Teorie sullo Sviluppo Cognitivo
Alice Friscione
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- Le questioni centrali nelle teorie dello sviluppo cognitivo
- Il costruttivismo di Piaget
- Il modularismo di Fodor
- Il neurocostruttivismo e la teoria di Karmiloff-Smith
Le questioni centrali nelle teorie dello sviluppo cognitivo
Lo studio dello sviluppo cognitivo è lo studio di come l’individuo acquisisce le conoscenze nel corso del tempo. È l’analisi di come le informazioni vengano acquisite, immagazzinate e organizzate nella memoria, e di come vengano recuperate e utilizzate al fine di comprendere il mondo e agire in modo adattabile (Surian, 2009).
L’obiettivo dello studio dello sviluppo cognitivo è quindi quello di comprendere da dove la conoscenza provenga, come si formi e come si trasformi durante le diverse fasi dello sviluppo.
Questo campo di studi risulta assai complesso e ha visto, nel corso degli ultimi decenni, il susseguirsi di innumerevoli modelli teorici. Tutte le teorie dello sviluppo sono accomunate da quattro domande centrali, a cui si cerca di dare risposta:
- Che cosa si sviluppa nella mente del bambino: cosa si modifica nel corso dello sviluppo e come avvengono queste modificazioni?
- Alla base dello sviluppo mentale vi è un unico meccanismo o struttura mentale, o sono presenti più meccanismi e strutture, specifici per ogni area della conoscenza?
- Qual è il motore dello sviluppo: quanto i fattori biologici e quanto l’esperienza e il contesto socio-culturale sono determinanti per lo sviluppo psicologico del bambino?
- Lo sviluppo procede in maniera continua o discontinua?
Tra i diversi modelli riguardanti lo sviluppo cognitivo, il modello costruttivista di Piaget e quello modularista di Fodor assumono particolare rilevanza. Una teoria più recente, che integra i due appena citati, concerne il modello neurocostruttivista di Karmiloff-Smith. Nei prossimi paragrafi verranno approfonditi tutti e tre i modelli.
Il costruttivismo di Piaget
La teoria piagetiana viene elaborata dallo psicologo, biologo, pedagogista e filosofo svizzero Jean Piaget a partire dalla prima metà del secolo scorso e raggiunge la sua forma definitiva attorno agli anni settanta. Questa teoria è una delle più influenti e conosciute nello scenario attuale di studi e ricerche, sia per le ipotesi confermate sia per quelle confutate. Nel modello proposto da Piaget, lo sviluppo è un processo epigenetico, che procede attraverso un’interazione dinamica tra individuo e ambiente, presenta funzioni biologicamente determinate, ma allo stesso tempo dipende dall’esperienza.
Secondo Piaget, ciò che si modifica nel corso dello sviluppo sono le strutture mentali che l’individuo utilizza per interagire con la realtà. Lo sviluppo infatti procede attraverso quattro stadi principali, ognuno dei quali contraddistinto da una propria specifica struttura di pensiero, qualitativamente diversa da quella degli altri stadi.
Lo sviluppo è quindi dominio-generale: la mente viene considerata come un sistema unitario che evolve qualitativamente, tutti i diversi domini dell’attività cognitiva hanno in comune la medesima struttura cognitiva e gli stessi meccanismi di sviluppo.
Tuttavia, se da una parte lo sviluppo prevede un cambiamento delle strutture cognitive, dall’altra le modalità di interazione tra individuo e ambiente rimangono costanti. Infatti lo sviluppo delle strutture di pensiero, dunque il passaggio da uno stadio all’altro, è reso possibile dalla presenza di modalità di funzionamento generali1, invariate nel tempo. Lo sviluppo cognitivo viene considerato quindi un processo allo stesso tempo continuo (costanza delle funzioni invarianti) e discontinuo (passaggio da uno stadio all’altro).
Piaget tratta ampiamente il tema della rappresentazione mentale. Egli colloca la comparsa dell’attività rappresentativa attorno al secondo anno di vita dell’individuo. Secondo Piaget, è in questo periodo che avviene il passaggio da un’intelligenza senso-motoria, per cui l’attività del bambino è strettamente legata alla realtà presente e consiste in schemi d’azione pratici, alla rappresentazione cognitiva, che invece permette al bambino di immaginare o pensare qualcosa che non è presente e non può vedere, sentire o toccare.
Le principali manifestazioni dell’attività rappresentativa sono tre: l’imitazione differita per cui il bambino riproduce un modello qualche tempo dopo averlo percepito e quando esso non è più presente; il gioco simbolico, ovvero il giocare a “far finta di”, in cui gli oggetti vengono trattati come qualcosa di diverso da quello che sono realmente e assumono caratteristiche diverse da quelle effettive; e il linguaggio attraverso cui il bambino può riferirsi a realtà assenti che si rappresenta mentalmente (oggetti, persone, situazioni, desideri).
