Dalla concettualizzazione alla clinica: giocare con le intenzioni in terapia neuropsicomotoria
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CAPITOLO TERZO
Per ritrovare nella clinica le affermazioni teoriche rispetto alle intenzioni ho scelto quattro casi clinici, che, seppur nella loro diversità e specificità individuale, presentano delle caratteristiche che li rendono adatti all’argomento trattato e agli scopi prefissati.
Si tratta di due maschi e due femmine d’età compresa tra i 18 e i 36 mesi circa: i maschi presentano, seppur in modo differente, “esagerazione” motoria, mentre le femmine, anch’esse in maniera diversa, “staticità”. Entrambi queste caratteristiche, seppur opposte, ostacolano le azioni intenzionali con cui si dovrebbero realizzare le intenzioni dei bambini. Inoltre, tutti i quattro casi sono caratterizzati da un’attenzione visiva molto labile e fugace, che causa l’abbandono dell’azione in corso e la perdita, così, dell’intenzione da attuare. La creazione delle intenzioni stesse, invece, è limitata dalla presenza, variabile caso per caso, di una scarsa se non deficitaria sintesi percettiva, cioè la capacità di discriminare, selezionare e organizzare le esperienze sensoriali, e di un’altrettanto inadeguata rappresentazione mentale della realtà esterna e di sé.
Perciò, la descrizione di questi casi clinici, con un’attenzione particolare alle loro intenzioni, permette di comprendere come avviene il processo delle intenzione stesse, dalla nascita al compimento, all’interno di una situazione di perturbazione, di disturbo. Inoltre, consente di ricavare dei Sé intenzionali tipo, per i quali individuare poi dei suggerimenti circa strategie di intervento da utilizzare in terapia neuropsicomotoria.
Oltre a ciò, vista l’importanza di un Io e Tu che diventano Noi all’interno di uno spazio di scambio e condivisione di intenzioni, ho analizzato anche se e come i genitori, sempre presenti in stanza, si accordano con le intenzioni dei figli. Questi genitori faticano, chi più chi meno a seconda delle caratteristiche di ciascun bambino, a realizzare questo accordo intenzionale ma tentano comunque, attraverso la creazione o l’interpretazione oppure il supporto delle intenzioni dei figli.
Quindi, anche per sostenere i genitori è fondamentale indicare qualche strategia che possono utilizzare nella quotidianità, per trovare un maggior accordo con gli intenti dei loro bambini.
CAPITOLO QUARTO
Il primo protagonista delle Intenzioni: Alex
Anamnesi
M. nasce il 18/03/11 da taglio cesareo alla 35^ settimana gestazionale, dopo una gravidanza gemellare decorsa regolarmente (concepimento avvenuto mediante ICSI per sterilità): A. è il secondogenito, pesa 1980 gr, lunghezza 44 cm, cc 32,3 cm, Indice di Apgar 9 al 1’, 9 al 5’.
I genitori sono in buona salute (il padre è portatore sano di fibrosi cistica) così come la gemella, che avrà un normale sviluppo psicomotorio.
Subito dopo il parto A. viene ricoverato in Patologia Neonatale per 22 giorni e dimesso con diagnosi di prematurità, deficit di crescita intrauterina, ritardata emissione di meconio, difficoltà di alimentazione che ha richiesto l’utilizzo di SNG nei primi giorni, e infezione polmonare (trattata con terapia antibiotica).
Nel tempo è sottoposto a valutazioni cliniche e ad alcuni accertamenti per chiarirne il quadro:
- Esami ematochimici e delle urine: nella norma;
- Esami metabolici: nella norma;
- Valutazione maxillofacciale (Luglio 2011): riscontrata presenza di frenulo linguale corto (ugola bifida) con normale motilità velo-faringea;
- Valutazione neuropediatrica (Agosto 2011): presenza di movimenti rapidi oculari (tipo nistagmo orizzontale), movimenti tipo spasmi in flessione del capo con anomala motricità generale (sul versante iper), ipertonia ai quattro ari con grasp palmare e equino-supinazione dei piedi, segni morfologici cranio-facciali;
- EEG in sonno (Settembre 2011): lieve assimetria del tracciato (meno organizzato e depresso all’emisfero sx), attività lenta theta delta e fusi del sonno più evidenti a dx;
- Valutazione ortopedica (Ottobre 2011): migliorata la posizione in equino- supinazione dei piedi, ben correggibile;
- Valutazione fisioterapica (Ottobre 2011): buon miglioramento della rigidità degli arti e della comunicazione;
- Valutazione oculistica (Ottobre 2011-Agosto 2012): astigmatismo miopico bilaterale, stenosi congenita del dotto lacrimale (bilaterale?) in probabile risoluzione, exotropia intermittente, scosse di nistagmo orizzontali pendolari esauribili che aumentano con occlusione, convergenza scarsa, fissa (OD alterna), inseguimento lento fluido, attenzione visiva presente discontinua;
- Ecografia cerebrale (Dicembre 2011): ampiezza del ventricolo sx > dx con irregolarità del profilo in regione frontale. Esiti di emorragia sub-ependimale di II grado a sx, cisti del plesso corioideo in riduzione a sx;
- Valutazione ORL (Marzo 2012): ipoacusia di grado lieve bilaterale in quadro di otite effusiva (ricorrente). Le latenze delle principali componenti risultano lievemente aumentate, in relazione a maturazione rispetto all’età e per presenza di componente trasmissiva;
- Consulenza genetica per inquadramento diagnostico (Marzo 2012): l’esame genetico mette in evidenza una delezione parziale interstiziale del braccio lungo di un cromosoma 6 de novo; il quadro clinico osservato in A. sembra compatibile con una condizione dovuta a tale anomalia genomica.
Sviluppo psicomotorio
presenta deficit di crescita e ritardo dello sviluppo psicomotorio, normale ritmo sonno-veglia e alimentare.
A 5 mesi presenta difficoltà ad organizzare posture stabili ed efficaci, attenzione e scambio visivo scarsi.
A 7 mesi la rigidità ai 4 arti è più modulabile nelle grandi articolazioni, mentre più difficile è la modificazione distale, con andamenti variabili sia a seconda della proposta che dei diversi momenti della giornata. Le performance motorie sul piano orizzontale incominciano ad essere utilizzate per quello che riguarda le rotazioni assiali, così da prono esplora le modificazioni degli appoggi, anche se ancora non riesce a realizzare posizioni soddisfacenti (es. solleva il sedere e il volto rimane a contatto con la superficie d’appoggio); apprezza la posizione seduta con facilitazione; aiutato riesce a mantenere la posizione in ginocchio.
La capacità di prendere, trattenere ed usare un oggetto necessita di facilitazioni costanti dell’adulto; ancora difficile l’esplorazione attiva occhio-mano dell’oggetto. La funzione visiva inizia ad emergere come capacità di prendere visivamente l’oggetto, di inseguirlo e localizzarlo; è ancora stimolo dipendente, ma si evidenzia un ampliamento ed un utilizzo della funzione a scopo comunicativo. Cambiamenti interessanti nella funzione interattiva e comunicativa: accorgersi dell’altro, sorridervi e intraprendere scambi vocali (vocalizzi) sono momenti che aumentano progressivamente.
A 12 mesi mostra di saper rotolare ed impara a stare seduto da solo. Qualche mese dopo si alza con appoggio e a 16 mesi inizia a camminare con sostegno. Attualmente riesce a stare in stazione eretta senza appoggio per qualche momento; pronuncia un paio di parole bisillabiche (mamma – papa).
Espressività psicomotoria
- Categorie psicomotorie
- Spazio: A. utilizza lo spazio in modo indifferenziato, compiendo le medesime azioni in tutto quello che ha a sua disposizione, ma ampio, anche se senza una vera esplorazione, senza soffermarsi, quanto piuttosto guidato dall’irrequietezza motoria. Non individua spazi privilegiati ne li costruisce, ma rimane all’interno di quello creato per lui dalla terapista. Lo spazio interpersonale è ravvicinato: A. accetta che l’adulto si avvicini, ma anche che si allontani; il contatto corporeo è accettato e a volte cercato con la mamma, ma non esteso e di “fusione” tonico- posturale con l’altro, quanto piuttosto caratterizzato da tono elevato e costante tensione motoria; accetta e ricerca il movimento passivo veloce anche per lungo tempo, gradendo soprattutto i disequilibri a cui reagisce sorridendo, aumentando il tono in tutto il corpo e simulando il movimento stesso per far capire che lo desidera ancora.
- Tempo: il ritmo dell’azione di A. può essere descritto come un “moto perpetuo” senza pause, ma, comunque, con capacità di permanere, soffermarsi su di un oggetto anche se in modo intermittente; la sua capacità di attesa è limitata e mostra spesso insofferenza psicomotoria. Non c’è in lui senso del tempo, inteso come tempo che passa e come sequenzialità, ma vi è come provare e manifestare stanchezza.
- Tono muscolare: il tono di base di A., che si presenta senza marcate differenze tra i diversi segmenti corporei, è caratterizzato da “rigidità”, che si mantiene tale nei diversi orientamenti. Questo tono permane così anche durante l’azione e l’interazione, senza che avvengano delle appropriate modulazioni, necessarie per l’incontro tonico con l’altro e per l’adattamento all’oggetto.
- Posture: A. presenta assetto posturale variabile, non sempre funzionale allo scopo. Le posture che predilige sono quella seduta, in ginocchio con appoggio anteriore, eretta anch’essa con sostegno, ed una serie di posture particolari e non funzionali, come porsi sotto una superficie alta o sospendersi ad un appoggio con mani e bocca: esse danno la sensazione di una costante precarietà, instabilità con continua necessità di sostegno, non richiesto, da parte dell’adulto. Guarda l’adulto in modo sfuggente e a volte quasi casuale, non presentando molta attenzione alla richiesta dell’altro d’esser guardato ne richiedendo su di sé lo sguardo; la mimica gestuale è assente, quella facciale limitata ma coerente alla situazione, quando sorride perché divertito o piange arrabbiato. A. passa da uno di questi assetti posturali all’altro in maniera molto improvvisa e quindi imprevedibile, poco armonica e non sempre funzionale, lanciandosi spesso all’indietro e finendo supino.
- Movimento: A. presenta una costante invadenza e perturbazione del movimento, che porta a continue variazioni tonico-posturali ed ostacola la direzionalità e l’efficacia rispetto a…, infatti, non è correlato ad uno scopo esterno ma piuttosto autocentrato. Non è, però, un movimento stereotipato, ripetitivo, ma un movimento che prende il sopravvento, sfuggendo allo spazio, al tempo e alle interazioni: è il movimento a trascinare il bambino e non quest’ultimo a dirigere il movimento. Spesso tale movimento si esprime con un tentativo di arrampicarsi su oggetti o persone senza uno scopo comprensibile.
- Oggetti: raggiunge gli oggetti guardandoli e li afferra con una presa non sempre efficace e poco graduata. Li manipola spesso e a lungo, utilizzando le mani ma soprattutto la bocca. Usa per questo motivo principalmente oggetti piccoli, mentre non ha preferenze tra duri e morbidi, conosciuti o meno. Non ha oggetti preferiti così come non difende i propri, ma esplora oralmente quello che c’è a portata di mano (dischetti, bicchierini, formine, ecc.). L’uso che fa di questi oggetti è quindi sensoriale, ed anche motorio quando invece li lancia.
- Voce: a causa dell’ugola bifida, A. respira costantemente in modo rumoroso. A volte usa la voce per pronunciare le due parole che sa dire (mamma-papa), con volume basso, intonazione piana e monotono.
