sintattiche e morfo-sintattiche, mentre appare essere più competente nella comprensione delle informazioni e nella costruzione di un magazzino semantico. La prestazione del bambino con SD è caratterizzata, quindi, da buone abilità nel comprendere e da un eloquio ridotto con componenti strutturali minime. Raramente vengono utilizzate strutture sintattico-grammaticali quali gli articoli, le proposizioni, e/o i pronomi o forme del periodo logico-grammaticale complesse, quali relative e/o ipotetiche. In sostanza, il bambino Down è in grado di esprimersi attraverso costrutti verbali molto semplici e rapidi, mentre appare comprendere frasi e discorsi che, pur con caratteristiche di complessità limitate, sono più articolate rispetto alle capacità produttive. Il suo vocabolario è molto ridotto e limitato alle parole ad alta frequenza d’uso nel proprio contesto di riferimento, ma mostra di possedere nel proprio magazzino semantico un numero di parole più ampio di quelle prodotte (Di Giacomo, Passafiume, 2004).

Le abilità comunicative sono i prerequisiti fondamentali per lo sviluppo della competenza sociale ed in particolare dell’interazione sociale.

Quest’ultime risultano, infatti, alquanto deficitarie in presenza di un disturbo sia della comunicazione verbale che non verbale e richiedono un supporto intenso da parte delle figure affettive di riferimento. Gli studi sulle abilità sociali evidenziano la stretta correlazione tra queste ed il grado di sviluppo dell’intelligenza, così pure l’influenza dell’attività di gioco sull’acquisizione della capacità comunicativa.

Inizialmente, il gioco è inserito in un modello di interazione sociale ed interpersonale in cui sono frequenti sguardi, co-vocalizzazioni, partecipazione affettiva, sincronia,  imitazioni reciproche, anche se le capacità motorie limitate possono influenzare le interazioni sociali  nelle situazioni faccia a faccia. Con l’aumento delle capacità di movimento il gioco si trasforma, si incentra sull’esplorazione dell’ambiente e sulla manipolazione degli oggetti, si realizza in interazioni nelle quali i soggetti coinvolti entrano in relazione tramite distanze maggiori: si passa da un interazione adulto-bambino, dai valori esclusivi, ad  interazioni che includono più protagonisti dell’ambiente circostante. Con la maturazione cognitiva il gioco assume caratteristiche e scopi differenti, fino a ricoprire ruoli sociali e relazionali sempre più complessi, volti all’autonomia cognitiva e comportamentale: da gioco manipolativo si trasforma a gioco funzionale, fino ad assumere aspetti relazionali dalle componenti simboliche. Il bambino usa dapprima la figura genitoriale come oggetto, per poi usufruirne in qualità di risorsa d’aiuto,  funzionale al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Si evidenzia uno stretto rapporto persona-processo-ambiente nel quale i cambiamenti e le trasformazioni sono riconducibili a tutte le variabili che intervengono  e caratterizzano il contesto di interazione (bambino, madre/padre, ambiente), dove gli elementi emotivi provenienti dal comportamento materno ed i fattori cognitivi prodotti dal bambino risultano determinanti.

Nella psicopatologia dello sviluppo diverse ricerche hanno evidenziato la presenza di differenze significative nella maturazione ed acquisizione delle abilità comunicative, di gioco e linguistiche tra bambini normodotati e bambini che presentano disturbi cognitivi, ed in particolare ritardo mentale. Secondo Sigman e collaboratori (1999) il bambino Down, nelle attività di gioco, mostra di non usufruire dell’aiuto dell’adulto ed in particolare mette raramente in atto comportamenti di richiesta per riuscire nel compito; nelle stesse situazioni, al contrario, tende a mostrare più frequentemente comportamenti di attesa fin quando l‘adulto comprende l’esigenza del bambino e quindi fornisce suggerimenti e/o lo aiuta nel completamento dell’attività. 

