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LE MALATTIE NEURO-MUSCOLARI: Introduzione, Classificazione, APPROCCIO RIABILITATIVO

CAPITOLO 1) LE MALATTIE NEURO-MUSCOLARI - Introduzione; Classificazione delle malattie neuromuscolari

CAPITOLO 2) L'APPROCCIO RIABILITATIVO NELLE MALATTIE NEUROMUSCOLARI

INDICE PRINCIPALE

INDICE

LE MALATTIE NEURO-MUSCOLARI

Introduzione

Le malattie neuromuscolari includono una serie di quadri clinici caratterizzati da un disturbo della postura e del movimento legato a patologie dell’unità motoria (motoneurone spinale, assone, fibre muscolari). La lesione può localizzarsi a diversi livelli: a livello del motoneurone spinale, del nervo periferico (neuropatie) o della fibra muscolare (miopatie). Ne risulta un gruppo di affezioni molto eterogeneo sia per il quadro anatomo-patologico che per l’eziopatogenesi e la pr (Banihani R, 2015)ognosi. (Militerni, Idelson-Gnocchi)

Esse condividono alcuni elementi fondamentali che comprendono:

  • Disturbi del tono muscolare: il tono muscolare in queste patologie risulta generalmente ridotto (ipotonia)
  • Disturbi del trofismo muscolare: il trofismo solitamente è ridotto (ipotrofia) o deficitario (atrofia)
  • Disturbi della forza muscolare: la forza è costantemente ridotta (ipostenia) o assente (paralisi)
  • Disturbi dei riflessi profondi: i riflessi in genere sono difficilmente provocabili (iporeflessia) o assenti (areflessia)
  • Movimenti muscolari intrinseci: questi movimenti sono caratterizzati da contrazioni rapide e limitate ad una parte del muscolo e comprendono fibrillazioni e fascicolazioni. Le prime sono contrazioni rapide e involontarie di singole fibre muscolari mentre le fascicolazioni sono estese ad un’intera unità
  • Disturbi della sensibilità: questi disturbi si suddividono in soggettivi, in cui senza che venga applicato uno stimolo il paziente prova dolore o formicolii, e oggettivi in cui vi è un’alterazione quantitativa della sensibilità. In questo secondo caso possiamo avere o un aumento di sensibilità (iperestesia) o una diminuzione (ipoestesia).

Classificazione delle malattie neuromuscolari

La classificazione delle malattie neuromuscolari viene realizzata in base alla sede interessata dal processo morboso. Grazie a questo meccanismo si distinguono tre gruppi differenti:

  1. Patologie della fibra muscolare
  2. Patologie del nervo periferico
  3. Patologie del motoneurone spinale

I quadri clinici legati ad interessamento della fibra muscolare sono caratterizzati, come si evince dal nome, da un danno a alla fibrocellula (anche chiamata fibra muscolare) che è l'elemento caratteristico del tessuto muscolare in grado di accorciare la propria lunghezza in seguito ad uno stimolo nervoso. All’interno di questo gruppo di patologie quelle che andremo ad esaminare nello specifico sono:

  • le distrofie muscolari (le distrofinopatie quali la distrofia muscolare di Duchenne e la distrofia muscolare di Becker; le distrofie muscolari congenite);
  • le distrofie

Le patologie del nervo periferico, invece, vengono suddivise in forme ereditarie e forme All’interno di questo gruppo di patologie troviamo le neuropatie motorie e sensitive.

Infine troviamo le patologie del motoneurone spinale (cellula di maggior volume nel sistema nervoso) che possono interessare sia il primo motoneurone, che è localizzato nella corteccia frontale motoria e invia un lunghissimo fino all’apice del midollo spinale sia il secondo motoneurone che si trova all’interno del midollo spinale e raggiunge la periferia innervando il muscolo La malattia del motoneurone si applica ad una serie di patologie che vanno a interessare sia il primo che il secondo motoneurone o tutti e due contemporaneamente. Nello specifico andremo ad approfondire la SMA (atrofia muscolare spianale), una patologia in cui il motoneurone compromesso è quasi solamente quello spinale o il secondo motoneurone.

 

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LE DISTROFIE MUSCOLARI

Le distrofie muscolari sono comunemente classificate sulla base della modalità di trasmissione genetica e dalla specifica proteina coinvolta dalla mutazione (Linee guida). Si suddividono in:

  1. Distrofinopatie (tra cui la Distrofia Muscolare di Duchenne e la Distrofia Muscolare di Becker).
  2. Distrofie muscolari

 

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DISTROFINOPATIE

Le distrofinopatie sono un insieme di patologie X-linked causate da mutazioni nel gene che codifica per la distrofina. Questa proteina è fondamentale per la stabilizzazione alla membrana cellulare della fibra muscolare e la sua assenza porta alla morte delle fibre muscolari. Tra le distrofie muscolari nell’infanzia questa classe di patologie rappresenta la forma più frequente. All’interno di questo gruppo di malattie neuromuscolari sono comprese la Distrofia Muscolare di Duchenne e la Distrofia Muscolare di Becker.

 

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Distrofia Muscolare di Duchenne

Definizione

La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia neuromuscolare a trasmissione recessiva X-linked causata da una mutazione del gene DMD, situato sul braccio corto del cromosoma X, responsabile della mancata produzione della proteina distrofina. Questa proteina è contenuta nelle cellule che costituiscono la fibra muscolare; la sua assenza causa la progressiva degenerazione muscolare portano alla debolezza muscolare tipica della malattia. I pazienti affetti sono in particolare soggetti di sesso maschile in quanto essendo una malattia legata al cromosoma X le femmine risultano portatrici e spesso asintomatiche.

Distrofia Muscolare di Duchenne

Segni e Sintomi

I bambini con Distrofia Muscolare di Duchenne nascono senza evidenti problematiche cliniche. Le prime manifestazioni solitamente si riscontrano in età infantile dal secondo o terzo anno di vita del bambino e comprendono ritardo nell’acquisizione delle tappe motorie o un ritardo globale nello sviluppo. La compromissione inizialmente è più evidente nei segmenti prossimali degli arti inferiori ed è caratterizzata da debolezza dei cingoli, ipotono, ipotrofismo e riflessi ridotti. Per questo motivo i bambini con questa patologia mostrano inizialmente un’instabilità posturale che si riflette con cadute frequenti e difficoltà nel salire le scale o rialzarsi da terra. Il camminano è caratterizzato da un tipico andamento sulle punte dei piedi causato dall’iniziale retrazione del tendine di Achille. Infine la malattia porta ad un ipertrofia dei polpacci dovuta ad eccesso di tessuto adiposo e connettivale (pseudoipertrofia). L’interessamento muscolare risulta essere bilaterale e simmetrico ma interessa distretti muscolari selettivi; il quadricipite femorale risulta più compromesso rispetto ai muscoli della loggia posteriore dell’arto inferiore; gli estensori del carpo più dei flessori e i flessori del collo più degli estensori del medesimo distretto. Solitamente la patologia risparmia la muscolatura liscia sfinterica, quella della masticazione e della deglutizione.

La malattia ha un'evoluzione rapida e i bambini perdono la deambulazione autonoma mediamente tra i 6 e i 13 anni, con un’età media di 9 anni e mezzo. Dopo la perdita della deambulazione i bambini possono sviluppare scoliosi o problematiche legate a contratture articolari. Successivamente si riscontrano problematiche respiratorie e cardiache, alterazioni osteo-tendinee e a volte disturbi cognitivi. Uno dei sintomi, infatti, dei pazienti affetti da Distrofia muscolare di Duchenne è un interessamento a livello cognitivo che comporta un rallentamento intellettivo e qualche problema di comportamento. Le aree cerebrali con maggiore espressione di distrofina sono il cervelletto, l’ippocampo e la neocortex; queste aree controllano le emozioni, la memoria e i processi cognitivi. E’ stato pubblicato sul “Journal of Child Neurology” nel febbraio del 2015 uno studio in cui è stato utilizzato un campione 59 ragazzi affetti da distrofia muscolare di Duchenne per studiarne il profilo cognitivo e neuro-comportamentale. In questo studio è emersa una disabilità di apprendimento nel 44% dei soggetti, disabilità intellettiva nel 19%; disturbo da deficit di attenzione / iperattività nel 32%; disturbi dello spettro autistico nel 15%; e ansia nel 27%. Per questo motivo a tutti gli individui affetti da distrofia muscolare di Duchenne sono raccomandati test psicologici per includere disturbi sia cognitivi che neuro-comportamentali. (Banihani R, 2015)

Diagnosi

Il processo di diagnosi inizia solitamente durante l’infanzia quando il bambino inizia a sviluppare i primi sintomi quali la debolezza muscolare, la mancata acquisizione del cammino entro i 16-18 mesi, la difficoltà a salire le scale e sviluppa un’andatura con il piede equino. La diagnosi può, inoltre, scaturire dal casuale riscontro di un incremento di creatinfosfochinasi (CK) e di transaminasi (AST e ALT) nel sangue del bambino. Un aumento di questi valori nel sangue è un indice per un danno muscolare e per una possibile malattia neuromuscolare. Durante una visita clinica in cui vi è il sospetto di questa patologia si può effettuare la Manovra di Growes. Questo test consiste nell’osservare e cronometrare il paziente mentre si rialza da terra partendo dalla posizione supina. Il segno risulta positivo e quindi può rappresentare un campanello di allarme se il bambino per rialzarsi utilizza l’appoggio degli arti superiori su quelli inferiori. Questo va ad indicare un ipotrofia e ipostenia della muscolatura cingolare e della debolezza degli estensori della coscia e delle anche. Infine la famigliarità per la patologia in concomitanza di anomalie muscolari è un campanello d’allarme per ulteriori approfondimenti diagnostici. Viene effettuato di seguito il test per ricercare la delezione o duplicazione del gene DMD. In presenza della mutazione viene posta diagnosi di Distrofia Muscolare di Duchenne. Nel caso in cui, invece, la mutazione risultasse assente si procede con il sequenziamento genico e la biopsia muscolare per controllare la presenza della proteina distrofina ed escludere la diagnosi.

Trattamento

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico inizialmente la principale terapia comprendeva l’utilizzo degli steroidi. La terapia steroidea modifica la storia naturale della malattia offrendo risultati come il miglioramento della forza e della funzione muscolare presentando effetti avversi non considerati clinicamente gravi. Inoltre, in studi non randomizzati, sono stati osservati effetti benefici significativi sulla deambulazione e sulla funzione cardiaca, posticipando l’insorgenza sia della scoliosi che della disfunzione respiratoria e un generale miglioramento della qualità della vita dopo trattamenti per più di due anni. I principali corticosteroidi utilizzati sono il Prednisone e il Prednisolone che attraverso un’azione antinfiammatoria aumentano la forza del muscolo scheletrico.

(Maria Sofia Falzarano, 2015)Grazie alla teoria con steroidi l’età media in cui avviene la perdita deambulazione è intorno ai 11-12 anni, rispetto ai 9 anni e mezzo senza il trattamento. Una percentuale di ragazzi, inoltre, mantiene la camminata oltre i 13 anni (fino a 18 anni). Inoltre, grazie a questo tipo di terapia, si è verificato una drastica riduzione di incidenza di scoliosi e del conseguente bisogno di chirurgia. Ad oggi oltre alla terapia con steroidi ci sono altre possibilità di intervento.