- Azione: le poche azione di A., di tipo sensoriale, motorio e sensomotorio, vengono da lui ripetute permanendovi abbastanza a lungo, ma la ripetizione non è segno di stereotipia, quanto piuttosto di limitazione (fa ciò che riesce a fare) e mancanza di un progetto. È invece incapace di ordinare, coordinare e compiere una serie di azioni più complesse. Nello svolgere le proprie azioni A. non prende in considerazione l’altro, non vi si adatta ne chiede aiuto, ma accetta i cambiamenti di oggetto, anche improvvisi, che gli vengono proposti, riprendendo anche su questi le proprie azioni. Diviene più interessato all’azione altrui se questa viene enfatizzata e riguarda direttamente lui, ma non la imita.
- Gioco: le azioni di A. non sono propriamente inserite in una cornice di gioco: si può parlare di azioni giocose più che di gioco vero e proprio. Queste azioni sono di tipo sensoriale con l’utilizzo del tatto per manipolare e della bocca sempre per una manipolazione ma orale, di tipo motorio attive nel lanciare, di tipo sensomotorio passive di disequilibrio, con ricerca di variazioni di tipo spaziale e posturale; tali azioni, quindi, riguardano la sfera delle sollecitazioni di tipo sensoriale (udito, tatto, vista, ecc.) e tonico.
- Competenze relazionali e manifestazioni emotive: l’interazione è caratterizzata da attività sensoriali, motorie e sensomotorie, con cambiamenti che dipendono principalmente dalla terapista, la quale cerca, attraverso variazioni del contesto, di aumentare nel bambino il repertorio di azioni e di attività. A. accetta le modifiche ma vi risponde sempre con lo stesso repertorio d’azioni, e da parte sua non vi è alcuna proposta. Guarda qualche volta l’adulto, ma per brevi momenti e soprattutto se questo si trova nel suo campo visivo. Non ha necessità di una vicinanza costante all’altro, nemmeno alla madre, e spesso lo ignora proprio. Non vi è in lui condivisione delle esperienze, creazione di ritmi nell’interazione, senso di reciprocità. Infatti, per esempio, accetta l’oggetto dall’altro ma non lo dà, e tanto meno realizza uno scambio, prendendo ciò che gli si porge e lasciando cadere l’oggetto che eventualmente ha in mano. Le manifestazioni emotive dimostrate dal bambino sono: interesse per gli oggetti messi a sua disposizione verso cui si dirige immediatamente; accettazione, come già detto, per le proposte della terapista; piacere per le stimolazioni sensomotorie passive, che dimostra sorridendo ed inclinando il capo; rabbia, al no dell’adulto, che provoca reazioni emozionali come il pianto e lo sbilanciarsi all’indietro, sia se è in braccio sia se è seduto o in piedi; mancanza di senso del pericolo, quando cerca di arrampicarsi ovunque.
- Organizzazione percettiva, formazione della rappresentazione interna della realtà esterna (RIRE) e competenze cognitive: la sintesi percettiva, intesa come discriminazione, selezione ed organizzazione delle esperienze sensoriali, non è presente, in quanto il bambino permane ancora ad un livello di pure e semplici sensazioni non interiorizzate e categorizzate. Deficitaria è anche la rappresentazione mentale del mondo esterno, a causa del deficit percettivo, appena descritto, e di un deficit di tipo cognitivo. Ciò porta di conseguenza ad una non corretta rappresentazione di sé e alla frequente incapacità di A. di programmare ed eseguire correttamente e funzionalmente l’azione necessaria a raggiungere lo scopo prefissato. A. è incapace di essere pienamente consapevole nelle proprie azioni, con impossibilità di compiere piccoli ma continui adattamenti funzionali alla realtà circostante; è incapace di compiere riflessioni e quindi elaborazioni delle esperienze vissute; non presenta progettualità, iniziativa, capacità di scelta binaria, se non casuale, capacità di discriminare e categorizzare gli oggetti.
Il Sé intenzionale di Alex: IL LABIRINTO
In A. è presente intenzionalità, ossia la proprietà degli stati mentali che ne determina la direzionalità, l’esser “diretti verso”.
Per quanto riguarda le intenzioni, invece, anch’esse sono presenti, ma semplici e circoscritte entro un perimetro limitato: sono rivolte ai bisogni interni del bambino ma anche al mondo esterno, riguardando comunque sempre lui stesso e mai un coinvolgimento, un prendere in considerazione l’altro, come persona con un proprio Sé e dei propri stati interni.
Figura 2: Il Labirinto
L’intenzione che esprime più chiaramente nelle sedute è la contrarietà, il disaccordo, soprattutto quando gli viene impedito di fare qualcosa. Egli manifesta ciò mediante il pianto ma soprattutto con l’irrequietezza, la sofferenza psicomotoria che si esprime con sbilanciamenti improvvisi all’indietro.
Per quanto riguarda, invece, le intenzioni rivolte alla realtà esterna, esse sono indirizzate in particolare al voler raggiungere e poter così fare propri fisicamente gli oggetti che lo circondano o poter utilizzarli in modo motorio (lanciarli). Esprimere tali intenzioni, cercando di realizzarle, con azioni che però spesso sono poco corrette, poco funzionali, in quanto ostacolate dal suo costante stato di agitazione motoria, con invadenza, dirompenza e quindi poco controllo del movimento.
Oppure, sempre rispetto alla realtà esterna, A. esprime all’altro l’intenzione, il volere, dopo che l’altro gliel’ha fatto provare, che continui a muoverlo passivamente, creandogli dei disequilibrio, e in particolare delle variazioni spaziali e posturali che provocano particolari sensazioni vestibolari e cenestesiche; manifesta quindi l’intenzione all’esterno ma essa riguarda aspetti interni. Mette in atto questa intenzione con il sorriso e un movimento che imita quello che desidera, in modo che l’altro comprenda; con questa modalità A. dimostra di possedere “intenzione richiestiva”, in quanto l’altro è utilizzato solo come uno strumento per soddisfare il proprio intento e raggiungere lo scopo desiderato.
Vi è poi l’azione di arrampicarsi, su oggetti o persone, o quella di andare sotto o di sospendersi o di divincolarsi, che non permettono invece di cogliere se e quale sia l’intenzione sottostante, ne tanto meno lo scopo da raggiungere. A., inoltre, non tenta di rendere più chiara l’eventuale intenzione alla base di queste azioni, ma cerca solo di continuare il suo movimento, anche contro l’opposizione fisica dell’adulto.
Per quanto riguarda i bisogni interni, fisiologici di A., come ad esempio il soddisfacimento della fame, l’intenzione si confonde ancora con il desiderio, dove la prima è soddisfatta solo se produce quelle specifiche azioni che conducono al risultato che si vuole raggiungere, il secondo, invece, è soddisfatto non appena è raggiunto il risultato desiderato, qualsiasi sia l’azione che l’ha permesso. A., quindi, permane ancora ad un livello pulsionale, esprimendosi soprattutto con agitazione motoria e non, ad esempio, con produzione verbale, che sarebbe più consona per l’età; sa dire la parola “papa”, ma non sempre funzionalmente, cioè al momento del bisogno reale.
Quindi, qualsiasi siano le sue intenzioni, la sua modalità per cercare di attuarle è il movimento e non, per esempio, la produzione verbale che, come già detto, è molto carente e limitata per permettergli un tale utilizzo.
Tali intenzioni sono però limitate ed ostacolate proprio dal disturbo motorio che A. presenta, ed inoltre dal deficit nella sintesi percettiva e nella rappresentazione mentale della realtà e di sé, che non permettono lo sviluppo di intenzioni più articolate e un’esecuzione più consona ed efficace. Si viene a creare un vero circolo vizioso in cui le esperienze povere che A. vive, dovute al movimento perturbante, determinano difficoltà percettive e quindi rappresentative, che, a loro volta, rendono possibili solo intenzioni scarse e limitate ed esecuzione, azione nella realtà deficitaria, con conseguenti poche esperienze.
Come già detto, A. prende difficilmente in considerazione l’altro, non lo fa entrare nello spazio delle sue intenzioni, non lo aiuta, se necessario, a capirle, attraverso aggiustamenti, piccole strategie verbali ma anche non, e nemmeno coglie l’aiuto che l’altro tenta di dargli quando la sua intenzione è chiara, ma il modo con cui cerca di realizzarla e giungere allo scopo non appropriato. Infatti, nei confronti dell’altro le modalità che mette in atto sono: il continuare le sue azioni, spinto dalla sua intenzione, senza curarsi dell’altro; a volte, l’adeguarsi lui alle azioni altrui abbandonando il suo intento, se non può fare altrimenti; oppure, in caso venga ostacolato dall’altro in azioni che vuole compiere a ogni costo, anche se pericolose come l’arrampicarsi, piange, si irrigidisce e cerca di divincolarsi dal blocco fisico dell’adulto.
Non prende nemmeno in considerazione le intenzioni altrui, non ne è consapevole, dimostrando, quindi, di non possedere una “Teoria della Mente”. Questo significa che non possono realizzarsi tra lui e l’altro momenti di attenzione condivisa, di triangolazione sé – altro – oggetto di interesse, e nemmeno di condivisione di uno spazio intenzionale, nel quale ognuno porta le proprie intenzioni cercando di farvi entrare l’altro. Pertanto, è un bambino che non coinvolge nei propri intenti ne riesce ad essere coinvolto dalle intenzioni altrui, per poter così imitarle o obbedirvi o perturbarle in qualche modo.
L’accordo dei genitori con le intenzioni di Alex
Alle sedute di terapia partecipa solo la mamma di A., mentre il padre non è mai presente. Solitamente, quando A. e sua madre entrano in stanza, lei lo pone sui tappetoni già predisposti per lui e ai bordi di questi si siede sul fianco. Dal punto in cui si siede inizialmente si sposta durante la seduta, ma rimando sempre ai bordi, a seconda di come si svolge la terapia, cioè da dove bambino e terapista si collocano per le varie attività e se in queste viene richiesta o meno la sua collaborazione; si pone, quindi, vicina a suo figlio ma a una giusta distanza per lasciare spazio fisico all’interazione bambino – terapista. Dalla sua posizione guarda il proprio bambino, a volte lo richiama a sé mostrandogli un giocattolo su richiesta della terapista, che la fa collaborare attivamente, mentre non prevarica mai quest’ultima. Vi sono poi dei momenti in cui il bambino le va vicino spontaneamente e si “arrampica” su di lei, che lo abbraccia e gli richiede dei baci mentre lui, pur mostrando di gradire con il sorriso e, a volte, con qualche bacio, risponde comunque con costante rigidità ed irrequietezza motoria; quindi tra madre e bambino non c’è corrispondenza tonico-posturale.
Spesso, durante la terapia, la mamma di A. interviene per riferire alla terapista tutto quello che il bambino fa a casa, sottolineandone capacità che, invece, o non emergono proprio o emergono ma in modo meno sviluppato durante la terapia, o riferendo di eventuali nuovi esami che A. deve eseguire o ha già eseguito. Il contenuto di tali interventi comunica quanto questa madre abbia bisogno di crearsi un’immagine del suo bambino come più capace di com’è veramente e quindi, in questo modo, di sostenere maggiormente la sua speranza di un futuro più possibile per A.. Invece, il fatto di intervenire così frequentemente, a volte non lasciando nemmeno alla terapista modo per concentrarsi nella terapia con il figlio, mostra il suo bisogno d’esser ascoltata e capita, il bisogno che, almeno qualche volta, la situazione di terapia sia un momento per sé, uno spazio a lei rivolto. Inoltre, anche al termine della terapia, spesso la madre rimane ancora in stanza a parlare e, a volte, dà da mangiare al bambino, che le si agita in braccio, scivolando fino a stendersi sulle sue gambe, da dove lei lo riprende e pone in una miglior posizione, il tutto in modo quasi automatico e continuando a parlare; anche in questa situazione, quindi, vi è poca corrispondenza tonico-posturale tra i due.