Inoltre, sono state rilevate differenze significative nelle fasi dell’approccio, dell’iniziativa e della responsività sociale ed emotiva, nonché durante il mantenimento dello scambio sociale con individui estranei, siano essi adulti o coetanei, non solo in termini di singole abilità intellettive, ma anche in termini di livelli di sviluppo e di grado di integrazione tra essi.  (Di Giacomo, Passafiume, 2004)

Kasari e  collaboratori (1995) individuano nei bambini con SD difficoltà nella regolazione dell’attenzione all’interno dell’interazione diadica genitore- bambino e all’interno di quella triadica genitori-bambino. Essi hanno mostrato come il bambino Down abbia una scarsa competenza nella rilevazione e codifica di elementi nuovi forniti dall’interlocutore (ad es. un giocattolo ), e soprattutto nell’integrazione di essi. Inoltre, in presenza di un coetaneo o di più coetanei il bambino Down utilizza comportamenti marcatamente tendenti all’evitamento dell’altro, mostrando di essere attratto da altre attività. Tuttavia tale comportamento di evitamento non è messo in atto nella fase di interazione con figure adulte, siano esse familiari o estranee, nella misura in cui quest’ultimi tendono a gestire gli scambi ed a proporre al bambino interazioni semplificate. In particolare essi sono facilitati, se riproducono risposte comportamentali iniziate dall’altro. E’ l’adulto che deve attrarre l’attenzione sul compito, o sul comportamento, utilizzando livelli di difficoltà graduali, vista l’accertata difficoltà di iniziare un’interazione sociale e di attrarre e dirigere l’attenzione dell’interlocutore. 

Secondo gli autori tutto ciò è strettamente dipendente sia dalle competenze cognitive del bambino e dal loro grado di utilizzazione, sia dalle componenti contingenti presenti nel contesto.

La responsività sociale e quella emotiva sono componenti importanti della competenza sociale, poiché favoriscono le relazioni interpersonali: l’individuo modula i propri comportamenti sulla base di quelli messi in atto dall’altro attraverso l’attivazione di meccanismi di feedback. I fattori che incidono negativamente sul processo d’interazione, e quindi di sviluppo della competenza relazionale del bambino Down sono diversi e riconducibili a specifiche difficoltà cognitive: l’attenzione è  posta sulla scarsa competenza nell’attività di controllo del proprio comportamento, intesa quale capacità del soggetto di rilevare, codificare ed elaborare cognitivamente gli aspetti complessi della situazione esperita; da tale scarsa competenza deriva la difficoltà nella capacità di modulare i propri comportamenti sulla base delle caratteristiche delle richieste del contesto, difficoltà che sono associate a deficit nell’elaborazione degli elementi emotivi da cui il contesto sociale è costruito.

Bruner (1982) sostiene che la modalità comportamentale della madre durante le prime interazioni sociali è protesa a fornire un supporto ed un sostegno al bambino al fine di stimolarne le competenze sociali. Tale condizione relazionale è denominata scaffolding. In uno studio sull’orientamento sociale del bambino Down in una situazione di gioco sono stati osservati comportamenti di adattamento del piccolo rispetto alle richieste del contesto; in particolare si è osservato che la madre del bambino Down tende a mostrare comportamenti di tipo più direttivo in situazioni meno strutturate (quale l’interazione libera tra coetanei) mentre in situazioni più strutturate (come la composizione di un puzzle) tende a mettere in atto comportamenti più simili a quelli di madri di figli normodotati. 

Da ciò si desume che un’elevata frequenza di comportamenti direttivi della madre del piccolo Down è correlata alle condizioni di rischio di non risoluzione del compito, come pure alle difficoltà linguistiche e verbali del bambino.

Un’altra caratteristica precipua dei bambini Down è la spiccata facilità a comportamenti cooperativi e di aiuto: la spiccata capacità imitativa, associata a sequenze d’azione fisse e ordinate, favoriscono l’adattamento del piccolo ad attività ripetute. Tuttavia, l’imitazione di sequenze d’azione prefissate favorisce l’acquisizione di modalità che comunque non possono essere ritenute veri e propri comportamenti cooperativi, poiché mancano delle caratteristiche cognitive di codifica delle esigenze altrui e di modulazione del proprio comportamento sulla base delle attività e delle reazioni messe in atto dall’altro (Di Giacomo, Passafiume, 2004).