Tra queste troviamo:

  • Exon skipping
  • Translarna

Exon Skipping

La terapia Exon Skipping (che letteralmente significa salto dell’esone) è specifica per alcuni tipi di delezioni in cui viene modificata la grandezza delle delezioni stesse al fine di rendere la più efficace dal punto di vista funzionale. Questa tecnica consente di recuperare parte dell’informazione eliminando la regione mutata e rendendo la cellula di nuovo capace di produrre la distrofina.

Translarna (Ataluren)

E' la prima terapia approvata per i pazienti deambulanti con DMD. Questo trattamento viene utilizzato nei pazienti deambulanti di età pari o superiore a 2 anni in cui la patologia è dovuta a mutazione nonsenso nel gene della distrofina. Translarna agisce in questi pazienti consentendo all’apparato delle cellule che produce le proteine di ovviare al difetto, superando il codone di stop prematuro che è la causa della patologia in modo che le cellule riescano a produrre una proteina distrofina funzionale. Viene riportato in una review all’interno della rivista “Acta Paediatrica” pubblicata nel settembre del 2017 come sulla base delle prove cliniche disponibili e dell'esperienza internazionale il trattamento della DMD con Ataluren debba essere iniziato il prima possibile dopo una diagnosi, di solito tra i tre e i cinque anni. Questo al fine di ridurre la degenerazione muscolare. (Landfeldt E, 2019)

 

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Distrofia Muscolare di Becker

Definizione

La distrofia muscolare di Becker (DMB) è un tipo particolare di distrofia causato da una mutazione, delezione o duplicazione del gene DMD sul cromosoma X codificante per una proteina muscolare detta distrofina. In questa patologia, a differenza della distrofia di Duchenne, questa proteina è presente ma è alterata o in quantità ridotta rispetto al normale. La DMB colpisce in particolare il sesso maschile e le femmine sono di solito asintomatiche, ma una piccola parte delle portatrici presenta forme leggere della malattia. La malattia è caratterizzata da atrofia e debolezza muscolare progressiva, secondaria alla degenerazione dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci.

Segni e Sintomi

L'esordio di solito avviene nell'infanzia, spesso intorno agli 11 anni. Il primo segno può essere la deambulazione con appoggio in equino o crampi dopo un esercizio fisico. In quanto progressiva, la debolezza muscolare comporta diverse difficoltà funzionali come la difficoltà a salire le scale o ad alzarsi da una sedia. L'esame clinico può rivelare pseudoipertrofia dei muscoli del polpaccio causata dal rimpiazzo del tessuto muscolare da parte di tessuto adiposo e connettivo; anche l’atrofia di alcuni muscoli prossimali come i quadricipiti è uno dei segni tipici della patologia. Si evidenzia una debolezza muscolare prossimale e simmetrica, più grave negli arti inferiori rispetto a quelli superiori. Possono presentarsi contratture articolari, in particolare del tendine d'Achille. Non sono coinvolti i muscoli facciali, oculari e bulbari. La DMB ha una progressione lenta e circa il 40% dei pazienti diventa alla fine dipendente dalla sedia a rotelle. Nei pazienti sulla sedia a rotelle, la debolezza dei muscoli intercostali e del diaframma è la causa di insufficienza respiratoria.

Diagnosi

L’iter che porta alla diagnosi è lo stesso di quello della distrofia di Duchenne. In questo caso, però, i sintomi generalmente insorgono più tardivamente e sono meno gravi. E’ comunque importante ricercare i segni di allarme tipici della patologia che portano ad ulteriori accertamenti clinici. Gli esami utili alla diagnosi sono anche in questo caso il dosaggio ematico della creatinfosfochinasi e l'elettromiografia. L'esame fondamentale che conferma la diagnosi di distrofia di Becker è la biopsia di muscolo che consiste in un prelievo di un piccolo campione di muscolo che verrà poi analizzato in laboratorio. Infine è possibile ricercare la mutazione del DNA responsabile della malattia tramite un test genetico eseguito su campione di sangue.

Trattamento

Il trattamento della Distrofia Muscolare di Becker è assimilabile a quello della distrofia muscolare di Duchenne in quanto le cause genetiche alla base della patologia sono le medesime anche se nella distrofia di Becker si presentano in forma più lieve. Anche in questa patologia è molto importante prevenire le complicanze legate alle patologia per rallentarne la progressione ed essere gestite in modo tempestivo e precoce.

 

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DISTROFIE MUSCOLARI CONGENITE

Definizione

Le distrofie muscolari congenite (DMC) sono un gruppo eterogeneo di malattie genetiche rare, principalmente autosomiche recessive, diverse l’una dall’altra sia dal punto di vista della loro gravità ed evoluzione clinica che per i meccanismi che le causano. Hanno in comune un esordio precoce caratterizzato da debolezza muscolare alla nascita o nei primi mesi di vita e per questo motivo vengono definite “congenite”. I sintomi principali che si possono riscontrare sono ipotonia e ipostenia muscolare che causano ritardo e disturbi dell’acquisizione dell’autonomia motoria e la presenza di retrazioni muscolo tendinee precoci.

L’attuale classificazione delle distrofie muscolari congenite le suddivide in base alla causa genetica che le provoca e prevede quattro categorie:

  1. Forme dovute a mutazioni nei geni preposti alla sintesi di proteine strutturali della membrana basale delle fibre muscolari
  2. Forme legate a difetti genetici riguardanti proteine enzimatiche coinvolte nella
  3. Forme dovute a mutazioni in geni coinvolti nella produzione di proteine dell’involucro dei nuclei cellulari.
  4. Forme dovute ad alterazioni del gene che codifica proteina del reticolo

Segni e sintomi

In base alla tipologia di mutazione genetica che causa la patologia e alla gravità del quadro clinico che ne consegue la distrofia muscolare congenita può presentarsi con diversi segni

e sintomi. Nelle forme più classiche il quadro caratteristico del bambino alla nascita è l’ipotono e per questo motivo viene definito “floppy infant” . Successivamente esiste un ventaglio di possibilità di espressione della malattia che va dai quadri più gravi in cui prognosi è molto grave per la qualità di vita ad altre forme dove il paziente è meno compromesso dal punto e può raggiungere sia la postura seduta che la deambulazione. Anche in questo secondo caso, però, prima della fine del primo anno di vita compaiono dei segnali caratteristici della patologia come ad esempio una scarsa tenuta del capo o il ritardo posturo-motorio o una importante lassità legamentosa. Un ulteriore sintomo della malattia è rappresentato dalla disabilità intellettiva e d crisi epilettiche, così come problematiche cardiologiche, respiratorie, ortopediche, nutrizionali, della vista o odontoiatriche.

Diagnosi

La diagnosi viene effettuata partendo da segni e sintomi che fanno sospettare una malattia neuromuscolare, da quì si andrà approfondire attraverso un accurato esame clinico e neurologico. E’ importante indagare in modo completo attraverso una dettagliata anamnesi famigliare se all’interno della famiglia sono presenti altri casi di disturbi muscolari. Inoltre anche rilevare l’andamento della gravidanza e la storia perinatale può aiutare ad indirizzare la diagnosi.

Gli esami che possono essere effettuati per approfondire la diagnosi sono la il dosaggio degli enzimi muscolari (CK o creatinfosfasi) e la biopsia muscolare. Attraverso il primo esame è possibile riscontrare se sussiste un danno a livello muscolare se il valore di questo parametro è superiore alla norma mentre la biopsia può rilevare, su un piccolo frammento di muscolo prelevato dal bambino, se sono presenti a livello muscolare delle lesioni distrofiche. Infine grazie ai risultati di questi esami si possono orientare le analisi genetiche per avere la conferma della patologia. Sono stati, infatti, identificati diversi geni che provocano queste patologie e grazie all’esame genetico è possibile confermare se è presente una mutazione.

Trattamento

Le Distrofie Muscolari Congenite sono ancora prive di una terapia risolutiva farmacologica. Attualmente, il trattamento è finalizzato a migliorare il decorso della malattia e a prevenire o curare l'insufficienza polmonare e cardiaca. Tuttavia, il trattamento fisioterapico è consigliabile per prevenire deformità articolari, retrazioni muscolari e scoliosi. Devono essere costantemente effettuati trattamenti con supporto respiratorio non invasivo in caso di distress respiratorio, correzione del reflusso gastro- esofageo, supporto nell'insufficienza cardiaca, trattamento delle infezioni respiratorie e trattamento nutrizionale.  ( (Falsaperla R, 2016)

 

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DISTROFIE MIOTONICHE

Definizione

Le distrofie miotoniche sono malattie genetiche, autosomiche dominanti, caratterizzate da debolezza muscolare, cataratta precoce, miotonia ed interessamento multisistemico. La patologia, infatti, colpisce diversi sistemi come l’apparato muscolo-scheletrico, quello gastrointestinale, cardiaco e vascolare, il sistema respiratorio, gli occhi (cataratta), il sistema endocrino (diabete) e il SNC. Esistono due differenti tipi di Distrofia Miotonica, quella di tipo 1 che rappresenta la tipologia più frequente ed è di tipo congenito mentre quella di tipo 2 insorge negli adolescenti o in età adulta.

La Distrofia di tipo 1 (DM1) o distrofia di Steinert è causata da una anomalia del gene DMPK (distrofia miotonica proteina chinasi) presente sul cromosoma 19. Di norma in questo gene è presente una sequenza CTG che può ripetersi dalle 5 alle 37 volte nei soggetti sani, mentre nei pazienti DM1 il numero di ripetizioni aumenta fino ad arrivare anche a diverse migliaia. Esiste una correlazione fra il numero delle triplette e la gravità dei sintomi osservati nel paziente; maggiore, infatti, sono le ripetizioni e più la sintomatologia risulta grave.

La Distrofia Miotonica di tipo 1 comprende varie forme che comprendono la forma congenita (dove si evidenziano sintomi già in utero o fino a 30 giorni dalla nascita), la forma infantile-giovanile (dal primo mese di vita ai 18 anni) per poi passare alla forma adulta (dai 18 ai 40 anni) ed infine ad una forma ad esordio tardivo (dopo i 40 anni). La distrofia miotonica congenita (CMD) è la forma neonatale della distrofia miotonica di tipo 1 che manifesta sintomi anche nella fase prenatale come ad esempio ridotti movimenti fetali.

La Distrofia Miotonica di tipo 2, invece, è causata da un difetto del gene CNBP, che si trova sul cromosoma 9. In questo caso vi è un espansione anomala della tetrapletta TCTG che compromettono la funzionalità del gene. Anche in questo caso maggiore è l’espansione e più gravi sono i sintomi legati alla patologia.

Segni e Sintomi

I segni e i sintomi, come abbiamo precedentemente anticipato, dipendono dalla tipologia di distrofia (tipo 1 o tipo 2), dall’età di esordio e dal numero di ripetizioni delle tlettte/tetraplette.

Nella Distrofia Miotonica tipo 1:

  1. il bambino alla nascita compare come “floppy” con gravi problemi sia motori che respiratori; inoltre fatica ad alimentarsi e spesso è necessario un intervento di posizionamento della PEG (gastrostomia endoscopica percutanea). Inoltre anche lo sviluppo cognitivo e motorio è compromesso in modo significativo;
  2. la forma infantile-giovanile è caratterizzata da un ritardo dell’acquisizione delle capacità motorie come ad esempio la deambulazione viene raggiunta intorno ai due anni, ma anche psichiche come ritardo;
  3. nei casi adulti infine, il primo segno è in genere la miotonia, che comporta una difficoltà nel rilassare la muscolatura in seguito ad una contrazione che rimane prolungata anche dopo la fine dello stadio eccitatorio. Possono,inoltre, essere presenti difficoltà motorio come ad esempio nella corsa in cui possono presentarsi cadute improvvise e i soggetti si stancano più facilmente.