Per quanto riguarda le intenzioni di A. la madre costantemente cerca di capirle ed accordarvisi. Nel racconto degli aneddoti che avvengono a casa, per esempio, si può intuire il suo voler riconoscere ad A. o più intenzioni di quante realmente ne presenti o intenzioni più sviluppate, articolate e non così ristrette entro un perimetro limitato come sono in verità. In questo caso non vi è un accordo con le intenzioni di A., quanto piuttosto un crearle, per sostenere l’immagine più positiva ma irrealistica che ha o vorrebbe avere del suo bambino.
In terapia, invece, quando A. mostra l’intento di voler raggiungere un certo oggetto per poterlo così utilizzare, di solito per lanciarlo o per metterlo in bocca, la madre, inserita dalla terapista nell’attività, sostiene insieme a quest’ultima l’intento del bambino, incitandolo verbalmente.
Quando A. si arrampica sugli oggetti, che per dimensione glielo permettono, la mamma non comprende se vi è e qual’é l’intenzione alla base di quest’azione, ma vi si oppone, anche perché pericolosa per un bambino come A., che non sa cadere in modo adeguato. Se, invece, si “arrampica” su di lei, la madre traduce ciò come bisogno di ricevere rifornimento emotivo, grazie a un avvolgente abbraccio e qualche coccola; quindi, questa mamma crea l’intenzione sottostante all’azione se in realtà non vi è, o, se esiste, vi attribuisce un preciso significato, mettendo in atto la capacità materna dell’anticipazione.
La mamma di A., quindi, tenta di accordarsi con gli intenti del figlio ma lo fa più che altro creandoli e/o dandogli lei un significato che non capendoli e sostenendoli; ciò le permette di supportare e confermare maggiormente l’immagine che ha di lui.
Perciò, pur provando ad essere in sintonia intenzionale, ma anche posturo- comunicativa con A., spesso non vi riesce, oltre che per le problematiche del bambino, anche perché è più attenta ad insegnargli come si eseguono correttamente le cose che non alle sue reali necessità, e perché non tenta di accordarsi con il bambino reale ma con un’immagine da lei creata. Questa madre dimostra d’esser una mamma “cognitiva”, che indaga verbalmente il comportamento del figlio, che prova continuamente a dare a tale comportamento dei significati, creandosi, così, delle rappresentazioni illusorie, fittizie, e permanendo ad un livello concettuale. È una mamma in difficoltà con il figlio, che si chiede se e quanto lui la comprenda, in difficoltà con la situazione di malattia, tra l’altro non ancora ben definita, una mamma che ha bisogno lei, in prima persona, di un aiuto.
CAPITOLO QUINTO
Il secondo protagonista delle Intenzioni: Safiria
Anamnesi
S. L. nasce il 14/09/10 da taglio cesareo, per alterazioni del tracciato cardiotocografico, alla 36^ settimana gestazionale, dopo una gravidanza decorsa con riscontro di rene dx multicistico alla 25^ settimana e ricovero alla 35^ per bradicardia fetale. Peso alla nascita 2400 gr, lunghezza 48 cm, cc 33 cm, Indice di Apgar 8 al 1’ e 8 al 5’.
La madre è in buona salute, il padre presenta calcolosi renale, la sorella maggiore (6 anni) è sana.
Subito dopo la nascita viene trasferita in TIN per polidispnea e bradicardia: S. presenta episodi di polidispnea per 10/12 giorni che poi si risolvono spontaneamente; è sottoposta a fototerapia dal 20 al 29/09; sono eseguiti anche esami ematochimici e delle urine (nella norma), ecocardiogramma per soffio sistolico (minima accelerazione del flusso alla valvola polmonare), ecografia cerebrale (lieve assimetria dx < sx, non patologica), valutazione nefrologica (rene dx multicistico, funzionalità renale normale) e visita genetica (cariotipo: 46 XX; ricerca del 22q11.2 negativa).
È dimessa il 30/09 con diagnosi di rene multicistico dx, malformazione cardiaca (PFO e PDA, turbolenza a livello della valvola polmonare), blefarofimosi bilaterale con opacità corneale e ptosi palpebrale destra, ipotonia assiale e iperlassità ligamentosa.
S. nel tempo è sottoposta a valutazioni cliniche e ad alcuni accertamenti per chiarirne il quadro:
- Controllo cardiologico ed ECG (Novembre 2010): condizione clinica stabile (minima insufficienza mitralica, turbolenza a livello della valvola polmonare, PDA piccolo, piccolo difetto interatriale (PFO), possibile origine della circonflessa dalla coronaria destra). L’anno dopo (Novembre 2011) PFO e PDA chiusi e persistenza di una lieve turbolenza alla valvola polmonare;
- Ecografia delle anche (Novembre 2010): nella norma;
- Valutazione nefrologica e scintigrafia renale con MAG3 (Novembre 2010): confermata la presenza di rene multicistico a destra di ridotte dimensioni per esclusione funzionale dello stesso e buona funzionalità con ipertrofia compensatoria del rene sinistro;
- Visita oculistica, valutazioni ortottiche e PEV:
- (Febbraio 2011): opacità corneale tenue centrale ovalare bilaterale ad asse maggiore orizzontale, diametro corneale nella norma, cristallino nella norma, blefarofimosi (OS > OD), ptosi marcata OD (deficit elevatore palpebra), scosse orizzontali di nistagmo esauribili;
- Valutazione ortottica (Aprile 2011): fissa OS, exoforia OD, acuità visiva nel limiti inferiori del range di normalità per l’età per entrambi gli occhi;
- PEV (Luglio 2011): la funzione retinica testata con elettrodo di superficie al nasion risulta sprovvista di caratteri patologici; la trasmissione retino-corticale degli stimoli flash e/o l’attivazione corticale risultano lievemente alterati;
- Valutazione ortottica (Gennaio 2012): astigmatismo miopico, opacità corneale OS > OD, fundus normale, exoforia-tropia OD, fotofobia assente, movimenti oculari spontanei di esplorazione ambientale finalizzati, a momenti light-gazing, capo ruotato a sx con mento sollevato e sguardo a dx, riflessi pupillari diretti e consensuali presenti, convergenza difficoltosa, sensibilità al contrasto nella norma, acuità visiva nel range di normalità per la sua età cronologica (per OD nei limiti inferiori), movimenti saccadici e di pursuit presenti, campo visuale di sguardo nelle norma per l’età, leggermente ridotto superiormente a destra compatibilmente con la ptosi;
- Valutazione oftalmologica (Marzo 2012): acuità visiva sotto il range di normalità per OD, migliorata per OS;
- Valutazione neurologica (Febbraio-Luglio 2011): vigile, reattiva, pianto valido, scarsa mimica facciale. Scarsa iniziativa motoria, ipotonia assiale centrale non associata ad astenia, con scarso controllo del capo, iperlassità legamentosa, ROT vivaci bilateralmente, (ROT patellari simmetrici e vivaci, riflesso plantare in flessione bilateralmente), non anticipa alla trazione. Apparente scarso uso del canale visivo con difficoltà di fissazione e inseguimento visivo. Cute pallida, mucose roseo-pallide idratate; abbondante sudorazione. Obiettività toraco-addominale nel limiti (petto lievemente scavato). Soffio 1-2/6 in BBS. Dismorfismi facciali: assimetria facciale, bozze frontali prominenti, FA normotesa, plagiocefalia, fessure palpebrali oblique alto-esterne e corte, blefarofimosi bilaterale, occhi infossati, con impressione di assimetria dei globi oculari, ptosi palpebrale dx, opacità corneale (OD > OS), pupille grigiastre isocoriche, isocicliche, normoreagenti, strabismo, nistagmo orizzontale esauribile con ampie scosse nelle sguardo laterale verso sinistra, naso tubulare, microretrognazia, elice semplice, filtro lungo, orecchie lievemente retro-ruotate. Mani nella norma, piedi in posizione talo-valgo-pronata con ipoplasia ungueale. A luglio 2011 presenta miglioramenti: piccole acquisizioni nel tono e nella relazione (sorride dai 5 mesi), fissa, segue per brevi tratti (più difficile verso l’alto), meglio con facilitazione luminosa o sonora (maggiore interesse per il volto umano), si orienta al suono;
- Consulenza genetica (settembre 2011): alla luce del quadro clinico di S., è disposta l’esecuzione del test genetico array-CGH per rilevare la presenza di eventuali riarrangiamenti genomici. Probabile diagnosi (in via di definizione): sindrome dismorfo-genetica;
- BAERS (Ottobre 2011): la conduzione lungo la via acustica centrale a livello del tronco cerebrale risulta nei limiti della norma; soglia uditiva entro i 30 dB nella frequenza 2000-4000 Hz;
- RMN cerebrale (Gennaio 2012): atrofia cerebrale con alterazioni del segnale della sostanza bianca;
- Audiometria tonale (Maggio 2012): soglia uditiva in campo libero nei limiti di norma; riflessi stapediali presenti bilateralmente; DPOAE presenti bilateralmente;
- EEG (Giungo 2012): nei limiti della norma.
Sviluppo psicomotorio
S. presenta ipotonia generalizzata e iperlassità ligamentosa in quadro di ritardo psicomotor La crescita staturo-ponderale è regolare; non vi sono difficoltà nell’alimentazione (allattamento con latte formulato; svezzamento a 6 mesi, per ora mangia solo cibi semisolidi), l’appetito è buono, l’alvo è tendenzialmente stitico, la diuresi regolare; il ritmo sonno-veglia è regolare.
A 2 mesi di età S. presenta scarse reazioni, sia motorie che attentive e comunicative, di adattamento e di risposta agli stimoli (passività comportamentale); non ha risposte visive di difesa.
A 5 mesi non ha ancora raggiunto il controllo assiale del capo, che raggiungerà a 8; mostra difficoltà di fissazione e inseguimento visivo; iniziano i primi sorrisi.
A 10 mesi in posizione supina mantiene gli aaii abdotti con piedi valgo-pronati; riesce a rotolare da supina a prona solo con facilitazione, ma non ha un completo svincolo del cingolo superiore; da prona solleva il capo e il tronco sostenendosi sugli aass per brevissimo tempo. È poco interessata agli oggetti, non afferra spontaneamente, e la prensione è grossolana. Vi è apparente scarso uso del canale visivo, ma presenta piccole acquisizioni nel tono e nelle relazioni. Non emette vocalizzi; dai 12 mesi inizia la lallazione.
Incomincia a rimanere seduta autonomamente dai 13 mesi, ma a tratti si lascia cadere in avanti.
A 18 mesi da prona libera a fatica le vie aeree, emirotola, non gattona, non mantiene autonomamente la posizione eretta, ma se vi viene posta sostiene il suo peso; quindi, i passaggi posturali sono molto difficili. Afferra gli oggetti con presa a rastrello ma appare poco interessata, li passa da una mano all’altra. Fissa e segue con lo sguardo (meglio verso dx). Produce una bisillaba (mamma).
A 21 mesi rotola da supina a prona da entrambi i lati, non striscia, sta seduta autonomamente in cifosi dorsale e con capo flesso in avanti, inizia a deambulare con appoggio; i passaggi posturali permangono perciò molto difficoltosi, e la motricità spontanea è scarsa, anche se sono possibili i movimenti antigravitari. S. è discretamente interessata agli oggetti proposti, li afferra con pinza superiore ma mostra una manipolazione fine impacciata. Pronuncia due parole: mamma, papà. Non indica. A volte si incanta.