Aspetti psicopatologici

Un punto di particolare rilievo è la presenza nella SD di quadri di tipo psicopatologico. Pur non essendovi molto accordo circa l’incidenza di disturbi psichiatrici in pazienti con SD si ipotizza una incidenza maggiore rispetto alla popolazione generale. Le ragioni di tale frequenza sono da ricercarsi da una parte nella maggiore vulnerabilità del substrato biologico, dall’altra da una maggiore frequenza di esperienze ambientali negative che vengono elaborate con maggiore difficoltà, date le capacità cognitive intrinseche di questi soggetti.

Una difficoltà di riconoscimento di questa maggiore vulnerabilità è data dalla difficoltà di avere strumenti di diagnosi psicopatologica adatti a soggetti con RM ed alla difficoltà di applicazione di criteri diagnostici dei disturbi psichiatrici creati per soggetti normodotati ad una popolazione di soggetti con RM. Da qui il rischio di trattamenti inappropriati. Tra i disturbi psichiatrici ricordiamo la depressione, l’ansia, la compulsività, l’isolamento, disturbi della condotta, il difettosi controllo e l’aggressività. Si può in ogni caso affermare che nella maggior parte dei casi la vita affettiva del bambino Down è abbastanza tranquilla e questa facilita le possibilità di recupero. Tuttavia dobbiamo anche tener presente che più grave è il ritardo cognitivo tanto maggiore sarà l’espressione comportamentale del disturbo psichiatrico e tanto più difficile la comprensione del soggetto (Pfanner, Canepa, 2005, Millepiedi, Bargagna, 2001).

A. Dosen (2006) nel suo lavoro “Approccio al trattamento multidimensionale in persone con ritardo mentale che presentano problemi comportamentali e disturbi psichiatrici”, individuate le problematiche diagnostiche sopraesposte, considera la comprensione del meccanismo di origine dei disordini del comportamento e dei disturbi psichiatrici nelle persone con RM come cruciale per un trattamento corretto. Egli riconosce allo sviluppo cognitivo ed al comportamento adattivo un ruolo importante nella diagnostica della fenomenologia psichiatrica descrittiva, oltre che nella diagnosi del disturbo intellettivo. Pari attenzione nella diagnosi, a suo parere, dovrebbero avere la comprensione dello sviluppo della personalità e dello sviluppo emotivo, per la comprensione dei bisogni psicosociali e delle motivazioni di base della persona. Egli ritiene inevitabile un approccio multidimensionale alla diagnosi ed al trattamento di persone con disturbo intellettivo suggerendo di pensare a dei programmi dove siano previste quattro dimensioni: biologica, psicologica, sociale e dello sviluppo.

 

Indice

 
PREMESSA

 

PARTE PRIMA

  1. Ritardo Mentale e Sindrome di DownEziologia del ritardo mentale; Classificazione del ritardo mentale
  2. La Sindrome di DownEziologia; Epidemiologia; La dimensione biologica; Caratteristiche cliniche, Caratteristiche neuropsichiche della Sindrome di Down, Aspetti psicopatologici

PARTE SECONDA

  1. Il progetto Educativo-Riabilitativo di soggetti con Sindrome di Down: Linee generali del trattamento; Obiettivi generali del trattamento; Sorveglianza dello sviluppo neuropsichico; La valutazione; Impostazione del trattamento; Verifica e modificabilità del trattamento; Per quanto tempo?

PARTE TERZA

  1. L’Intervento Neuropsicomotorio: Il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’ Età Evolutiva e la Pratica Psicomotoria
  2. Sindrome di Down - Un Caso ClinicoIl contesto operativo e la presa in carico; La storia di Andrea; L’ incontro con i genitori; Inquadramento diagnostico-funzionale; Come si presenta; La valutazione psicomotoria e il progetto di presa in carico, Il contratto, Sintesi dell’osservazione iniziale e obiettivi generali; Il Piano Educativo Individualizzato (P.E.I.); L’efficacia dell’intervento e i passaggi rilevanti del trattamento, Schede analitiche di osservazione, I passaggi rilevanti del trattamento e i cambiamenti intercorsi nei diversi ambiti
 

CONCLUSIONI

 

BIBLIOGRAFIA
 
Tesi di Laurea di: Maria PISCITELLO 

 

 

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