Nella Distrofia Miotonica di tipo 2:

i sintomi di solito iniziano nella seconda-sesta decade (età media 48 anni) e prevale la debolezza muscolare e la miotonia. L’esordio di questa patologia avviene principalmente a livello distale e non cingolare; i principali sintomi sono l’andatura steppante agli arti inferiori che portano come conseguenza la tendenza ad inciampare spesso. A livello degli arti superiori, invece, come sintomo troviamo una presa non adeguata. Per molti pazienti il primo sintomo è la miotonia. Con questo termine si indica un’alterazione che si manifesta in seguito alla contrazione muscolare volontaria in cui si verifica un ritardo nel rilassamento. Questo fenomeno, però, può ridursi con il ripetersi dell’azione andando a stimolare nel paziente delle strategie per prevenire questo fenomeno. Proprio per questo motivo a volte questo sintomo viene trascurato e in alcuni casi a donne affette da questa patologie viene posta diagnosi di distrofia miotonica al momento del parto in cui si scopre

la patologia congenita del figlio. La distrofia miotonica è una patologia multisistemica e colpisce, oltre all’appartato muscolo scheletrico, anche il cuore (come ad esempio le aritmie), l’ apparato respiratorio, il corpo vitreo dell’occhio (cataratta), le ghiandole sessuali (sterilità), il sistema endocrino (diabete), il muscolo liscio (disturbi gastrici, stitichezza) ed il sistema nervoso centrale (ritardo intellettivo e alterazioni comportamentali). Queste numerose complicazioni legate alla patologie, soprattutto quelle cardiache e respiratorie, risultano essere le principali cause di decesso tra i pazienti con distrofia miotonica.

Diagnosi

Per effettuare una diagnosi di distrofia miotonica si parte da una valutazione neurologica che prende in esame sia la storia clinica che famigliare del paziente. Essendo, infatti, una malattia derivante da una mutazione genetica e che quindi può essere ereditata, è importante indagare se sono presenti altri casi all’interno della famiglia. Nella Distrofia Miotonica tipo 1 e tipo 2 è alterato solo uno specifico gene. Il gene alterato è stato attualmente identificato e la mutazione che causa della Distrofia Miotonica può essere rivelata da un test genetico sul DNA. Un altro esame che può essere effettuato per indagare la malattia è l’esame elettromiografico in cui si va a valutare l'attività elettrica del muscolo. Nel caso della distrofia miotonica questo esame è in grado di mostrare le scariche miotoniche, segni caratteristici della patologia. Inoltre è possibile effettuare anche una diagnosi prenatale sia attraverso l’amniocentesi che il campionamento dei villi coriali . La prima tecnica consente di individuare alterazioni numeriche o strutturali dei cromosomi, responsabili di alcune fra le più importanti malattie genetiche come da esempio le distrofie miotoniche. Per la seconda tecnica, invece, il medico rimuove un pezzo di tessuto dal bordo della placenta in cui è presente lo stesso DNA del feto, che può essere quindi isolato e testato per la presenza della mutazione della distrofia miotonica.

Trattamento

Non esiste al momento una terapia risolutiva per la distrofia miotonica sia quella di tipo 1 che quella di tipo 2. Nonostante non ci siano trattamenti specifici si può intervenire per quanto riguarda la gestione e cura di particolari aspetti e della Distrofia Miotonica. I pazienti avranno bisogno di diversi approcci a seconda dell’età e di quanto gravi siano i

sintomi e le complicazioni. Al momento il fenomeno miotonico e la conseguente rigidità muscolare è l’unico sintomo che può essere trattato attraverso la somministrazione di farmaci specifici. Il farmaco più frequentemente utilizzato è la Mexiletina. Rimane, tuttavia, molto importante la gestione degli altri sintomi legati alla malattia con terapie preventive a livello dei diversi sistemi compromessi come ad esempio quello cardiaco, respiratorio, ed endocrinologico al fine di precedere l’insorgenza di gravi complicazioni e donare al paziente una migliore qualità di vita. L’esercizio fisico di tipo aerobico, infine, unito ad esercizi di potenziamento sono indicati con lo scopo di preservare la forza muscolare.

 

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ATROFIA MUSCOLARE SPINALE (SMA)

Definizione

La SMA (Atrofia Muscolare Spinale) è una malattia neuromuscolare che colpisce i motoneuroni delle corna anteriori del midollo spinale. E’ una malattia autosomica recessiva causata dalla diminuzione della produzione della proteina di sopravvivenza dei motoneuroni (Survival Motor Neuron, SMN), essenziale per la funzionalità dei motoneuroni. Questa proteina viene prodotta per il 90% dal gene SMN1 mentre per il restante 10% dal gene SMN2, entrambi situati sul cromosoma numero 5. Negli individui affetti da questa patologia entrambe le copie del gene SMN1 sono mutate o delete e ciò provoca la riduzione della produzione della proteina deputata alla sopravvivenza dei motoneuroni. Il numero di copie del gene SMN2 è responsabile della variabilità che caratterizza la patologia, che comprende sia forme più gravi che meno gravi e una possibilità di sintomi molto ampio. Per questo motivo la SMA viene classificata in gruppi in base all’età di insorgenza e alla massima funzione motoria raggiunta.

E’ stata, inoltre, evidenziata una correlazione tra le copie residue del gene SMN2 presenti e la gravità della malattia. Secondo Si suddivide quindi in:

  • SMA di tipo 0 = i sintomi compaiono prima della nascita come ad esempio i ridotti movimenti fetali
  • SMA di tipo 1 (Non sitter) = insorge tra la nascita e i 6 mesi di vita e i bambini non raggiungono la posizione seduta in autonomia.
  • SMA di tipo 2 (Sitter) = insorge tra i 7 e i 18 mesi di vita del bambino che raggiunge la capacità di rimanere seduto in autonomia ma non la
  • SMA di tipo 3 (Walker) = insorge dopo i 18 mesi di vita e i bambini riescono a raggiungere la deambulazione
  • SMA di tipo 4 (Adult) = insorge dai 10 ai 30 anni e i pazienti risultano in grado di camminare in autonomia.

Segni e Sintomi

I segni e sintomi della malattia variano in base alla tipologia di SMA e di conseguenza alla gravità che la patologia comporta.

SMA 0 Questa tipologia di SMA è caratterizzata da un ridotti movimenti fetali già durante la gravidanza; da un marcato ipotono diffuso fin dalla nascita, incapacità di ventilare in autonomia e con difficolta’ alla suzione e deglutizione. E’ inoltre caratterizzata da infezioni respiratorie ricorrenti, polmoniti ab ingestis e insufficienza respiratoria. La prognosi in questo caso è molto infausta, circa 1 mese di vita.

SMA 1 (Non sitter) o Sindrome di Werding- Hoffman. I bambini con questa diagnosi hanno un quadro clinico caratterizzato da una diffusa ipotonia ed ipostenia muscolare dell’asse e di tutti e quattro gli arti. Vi è anche un interessamento della muscolatura respiratoria. Il bambino non riesce a raggiungere le tappe di controllo sia del capo che della posizione seduta. Nell’80% dei casi sono presenti una o due copie del gene SMN2. SMA 2 o Forma Intermedia (Sitter). L’esordio della malattia è tra i 7 e i 18 mesi e si presenta con un quadro di gravità intermedia. Si manifesta con ipotonia marcata e paresi prevalente agli arti inferiori. I sintomi sono caratterizzati da ritardo nell’acquisizione delle tappe motorie ma i bambini raggiungono la posizione seduta. La stazione eretta e la deambulazione non vengono, invece, raggiunge. Possono insorgere con il tempo problematiche respiratorie e sviluppare retrazioni tendinee e scoliosi. Nella maggior parte dei pazienti affetti da questa tipologia di malattia sono presenti tre copie del gene SMN2. SMA 3. La malattia inizia generalmente dopo i 18 mesi di vita del bambino. I bambini raggiungono sia la stazione eretta che la deambulazione. I primi sintomi sono una riduzione della forza muscolare soprattutto a livello prossimale degli arti inferiori. La malattia progredisce lentamente, estendendosi anche alla muscolatura prossimale degli arti superiori e quella distale degli arti inferiori. I pazienti possono perdere la deambulazione in età adulta se i sintomi sono comparsi precocemente. Sono presenti tre o quattro copie del gene SMN2.

SMA 4. E’ la forma meno grave e insorge solitamente tra i 10 e i 30 anni di vita. I pazienti solitamente riescono a mantenere la capacità di deambulare in autonomia. In pazienti con questa forma di SMA sono presenti quattro o più copie del gene SMN2.

Diagnosi

L’iter diagnostico che porta alla diagnosi di Atrofia Muscolare spinale parte da un quadro clinico che comprendo i sintomi più comuni relativi alla malattia relativa all’età in cui questi sintomi sono insorti. Successivamente viene effettuata l’analisi genetica per delezioni del gene SMN. L’identificazione di una delezione in omozigosi nell’esone 7 del gene SMN1 (associato o non a delezioni nell’esone 8) conferma la diagnosi di SMA. Nel caso in cui il risultato dell’analisi genetica non confermasse la diagnosi si passa ad una rivalutazione clinica andando ad effettuare degli esami di dosaggio plasmatico di CK, l’elettromiografia e l’elettroneurografia. Se l’ipostenia risulta maggiore a livello prossimale piuttosto che distale, il dosaggio delle CK risulta nella norma si effettua un esame per la conta delle copie del gene SMN1, e se il paziente possiede una sola copia del gene SMN1 si procede al sequenziamento del gene per l’identificazione di mutazione puntiformi. Se viene trovata durante l’esame una mutazione di questo tipo di può confermare la diagnosi di SMA.

ATROFIA MUSCOLARE SPINALE (SMA)

Trattamento

Per la SMA esistono diverse strade terapeutiche anche se nessuna delle quali rappresenta ad oggi un trattamento risolutivo per la cura della patologia. In ogni caso risulta però molto importante che la terapia sia somministrata il più precocemente possibile in modo tale che gli effetti del siano il più efficace possibile. Per questo motivo risulta essenziale per patologie come l’ Atrofia muscolare spinale effettuare una diagnosi tempestiva e precoce. Per il trattamento farmacologico della Atrofia Muscolare Spinale alcune delle possibilità che esistono sono le seguenti :

  1. Terapia farmacologica con Nusinersen (Spinraza)
  2. Terapia farmacologia con Risdiplam
  3. La terapia genica con AVA adenovirusassociati di tipo

Terapia farmacologica Nusinersen

Nusinersen o Spinraza è il primo farmaco approvato per il trattamento di pazienti pediatrici e adulti con SMA. E’ un oligonucleotide antisenso (un tipo di materiale genetico) sintetico che consente al gene SMN2 di produrre la proteina di lunghezza completa, in grado di funzionare normalmente. Questo sostituisce la proteina mancante, alleviando così i sintomi della malattia. È stato approvato dalla Food and Drug Administration statunitense alla fine di dicembre 2016 e dall'Agenzia europea per i medicinali a giugno 2017. Questo farmaco è stato rapidamente approvato in quanto i risultati di miglioramento di coloro che assumevano il farmaco rispetto a coloro che, invece, assumevano il placebo erano molto positivi, cambiando le prospettive legate alla SMA.