Espressività psicomotoria
- Categorie psicomotorie:
- Spazio: l’uso che S. fa dello spazio è di tipo molto limitato e statico, permanendo per lo più dove viene posta. Lo spazio privilegiato da S. è quello corporeo e pericorporeo, cioè tra le braccia genitoriali o in un altro contenitore. L’esplorazione stessa dello spazio è frammentaria, superficiale, e limitata all’osservare l’allontanamento dell’altro, inteso come persona od oggetto, attraverso la vista, tra l’altro deficitaria. Lo spazio interpersonale condiviso con la terapista è molto ravvicinato, vista la sua necessità di un costante aiuto posturale, ma da lei non accettato: protesta con un vigoroso e incessante pianto alla vicinanza della terapista e alle proposte che questa tenta di farle, trovando consolazione e tranquillizzandosi solo se ripresa in braccio dai genitori e finché vi rimane.
- Tempo: non c’è in S. un senso del tempo, come tempo che passa ne come sequenzialità. Le rare volte in cui si riesce a coinvolgerla in qualche attività, il ritmo delle azioni è lento e monotono e la permanenza stessa nelle attività intermittente e molto breve.
- Tono muscolare: S. è caratterizzata da un tono generalizzato molto basso, che si mantiene tale anche nell’azione e nell’interazione, essendo quindi poco adeguato: non regolandosi all’azione la rende più difficile e meno funzionale, nell’interazione, che come già detto è molto ravvicinata, non permette un adattamento reciproco. Il tono subisce un leggero innalzamento, senza arrivare però all’irrigidimento, quando S. piange disperata.
- Posture: l’assetto posturale che S. presenta è fisso e poco funzionale allo scopo: essa sta seduta autonomamente, ma ricurva in avanti e con la testa bassa, e a volte cade all’indietro; in ginocchio appoggiata ad un sostegno anteriore con il tronco; eretta sempre con appoggio e mantenendo il capo basso. Lo sguardo di S. verso l’adulto è sfuggente, vago e casuale, se non quando viene richiesto dall’altro con insistenza; su di sé, invece, non richiede consapevolmente lo sguardo dell’adulto. Mimica gestuale e facciale sono assenti, apparte qualche raro sorriso e la mimica dovuta al pianto. I passaggi posturali in orizzontale sono lenti, prevedibili e eseguiti su sollecitazione e con l’aiuto dell’adulto, mentre, in verticale non è in grado di realizzarne.
- Movimento: la caratteristica motoria che contraddistingue S. è la staticità: essa ha sì raggiunto la capacità di deambulare appoggiandosi a qualcosa e aiutata nel movimento dall’adulto, ma in lei non si coglie una grande motivazione al movimento; sta dove viene posta, e se prova malessere, non cerca rimedio, cambiamento di posizione attivandosi motoriamente, ma piange per tornare in braccio ai genitori; anche la motricità fine è deficitaria, con una presa, da poco comparsa, molto instabile e spesso non efficace; in generale, quindi, i movimenti che compie sono limitati, instabili, poco funzionali e contestualizzati, messi in atto solo se la bambina viene posta in situazione dall’altro, attraverso la vicinanza fisica di quest’ultimo. La musica, ed in particolare la canzoncina “Nella Vecchia Fattoria”, ha però il potere di attivarla, tanto che S. sorride e in piedi, tenendosi con le mani a un sostegno, inizia a molleggiare sulle ginocchia.
- Oggetti: nelle proposte fatte a S. vi sono oggetti sia piccoli che grandi, sia morbidi che duri, tutti molto colorati: palline, cerchietti, strumenti musicali come il tamburello e una piccola tastiera con grossi tasti colorati, ecc.. La bambina non mostra particolare preferenza per qualcuno di questi; non è in grado di discriminarli e categorizzarli per forma, colore, dimensione e funzione. Utilizza gli oggetti a disposizione in modo sensoriale, come nel caso delle palline messe in bocca, motorio, se invece lancia palline o dischetti, funzionale e sensoriale insieme, quando batte le mani sul tamburello o sui tasti della tastiera per farli suonare. Accompagna l’utilizzo di tali oggetti con uno sguardo molto rapido e intermittente su di essi.
- Voce: S. utilizza la voce durante quasi tutta la durata della seduta per far sentire il suo acuto pianto di protesta per la situazione non gradita e il desiderio di ritrovare un contatto corporeo prolungato con i genitori. A volte la usa invece per pronunciare le due parole che sa dire (mamma- papà), con volume basso, intonazione piana e monotono.
- Azione: l’azione principale di S. è il pianto, di cui è ben chiaro lo scopo. Un’altra azione spesso presentata dalla bambina è il mettersi il dito in bocca, anche in momenti in cui le è poco funzionale e la ostacola nel fare altro. Le altre azioni di S., che sono di tipo sensoriale, motorio e funzionale, sono molto semplici e necessitano di una continua sollecitazione esterna, mentre è per lei impossibile compiere una serie concatenata di azioni complesse. A volte ripete la stessa azione, anche se con momenti di sospensione, per ottenere un certo effetto. Passa molto lentamente da un’azione ad un’altra e solo se è l’adulto a proporre il cambiamento; spontaneamente, invece, interrompe dopo poco tempo la propria azione, rimanendo immobile. I cambiamenti, siano essi di attività, d’azione o di oggetto, sono accettati, anche se avvengono improvvisamente; il problema è che spesso S. non accetta proprio la terapia, piangendo, come detto, da quando entra a quando esce dalla stanza. L’azione altrui le interessa se le si rivolge direttamente soprattutto per imitarla, come nel caso di suonare uno strumento dopo che l’ha fatto lei; a volte, A. “risponde” suonando ancora, venendosi così a creare una sorta di alternanza, di turno.
- Gioco: le azioni di S. non sono propriamente inserite in una cornice di gioco: si può parlare di azioni giocose più che di gioco vero e proprio; azioni, però, solo abbozzate e che tendono rapidamente all’esaurimento. Queste azioni sono di tipo sensoriale con l’utilizzo soprattutto della bocca per una manipolazione di tipo orale, motorio senza regole prestabilite nel lanciare piccoli oggetti, funzionale e sensoriale insieme nell’utilizzare gli strumenti per sentirne il suono.
- Competenze relazionali e manifestazioni emotive: le competenze relazionali e le manifestazioni emotive di S. sono condizionate dai cambi situazionali, come l’entrare nella stanza di terapia, che determina un netto rifiuto. L’interazione è caratterizzata, come già detto, da attività sensoriali, motorie e funzionali, con cambiamenti che dipendono principalmente dalla terapista, la quale cerca, attraverso variazioni del contesto e delle attività, di aumentare nella bambina il repertorio di azioni e di attività. S., quando non rifiuta dall’inizio la terapia, non è turbata dalle modifiche, ma vi risponde sempre con lo stesso repertorio d’azioni, mentre da parte sua non vi è alcuna proposta. Guarda qualche volta l’adulto, ma per brevi momenti, in modo spesso casuale e soprattutto se questo si trova nel suo campo visivo. Ha una costante necessità di vicinanza fisica ai genitori, mentre spesso rifiuta col pianto qualsiasi proposta. Non vi è in lei condivisione delle esperienze, senso di reciprocità con adattamento all’altro. Infatti, per esempio, accetta l’oggetto dall’altro ma non lo dà, e tanto meno realizza uno scambio, prendendo ciò che le si porge e lasciando cadere l’oggetto che eventualmente ha in mano. S. presenta passività emozionale con la sola alternanza tra il pianto, spesso presente, e momenti di tranquillità. Infatti, le poche manifestazioni emotive dimostrate dalla bambina sono: il rifiuto deciso e il non piacere per la situazione di terapia, dimostrati con questo pianto incessante; l’accettazione, alcune volte, delle proposte giocose che le vengono fatte, manifestata attraverso la tranquillità; il piacere nel sentire le canzoni, espresso con il movimento a ritmo.
- Organizzazione percettiva, formazione della rappresentazione interna della realtà esterna (RIRE) e competenze cognitive: S. presenta un deficit percettivo, ossia della capacità di elaborare cognitivamente le esperienze sensoriali, che permangono slegate e non interiorizzate. Deficitarie sono anche la capacità di rappresentarsi mentalmente il mondo esterno e quella di possedere una corretta rappresentazione di sé, con conseguenti scarse ed inadeguate azioni nella realtà. S. non si accorge dell’effetto delle azioni, anche proprie; è incapace di essere consapevole nei propri agiti, con impossibilità di compiere piccoli ma continui adattamenti funzionali alla realtà circostante; è incapace di compiere riflessioni e quindi elaborazioni delle esperienze vissute; non presenta capacità previsionale, progettualità, iniziativa, capacità di scelta binaria.
Il Sé intenzionale di Safiria: LA NEBBIA
In S. è presente un abbozzo di intenzionalità, ossia la proprietà degli stati mentali che ne determina la direzionalità, l’esser “diretti verso”.
Sono presenti in lei anche delle tracce di intenzioni, semplici, elementari, in quanto legate soprattutto a bisogni di base, fisiologici o, al più, ad una realtà esterna circoscritta e riguardante sempre se stessa e mai l’altro, come persona dotata di stati mentali propri.
Figura 3: La Nebbia
L’intenzione che maggiormente esprime nelle sedute è quella di voler allontanarsi dalla “situazione” di terapia e ritrovare un contatto ravvicinato con i genitori, attraverso l’esser presa in braccia. Esprime questa intenzione, cercando di giungere al suo scopo, attraverso il pianto continuo con inattività, qualsiasi proposta le venga fatta.
Utilizza, però, questo stesso modo anche se l’intenzione è il voler soddisfare il bisogno primario della fame, “delegando” all’altro la traduzione, l’interpretazione del suo stato comportamentale.
Per quanto riguarda, invece, le poche intenzioni rivolte alla realtà esterna, queste riguardano il voler raggiungere e così fare propri fisicamente gli oggetti messi a sua disposizione, per poterli scoprire oralmente o utilizzare in modo motorio, cioè lanciarli, o, nel caso degli strumenti, per suonarli e sentire così la “musica”. Cerca di realizzare queste intenzioni attraverso azioni, che però sono spesso poco precise ed efficaci, non permettendo molte volte il raggiungimento dello scopo.
S., quindi, manifesta soprattutto intenzioni legate al Sé corporeo, ad un nucleo primario di sé, e lo fa attraverso un disappunto generale nei confronti della terapia, che non le permette di trovare soddisfacimento ai propri bisogni (contatto e alimentazione), disappunto che a sua volta si manifesta col pianto. Le rare volte che, invece, si riesce a coinvolgerla in qualche attività, esprime e tenta di attuare le sue intenzioni, rivolte al possesso e utilizzo di oggetti, attraverso il movimento, che dev’essere però sollecitato dall’altro.
Proprio il movimento, però, spesso non è funzionale, in quanto risente del tono basso di S., che poco si adegua all’azione e risulta non valido, e soprattutto risente delle importanti difficoltà della bambina nell’organizzazione percettiva e nella rappresentazione mentale di sé e della realtà. Tutto ciò ostacola e rende, quindi, difficile una corretta espressione, realizzazione delle intenzioni, e fa sì che le intenzioni stesse siano così limitate.