All’inizio le rappresentazioni sono rigide e irreversibili, rimangono isolate e non si coordinano le une con le altre, il pensiero è ancora molto legato alla realtà percepita e viene definito prelogico e intuitivo.
Successivamente, a partire dai 6-7 anni circa, il bambino diventa in grado di coordinare e raggruppare tra loro le diverse rappresentazioni mentali. Si sviluppano strutture mentali caratterizzate da reversibilità: le operazioni intellettuali.
Le operazioni sono inizialmente concrete, in quanto legate ancora in parte ad elementi empirici. In uno stadio successivo (dai 12 anni circa) esse diventano formali; il pensiero è ora ipotetico-deduttivo, non ha più bisogno di un supporto materiale e opera su un piano puramente astratto.
Il modularismo di Fodor
All’inizio degli anni ottanta il filosofo e cognitivista statunitense Jerry Alan Fodor sviluppa la cosiddetta Teoria della Mente Modulare, imboccando una strada opposta rispetto alla tesi costruttivista di Piaget.
Fodor descrive la mente umana come un’architettura innata, rigida, immutabile e di carattere dominio-specifica. Secondo l’autore, ciò che si sviluppa durante la crescita è la capacità di elaborazione mentale: sono presenti delle operazioni basilari di elaborazione mentale che diventano nel corso dello sviluppo gradualmente più rapide, precise ed economiche.
Le operazioni di elaborazione mentale dipendono da tre categorie di componenti della mente umana: i trasduttori, i moduli e i sistemi centrali.
I trasduttori ricevono le informazioni dall’ambiente e le traducono in un formato manipolabile dal sistema cognitivo (una sorta di codice mentale).
I moduli sono le unità che elaborano le informazioni ricevute dagli apparati di trasduzione, trasformandole in rappresentazioni del mondo esterno. I processi di elaborazione sono quindi bottom-up (guidati dagli stimoli ambientali) e avvengono in modo automatico, senza il bisogno di un controllo cosciente del soggetto. Ogni modulo lavora in autonomia rispetto agli altri ed è sensibile a un solo specifico formato dell’input.
Il formato dei dati in uscita invece è comune a tutti i moduli e accessibile all’elaborazione da parte dei processi centrali, deputati alle funzioni superiori, quali pianificazione, problem solving e pensiero astratto.
Il neurocostruttivismo e la teoria di Karmiloff-Smith
Nel corso degli anni novanta, come risultato dell’incontro tra studi di psicologia cognitiva, neuropsicologia, neuroscienze, genetica e biologia, nascono le neuroscienze cognitive dello sviluppo, un ambito teorico generale che include la maggior parte dei modelli contemporanei di sviluppo cognitivo. Il neurocostruttivismo può essere annoverato all’interno di questa grande categoria e costituisce oggi la prospettiva teorica di riferimento per molti dei ricercatori che indagano lo sviluppo cognitivo e le sue relazioni con lo sviluppo del cervello, collocandosi in una posizione intermedia tra il costruttivismo di Piaget e il modularismo di Fodor.
Alla luce delle nuove conoscenze sullo sviluppo neuroanatomico del cervello e degli studi sulle sue proprietà plastiche, l’approccio neurocostruttivista rivaluta il legame tra psicologia dello sviluppo e scienze biologiche, riconoscendo la necessità di associare allo studio della cognizione lo studio delle strutture neurali che la supportano.
Lo sviluppo cognitivo viene inteso dunque come un processo che avviene attraverso una continua interazione tra fattori biologici, molecolari e genetici da un lato, e fattori ambientali dall’altro (Johnson, 1993). La rilevanza dei processi biologici è stata confermata da studi sullo sviluppo pre e post-natale del cervello che hanno evidenziato come i cambiamenti neuroanatomici comportino trasformazioni nelle proprietà funzionali, che si traducono in modificazioni cognitive e comportamentali (Goldman-Rakic, 1987; Nelson e Bloom, 1997). D’altra parte gli studi sulla plasticità cerebrale dimostrano il ruolo fondamentale dell’esperienza nella determinazione del processo di sviluppo: il cervello infatti è in grado di riorganizzarsi e ristrutturarsi continuamente in funzione delle mutevoli condizioni ambientali. In altre parole, in base agli input provenienti sia dall’ambiente esterno che dall’interno dell’organismo, il cervello è in grado di adattarsi creando nuove connessioni sinaptiche o modificando le connessioni già esistenti.