Nusinersen è stato studiato per sicurezza, farmacocinetica ed efficacia in studi controllati e randomizzati. Le ricerche mostrano un miglioramento della funzione motoria in tutti i tipi di SMA. Gli effetti collaterali più comuni che sono emersi sono stati le infezioni del tratto respiratorio, mal di testa, mal di schiena, costipazione e sindrome da puntura post- lombare. (Claborn MK, s.d.)

Il farmaco viene iniettato per via intrarachidea direttamente nel liquido cefalorachidiano, la prima somministrazione viene effettuata una volta fatta la diagnosi poi a distanza di 2, 4 e 9 settimane e successivamente una dose ogni 4 mesi. Il trattamento prosegue fino a quando il paziente ne trae beneficio.

Terapia farmacologica con Risdiplam

Questo farmaco agisce su SMN2 per aumentare la produzione della proteina SMN e di conseguenza limitare le problematiche legate alla mancata produzione. A differenza di Nusinesen questo farmaco viene somministrato per via orale, raggiunge i motoneuroni passando la barriera ematoencefalica e gli organi periferici. Grazie alla tipologia di somministrazione è indicato per bambini affetti da SMA e con problematiche legate al rachide o altre comprovate motivazioni mediche.

I risultati dei trial clinici hanno messo in evidenza come questa farmaco, dopo un anno di trattamento, nei bambini affetti da SMA di tipo 1 determini il raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo motorio come il controllo del capo o della seduta. L’approvazione negli Stati Uniti si basa principalmente su due studi, FIREFISH e SUNFISH. FIREFISH è uno studio che è stato realizzato per indagare la sicurezza, la tollerabilità, la farmacocinetica (PK), la farmacodinamica (PD) e l'efficacia di risdiplam nei neonati (di età compresa tra 1 e 7 mesi all'arruolamento) con SMA di tipo 1. SUNFISH è uno studio in due parti, randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco per indagare la sicurezza, la tollerabilità e l'efficacia di Risdiplam in pazienti con SMA di tipo 2 e 3 (età compresa tra 2 e 25 anni). Nel primo studio sono stati arruolati 21 pazienti di età media pari a 6,7 mesi: dopo 12 mesi, il 41% dei pazienti è stato in grado di stare seduto autonomamente per più di cinque secondi e dopo 23 o più mesi di trattamento, l'81% dei pazienti era vivo senza ventilazione permanente, il che rappresenta un notevole miglioramento rispetto alla tipica progressione della malattia senza trattamento. I pazienti con SMA a insorgenza tardiva sono stati valutati nello studio SUNFISH, che comprendeva 180 pazienti i quali hanno avuto un miglioramento significativo nei test di valutazione motoria. ( (Sergott RC, 2020)

La terapia genica con AVA adenovirusassociati di tipo 9

La terapia genica per l’atrofia muscolare spinale (SMA), denominata onasemnogene abeparvovec o con il nome commerciale Zolgensma, è un’ulteriore alternativa al trattamento della patologia. In questo caso, a differenza dei precedenti la somministrazione avviene in un’unica soluzione tramite l’iniezione endovenosa della

copia sana del gene SMN1 che in pazienti affetti da SMA non è in grado di produrre correttamente la proteina di sopravvivenza del motoneurone. In questo modo la terapia genica basata su vettori virali adeno-associati agisce direttamente alla base del difetto genico andando a ripararlo. Il farmaco è stato somministrato per la prima volta in Italia nel dicembre del 2020 in un primo momento ad una bambina presso l’ospedale pediatrico Santobono di Napoli e successivamente a un bimbo di 5 mesi presso il Centro Clinico NeMO di Milano. Nel 2019 la FDA (Food Drug Administration) ha approvato la somministrazione endovenosa per il trattamento di pazienti con SMA nei primi due anni di vita indipendentemente dalla gravità della malattia. Recentemente, l'EMA ha approvato Zolgensma anche per il trattamento della SMA in Europa. (European ad-hoc consensus statement on gene replacement therapy for spinal muscular atrophy). Alla luce dei risultati scientifici, lo scorso novembre l’AIFA ha accolto la domanda di inserire il farmaco secondo i criteri stabiliti dalla legge 648 del 23 dicembre 1996 che prevede, quando non vi è alternativa terapeutica valida, l’erogazione di medicinali innovativi a totale carico del SSN (Sistema Sanitario Nazionale). Ciò significa che, pur non essendo ancora autorizzato all’immissione in commercio, la terapia sarà somministrata in forma gratuita ai bambini di età fino a sei mesi con una diagnosi genetica (con riscontro della mutazione biallelica nel gene SMN1 e fino a 2 copie del gene SMN2) o una diagnosi clinica di atrofia SMA1. E’ stato effettuato uno studio in cui quindici pazienti con diagnosi di SMA1 hanno ricevuto una singola dose di virus adeno-associato per via endovenosa contenente DNA complementare al gene SMN e codificante per la proteina SMN mancante. Si è osservato alla fine dello studio come in questi pazienti una singola infusione endovenosa ha determinato una maggiore sopravvivenza, un raggiungimento superiore delle tappe motorie e una migliore funzione motoria rispetto a coloro che non avevano assunto la terapia. (Mendell JR, 2017)

 

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L'APPROCCIO RIABILITATIVO NELLE MALATTIE NEUROMUSCOLARI

La presa in carico delle malattie neuromuscolari coinvolge ambiti e approcci diversificati. Il progetto terapeutico include, infatti, una molteplicità di interventi che spaziano dagli aspetti farmacologici al settore riabilitativo e coinvolgono differenti figure specialistiche dell’equipe, sia mediche che riabilitative.

La presa in carico riabilitativa del bambino con malattia neuromuscolare è finalizzata primariamente al raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile per il bambino e al miglioramento della sua qualità di vita. Partendo da questi presupposti, si comprende come, per n bambino con deficit di forza, giochino un ruolo importante ausili e ortesi per il raggiungimento degli obiettivi riabilitativi.

Parte integrante del processo riabilitativo è il supporto al processo di elaborazione cognitivo-emozionale della diagnosi cercando di promuovere precocemente la resilienza, le strategie di coping e il problem solving senza però sottovalutare in un ottica preventiva e a lungo termine le diverse sfide che il percorso presenterà (Pecini C. 2020). La famiglia, inoltre, riveste un ruolo molto importante nel percorso riabilitativo del bambino in quanto accade spesso che i pazienti, bisognosi di un supporto costante, siano affiancati ed aiutati dalle persone più vicine che pertanto imparano a prendersene cura. La famiglia, in questo modo, diventa parte integrante del percorso terapeutico da coinvolgere e accompagnare in ogni aspetto concernente la patologia. I vari interventi in ambito riabilitativo per i motivi sopra citati variano sia in funzione della patologia che delle caratteristiche del singolo paziente che vive la malattia. In questo paragrafo prenderemo in considerazione quattro differenti approcci riabilitativi che spesso si integrano e sono parte integrante del progetto globale di riabilitazione del paziente e sono:

  • Intervento Fisioterapico
  • Intervento Logopedico
  • Intervento chirurgico
  • Intervento Neuropsicomotorio

 

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TRATTAMENTO FISIOTERAPICO

Le patologie neuromuscolari presentano grande varietà di problematiche e prognosi. Lo scopo della fisioterapia è di ottimizzare la funzionalità residua, sostenere le competenze emergenti e favorire l’acquisizione di nuove competenze laddove vi siano margini di miglioramento della qualità della vita. Il trattamento fisioterapico comprende un intervento e un monitoraggio degli aspetti posturali, motori e respiratori.

La fisioterapia deve adattarsi ai bisogni del paziente, che cambiano nel corso della malattia e si individuano mediante regolari valutazioni. (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, s.d.). Il trattamento fisioterapico, risulta dunque un importante risorsa in queste malattie in cui l’interessamento del sistema muscolo-scheletrico ha un incidenza molto rilevante. In malattie di tipo degenerativo ad andamento progressivo, come la maggior parte delle patologie in esame, la prevenzione e il mantenimento sono due delle parole chiave alla base dei trattamenti.

Bisogna considerare, inoltre, l’utilizzo della termoterapia, dell’idrochinesiterpia e della massoterapia in quanto possono migliorare, attraverso l’effetto vasodilatatore, la microcircolazione del paziente. La temperatura e l’acqua, infatti, riducono a livello muscolare sia le retrazioni interne attive attraverso un vero e proprio rilasciamento, sia le resistenze passive, migliorando la proprietà visco-elastiche del tessuto muscolare. La massoterapia, invece, tramite manovre di sfioramento e di frizione a direzione disto- prossimale, attraverso la proprietà tissotropica del muscolo, contribuisce anche ad abbassare la resistenza interna passiva del tessuto, aumentandone la deformabilità complessiva. (https://www.uildm.org)

Vediamo ora le patologie nello specifico.

 

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Distrofinopatie

Per quanto riguarda la distrofia di Duchenne (DMD) gli standard di cura raccomandano che i trattamenti abbiano inizio nello stadio presintomatico e continuino a vita per prevenire l’insorgenza di retrazioni degli arti superiori e inferiori, preservarne la funzione e ridurre il dolore. La carrozzina elettronica ha avuto un impatto dirompente nella conquista dell’autonomia di movimento. Lo studio “No Use is Disuse” (NUD - “ciò che non usi lo perdi”) sottolinea l’importanza di preservare e mantenere il più a lungo possibile le capacità funzionali dei ragazzi con DMD e delle persone affette da altre

malattie neuromuscolari. Tale lavoro ha evidenziato come l’allenamento fisico potrebbe ritardare il deterioramento funzionale causato dal disuso nei ragazzi con DMD. In particolare i risultati dello studio sottolineano come l’allenamento in bicicletta assistita sia fattibile e sicuro per i pazienti che da poco utilizzano la sedia a rotelle e come gli arti superiori che per quelli inferiori siano sicuri ed efficaci per diminuire il deterioramento al disuso (Jansen M, 2013). Secondo le linee guida per la riabilitazione delle malattie neuromuscolari infantili di origine genetica (Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione (SIMFER), s.d.) si consiglia:

  1. nella fase iniziale in quelle forme (DMD) in cui sono conservate alcune attività funzionali come il cammino, devono prevalere gli accorgimenti preventivi per limitare l’ipostenia, le limitazioni articolari e l’affaticabilità. Tali provvedimenti consistono in: attenzione al mantenimento di posture corrette, eventualmente controllate da ortesi; frequente cambiamento di postura; movimenti passivi per conservare più a lungo possibile la mobilità articolare; movimenti attivi, finalizzati ad attività funzionali e in ogni caso submassimali e con opportune pause di riposo. Le mobilizzazioni passive intese come complesso di manovre di mobilizzazione articolare e stiramenti muscolari (stretching) sono raccomandate. Le manovre di stiramento muscolare, per essere efficaci, devono ottenere l’adesione al programma da parte del bambino e della famiglia. I programmi di stretching sono più facilmente accettati dal bambino in ambito domiciliare.
  2. Nelle fasi successive (stadio di perdita della deambulazione) l’obiettivo è rivolto al mantenimento delle autonomie residue anche tramite ortesi, ausili e strumenti compensativi. Quando le retrazioni muscolo-tendinee degli arti inferiori superano una certa misura l’intervento di allungamento tendineo multiplo degli arti inferiori può risultare efficace per prolungare il mantenimento della stazione eretta e del cammino. Con la perdita della deambulazione e il mantenimento della posizione seduta prolungata occorre prestare particolare attenzione all’insorgenza di deformità del rachide. In questa fase, particolare importanza assume l’utilizzo di corsetti statico-equilibrati e, qualora indicato dagli specialisti, trattamento chirurgico di stabilizzazione della colonna.