Anche se è l’altro che le permette di realizzare le proprie intenzioni, soprattutto quelle legate ai bisogni primari, S. lo utilizza come un semplice strumento per giungere al suo fine, per provare benessere nel contatto o nel soddisfacimento della fame; non rivolge all’altro, ai suoi stati mentali, le proprie intenzioni, ma lo usa per soddisfarle. Inoltre, visto che attraverso la medesima modalità, cioè il pianto, cerca di attuare intenzioni diverse, è l’altro che deve intuire di quale si tratti, mediante tentativi di soddisfacimento dell’una e dell’altra; S. non lo aiuta in questa comprensione, rendendo in qualche modo più chiaro il suo intento, per esempio con il movimento, con la produzione verbale o non, come la mimica gestuale e/o facciale, la postura, ecc.. Già più chiare sono invece le intenzioni rivolte alla realtà esterna, anche se pure in questo caso S. non fa nulla per renderle più comprensibili se non lo sono completamente.
Non porta l’altro nello spazio delle proprie intenzioni, non cerca di coinvolgerlo nei suoi intenti come persona con proprie intenzioni, ma semplicemente non se ne cura ed anzi lo usa per soddisfare i propri bisogni primari, dimostrando di possedere “intenzione richiestiva” ma non “dichiarativa”.
Quindi, non tiene conto delle intenzioni altrui, non ne è consapevole, dimostrando così di non possedere una “Teoria della Mente”. Ecco perché prosegue nelle sue modalità, finché non giunge allo scopo desiderato, e non presta attenzione all’intento dell’altro, adeguandosi, almeno qualche volta, ai tentativi di distoglierla dalla sua intenzione principale (allontanarsi dalla “situazione” di terapia e giungere tra le braccia dei genitori) con varie proposte.
Tra lei e l’altro non si realizzano momenti di attenzione condivisa, di triangolazione sé – altro – oggetto di interesse, e nemmeno di condivisione di uno spazio intenzionale, nel quale ognuno porta le proprie intenzioni cercando di farvi entrare l’altro, in un adattamento reciproco continuo. Perciò, è un bambina che non coinvolge nelle proprie intenzioni e non riesce ad essere coinvolta da quelle altrui, per poter così imitarle o obbedirvi o perturbarle in qualche modo.
L’accordo dei genitori con le intenzioni di Safiria
Alle sedute di terapia sono quasi sempre presenti entrambi i genitori di S., mentre solo qualche volta vi è l’uno o l’altra.
Solitamente S. arriva in braccio al padre che la siede sui tappetoni, se lo spazio per lei è stato organizzato così, o la “consegna” alla terapista, se l’attività prevede la stazione eretta e il cammino con appoggio. Se vi sono i tappetoni, uno dei genitori rimane seduto sul fianco al bordo di questi e l’altro su di una panchina appoggiata al muro a disposizione dei genitori. Se, invece, S. viene fatta camminare appoggiata ad un piano preparato per lei, i genitori, che inizialmente si siedono sulla panchina, sono sempre invitati dalla terapista a sedersi con degli sgabellini più vicino, cioè dall’altra parte del piano rispetto a dove si trovano lei e la bambina. Quasi sempre poi, a causa del disappunto per la situazione, manifestato da S. attraverso il pianto, i genitori, pur attendendo inizialmente per vedere se si consola da sola, sono ogni volta “costretti” a prenderla in braccio e camminare per la stanza così da calmarla.
Questi genitori spesso sono in difficoltà nel porsi posturalmente in modo adeguato allo spazio di terapia, come dimostra l’invito che ad ogni seduta deve fargli la terapista perché si collochino più vicini allo spazio creato per la loro bambina. Comunque, nonostante questa difficoltà, cercano di partecipare alle sedute seguendo con lo sguardo la terapia e quello che fa loro figlia, a volte intervenendo per incitarla, ma non prevaricando mai terapista e suo operato, anzi, lasciando spazio all’interazione tra quest’ultima e la bambina.
Rispetto alle intenzioni di S. i genitori cercano di accordarvisi in vario modo, ma non sempre vi riescono. Per quanto riguarda, ad esempio, l’intento principale che S. esprime, cioè il voler allontanarsi fisicamente da terapista e attività che quest’ultima le propone ed essere presa in braccio dai genitori, così da ritrovare il contatto corporeo con loro, i genitori cercano inizialmente di ignorarlo, sperando in una risoluzione spontanea del pianto con cui si manifesta, ma ogni volta si trovano “costretti” a renderlo possibile. A volte, invece, traducono il pianto di S. come intenzione di richiamare su di sé l’attenzione per trovare, però, soddisfacimento al bisogno della fame. In questi casi provano a darle qualcosa da mangiare e da bere, ipotizzando, appunto, che la sua intenzione sia rivolta a tale scopo.
Nei momenti della seduta in cui, invece, la bambina accetta la situazione di terapia, presenta anche delle intenzioni che si rivolgono agli oggetti della realtà esterna, cioè il voler raggiungerli per farli propri e utilizzarli, di solito lanciandoli o mettendoli in bocca o, nel caso degli strumenti, suonandoli. In queste occasioni i genitori, inseriti dalla terapista nell’attività, sostengono insieme a quest’ultima l’intento della bambina, incitandola verbalmente e/o imitandola.
In generale, quindi, le intenzioni di S., così semplici, circoscritte entro il perimetro limitato dei propri bisogni, sono continuamente aiutate dai genitori e spesso da loro interpretate, affinché non vengano perse appena emerse e/o vengano realizzate.
Questi genitori non possono godere dell’esperienza di condivisione di uno spazio intenzionale con la propria bambina, in quanto quest’ultima, non solo, come appena detto, non riesce da sola a sviluppare le sue intenzioni dal loro emergere sino alla realizzazione, ma anche non è in grado di portare l’altro in queste intenzioni, come persona dotata di stati mentali che vi può compartecipare con lei, così come non è in grado di cogliere le intenzioni altrui ed agirvi in qualche modo. Tutto ciò rende impossibile un adattamento reciproco bambina – genitori, ma nemmeno permette ai genitori di riuscire ad entrare nello spazio mentale di S. e comprenderlo almeno un po’ di più; essi, infatti, permangono all’interno dello spazio d’azione corporea della bambina. Tale difficoltà si rivela soprattutto nel padre, attraverso continue battute sarcastiche rivolte sia ad S. che alla madre, le quali, in questo modo, sono poste sullo stesso piano. Tali battute, però, sono anche il suo modo per affrontare la situazione, per rapportarsi con figlia e moglie.
Quindi, pur provando ad essere in sintonia intenzionale, ma anche posturo- comunicativa con S., spesso i suoi genitori non vi riescono: sono in difficoltà con la figlia, con la sua situazione di malattia, tra l’altro non ancora ben definita, e con le incognite che questa determina per il futuro, ma soprattutto sono in difficoltà perché non riescono a comprendere maggiormente lei ed i suoi stati mentali.
CAPITOLO SESTO
Il terzo protagonista delle Intenzioni: Giacomo
Anamnesi
G. M. nasce il 17/05/09 alla 24^ settimana gestazionale (grande prematuro): è il primogenito, pesa 700 gr, Indice di Apgar non verificato in quanto grande prematuro. La madre ha avuto difficoltà a rimanere gravida, e prima di questa gravidanza vi sono stati degli aborti (non conoscenza del n°). Subito dopo il parto G. viene trasferito nel reparto di Patologia Neonatale, fino ai 3 mesi e mezzo: il bambino presenta polidispnea, e desaturazione per cui viene sottoposto a O2 terapia; terapia che poi prosegue durante il sonno notturno a domicilio fino a Dicembre 2009 (7 mesi post-partum).
G. viene sottoposto nel tempo ad alcuni accertamenti:
- RMN cerebrale (Settembre 2009) il cui esito è: siti di pregressa emorragia periventricolare con persistenza di emosiderina a livello dei corni occipitali dei ventricoli laterali ed in corrispondenza della cella media del ventricolo laterale sx. Non sono evidenti lesioni cistiche periventricolari; la mielinizzazione è nella norma. Con analisi trattografica (DTI) si apprezza un corretto sviluppo dei fasci della corona radiata e del corpo calloso. Non lesioni recenti in diffusione. Sistema ventricolare normoconformato;
- Valutazione oculistica (Febbraio 2010): leggero strabismo convergente, difficoltà a muovere gli occhi in senso verticale, scarso mantenimento della fissazione.
Sviluppo psicomotorio
Il ritmo sonno-veglia così come quello alimentare sono da subito regolari.
All’età di 6 mesi G. presenta schemi motori rigidi e poco variabili: movimenti generalizzati (GMs) presenti e regolari; scarsa libertà di scelta dei pattern e variabilità posturale ridotta; controllo assiale discreto e movimenti segmentali distali presenti; ancora ben evidente il grasp palmare; capacità di portare gli arti superiori sulla linea mediana; lieve assimetria cranica con tendenza a mantenere il capo rivolto verso sinistra.
A 9 mesi sorride e aggancia visivamente l’altro ma mantiene una costante eccitazione motoria in tutte le posizioni, non riuscendo a modularsi rispetto alle richieste. Tenuto dall’adulto sotto le ascelle compie una marcia che lo tranquillizza.
Intorno ai 10 mesi mostra una maggior libertà e variabilità di scelta dei pattern, con miglioramento della capacità di utilizzare il movimento per scopi intenzionali e delle competenze di mantenimento di posture diverse: da prono si sostiene sugli arti superiori; inizia i primi spostamenti (rotolamento, pivoting) e la prima forma di verticalizzazione, ossia il mantenimento della posizione seduta con aiuto o seduto in laterale con appoggio della mano; riesce a stare in ginocchio se sostenuto.
A 15 mesi utilizza lo spostamento quadrupedico sul piano orizzontale in modo spedito e inizia ad alzarsi in stazione eretta, facendo qualche passo in laterale con sostegno. La coordinazione oculo-manuale è migliorata, con capacità di utilizzare la pinza superiore, ed è buona anche la coordinazione bimanuale.
Inizia il cammino autonomo a 18 mesi (permane per alcuni mesi con una tendenza all’equinismo), che gli permette di acquisire nell’arco dei successivi 3-4 mesi la capacità di salire e scendere le scale, correre, calciare ecc..
Pur avendo raggiunto tutte le tappe dello sviluppo motorio, permane nel bambino un impaccio motorio, della grosso motricità ma soprattutto di quella fine, con ancora un evidente stato di agitazione comportamentale, anche se in via di miglioramento.
Comunque, pur mantenendo queste modalità di irrequietezza, la regolazione del comportamento generale dimostra l’aumento di stabilità nella relazione con gli altri ed anche nel controllo di sé: sono aumentate le competenze attentive e la tolleranza al compito strutturato, anche se G. tende a fissarsi sugli oggetti che preferisce; è un bambino propositivo, che esplora, imita gesti famigliari e non, si oppone alle limitazioni di esperienze, ecc..
Mentre sono in continua evoluzione lo sviluppo motorio e psicologico, permane un ritardo di linguaggio: il repertorio di parole e l’inventario fonetico sono comunque aumentati nel tempo, anche se li utilizza spesso per ripetere a specchio; ancora difficile è l’ascolto dei comandi verbali, se non ad alta significatività contestuale.
Espressività psicomotoria
- Categorie psicomotorie:
- Spazio: G. utilizza lo spazio in modo ampio, variabile e differenziato, muovendosi per tutta la stanza o stando a tavolino a seconda del tipo di attività. Invade lo spazio impetuosamente, soprattutto appena entrato, muovendosi per la stanza rapidamente e senza soffermarsi veramente su qualcosa. Non individua, non costruisce ne differenzia in qualche modo degli spazi privilegiati, ma si colloca in modo abbastanza appropriato in quelli predisposti dalla terapista. Lo spazio interpersonale è variabile, con momenti di avvicinamento ed altri di allontanamento sia alla terapista che alla mamma: G. sta con la terapista nel luogo deciso per l’attività e, alcune volte, corre a sedersi vicino alla madre per qualche secondo. Solitamente questi momenti sono decisi dalla terapista e accettati dal bambino, che a sua volta, per opporsi ad un’attività che non desidera più continuare o quando ha voglia di andare dalla mamma, mette in atto l’allontanamento. Accetta ma non ricerca il contatto corporeo, che solitamente è breve e limitato alle mani, in quanto utilizzato per aiutarlo nelle attività a tavolino.