È stato inoltre dimostrato che nel cervello esistono diverse strutture (circuiti neurali, tessuti) che assolvono funzioni differenti e che nel corso dello sviluppo si specializzano sempre di più, ovvero rispondono in maniera sempre più selettiva a categorie particolari di stimoli ambientali (Johnson, 2000). Viene quindi ripreso il concetto di modulo, che assume però caratteri diversi rispetto a come era stato inteso da Fodor: non è più un’unità innata, rigida e immutabile, assume invece una dimensione dinamica ed evolutiva, viene considerato come risultato del processo di sviluppo e quindi prodotto delle interazioni tra strutture neurali e ambiente. Quanto appena enunciato porta a identificare l’approccio neurocostruttivista come un modello di tipo dominio-specifico; tuttavia a differenza delle teorie dominio- specifiche classiche, il neurocostruttivismo assume l’esistenza di diversi domini di conoscenza, ma ipotizza all’interno di questi la presenza di processi dominio- generali, comuni ai diversi domini.
All’inizio degli anni novanta del secolo scorso, la ricercatrice inglese Annette Karmiloff-Smith avanza un nuovo modello evolutivo, noto come modello della ridescrizione rappresentazionale. Secondo questo modello, lo sviluppo cognitivo è un processo continuo che vede l’evoluzione del formato delle rappresentazioni: ciò che si modifica nel corso dello sviluppo è il modo in cui la mente rappresenta la conoscenza. La mente quindi sfrutta l’informazione già immagazzinata (o perché innata o perché acquisita dall’esperienza) e ne ridescrive la rappresentazione.
Attraverso il processo di ridescrizione rappresentazionale le rappresentazioni inizialmente implicite si trasformano in formati sempre più espliciti e allo stesso tempo sempre più astratti, flessibili e manipolabili dal sistema cognitivo. Parallelamente, attraverso il processo di modularizzazione, si sviluppa una crescente specializzazione, automatizzazione ed efficienza dei processi cognitivi. La ridescrizione rappresentazionale diventa quel processo dominio-generale, comune a tutti i domini della conoscenza; nonostante ciò all’interno di ogni dominio la conoscenza può svilupparsi con modalità e tempi diversi.
Il modello proposto da Karmiloff-Smith prevede tre fasi ricorrenti che interessano ciascun dominio e coinvolgono in maniera indipendente lo sviluppo comportamentale e quello rappresentazionale. I livelli di ridescrizione non sono quindi legati a specifici stadi di sviluppo o a specifiche strutture cognitive.
In una prima fase il bambino si concentra sulle informazioni provenienti dall’esterno, l’apprendimento è guidato dai dati esterni. Le rappresentazioni sono implicite e isolate tra loro, finalizzate ad analizzare i dati e rispondere agli stimoli ambientali. L’informazione è solo proceduralizzata (si ha solo un “saper fare”), viene quindi raggiunta una prestazione efficiente e veloce, ma non flessibile.
Nella seconda fase lo sviluppo è guidato dall’interno, il bambino sposta l’attenzione sulle rappresentazioni interne e inizia a manipolare le conoscenze che possiede. Le rappresentazioni diventano più esplicite, tuttavia l’indifferenza nei confronti dei dati esterni e dei feedback ambientali comporta un calo nell’efficienza della prestazione. Il bambino elabora delle sue teorie sul funzionamento della realtà in base alle regolarità rilevate nei dati immagazzinati e ne garantisce la coerenza arrivando a ignorare o inventare dati della realtà.
Nella terza fase infine le rappresentazioni interne e i dati esterni vengono integrati tra loro e si stabilisce un equilibrio tra i due. La conoscenza assume una forma totalmente esplicita e astratta, e può essere rappresentata attraverso il codice del linguaggio, è quindi verbalizzabile. Le teorie del bambino diventano più ampie e le prestazioni comportamentali tornano ad essere efficienti.
In definitiva secondo il modello della ridescrizione rappresentazionale esistono due obiettivi principali dello sviluppo cognitivo: l’acquisizione della massima velocità ed efficienza nell’accesso e attivazione della conoscenza (processo di modularizzazione); e il raggiungimento della massima flessibilità della conoscenza, affinché possa essere utilizzata nel maggior numero di ambiti cognitivi possibili (processo di ridescrizione rappresentazionale) (Ivancich Biaggini, 2004).
- Le cosiddette “funzioni invarianti” sono l’adattamento e l’equilibrio. L’adattamento è reso possibile da due processi fondamentali: l’assimilazione, attraverso cui i nuovi dati dell’esperienza si aggiungono agli schemi già presenti dell’individuo, e l’accomodamento, attraverso cui gli schemi vengono modificati e adattati ai nuovi dati. È importante che i processi di assimilazione e accomodamento avvengano in maniera bilanciata in modo da garantire un equilibrio tra ciò che cambia e ciò che si conserva.
Indice |
INTRODUZIONE |
Prima parte - Riferimenti Teorici
Seconda parte – Contributo Clinico |
COMPARAZIONE E DISCUSSIONE DEI RISULTATI DELLA VALUTAZIONE |
CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
Scheda di osservazione delle abilità rappresentative |
Tesi di Laurea di: Alice FRISCIONE |