Inoltre secondo una revisione sistematica della letteratura disponibile sull'efficacia delle ortesi ginocchio-caviglia-piede nel trattamento della distrofia muscolare di Duchenne emerge che l'uso di ortesi ginocchio-caviglia possa prolungare la deambulazione assistita e la posizione eretta, ma non è chiaro se possa prolungare la camminata funzionale. I ragazzi che ne beneficiano maggiormente hanno un tasso di deterioramento relativamente basso, sono in grado di sopportare un'operazione e sono ben motivati. (Bakker JP & 10, 2000)

 

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Distrofie Muscolari congenite

Secondo le linee guida per la riabilitazione delle malattie neuromuscolari infantili di origine genetica (Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione (SIMFER), s.d), si raccomanda un intervento precoce una volta che viene effettuata la diagnosi affinché il bambino possa fin da subito essere supportato nel suo percorso di crescita. Ausili e ortesi sono degli alleati fondamentali nella prevenzione e nel mantenimento delle funzioni residue, sia nella vita quotidiana che durante il trattamento fisioterapico.

Nella fase iniziale della malattia il lavoro si concentra maggiormente sugli aspetti preventivi per contrastare l’ipostenia, l’affaticabilità e le limitazioni articolari. Per raggiungere questi obiettivi alcuni degli accorgimenti che possono essere messi in atto sono l’attenzione al mantenimento di posture corrette, il frequente cambiamento di posizione, e effettuare mobilizzazioni passive per conservare il più a lungo possibile la mobilità articolare. Possono, inoltre, essere utili la termoterapia, effettuata con bagni caldi per attivare la circolazione periferica e la cura posturale, con programmi di stiramento combinati all’uso di ortesi leggere allo scopo di ridurre l’insorgenza di retrazioni tendinee. Nelle fasi successive il lavoro è concentrato sul mantenimento, per quanto possibile, dell’autonomia.

Si consigliano pertanto le seguenti attività riabilitative:

  1. esercizi di stretching (anche attraverso l’utilizzo di ortesi e ausili) in quanto prevengono limitazioni a livello articolare;
  2. controllo della postura per evitare posizioni asimmetriche e prevenire l’insorgenza della scoliosi (in particolar modo nei bambini non deambulanti);
  3. interventi di fisioterapia respiratoria (espansioni toraciche mediante pallone ambu e macchina della tosse, utilizzo di supporto ventilatorio).

 

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Distrofie Miotoniche

Per quanto riguarda la Distrofia Miotonica i sintomi principali che la caratterizzano sono a livello muscolare l’ipotono a e la miotonia. Con il termine di miotonia si definisce una contrazione muscolare che persiste anche dopo la cessazione dello stimolo volontario.

La forma congenita si caratterizza per un quadro fortemente compromesso, in cui emergono miotonia, ipostenia generalizzata, coinvolgimento della muscolatura respiratoria e problemi cardiaci. (Corrado B., 2015) Nella DM1, il fenomeno miotonico è tipicamente presente a livello delle mani, della muscolatura mandibolare e linguale ma non si rileva a livello orbicolare o palpebrale. Inoltre si possono sviluppare con il progredire della malattia retrazioni muscolari.

Nonostante non vi siano dei trattamenti risolutivi per la malattia rimane importante il monitoraggio periodico in centri di riferimento sia per la componente muscolare che cardiologica e respiratoria al fine di prevenire le complicanze. Il fenomeno miotonico, quando significativamente invalidante, può migliorare in alcuni soggetti con l’uso di farmaci come la mexiletina.

Per quanto riguarda la debolezza muscolare si possono utilizzare assistenti alla tosse quando la muscolatura espiratoria non consente una corretta gestione (eliminazione) delle secrezioni favorendo il ristagno di queste nelle vie aeree e provocando polmoniti.. L’esercizio fisico di tipo aerobico, infine, abbinato ad esercizi individualizzati di potenziamento, sottomassimali sono indicati con lo scopo di ricondizionamento cardiorespiratorio. (V., s.d.)

Un articolo riportato sulla rivista “Giornale italiano di medicina riabilitativa” nel 2015 in cui viene effettuata una revisione sistematica della letteratura per il trattamento delle Distrofia Miotonica afferma che i dati raccolti suggeriscono:

  1. protocolli fisioterapici per la rieducazione della mano nei pazienti con DM è consigliato, in quanto associato ad incremento della forza muscolare e miglioramento delle attività occupazionali
  2. non si può desumere alcuna efficacia della fisioterapia respiratoria nella
  3. l’attività fisica nei pazienti con DM, parte fondamentale del trattamento riabilitativo, non trova una conferma definitiva nel lavoro di I soli lavori che danno un parere nettamente a favore dell’uso di programmi di allenamento, infatti, sono studi non controllati.

Secondo le “Clinical Care Recommendations for Children with Myotonic Dystrophy

Type 1” (https://www.myotonic.org) i segni clinici che vanno ricercati includono:

  1. le difficoltà nell’eloquio e nella deglutizione
  2. le difficoltà nel movimento e nell’equilibrio, presenza di cadute
  3. gli eventuali effetti sulle attività della vita quotidiana e sull’autonomia
  4. gli eventuali effetti sulle attività svolte in casa, a scuola, al lavoro e nella comunità
  5. il bisogno di dispositivi assistenziali o necessità di effettuare cambiamenti a casa, a scuola o sul posto di lavoro

Si consiglia, inoltre, di effettuare un follow-up annuale regolare, per veri care la condizione del paziente, ricercando informazioni anche tramite il caregiver primario o un professionista appropriato.

Di conseguenza le indicazioni che vengono fornite sono le seguenti:

  1. Esercizi, d’intensità bassa o moderata, aerobici e di resistenza, minimizzando se possibile le attività sedentarie. Prima di introdurre una nuova serie di esercizi, prendere in considerazione l’idea di effettuare una nuova valutazione cardiaca
  2. Utilizzare ortesi e tutori. Utilizzare ausili per camminare, come il bastone o il deambulatore
  3. Lavori e modi che logisitiche e strutturali dell’abitazione se necessario

Per il trattamento delle retrazioni muscolo-tendinee, infine, si possono effettuare delle manovre di mobilizzazione passiva intese come complesso di manovre di mobilizzazione articolare e stiramenti muscolari (stretching). Le manovre di stiramento muscolare, per essere efficaci, devono ottenere l’adesione al programma da parte del bambino e della famiglia. Per le Distrofie Miotoniche si può andare a valutare la necessità di ortesi caviglia-piede, sedie a rotelle o altri dispositivi di assistenza man mano che la malattia progredisce.

 

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Atrofia Muscolare Spinale

Per quanto riguarda la SMA esiste un consenso internazionale sull’importanza dell’approccio fisioterapico ai fine del mantenimento delle capacità residue e della prevenzione delle complicanze. L’utilizzo delle ortesi è parte integrante sia del trattamento neuropsicomotorio che fisioterapico in quanto sostiene e aiuta il bambino durante la quotidianità e nella terapia riabilitativa vera e propria. La Conferenza internazionale sullo standard di cura per la SMA ha pubblicato una dichiarazione di consenso sullo standard di cura della SMA in cui vengono riportate le seguenti indicazioni per l’utilizzo delle ortesi e di tecniche riabilitative suddivisi per le diverse gravità della patologia (Mercuri E. 2017).

Per i Non-sitters giornalmente vengono utilizzati:

  • sistemi di seduta e supporti posturali e di posizionamento;
  • un rinforzo a livello sia toracico che cervicale per sostenere la testa;
  • statica;
  • ortesi per gli arti superiori e inferiori per promuovere la funzione e i ROM (range of motion);
  • ortesi statiche, immobilizzatori di ginocchio e stecche per le mani raccomandate per lo stretching e il posizionamento;
  • AFO e KAFO utilizzati per lo stretching e il posizionamento;
  • corsetto (usato per posizionare il bambino).

Per i Sitters vengono utilizzati:

  • rinforzo toracico raccomandato per la postura;
  • rinforzo cervicale spesso usato per il supporto alla testa per la sicurezza nei trasporti;
  • ortesi per arti superiori e inferiori per promuovere i ROM;
  • AFO e KAFO per il posizionamento e lo standing;
  • salera come supporto alla deambulazione;
  • corsetto e stecche per le mani utilizzate per il posizionamento.

Per i Walkers vengono raccomandati:

  • promozione della funzione e dìmobilità.

Secondo le linee diagnostiche e terapeutiche per i pazienti affetti da atrofia muscolare spinale (spinal muscular atrophy, SMA) vengono riportati i principali interventi suddivisi anche in questo caso secondo la gravità della malattia e alle capacità residue del bambino. Per i pazienti che non mantengono la posizione seduta autonoma.

  • Supporto e correzione della postura: la postura del paziente dovrebbe essere supportata e corretta al fine di migliorare lo stato funzionale del paziente. E’ importante assicurare la comodità del paziente almeno in posizione
  • Gestione delle tensioni muscolari e delle retrazioni tendinee: l’utilizzo di tutori può essere indicato al fine di mantenere una buona mobilità articolare e prevenire la sintomatologia
  • Gestione del
  • Strumenti adattati alle necessità del paziente: adeguati supporti per il gioco e le attività occupazionali dovrebbero includere giochi leggeri per peso, sistemi di attivazione e tecnologie di assistenza a controllo variabile.
  • Carrozzina: deve garantire una corretta postura e una maggior indipendenza del
  • Ortesi: adeguate ortesi per gli arti superiori, quali supporti mobili o bende elastiche, possono agevolare il paziente nelle attività quotidiane, aumentando il range dei movimenti ed incrementando la funzionalità degli arti
  • Modificazioni adattative del domicilio al fine di garantirne una sicura accessibilità e aumentare l’indipendenza del Invece per i pazienti che mantengono la posizione seduta autonoma i principali interventi includono:
  • L’utilizzo della carrozzina che deve garantire una corretta postura e una maggior indipendenza del
  • Gestione delle retrazioni tendinee. La prevenzione e la gestione delle retrazioni tendinee costituiscono il principale obiettivo del trattamento riabilitativo e devono includere esercizi di stretching e programmi di supporto al fine di preservare una buona mobilità articolare. Un adeguato trattamento delle retrazioni tendinee può migliorare la tollerabilità delle ortesi e permettere l’utilizzo di supporti (standing) per mantenere la stazione Tutori tipo AFO possono ritardare lo sviluppo di retrazioni a livello dell’articolazione tibio-tarsica. Ortesi per gli arti superiori con supporti mobili o bende elastiche aumentano il range dei movimenti e le abilità funzionali.
  • Una regolare attività motoria, quale il nuoto o attività sportive adattate alle esigenze del paziente, dovrebbe essere incoraggiata al fine di mantenere una buona mobilità e un certo grado di resistenza nelle prestazioni
  • Il mantenimento della posizione eretta deve essere incoraggiato. Tutori lunghi leggeri per gli arti inferiori (KAFO) o ortesi di supporto per il mantenimento della posizione eretta o la deambulazione assistita dovrebbero essere forniti ai pazienti con adeguata forza muscolare. Ove questo non fosse possibile a causa della severa ipostenia, dovrebbe essere considerato l’utilizzo di ausili per mantenere la posizione eretta (standing frame).