- Tempo: il ritmo delle sue azioni è frenetico, con alternanza di “accelerazioni” e “brusche frenate”, tanto da non permettere di permanere su di una attività troppo a lungo, così come di riuscire ad attendere: G. fatica a rimanere temporalmente “in situazione”, per cui bisogna ripetutamente riportare la sua attenzione in essa.
- Tono muscolare: G. presenta un tono muscolare elevato e non modulabile sia di base che durante le azioni ed interazioni. Permane, quindi, in una situazione tonica di tipo “iper”, speso non adeguata.
- Posture: l’assetto posturale di G. è variabile e per lo più funzionale allo scopo: sta seduto, anche se irrequieto e mai fermo sulla sedia, per svolgere attività a tavolino; sta eretto, anche in questo caso muovendosi continuamente, per giochi di grosso motricità. Guarda l’adulto in modo diretto ma molto rapido e soprattutto su richiesta, mentre richiede raramente su di sé lo sguardo, se non quando desidera che l’adulto gli dia qualcosa. La mimica gestuale e facciale sono limitate, ma coerenti alla situazione: G. indica ciò che desidera, saluta con la mano, esprime gioia, tristezza e rabbia. I passaggi posturali sono veloci ma prevedibili, in quanto funzionali alle attività da realizzare, ad eccezione dei momenti in cui si alza e corre via perché non vuole più continuare con quel gioco.
- Movimento: G. è caratterizzato da una costante irrequietezza motoria, con conseguente difficoltà a permanere fisicamente in modo adeguato nell’attività, da impaccio sia della fine che grosso motricità, per cui non coordina correttamente occhio, mano ed oggetto, e da frammentarietà e superficialità delle esperienze. Il suo è un movimento che sfugge al controllo, fatica a permanere entro dei limiti e continuamente irrompe, “distruggendo” ciò che il bambino ha intorno, comprese le cose da lui realizzate.
- Oggetti: G. utilizza qualsiasi tipo di oggetto che gli viene proposto senza averne di preferiti: grande o piccolo, morbido o duro, conosciuto o meno. Li usa soprattutto in modo funzionale, compiendo con questi delle azioni consone al loro utilizzo (incastrare, inserire, costruire, lanciare, tirare ecc.), anche perché è abbastanza in grado di discriminarli e categorizzarli per forma, colore, dimensione, di costruire relazioni di identità e tra il tutto e le sue parti. L’azione con l’oggetto è accompagnata dalla ripetizione di ciò che l’adulto dice e dallo sguardo, che segue l’oggetto anche oltre il campo visivo nello spazio, ma che sfugge subito; l’oggetto, pur avendo un significato funzionale per G., viene rapidamente a perdere l’attenzione e l’interesse del bambino. Inoltre, a causa della frenesia motoria di G., l’oggetto non è stabile, ma rischia continuamente di cadere, di “distruggersi”.
- Voce: G. utilizza la voce soprattutto per ripetere costantemente a specchio ciò che gli è stato appena detto. Inoltre, la usa per rispondere alle domande, che, però, devono essere più volte ripetute per aver una risposta consona, e per nominare ciò che desidera, in modo da attirare su di sé l’attenzione dell’adulto per averlo. Il volume è modulato, il tono tendenzialmente monotono ma squillante e l’intonazione piana.
- Azione: le azioni compiute da G. sono di tipo sensoriale, funzionale e motorio, per lo più con scopo prevedibile e intenzione riconoscibile nella loro esecuzione. Esse sono ripetute più volte nello stesso modo, se così prevede l’attività che sta svolgendo, quindi coerentemente alla situazione, ma ha difficoltà a permanervi troppo a lungo. Tende a ripetere la stessa azione anche per ottenere un certo effetto, mostrando di riuscire a prevederlo, dopo averlo scoperto la prima volta. Ha difficoltà a compiere una serie di azioni concatenate, perdendo continuamente il focus attentivo, e necessitando perciò di un costante rinforzo verbale e a volte fisico. Sa passare velocemente da un’azione all’altra contestualmente, quando cioè la terapista propone qualcos’altro; di sua iniziativa, invece, non vi è un passaggio da un’azione ad un’altra vero e proprio, quanto piuttosto l’interrompere semplicemente ciò che sta facendo. Accetta i cambiamenti, annunciati ma anche improvvisi, sia di oggetto, che di azione che di attività. Adatta poco la propria azione a quella altrui, sovrapponendola spesso a quella dell’altro. È abbastanza interessato all’azione dell’adulto, soprattutto se questa viene enfatizzata e/o gli si rivolge direttamente per dargli un aiuto (fargli vedere come si fa), e la utilizza come modello, riproducendola nell’immediato anche se non molto correttamente.
- Gioco: G. riconosce e utilizza abbastanza la cornice di gioco proposta dall’adulto, mentre non ne crea autonomamente una nella quale inserire le proprie azioni. Non è lui, quindi, che propone dei giochi, ma accetta quelli che gli vengono proposti, siano essi ripetitivi o variati, e vi partecipa con l’adulto che ha più che altro funzione di guida. I giochi che svolge più frequentemente sono: sensoriali con la vista, come guardare le bolle che cadono; di costruzione o incastro semplici, in orizzontale, utilizzando oggetti piccoli come puzzle, costruzioni, ecc.; motori e sensoriali insieme, di velocità e senza regole prestabilite, come correre per sentire il suono della tartaruga che tiene legata ad una cordicella. Dalla situazione di gioco entra ed esce senza difficoltà, anzi anche troppo velocemente.
- Competenze relazionali e manifestazioni emotive: l’interazione è caratterizzata, come già detto, da attività sensoriali, ma soprattutto di costruzione e motorie, con cambiamenti che dipendono principalmente dalla terapista, la quale cerca, attraverso variazioni di modo e di attività, di aumentare nel bambino il repertorio di azioni. G. accetta le modifiche e l’aiuto nell’esecuzione, ma vi risponde sempre con lo stesso repertorio d’azioni, e da parte sua non vi è alcuna proposta. A volte guarda l’adulto, ma per brevi momenti e soprattutto se si trova nel suo campo visivo. Non ha necessità di una vicinanza costante all’altro, nemmeno alla madre. Non vi è in lui condivisione delle esperienze, creazione di ritmi nell’interazione, senso di reciprocità. Infatti, per esempio, accetta un oggetto da parte dell’altro senza problemi, mentre lo dà solo su richiesta così come riesce a scambiare solo se è l’adulto a proporre ciò. Le manifestazioni emotive che G. esprime sono: l’accettazione, come detto, rispetto alle proposte che gli vengono fatte; a volte, rifiuto con rabbia se non vuole più continuare l’attività; interesse e desiderio per qualcosa che lo attrae particolarmente; piacere una volta ottenuta la cosa desiderata, anche se velocemente l’abbandona.
- Organizzazione percettiva, formazione della rappresentazione interna della realtà esterna (RIRE) e competenze cognitive: le esperienze sensoriali di G. sono discriminate, selezionate e sintetizzate cognitivamente in modo abbastanza completo. L’agitazione motoria ed alcune difficoltà percettive determinano una rappresentazione mentale superficiale, con ripercussioni sulla rappresentazione di sé e sull’esecuzione, che risulta, come già detto, deficitaria. G. è incapace di compiere riflessioni e quindi elaborazioni delle esperienze vissute; la progettualità, l’iniziativa e la capacità di scelta binaria sono molto ridotte; non è in grado di soffermarsi sui propri errori, per poterli così correggere. È però anche un bambino curioso, che tenta per prove ed errori, che cerca di far da solo, che prova a stare “in situazione”.
Il Sé intenzionale di Giacomo: IL TEMPORALE
Gli stati mentali di G., tra cui le intenzioni, presentano intenzionalità, ossia l’esser “riferiti a”, “diretti verso”.
Proprio le intenzioni sono dirette al mondo esterno, inteso come oggetti, e soprattutto come giochi, ma non come persone, come stati mentali altrui. Tali intenzioni, pur non riferendosi all’altro e/o coinvolgendolo, non sono limitate entro un perimetro circoscritto, emergono frequentemente e in modo per lo più chiaro.
Figura 4: Il Temporale
In particolare G. esprime l’intenzione, il voler raggiungere il gioco che gli interessa per farlo proprio fisicamente e poterci così giocare. Se l’oggetto è raggiungibile senza bisogno d’aiuto, cerca di realizzare il proprio intento e giungere allo scopo mediante il movimento, o meglio attraverso una serie di azioni intenzionali. Nel caso in cui, invece, un gioco che attrae la sua attenzione non è raggiungibile fisicamente, ripete continuamente il nome di quell’oggetto, guardandolo e lanciando qualche rapida occhiata all’altro per vedere se lo aiuta nel recupero; G. utilizza l’altro come un semplice strumento utile per arrivare dove non riesce da solo, dimostrando, quindi, di possedere “intenzione richiestiva”.
Perciò, le modalità che il bambino utilizza per cercare di attuare le proprie intenzioni sono il movimento nel fare da solo e la produzione verbale, anche se limitata ad una semplice ripetizione, se necessita dell’adulto. Tali modalità, però, sono caratterizzate da “affollamento”: “affollamento” nel movimento, in quanto irrequieto, frenetico, scattoso e discontinuo; “affollamento” nella produzione verbale, in quanto ripetitiva e a specchio.
Purtroppo, però, le intenzioni di G. spesso si perdono, o durante la loro realizzazione o appena sono state attuate, a causa proprio del movimento, caratterizzato da irrequietezza, continua invadenza, perturbazione, e che sfugge al controllo, e a causa di una attenzione visiva molto labile, che viene costantemente persa, non permettendo di permanere troppo a lungo nella medesima intenzione. Inoltre, anche la poco profonda rappresentazione mentale della realtà esterna e di sé, determinata dalle esperienze superficiali, poco introiettate che G. vive a causa l’agitazione motoria, ha ripercussioni negative nella realizzazione delle intenzioni, non sempre corretta e funzionale, ma soprattutto nella ridotta permanenza in esse, che non permette di svilupparle, ampliarle e, magari, coinvolgervi l’altro.
G., infatti, non prende in considerazione l’altro, né come “oggetto”, scopo dei propri intenti, né come soggetto, cioè persona con propri stati mentali da far entrare e coinvolgere nelle spazio delle proprie intenzioni per condividerle insieme. Difatti, nel mettere in atto le sue intenzioni, le modalità che utilizza sono: cercare di attuare il suo intento, senza curarsi dell’altro, finché non raggiunge il suo scopo o, per lo meno, finché la sua attenzione permane in quella situazione; richiamare su di sé l’attenzione altrui, se necessita dell’altro come strumento per concludere la sua intenzione; a volte, se in mente ha un’intenzione che ad ogni costo vuole attuare, ma a cui l’altro si oppone perché non opportuna in quel momento, non demorde finché l’altro non cede e può così realizzarla; altre volte invece, quando vede che non può fare altrimenti, si adegua alle azioni altrui abbandonando il suo intento.
In generale le sue intenzioni sono ben chiare, quindi non ha la necessità di renderle tali con qualche strategia, qualche modificazione che aiuti l’altro a capirle; anche se tali intenzioni non sono chiare, G. non mette in atto particolari modalità perché l’altro capisca e, magari, sia reso partecipe, ma semplicemente ripropone sempre lo stesso modo, come, ad esempio, il ripetere il nome del gioco che vuole ma non riesce a raggiungere, finché l’altro comprende da solo e glielo dà.
