Conclusioni - L’importanza del gioco nella relazione madre-bambino
Al termine del periodo di tirocinio, mi trovo a riflettere su quanto il mio lavoro con N. e la madre, che si è svolto, comunque, in un tempo considerevole di circa cinque mesi, appaia, in realtà, appena iniziato.
La fase osservativa-valutativa ha richiesto uno sforzo notevole, che ci ha permesso, però, di riuscire ad inquadrare la problematica in termini piuttosto precisi e realistici e di riuscire a far emergere gli elementi più disfunzionali, ma anche più nascosti e dissimulati, che compromettevano maggiormente la relazione madre-bambino.
Sarebbe stato utile coinvolgere entrambi i genitori di N. in questo lavoro rivolto alla facilitazione della relazione con il piccolo, tramite la condivisione dei momenti di gioco. Purtroppo, però, essendo il padre impegnato nel lavoro per l’intera giornata, non è stato di fatto possibile renderlo partecipe del nostro intervento che, quindi, per motivi logistici, si è dovuto incentrare completamente sulla figura materna.
Non è stato facile ottenere la collaborazione della madre che, pur non avendo mai espresso in maniera esplicita alcuna contrarietà per il lavoro proposto, ha mostrato, comunque, evidenti difficoltà a comprendere il senso di ciò che volevamo fare e il motivo della nostra richiesta di partecipare alle sedute, a cogliere la serietà dell’attività ludica e a riconoscerne il valore insostituibile nel processo evolutivo del bambino.
Le attività che ho descritto nell’ultima parte di questo elaborato avevano come principale obiettivo, non tanto quello di stimolare lo sviluppo cognitivo ed incrementare le competenze neuropsicomotorie di N., quanto, in primo luogo, quello di favorire l’avvicinamento emotivo ed affettivo tra il bambino e la mamma, accompagnando e sostenedo la signora in un percorso che, gradualmente, la portasse a vivere con la giusta serenità e ad apprezzare profondamente il tempo trascorso a giocare con il figlio.
Nel corso delle osservazioni, ma anche nelle sedute successive, mi sono resa conto che, per la madre di N., il “dover giocare” con il bambino rappresentava soltanto una sorta di stereotipo culturale, che lei si sforzava di rispettare perché il suo ruolo glielo imponeva ma che, in realtà, non rientrava nel suo modo di sentire; il gioco, però, è essenzialmente relazione e comunicazione, e niente ha a che fare con lo stare accanto al bambino, giocando “per finta”, senza essere presenti con la propria affettività e con le proprie emozioni.
Nella progettazione del mio intervento ho dovuto considerare molte variabili: il livello di sviluppo di N. (per fare proposte di gioco adeguate alla sua età e alle sue competenze), il concetto di gioco interiorizzato dalla madre (per fare proposte compatibili al suo modo di intendere l’attività ludica), la gestione del tempo, dello spazio e, soprattutto, dei ruoli che ognuno di noi doveva avere di volta in volta, cercando di calibrare il peso della mia azione all’interno del setting, affinchè essa non risultasse né troppo invasiva (rischiando di soffocare l’iniziativa della mamma e del bambino) né troppo poco direttiva (rischiando di far ricadere sulla madre la responsabilità della totale conduzione del gioco).
Non credo sia corretto parlare di risultati in una fase ancora così precoce di un lavoro che necessariamente deve essere proiettato in un arco di tempo molto più esteso e che deve essere inquadrato nell’ottica di un intervento globale di sostegno alla genitorialità e di affiancamento alla famiglia di N.
Come ho scritto nelle considerazioni finali di ogni seduta, però, certi cambiamenti si sono verificati già a partire dal primo incontro: la mia presenza e la mia azione di contenimento nei confronti di N. si sono rivelate da subito elementi facilitanti la relazione, così come il mio tentativo di offrire alla madre una chiave di lettura che le permettesse di comprendere e di cogliere il significato dei comportamenti del figlio e, quindi, di iniziare a costruire una propria rappresentazione mentale che fosse più valorizzante e che rispecchiasse di più il bambino reale, ha dato, fin dal principio, i suoi frutti, rendendo la signora più sensibile ed accogliente nei confronti dei piccoli progressi del bimbo.
La necessità di un continuo rimaneggiamento del setting, al fine di renderlo ogni volta più responsivo e adeguato alle mutevoli esigenze legate alle dinamiche relazionali fortemente instabili e continuamente in divenire che caratterizzano il rapporto fra N. e la madre , è stato forse l’aspetto che ho gestito con più fatica, ma anche più impegno, in tutto il mio intervento.
Ritengo che, continuando a sviluppare questo progetto, mantenendo uno sguardo sempre attento al cambiamento e conservando la disponibilità a modificare il nostro approccio ogni qualvolta se ne veda il bisogno, riusciremo a compiere con il bambino e la sua mamma un bellissimo percorso di crescita che renderà più solido il legame fra loro e che darà a N. la possibilità di vivere pienamente la relazione con la madre, imparando a percepirla come un punto di forza, stabile e sempre presente, per il suo sviluppo affettivo.
Indice |
INTRODUZIONE |
Presentazione del Centro |
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CONCLUSIONI |
COMMENTO AL VIDEO |
BIBLIOGRAFIA |
Ringraziamenti |
Tesi di Laurea di: Rachele SFORZI |