Infine per i pazienti deambulanti viene consigliato:

  • L’utilizzo della carrozzina per lunghi i spostamenti al fine di garantire al paziente una maggior
  • Gestione delle retrazioni tendinee ed educazione alla loro prevenzione e al mantenimento di una buona mobilità
  • La deambulazione dovrebbe essere incoraggiata, fornendo l’assistenza necessaria o specifiche ortesi ove
  • Un’attività motoria regolare deve essere incoraggiata al fine di mantenere le performance motorie, la resistenza e la forza muscolare. Questa può includere il nuoto, l’idroterapia, l’ippoterapia o sport adattati alle necessità e alle possibilità del
  • Ortesi e ausili per la colonna vertebrale e gli arti se il paziente sviluppa scoliosi e retrazioni

 

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TRATTAMENTO LOGOPEDICO

Una delle caratteristiche comuni delle malattie neuromuscolari è la debolezza muscolare, che spesso colpisce anche il distretto oro-facciale andando a interferire con la capacità di deglutizione e di alimentazione. Inoltre in queste patologie in base alla gravità della malattia può sussistere una compromissione a livello del linguaggio. In questo ambito il logopedista è il professionista sanitario che si occupa della riabilitazione di queste problematiche. Come viene riportato nella Consulta Ministeriale per le malattie Neuromuscolari (D.M. 07.02.2009) l’intervento riabilitativo logopedico è attuato in modo diretto e/o indiretto ed è relativo alla gestione delle funzioni comunicativo linguistiche e delle funzioni orali compromesse quali disartria, disfagia e voce. Le funzioni oggetto della riabilitazione logopedia sono: respirazione, fonazione, articolazione, comunicazione, deglutizione. In tale ambito le proposte sono relative ai comportamenti facilitanti e alle strategie di compenso, privilegiando ottimizzazione delle abilità residue a livello funzionale. Pertanto gli obiettivi terapeutici delle relative funzioni, sono il loro mantenimento con parametri di efficacia ed efficienza. Inoltre viene riportato, come strumento molto utile che il logopedista può utilizzare con pazienti molto compromessi dal punto di vista del linguaggio espressivo, quello della comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA). I pazienti che necessitano di tale strumento e i loro familiari, hanno bisogno di logopedisti esperti nella Comunicazione Aumentativa Alternativa che li supportino nel mantenere vitale la loro comunicazione. La CAA, infatti, fornisce al paziente la possibilità di mantenere la propria funzione comunicativa producendo messaggi scritti o parlati (Anon., s.d.).

 

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Distrofinopatie

Nei soggetti affetti da distrofinopatie la debolezza dei muscoli del viso e della gola può causare difficoltà di deglutizione (disfagia). La disfagia può anche causare complicanze come l’aspirazione di pezzi di alimenti che possono finire nei polmoni e aumentare il rischio di sviluppare polmoniti. E’ importante valutare ad ogni visita di controllo la capacità di deglutizione del paziente e se compaiono delle difficoltà indirizzare il bambino verso la corretta terapia. L’approccio del paziente disfagico comporta una presa in carico globale dei vari disturbi. Il compito del logopedista è quello di analizzare ogni singolo aspetto in modo da poter sviluppare un migliore intervento riabilitativo in modo da permettere al paziente di affrontare in maniera serena il problema della disfagia. Inoltre i bambini affetti da Distrofia Muscolare di Duchenne possono presentare deficit nel linguaggio, inclusi problemi nello sviluppo del linguaggio, memoria a breve termine, difficoltà nell’elaborazione fonologica, oltre che QI ridotto e disturbi specifici dell’apprendimento. Anche in questo caso è necessario l’intervento di un logopedista per una valutazione di tutti i vari aspetti del linguaggio e l’impostazione di una terapia da seguire se si sospetta la presenza di problemi in quest’area. Gli esercizi con i muscoli coinvolti nel linguaggio e un supporto delle articolazioni sono necessari sia per i ragazzi con DMD che hanno difficoltà in quest’area sia per i soggetti più grandi che hanno subito un deterioramento della forza dei muscoli orali e/o presentano problemi nell’intellegibilità della parola. Per i ragazzi più grandi, strategie di compensazione, esercizi della voce e amplificazione del linguaggio possono essere appropriate se diventa difficile comprendere la persona con Duchenne a causa dei problemi del linguaggio e dell’intensità vocale dovuti a supporti per la respirazione.

 

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Distrofie Muscolari congenite

Anche per quanto riguarda le Distrofie Muscolari Congenite vi è un coinvolgimento dei muscoli oro facciali e bulbari e ciò può determinare problematiche di suzione nei casi gravi ad esordio precoce e più in generale problematiche di masticazione e deglutizione nell’infanzia. La debolezza dei muscoli facciali, della lingua e del palato, conducono, infatti, a un eloquio spesso poco intellegibile ed un tono di voce flebile oltre a difficoltà nella masticazione e nella deglutizione E', dunque, necessario impostare valutazioni nutrizionali periodiche per controllare peso, crescita e valutazioni della disfagia. In tali casi risultano importanti specifiche raccomandazioni dietetiche ed il trattamento logopedico mirato alla disfagia o ai problemi di articolazione del linguaggio. Il foniatra e il logopedista sono, infatti, le figure professionali che si occupano della disfagia e della disfonia proponendo, rispettivamente, esercizi logopedici mirati e una dieta variabile in base alla gravità delle difficoltà di deglutizione.

 

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Distrofie Miotoniche

Anche nel caso della DM 1 la disfagia, dovuta all’indebolimento dei muscoli della lingua e della muscolatura masticatoria e laringea, è una delle problematiche più frequenti. Il fenomeno della miotonia, inoltre, può essere presente in molti pazienti con DM1 E DM2 e causa un irrigidimento della mandibola e della lingua e comporta come conseguenza difficoltà nel masticare e nel deglutire.

La deglutizione e la nutrizione, infatti, sono i primi ostacoli che un bambino affronta. Ciò richiede un completo sviluppo e una buona coordinazione proprio di quei muscoli che sono più affetti nella Distrofia Miotonica Congenita (volto, mandibola, palato). Il cibo può essere aspirato nei polmoni e causare infezioni polmonari anche in un bambino che inizialmente era in grado di respirare normalmente. Per queste problematiche possono essere utili i biberon speciali usati per i bambini prematuri. (www.dimio.it)

Nel settembre del 2018 è stato pubblicato uno studio sulla rivista “Muscle & Nerve” in cui si evidenziava come le difficoltà di comunicazione siano da identificare come l'area di maggiore preoccupazione per i genitori di bambini con Distrofia Muscolare Congenita. Solo il 17% dei pazienti presi in considerazione in questo studio risultava avere un linguaggio appropriato per lo sviluppo e quasi un terzo della popolazione in esame risultava come non verbale e/o utilizzava la CAA. Inoltre, i dati suggerivano come la disartria migliori con l'età. I bambini con CDM, infatti, dimostrano un miglioramento nella precisione del linguaggio in un'età notevolmente più avanzata rispetto ai bambini in via di sviluppo tipico (Berggren KN, 2018).

Il trattamento riabilitativo è di competenza foniatrica e comprende l'insegnamento di tecniche corrette per superare il deficit a livello della deglutizione, soprattutto per minimizzare il rischio di aspirare all’interno delle vie aeree dei frammenti di cibo. Nei casi con grave disfunzione, è necessario ricorrere a un sondino nasogastrico (SNG). Quando l’alimentazione per via orale è permanentemente compromessa, si può eseguire la gastrectomia percutanea (PEG). La comune pratica clinica, inoltre, prevede strategie compensatorie con modificazioni delle consistenze del cibo per facilitare l’alimentazione e la nutrizione in pazienti affetti da questa patologia.

 

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Atrofia Muscolare Spinale

I due principali aspetti coinvolti da questo tipo di tipologia riguardano la deglutizione ed il linguaggio. La SMA, infatti, colpisce infatti anche i muscoli oro-facciali, coinvolti nella deglutizione, nella suzione e nell’articolazione del linguaggio. Per questo motivo la presa in carico logopedica è essenziale dai primi giorni di vita del bambino specialmente nei casi di SMA con maggiore gravità. Per scavalcare questo ostacolo si può innanzitutto consigliare di modificare la consistenza del cibo in modo tale da facilitarne la deglutizione. Oltre alla consistenza si può intervenire anche sulla tipologia di postura assunta durante il momento del pasto. Per i neonati che vengono allattati al seno viene consigliata la postura prona, mentre nel caso di bambini nutriti tramite biberon, è preferibile la posizione laterale. Infine per i pazienti adulti la postura da privilegiare è quella seduta con il capo leggermente rivolto in avanti in quanto in questo modo le vie aeree risultano chiuse e si limitano le problematiche legate al cibo nelle vie aeree. Per queste problematiche si può effettuare un training motorio in cui verranno utilizzate e sfruttate la mobilità di lingua, labbra, guance e palato molle. L’alterazione della muscolatura oro-facciale, inoltre, può comportare anche problematiche relative all’articolazione, ossia causare quella che viene definita disartria, cioè l’inabilità a produrre determinati movimenti che regolano il linguaggio. Per questa tipologia di problema il logopedista, in base all’età del bambino e alla gravità della patologia, imposterà un intervento di riabilitazione che si focalizzi su esercizi specifici che si baseranno sulla respirazione e sulla lettura di frasi o di parole che contengono determinati suoni. Infine, in casi di disartria grave in cui la comunicazione è altamente compromessa, ci si può servire dell’utilizzo di tecnologie di supporto alla comunicazione come tablet e comunicatori.

 

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TRATTAMENTO CHIRURGICO

 

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Distrofinopatie

Per quanto riguarda il trattamento chirurgico delle Distrofinopatie ed in particolare di quella di Duchenne la comunicazione tecnico scientifica ha inserito all’interno delle raccomandazioni l’importanza (nella fase in cui la deambulazione è ancora possibile) di privilegiare trattamenti riabilitativi fisioterapici e di utilizzo di ortesi rispetto agli interventi di chirurgia. Gli interventi chirurgici maggiormente praticati sono, comunque, quelli di correzione del varismo del piede e di chirurgia sul tendine di Achille per migliorare la dorsiflessione e l’andatura. Non sono indicati in questa patologia interventi correttivi all’anca e al ginocchio. Infine un altro intervento che viene frequentemente effettuato nei casi di Distrofia di Duchenne avanzati in cui è presente una grave scoliosi è quello di chirurgia spinale in cui si interviene per migliorare gli aspetti respiratori e la qualità generale di salute dei pazienti.

 

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Distrofie Muscolari congenite

Nelle forme più precoci e gravi della patologia già dai primi mesi di vita, a causa di problematiche respiratorie dovute alla debolezza muscolare, il neonato può essere sottoposto a interventi di trachostomia ovvero la creazione di un'apertura sul collo a livello della trachea con successiva introduzione di un piccolo tubo, detto cannula

tracheostomica, che consente di convogliare aria nei polmoni e di respirare. Parlando in questo caso di un gruppo di malattie molto eterogeneo che comprende variabili molto significative, la decisione di un intervento chirurgico può interessare il distretto muscolo scheletrico o essere legato ad una delle numerose complicanze della malattia. In ogni caso si rimanda la valutazione dell’intervento valutando ogni singolo caso nella sua specificità e tenendo in considerazione tutte le variabili personali. Nei bambini che alla nascita presentano gravi problematiche a livello di deglutizione e di alimentazione si può intervenire anche attraverso il posizionamento di un sondino naso-gastico che rappresenta una soluzione momentanea che aiuta il bambino nella nutrizione. Successivamente, se la situazione richiede una soluzione definitiva, si può effettuare un intervento di posizionamento della PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea). Questa procedura consiste nell'applicazione chirurgica di una sonda che collega lo stomaco all'esterno e grazie alla quale il bambino si può alimentare superando le problematiche a livello orale.