Alle intenzioni altrui G. riesce ad obbedire in caso in cui esse siano a lui rivolte, come, ad esempio, quando la terapista cerca di creare con lui degli scambi, cedendogli il suo oggetto e chiedendo a lui di fare lo stesso: spesso il bambino non risponde alla mano della terapista aperta e tesa verso di lui in richiesta dell’oggetto, ma è lei che deve “prenderselo” dalla mano del bambino. Ciò dimostra che il bambino non coglie l’intenzione altrui, non vi partecipa adattandovisi, quanto piuttosto vi obbedisce passivamente.
Non essendo in grado di cogliere gli intenti altrui, di esserne consapevole, non è capace di creare con l’altro momenti di attenzione condivisa, in cui cioè l’altro viene considerato come un soggetto detentore di stati mentali propri, tra cui appunto le intenzioni, e con cui condividere lo stesso focus attentivo, non è capace di condividere uno spazio intenzionale, nel quale ognuno porta le proprie intenzioni cercando di farvi entrare l’altro, in un adattamento reciproco continuo; non possiede, quindi, una “Teoria della Mente”.
Perciò, è un bambino che non coinvolge nelle proprie intenzioni e non riesce ad essere coinvolto da quelle altrui, per poter così imitarle o obbedirvi attivamente o perturbarle in qualche modo.
L’accordo dei genitori con le intenzioni di Giacomo
Alle sedute di terapia partecipa solo la mamma di G., mentre il padre non è mai presente. Quando mamma e bambino entrano in stanza, G. la precede e poi, insieme alla terapista, si siede a tavolino o sta in piedi a seconda dell’attività scelta, mentre la madre si siede sulla panchina vicina al muro a disposizione dei genitori. Durante tutta la seduta lei rimane sempre lì e non interviene, se non su richiesta della terapista che le chiede spiegazioni quando il bambino dice qualcosa difficile da comprendere, sia per la forma inappropriata sia per il contenuto che non riguarda l’attività. Però, pur non intervenendo verbalmente e nemmeno partecipando e collaborando attivamente alle attività, segue comunque con lo sguardo la terapia e ciò che fa il suo bambino, ma non prevarica mai la terapista e lascia a quest’ultima e a G. tutto lo spazio d’interazione possibile. Tutto ciò dimostra che, pur essendo fisicamente all’interno della stanza, rimane posturalmente e spazialmente al di fuori delle attività di bambino e terapista, delle loro azioni intenzionali, che è un restare fuori anche e soprattutto mentale. Per quanto riguarda le intenzioni di G. la madre cerca di accordarvisi ma fatica a riuscirvi. Le intenzioni del bambino, che riguardano gli oggetti della realtà esterna, ed in particolare i giochi, da riuscire a raggiungere fisicamente per poterli utilizzare, sono solitamente sostenute ed aiutate nella loro realizzazione dalla terapista, mentre la madre, proprio per questo suo permanere ad osservare la situazione di terapia dal di fuori, interviene solo a volte e su richiesta della terapista. Tale intervento riguarda il provare a interpretare l’intento di suo figlio, a dargli lei un possibile e probabile significato quando è legato a qualcosa della vita quotidiana del bambino, che la terapista naturalmente non può conoscere. Spesso, però, pure lei non riesce a comprendere le intenzioni del figlio, per cui rimane attonita e con mimica facciale e gestuale esprime il non sapere come interpretarle, o, al più, fa qualche ipotesi un po’ a caso.
Quindi, nelle sedute di terapia la madre agisce sulle intenzioni di G. più per aiutare la terapista che suo figlio, cioè per cercare di tradurre a quest’ultima gli intenti del bambino non subito chiari perché non legati alla situazione di terapia, e non per sostenere G. nello sviluppo delle sue intenzioni.
Questa madre ed il suo bambino non sono in grado di condividere uno spazio intenzionale, nel quale ognuno porta le proprie intenzioni cercando di farvi entrare l’altro ed ognuno partecipa alle intenzioni altrui agendovi in vario modo: G. non coinvolge l’altro nei propri intenti e non si coinvolge in quelli altrui, così come la madre fatica sia ad entrare nelle intenzioni del figlio ed aiutarle sia a coinvolgerlo nelle proprie in modo deciso ed efficace. Ciò è dovuto alla difficoltà di questa mamma di trovare il giusto spazio fisico e soprattutto mentale nella relazione col bambino: sia fisicamente che mentalmente la madre segue il bambino, che detiene, quindi, una posizione di “precedenza” ed è, così, esposto e poco protetto da lei. Difficoltà che emerge anche quando ella risponde con la risata agli errori o all’incapacità del figlio, risata che cerca di nascondere ma in realtà rende più evidente tutta la sua tensione per una situazione che non sa come affrontare.
Perciò, pur provando ad essere in sintonia intenzionale, ma anche posturo- comunicativa con G., spesso non vi riesce, oltre che per le problematiche del bambino, anche per la sua difficoltà a “situarsi” ed agire in modo da ottenere maggiori e più positivi risultati nella relazione con il figlio.
CAPITOLO SETTIMO
Il quarto protagonista delle Intenzioni: Aurora
Anamnesi
A. Z. nasce il 21/05/09 da parto cesareo, per alterazione dei flussi, alla 31^ settimana gestazionale, dopo una gravidanza gemellare decorsa con riscontro ecografico di immagine a doppia bolla gastrica e somministrazione di cortisone per indurre maturazione polmonare fetale il 18 e 19/05/09. A. è la primogenita, pesa 1222 gr, lunghezza 38 cm, cc 27 cm, Indice di Apgar 8 al 1’ e 9 al 5’.
I genitori sono in buona salute generale così come la sorella, che avrà un normale sviluppo psicomotorio.
Subito dopo la nascita viene riscontrato distress respiratorio ingravescente e, attraverso l’RX toracico, malattia delle membrane jaline di 2° grado, per cui si procede alla ventilazione meccanica e al trasferimento in Patologia Neonatale: il miglioramento del quadro respiratorio permette l’estubazione nelle prime 24 ore di vita e il passaggio a ventilazione non invasiva; all’ingresso posizionato catetere venoso ombelicale per terapia infusiva, sostituito da quello centrale in 2° giornata di vita, nel corso di un intervento chirurgico correttivo per atresia duodenale; successivamente, graduale ripresa della funzionalità intestinale, con progressiva riduzione della nutrizione parenterale fino alla sua completa sospensione e rimozione del catetere il 12/06; alla nascita eseguito ecocardiogramma che mostra presenza di pervietà del dotto di Botallo, risultato chiuso al controllo in 3° giornata di vita; eseguita fototerapia il 26 e 27/05; vengono effettuati anche esami ematochimici e delle urine (nella norma), ecografia cerebrale (nella norma), ecocardiogramma il 25/06 per soffio sistolico (pervietà del forame ovale con shunt sx-dx, buona funzionalità biventricolare, setto interventricolare integro, efflussi liberi, lieve stenosi del ramo sinistro dell’arteria polmonare), valutazione oculistica (fundus oculi nella norma), valutazione audiologica mediante otoemissioni acustiche (dubbie), screening neonatale per ipotiroidismo (dubbio) e, alla luce della clinica (facies tipica, solco palmare unico), analisi del cariotipo (47 cromosomi con trisomia 21).
È dimessa il 04/07 in buone condizioni generali, con peso di 1910 gr, lunghezza 42 cm, cc 31 cm. La diagnosi alla dimissione è di Sdr. di Down.
S. nel tempo è sottoposta ad alcuni accertamenti:
- Controllo della funzionalità tiroidea (TSH e FT4): ipotiroidismo;
- Valutazione audiologica con ABR: nella norma.
Sviluppo psicomotorio
A. presenta ritardo psicomotorio in Sdr. di Down; il ritmo sonno-sveglia così come quello alimentare sono regolari.
All’età di 4 mesi si presenta disponibile, fissa l’altro e sorride con enfasi ai genitori.
Inizia a rimanere in stazione eretta con sostegno e a fare i primi passi per mano all’età di 19 mesi; un mese dopo rimane in stazione eretta senza appoggio e per mano si muove spedita. Riesce sia ad alzarsi da seduta che a sedersi con l’appoggio. Continua a mantenere un carattere disponibile (sorride tantissimo). Privilegia i giochi sonori.
Raggiunge il cammino autonomo all’età di 2 anni e mezzo e velocemente impara a salire su piccoli gradini (non ancora su quelli alti), a scivolare sullo scivolo, ecc.. Sempre in questo periodo inizia a mangiare da sola.
A. attualmente pronuncia qualche parola, soprattutto su richiesta dell’adulto, ma comunica e interagisce con l’altro soprattutto utilizzando varie strategie non verbali efficacemente: la gestualità codificata con codice convenzionale, per es. il saluto con la mano in risposta al saluto dell’altro, l’indicare con braccio e indice estesi ciò che vuole, l’allungare il braccio e aprire la mano per farsi dare qualcosa. Inoltre il suo volto è espressivo, la mimica si regola al contesto, esprime i propri sentimenti, ad es. la gioia ridendo e battendo le mani, guarda l’altro per condividere la gioia e ricevere gratificazione, presenta il sorriso sociale.
Espressività psicomotoria
- Categorie psicomotorie:
- Spazio: A. utilizza lo spazio in modo abbastanza variabile e differenziato a seconda delle attività, lo esplora muovendosi per la stanza e soffermandosi con lo sguardo se qualcosa le interessa. Non è in grado di differenziarlo, ne di individuare un proprio spazio privilegiato e/o costruirselo, ma permane in quello scelto dalla terapista per l’attività. Lo spazio interpersonale è di solito ravvicinato, con a volte contatto corporeo limitato alle mani, utile nell’aiutarla in alcune attività. A. accetta, ma non richiede, questa vicinanza fisica, e non è turbata nemmeno dall’allontanamento dell’altro, neppure da quello dei genitori. Avvicinamento e allontanamento nel momento dell’attività sono decisi solitamente dalla terapista, ma A. è in grado di proporli autonomamente, soprattutto ad inizio e fine seduta o nei momenti di cambio attività.
- Tempo: A. accetta le proposte ma presenta lentezza nell’aderire al compito, così come, durante la realizzazione, il ritmo nell’eseguire anche la medesima azione più volte è lento e intermittente, con lunghi tempi di latenza tra un’azione e la successiva. Nonostante ciò, con l’incitazione dell’adulto, è in grado di permanere nell’attività fino alla fine.
- Tono muscolare: il tono che caratterizza A. è basso, senza particolari differenze tra i vari segmenti corporei. Questo tono si mantiene anche durante l’azione e l’interazione, ma non le impedisce d’esser abbastanza adeguata, d’avere risposte sufficientemente funzionali alla situazione. Naturalmente si manifestano anche leggere modificazione toniche, nel senso di un innalzamento, nei distretti corporei coinvolti nell’azione o in tutto il corpo quando è felice.
- Posture: l’assetto posturale di A. non è molto variabile ma comunque abbastanza funzionale agli scopi da raggiungere. Le posture che A. presenta sono quella seduta, con capo proteso in avanti, difficoltà a stare ferma e tendenza a scivolare sulla sedia, e quella eretta, con le ginocchia iperestese ed intraroutate e il capo sempre proteso in avanti. Guarda l’adulto in modo diretto, sia su richiesta che di sua iniziativa; presenta sia mimica gestuale che facciale, concordanti tra loro e coerenti alla situazione: salutare con la mano, indicare, mandare i baci, sorridere e battere le mani, soprattutto dopo aver terminato con successo un’attività per incitare gli altri a farlo e quindi ricevere gratificazione. I passaggi da una postura all’altra sono abbastanza lenti e quindi prevedibili, ma attuati autonomamente.