 

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Distrofie Miotoniche

Un approccio chirurgico di tipo ortopedico è previsto nei casi di contratture osteo- articolare fisse e scarsamente riducibili con allungamento dei tendini al fine di assicurare il mantenimento delle autonomie motorie. La conservazione della deambulazione e della stazione eretta risulta, infatti, essere un fattore protettivo rispetto all’insorgenza di scoliosi. Un approccio chirurgico è indicato anche nei casi di scoliosi grave per conservare al meglio la funzione respiratoria. Infine uno degli interventi legato a questa malattia è quello di correzione della cataratta in quanto, essendo una malattia multisistemica, spesso colpisce anche l’apparato della vista causando questa tipologia di complicazione.

Un aspetto molto importante da tenere in considerazione nella scelta di una pratica chirurgica per soggetti affetti da Distrofie Miotoniche riguarda l’anestesia in quanto tali pazienti sono particolarmente sensibili ai farmaci usati in anestesia. Può, infatti, accadere che si presentino complicazioni come la depressione respiratoria prolungata o polmoniti postoperatorie a causa di una anomala reattività ai barbiturici, alla morfina e ad altri farmaci che deprimono il sistema respiratorio.

 

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Atrofia Muscolare Spinale

Gli interventi chirurgici si rendono necessari nel momento in cui i trattamenti riabilitativi faticano a limitare l'aggravarsi delle retrazioni e il peggioramento della scoliosi. Gli interventi chirurgici sui pazienti affetti da Atrofia Muscolare Spinale presentano un alto rischio di complicazioni legate all’operazione ed alla condizione successiva all’intervento. Le principali conseguenze che possono presentarsi sono legate a infezioni ospedaliere, ad intubazione prolungata e alla necessità di tracheotomia. E’ quindi fondamentale effettuare un attenta valutazione chirurgica e anestesiologica nel momento in cui si decide di intraprendere la strada dell’intervento chirurgico. La problematica muscolo-scheletrica della scoliosi, a lungo andare, da luogo ad un intervento di chirurgia spinale. Tale intervento può portare a un sensibile un miglioramento per quello che riguarda la postura da seduto, l’equilibrio e la resistenza. Inoltre l’operazione ha risvolti positivi sulla respirazione in quanto una grave scoliosi causa un aumento della deformità toracica con rischio associato di danno polmonare. Il miglioramento della condizione di salute generale e la qualità della vita e un conseguenze maggior livello d’indipendenza da parte del paziente sono infine altri aspetti rilevanti da tenere in considerazione per questa tipologia di trattamento.

 

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TRATTAMENTO NEUROPSICOMOTORIO

Il primo passo per la definizione di un intervento neuropsicomotorio di presa in carico del paziente consiste nella valutazione in cui il TNPEE osserva e riporta i punti di forza e di debolezza del bambino andando a creare un profilo neuropsicomotorio dove vengono analizzate l’area motoria, cognitiva, affettiva-relazionale, della comunicazione e delle funzioni psicomotorie. Partendo da tale valutazione si vanno, dunque, a delineare degli obiettivi specifici per il bambino, sia a breve che a lungo termine. Ogni paziente ha, infatti, le proprie peculiari caratteristiche dalle quali partire per impostare un progetto riabilitativo. Uno degli obiettivi principali rimane quello di instaurare una buona relazione con il bambino al fine di costruire un rapporto di fiducia con il medesimo. E’, inoltre, fondamentale includere i caregiver all’interno del progetto terapeutico di riabilitazione in quanto, essendo figure di riferimento e persone con le quali i piccoli pazienti passano la maggior parte del loro tempo, possono adottare comportamenti e strategie utili per gestire, nel miglior modo possibile, il bambino. Questa patologia da luogo a numerose problematiche motorie che hanno, come caratteristica comune, ipotono e ipostenia muscolare. I movimenti sono limitati così come le possibilità di azione tanto che si verificano retrazioni muscolo- tendinee e deformità. Per questo motivo bisogna analizzare attentamente le capacità e le funzioni residue del bambino. Il TNPEE si serve di diverse scale di valutazione specifiche che forniscono dei dati oggettivi sia per la valutazione che per il monitoraggio della patologia.

I principali test utilizzati sono:

  • Scala RULM
  • Scala PUL
  • 6 minutes walking test
  • Scala Chop Intend
  • Scala EK2
  • Scala HINE
  • Scala HFMSE
  • Esame muscolare secondo la scala MRC
  • Valutazione dei Rom

 

  • La scala RULM è una scala specifica per i bambini affetti da SMA e valuta la funzionalità degli arti superiori in individui ambulanti e non ambulanti con atrofia muscolare spinale dall'infanzia all'età adulta. La scala è composta da 20 item (19 + item di ingresso) che richiedono l’utilizzo di materiali diversi. Vengono scorate entrambe le parti (destra e sinistra) e si sceglie la best performance tra le due.
  • Il test sulle prestazioni degli arti superiori (PUL) è stato specificamente sviluppato per la valutazione degli arti superiori nella distrofia muscolare di Duchenne (DMD) sia in pazienti deambulanti che non deambulanti. Viene definito deambulante se riesce a camminare per 10m senza alcun tipo di assistenza e non-deambulante come non in grado di camminare 10m senza alcun tipo di sostegno esterno. Lo scopo è quello di valutare i cambiamenti delle performance motorie degli arti superiori che avvengono nel tempo, dal bambino ancora deambulante all’adulto più compromesso con limitati movimenti delle dita, includendo quindi una selezione di items che comprendono un largo spettro di abilità e di età andando a registrare le minime variazioni di funzionalità.
  • Il test del cammino o 6MWT (6 Minute Walking Test) misura la distanza che un soggetto può percorrere camminando il più velocemente possibile su una superficie piana in sei minuti, comprese tutte le interruzioni che il soggetto ritiene necessarie. Esso serve a valutare la capacità di percorrere una certa distanza e rappresenta una misura rapida ed economica per valutare la capacità di svolgere le normali attività quotidiane o, di converso, il grado di limitazione funzionale del soggetto. Per lo svolgimento del test del cammino il paziente è invitato a camminare alla massima velocità per lui possibile per sei minuti su una superficie di marcia piana, lungo un percorso rettilineo. Il paziente può fermarsi ogni volta che lo ritenga necessario. Allo scadere di ogni minuto vengono rilevate la frequenza cardiaca e la saturazione emoglobinica, oltre al numero di metri percorsi durante il test.
  • La scala CHOP INTEND ( La scala Children’s Hospital of Philadelphia Infant Test of Neuromuscular Disorders ) è pensata per bambini con malattie neuromuscolari, che si manifestano nel primo anno di vita del bambino. La scala Chop, validata per bambini con SMA I, è una scala funzionale che viene somministrata con osservazione diretta e manovre eseguite dall’ esaminatore con il coinvolgimento del genitore. Questa scala si compone di 16 item che vengono utilizzati per valutare le capacità motorie del Il test include sia la valutazione di movimenti attivi che dei movimenti riflessi, andando a valutare tutti i vari distretti corporei in un ordine prefissato.
  • La scala EK2 è una scala ordinale ideata per esaminare gli aspetti relativi alle funzioni della vita quotidiana di soggetti con distrofia di Duchenne e SMA non Questa scala viene, inoltre, utilizzata come indice per valutare il progredire della malattia. La scala HINE (Infant Neurological Examination) è uno strumento di valutazione della funzione motoria che viene usato per valutare in modo semplice le capacità motorie nei bambini da 2 mesi a 2 anni di età. L’esame comprende 26 items, che forniscono una valutazione globale dello sviluppo neuromuscolare del neonato e ciascun item ha un punteggio che va da 0 a 3. La parte dell’esame HINE relativa alle tappe fondamentali dello sviluppo motorio include 8 items ( presa volontaria, capacità di scalciare, controllo del capo, rotolarsi, sedersi, gattonare, stare in posizione eretta, camminare)
  • La scala Hammersmith Functional Motor Scale Expanded HFMSE è uno strumento di misurazione convalidato utilizzato per valutare la funzione motoria dei bambini affetti da atrofia muscolare spinale (SMA). La scala HFMSE aggiunge 13 elementi clinicamente rilevanti tratti dal sistema di classificazione quantitativo Gross Motor Function Measure (GMFM) relativi a postura supina o prona/rotolamento, camminare a carponi/in ginocchio, postura eretta e deambulazione/corsa/salto. L’esame si compone di 33 elementi classificati su una scala da 0 a 2 e il punteggio totale varia da 0 a 66, con i punteggi più bassi che indicano scarsa funzione motoria.
  • La scala MRC (Medical Resource Council) è esame per quantificare la forza muscolare residua per lo più sulla base del movimento spontaneo o dei muscoli chiave degli arti superiori e inferiori contro la resistenza dell’esaminatore e graduare la forza del Consiste nella valutazione di circa 34 gruppi muscolari e il punteggio che può essere attribuito va da una scala da 0 (assenza di contrazione) a 5 (movimento contro massima resistenza per tutto il range).
  • La valutazione dei Rom (Range of Motion) è l’esame articolare con il goniometro di capo, spalle, gomiti, polsi, dita, anche, ginocchia, tibiotarsica e dita dei piedi così da verificare la presenza di contratture muscolari o retrazioni osteo-tendinee. Il ROM articolare (Range Of Motion) è la libertà, espressa in gradi, che ogni articolazione può eseguire nello spazio; è il numero di gradi che un segmento corporeo può compiere muovendosi dalla sua posizione di partenza a quella finale.

Grazie a queste scale di valutazione e test il terapista può avere un’idea più chiara e precisa delle potenzialità del bambino dalle quali partire per definire obiettivi e strumenti riabilitativi. Bisogna tenere in considerazione che ogni singolo bambino ha le proprie peculiari caratteristiche che rendono i suoi bisogni e le sue necessità uniche e personali. Da qui si può partire per strutturare il lavoro individualizzato pensato ad hoc per il

bambino. Durante il percorso di terapia neuropsicomotoria andranno man mano rivalutati gli obiettivi in base alla progressione della malattia e in base alle capacità acquisite dal bambino. All’interno della valutazione neuropsicomotoria un altro importante aspetto da valutare è quello relativo all’utilizzo delle ortesi. Infatti in bambini affetti da malattie neuromuscolari questi dispositivi sono molto spesso parte integrante della terapia e della vita quotidiana del piccolo paziente. Le ortesi possono, infatti, sostenere e aiutare il bambino nell’acquisizione di maggiori autonomie e nella prevenzione di complicanze legate al progredire della patologia.

Le ortesi, vengono definite come dispositivi esterni utilizzati al fine di modificare le caratteristiche strutturali o funzionali dell'apparato neuro-muscolo-scheletrico e si suddividono in tre diverse categorie in base al distretto corporeo interessato:

  • Ortesi per arto superiore
  • Ortesi per arto inferiore (che comprendono AFO e KAFO)
  • Ortesi per il tronco o corsetti (corsetto e tutore salera)

 

  • Per ortesi gamba piede (AFO) si includono gli apparecchi ortesici per l’arto inferiore che coinvolga il piede e la caviglia e che non si estenda oltre il Il suo utilizzo principale risulta esse quello di prevenire la caduta dell’avampiede dovuta a un’ inadeguata dorsiflessione. Le Ortesi AFO possono essere, inoltre utilizzate sia per correggere una deformità di un segmento corporeo in modo attivo (piede o caviglia) sia in modo passivo agendo, ad esempio, sul ginocchio semplicemente bloccando l’estensione dell’articolazione tibio-tarsica.
  • L’ortesi ginocchio gamba piede (KAFO) è, invece, qualsiasi apparecchio ortesico per l’arto inferiore che si estenda dal ginocchio al In questo caso lo scopo principale è quello di stabilizzare l’articolazione del ginocchio oltre che il piede e la caviglia. Le ortesi KAFO vengono utilizzate in caso di importanti deformità all’articolazione del ginocchio sia sul piano sagittale (flessione o recurvato), sia sul frontale (valgismo o varismo). Vengono, inoltre, utilizzate per paralisi, complete o parziali, o gravi deficit muscolari.
  • Il corsetto o busto ortopedico serve per proteggere la schiena da eventuali malformazioni dovuti ad una patologia oppure abitua la colonna vertebrale ad una postura Bisogna tenere in considerazione, durante la valutazione di questa ortesi, la dimensione, la vestibilità e i materiali utilizzati. Questo dispositivo viene utilizzato in alcuni casi per prevenire ed evitare che peggiorino nel tempo complicanze dovute a patologie neuromuscolare come ad esempio la scoliosi. Infine può migliorare l’equilibrio da seduto, la resistenza e l’aspetto fisico generale.
  • Il Salera è un ortesi che si occupa sia del distretto degli arti inferiori che quello del bacino e del tronco. Viene utilizzato nei casi di deficit muscolare dei muscoli glutei che causa una conseguente incapacità estensoria del tronco sulle cosce. Inoltre una delle funzioni principali di questa ortesi è quella di permettere il mantenimento della stazione eretta in soggetti in cui questo capacità è compromessa o non possibile a causa della

L’aspetto relativo agli ausili come carrozzine manuali ed elettroniche che rappresenta un ulteriore risorsa per sostenere l’autonomia dei bambini è un aspetto che viene valutato e rivalutato nel tempo dalla figura dei Terapisti Occupazionali che lavorano all’interno dell’equipe multidisciplinare.

 

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Distrofinopatie

Per quanto riguarda il gruppo delle distrofinopatie bisogna, innanzitutto, effettuare un’attenta osservazione e valutazione neuropsicomotoria che metta in evidenza le caratteristiche peculiari del bambino preso in carico. Per queste tipologie di patologie è necessario, inoltre, tenere in attenta considerazione la gravità della patologia in quanto i bambini affetti da Distrofia di Duchenne risultano più compromessi rispetto ai bambini affetti dalla malattia di Becker dove i sintomi possono essere molto lievi o addirittura assenti. E’, comunque, importante, anche in questi casi, effettuare delle attente valutazioni periodiche per monitorare l’andamento della patologia e cogliere l’eventuale insorgenza dei primi sintomi. Nel caso della Distrofia di Duchenne la compromissione, con diversi gradi di gravità, interessa sia aspetti muscolo-scheletrici che cognitivi. Per quanto riguarda il contesto motorio è importante, in un primo momento, se il paziente possiede ancora la deambulazione, sostenere e mantenere le capacità che il bambino possiede. Se la compromissione è tale da non permettere al bambino di deambulare si può continuare a far sperimentare al bambino il movimento in modo passivo per ritardare l’insorgenza di retrazioni. Per questo è importante integrare all’interno della terapia un lavoro per il mantenimento articolare e per la prevenzione delle retrazioni tendinee attraverso mobilizzazione passiva in un ambiente ludico. Questa attività può essere svolta all’interno di un setting sensomotorio su una superficie come ad esempio un tappetone appoggiato al pavimento. Durante la mobilizzazioni si può, inoltre, richiedere al bambino di provare i movimenti che in autonomia riesce a effettuare. Anche in questo caso le ortesi possono essere un ottimo alleato per aiutare il bambino sia nella prevenzione di complicanze osteo tendinee che nel mantenimento dell’articolarità posseduta. Anche le ortesi sono spesso utilizzate sia i tutori AFO che KAFO per la prevenzione e mantenimento delle lunghezze articolari agli arti inferiori che i corsetti. La scoliosi, infatti, è spesso correlata a questa tipologia di malattia e per questo motivo tale ortesi viene prescritta in molti casi. Alcuni degli obiettivi comuni che si possono individuare per tali patologie riguardano il mantenimento e lo sviluppo di un certo grado di autonomia. I pazienti affetti da Distrofia perdono la deambulazione precocemente e hanno, quindi, bisogno di un ausilio come la carrozzina manuale o elettronica quando la compromissione raggiunge anche gli arti superiori. L’utilizzo di questi ausili dona maggiore autonomia ai ragazzi in alcuni spostamenti che possono effettuare da soli senza la costante assistenza di un caregiver. Per quanto riguarda l’area cognitiva bisogna anche in questo caso effettuare una valutazione della situazione del bambino/ragazzo per comprendere il livello di difficoltà. Da qui si può partire per effettuare delle attività ludiche per lavorare e rafforzare le capacità maggiormente compromesse. Qualora emergano delle difficoltà in ambito cognitivo, il trattamento si concentrerà sulle funzioni maggiormente compromesse, che generalmente attenzione, funzioni esecutive e memoria. Queste attività sono essenziali per il bambino per conservare le capacità e le competenze che ha raggiunto e che può implementare e migliorare. Infine bambini con DMD possono anche presentare disturbi pervasivi dello sviluppo che rientrano nello spettro dell’autismo, deficit di attenzione con iperattività (ADHD) e il disturbo ossessivo-compulsivo. In questi specifici casi si andrà a valutare la gravità de disturbo integrando all’interno del progetto delle attività mirate per questi disturbi.

 

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Distrofie Muscolari congenite

In queste patologie la mancata possibilità di sperimentazione motoria, causata dall’impedimento fisico, porta il bambino a sviluppare carenze sia motorie che dal punto di vista dello schema corporeo e della costruzione dello spazio. Per questo motivo si possono impostare lavori per sviluppare e sperimentare queste competenze e capacità. Anche l’area percettiva e sensoriale può risultare compromessa e perciò si può impostare un lavoro di senso-percezione delle varie parti del corpo. All’interno di un setting costituito da materiale non strutturato sensomotorio come cuscinoni, palle di diverse dimensioni e consistenze il bambino può sperimentare il movimento e percepire le parti del corpo che normalmente non utilizza. In questo modo esso prova diverse posizione e movimenti guidati dalla terapista che lo sostiene in ogni passaggio. In questo contesto le attività di percezioni sono anche favorite dall’utilizzo di materiali con consistenze e temperature diverse. Possono essere usati materiali quali la sabbia o la farina per immergere i piedi, palline o altri oggetti che possono raggiungere temperature calde e fredde e che vengono trascinate con ritmi diverse sul corpo del bambino. Anche oggetti che provocano delle vibrazioni possono essere utilizzati nel medesimo modo. Si può, inoltre, lavorare sulle percezioni vestibolari indotte da rapidi movimenti effettuati ad esempio su una balla tipo Bobath.

 

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Distrofie Miotoniche

Anche in questo caso è importante un approccio di tipo globale e multidisciplinare. Per quanto riguarda l’approccio del TNPEE, dopo una prima valutazione e la stesura del progetto riabilitativo, si può iniziare a lavorare in modo più settoriale sulle debolezze del bambino partendo dai suoi punti di forza. Le distrofie miotoniche sono un gruppo molto eterogeneo in quanto includono diverse tipologie della stessa patologia e sono caratterizzate da grandi differenze individuali. Concentrandoci sulla Distrofia Miotonica congenita, che è la patologia che può essere diagnosticata al momento della nascita e sulla quale si può intervenire attraverso un approccio di tipo precoce, tra i suoi principali sintomi troviamo l’ipotono e l’ipostenia muscolare. In bambini così piccoli si può intervenire guidandoli nel percorso di raggiungimento di quelle che dovrebbero essere le fisiologiche tappe motorie. Il lavoro può essere strutturato in un ambiente poco strutturato in cui il bambino è libero di muoversi e sperimentare. Il TNPEE può sostenerlo sia nella relazione di sguardo che guidandolo attivamente nell’esecuzione dei movimenti. Il terapista, infatti, può facilitare i cambi posturali attraverso il supporto e lo spostamento della parte del corpo del bambino interessata nel gesto. Allo stesso modo si può seguire il bambino anticipando le tappe motorie successive fornendogli delle strategie e delle tecniche per effettuare i vari movimenti di spostamento. L’utilizzo della palla tipo Bobath può essere uno strumento da utilizzare per rafforzare la muscolatura del bambino e favorire il raggiungimento del controllo del capo e successivamente della posizione seduta. Gli stimoli luminosi e di forte contrasto possono essere un incentivo per il bambino a spostarsi e a raggiungere la fonte di interesse. Anche il volto materno o della persona che si prende cura del bambino può incitarlo al movimento. Anche in questo caso il coinvolgimento familiare è essenziale e rappresenta una risorsa nel percorso riabilitativo del bambino. Il massaggio neonatale può essere, inoltre, un’attività che il caregiver e il bambino possono fare insieme e che può aiutare a stabilire e mantenere una relazione e un legame tra le persone interessate. Il massaggio può suscitare nel bambino piacevoli sensazioni che lo possono tranquillizzare attraverso il contatto diretto pelle a pelle. Ci sono diverse tecniche di massaggio che il caregiver può apprendere attraverso l’osservazione di un terapista e la sperimentazione attiva sul bambino. Man mano che il bambino cresce bisogna continuare a seguirlo per monitorare l’evoluzione della patologia e le conseguenze che possono insorgere.

 

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Atrofia Muscolare Spinale

Il trattamento neuropsicomotorio della SMA può iniziare precocemente se la diagnosi della patologia viene fatta alla nascita o nei primi mesi di vita. Un trattamento precoce ed intensivo integrato con i trattamenti farmacologici può portare a una prognosi più favorevole. Nei primi mesi di vita del bambino in cui l’ipotono risulta una delle caratteristiche fondamentali si può intraprendere un percorso in cui il bambino viene facilitato e stimolato nel compiere passaggi posturali. Inoltre si può lavorare per favorire e agevolare l’acquisizione di nuove tappe motorie aiutando il bambino sostenendo e agevolando i movimenti grazie anche all’utilizzo di stimoli interessanti per il bambino come alcuni giochi luminosi o colorati o il volto della mamma. Il coinvolgimento delle figure genitoriali o caregiver risulta essenziale per la gestione del bambino in un ambiente quotidiano per adottare delle strategie efficaci da mettere in campo. Il caregiver, infatti, può sviluppare e adottare dei movimenti o atteggiamenti che guidino e sostengano il bambino in diversi contesti. Ai genitori può essere insegnato in che modo posturare i bambini durante le attività di vita quotidiana(parto, sonno, igiene, momenti di relazione e di gioco in braccio e a tappeto. Con il progredire della crescita, in relazione alla gravità del quadro clinico e dell’adesione e all’efficacia del trattamento farmacologico, si intraprende un percorso volto a rendere il bambino consapevole dei propri limiti e dei propri punti di forza. Anche in questo caso uno degli obiettivi da raggiungere è senz'altro quello di ottenere il maggior grado di autonomia possibile. Anche per questa patologia la valutazione e rivalutazione delle ortesi per arti superiori ed inferiori è parte integrante del trattamanto. Le ortesi vengono utilizzate non solo per prevenire le retrazioni ma anche per evitare sintomatologie dolorose. Vengono utilizzati dei tutori AFO o KAFO per incrementare la funzionalità, il range di movimento e agevolare il paziente nelle attività quotidiane.

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