- Movimento: il movimento di A. è lento, con frequenti momenti di arresto e difficoltà a realizzare una ripresa veloce, e con necessità, quindi, di tempo per la sua realizzazione. Inoltre, a causa di una scarsa rappresentazione mentale, è un movimento ridotto nel suo utilizzo, che a volte non è eseguito in modo corretto e non permette di raggiungere lo scopo, come nel caso della presa non sempre valida ed efficace.
- Oggetti: A. utilizza tutti gli oggetti che la terapista le propone, senza mostrare preferenze tra grandi e piccoli, morbidi o duri, conosciuti o meno. L’uso che ne fa è di tipo funzionale, come nei giochi d’incastro, d’inserimento, di costruzione, di tipo funzionale e sensoriale insieme, nel suonare gli strumenti musicali, e simbolico come nel dare all’altro qualcosa da mangiare fatto, per esempio, di pongo. Nell’utilizzare gli oggetti li guarda, anche se in modo intermittente, perdendo più volte l’attenzione visiva. Non difende i propri oggetti quanto piuttosto si prende quelli degli altri, in particolare della sorella se presente e coinvolta nei giochi.
- Voce: A. utilizza la voce per pronunciare le parole che ha imparato a dire, sia spontaneamente che soprattutto su richiesta dei genitori. Il volume è un po’ basso, l’intonazione piana e il tono monotono.
- Azione: le azioni che mette in atto A. sono abbastanza semplici, il loro scopo è prevedibile com’è comprensibile l’intenzione sottostante; autonomamente non è in grado, invece, di compierne di più complesse e concatenate tra loro. Le sue azioni, di tipo funzionale, sensoriale e simbolico, sono spesso ripetute più volte e nello stesso modo, perché è questo che richiede l’attività che sta svolgendo o per ottenere un dato effetto, e non certo in quanto stereotipate. Riesce anche a passare da un’azione ad un’altra, contestualmente e in funzione di una nuova attività che le viene proposta, ma non di sua iniziativa. Accetta quindi cambiamenti di attività, ma anche d’oggetto e d’azione, siano essi annunciati o meno, e cerca di adattarvisi come può. Non richiede aiuto, ma lo accetta quando è in difficoltà. A volte riesce ad adattare la propria azione a quella altrui, altre invece tende a sovrapporla. Diviene maggiormente interessata all’azione dell’altro se questa è enfatizzata o se imita la sua; anche lei a volte imita nell’immediato l’azione altrui, utilizzandola come modello.
- Gioco: A. riconosce e utilizza abbastanza la cornice di gioco proposta dall’adulto, mentre non ne crea autonomamente una nella quale inserire le proprie azioni. Non è lei, quindi, che propone dei giochi, ma accetta quelli che le vengono proposti, che di solito sono di tipo ripetitivo e ai quali partecipa con l’adulto, che ha ruolo di guida e, a volte, di partecipante. I giochi che svolge più frequentemente sono: di costruzione, semplici e con piccoli oggetti in verticale; funzionali, come tutti i giochi che prevedono incastro, inserimento, ecc.; funzionali e sensoriali insieme, come il suonare gli strumenti per sentire il suono; simbolici, creati però dall’altro, in cui vengono utilizzati oggetti per rappresentare situazioni realistiche. Entra ed esce da queste attività di gioco con facilità, però con lentezza.
- Competenze relazionali e manifestazioni emotive: l’interazione è caratterizzata da cambiamenti che dipendono dalla terapista, che cerca nelle diverse proposte che fa alla bambina di diminuire la lunga latenza nella realizzazione delle attività e di aumentare lo scambio, l’adattamento reciproco. A. accetta tali proposte, però fatica ancora ad avere un ritmo più fluido d’esecuzione, mentre tra lei e l’altro si sta sviluppando sempre più uno spazio di scambio, un certo ritmo nell’interazione. Infatti, ad esempio, nel suonare gli strumenti riesce a rispettare il turno, l’alternanza, creando a volte un ritmo musicale e d’interazione; oppure, accetta un oggetto da parte dell’altro senza problemi, però ancora lo dà o riesce a realizzare uno scambio solo su proposta dell’altro. Guarda l’adulto, anche se non troppo a lungo e soprattutto se si trova nel suo campo visivo; non ha necessità di una vicinanza costante all’altro, nemmeno ai genitori. Le manifestazione emotive che A. esprime maggiormente sono: accettazione e interesse per le proposte che le vengono rivolte; piacere nel riuscire, nel farcela, accompagnato dall’allegria, che esprime sorridendo e battendo le mani. Quindi, è una bambina che partecipa allo stato emotivo che si crea tra lei, la terapista ed i genitori, che vi si fa coinvolgere.
- Organizzazione percettiva, formazione della rappresentazione interna della realtà esterna (RIRE) e competenze cognitive: in A. è presenta la capacità di discriminare, selezionare e organizzare le esperienze sensoriali, cioè una discreta sintesi percettiva. La rappresentazione mentale della realtà esterna e anche la rappresentazione di sé, invece, sono parziali e primitive, come fanno intuire le sue azioni nel mondo, non sempre corrette e funzionali. A. è incapace di compiere riflessioni e quindi elaborazioni delle esperienze vissute; la progettualità, l’iniziativa e la capacità di scelta binaria sono ridotte; la capacità di modificare le proprie azioni in-itinere per raggiungere lo scopo non è presente, se non aiutata dell’altro; ha difficoltà a categorizzare e discriminare gli oggetti per forma, colore, dimensione e funzione. È però anche un bambina curiosa, disponibile, che tenta, anche se spesso permane nel suo errore e non comprende da questo la giusta soluzione, che cerca comunque di fare da sola.
Il Sé intenzionale di Aurora: IL TESORO NELLO SCRIGNO
Gli stati mentali di A., tra cui le intenzioni, possiedono intenzionalità, cioè la proprietà di essere “riferiti a”, “diretti verso”.
Proprio le intenzioni si riferiscono a bisogni interni della bambina ed al mondo oggettuale, soprattutto dei giochi, ma non alle persone ed in particolare ai loro stati mentali. Queste intenzioni, pur non riferendosi all’altro ma solo a sé e agli oggetti, non sono circoscritte entro un perimetro limitato, emergono frequentemente e in modo per lo più chiaro ed in esse A. presenta autonomia.
Figura 5: Il Tesoro nello scrigno
Per quanto riguarda gli oggetti della realtà esterna, A. esprime l’intento, la volontà di arrivare a prendere un certo gioco che le interessa per poterlo così fare proprio fisicamente e giocarci. Per realizzare queste intenzioni, dirette al possesso ed utilizzo di oggetti, si serve di una serie di azioni intenzionali.
Rispetto ai bisogni interni, invece, spesso esprime l’intenzione di terminare con successo, in modo corretto le attività che prevedono precise regole, così da ottenere gratificazione da parte dell’adulto, gratificazione che alimenta autostima e rappresentazione positiva di sé. Anche in questo caso, il suo intento viene attuato tramite azioni intenzionali.
In queste azioni intenzionali, determinate dall’intreccio delle varie categorie psicomotorie, la categoria che maggiormente si coglie e fa comprendere gli intenti della bambina è il movimento, in particolare con gesti indicativi semplici.
Il movimento è, però, anche ciò che rallenta le intenzioni, la loro attuazione, a causa di difficoltà nelle prassie fini, non sempre corrette e quindi efficaci. Un ulteriore problema che ostacola l’esecuzione sono i tempi di latenza molto lunghi nella realizzazione di qualsiasi azione. Infine, anche la rappresentazione mentale della realtà esterna e la rappresentazione di sé, che sono parziali e primitive, hanno ripercussioni negative sull’attuazione delle intenzioni.
Nelle intenzioni di A. gli stati mentali altrui non sono l’“oggetto”, lo scopo verso cui dirigersi, e l’altro non viene nemmeno coinvolto in queste intenzioni come soggetto che può parteciparvi: nel mettere in atto le sue intenzioni A. non si volge all’altro, come persona dotata di stati mentali propri, per verificare, ad esempio, se la sua azione è corretta dal punto di vista funzionale e/o morale. Però se è l’altro a entrare nelle sue intenzioni, a coinvolgersi nel loro spazio, per condividerle insieme, viene accettato dalla bambina. Infatti, quando un intento nasce da A. l’altro cerca di inservisi, o imitando le azioni della bambina fino a creare una situazione di alternanza, turno delle azioni proprie e sue, perciò una situazione di adattamento reciproco, oppure incitandola a continuare nelle sue azioni, sostenendo così la sua intenzione in modo giunga a compimento.
In generale le sue intenzioni sono ben chiare, quindi non ha la necessità di renderle tali con qualche strategia, qualche modificazione che aiuti l’altro a capirle; in questo modo l’altro le comprende da solo e, ancora una volta, non vi è coinvolto attivamente da A. ma vi si coinvolge autonomamente.
Alle intenzioni altrui A. riesce ad obbedire, adattandosi e partecipando alle azioni intenzionali messe in atto dall’adulto soprattutto se queste sono rivolte a lei, ad esempio per coinvolgerla in un’attività. Riesce anche ad imitare le azioni intenzionali dell’altro, utilizzandole come modello per riuscire nelle attività; in questo modo, A. dimostra di saper far proprie le azioni intenzionali altrui, anche se per servirsene lei e non, per esempio, per aiutarle, modificarle, ecc..
Quindi, mostra di riuscire a tener conto delle intenzioni altrui, anche se in modo limitato, cioè solo se la riguardano, di riuscire a condividere con l’altro uno spazio intenzionale, nel quale ognuno porta le proprie intenzioni cercando di farvi entrare l’altro, in un adattamento reciproco continuo, anche se ciò è ricercato e determinato soprattutto dall’adulto. Non è però capace di creare con l’altro momenti di attenzione condivisa, di triangolazione sé – altro – oggetto di interesse, in cui cioè l’altro viene considerato come un soggetto detentore di stati mentali propri, tra cui appunto le intenzioni, e con cui condividere lo stesso focus attentivo; non possiede, quindi, che una primitiva ed iniziale “Teoria della Mente”.
Perciò, è una bambina che non coinvolge attivamente nelle proprie intenzioni, ma accetta che l’altro vi si coinvolga, mentre riesce ad essere coinvolta da quelle altrui, per poter così obbedirvi attivamente o imitarle.
L’accordo dei genitori con le intenzioni di Aurora
Alle sedute di terapia sono presenti o entrambi i genitori di A. o uno dei due indistintamente. Generalmente quando entrano, il papà si siede su di una panchina vicina al muro messa a disposizione dei genitori, mentre la mamma si colloca dove si svolge la terapia. Ella, infatti, partecipa attivamente alle diverse attività, incita verbalmente la figlia e la celebra con vivace entusiasmo se termina con successo un gioco, cioè in sostanza sempre. Nonostante stia seduto più lontano, anche il padre presenta quest’ultima reazione e segue con lo sguardo tutto ciò che accade durante la seduta.
Entrambi, poi, spesso raccontano alla terapista di aneddoti che hanno per protagoniste A. e la sorella gemella, mostrando tutto il loro orgoglio per le loro bambine.
Quindi, pur situandosi posturalmente e spazialmente in modo differente, questi genitori cercano, attraverso la collaborazione con la terapista ed il suo operato, di supportare la figlia e le sue capacità, che emergono via via con il tempo.
Per quanto riguarda le intenzioni di A. i genitori cercano di accordarvisi il più possibile. Quando, per esempio, la bambina esprime l’intento, la volontà di arrivare a prendere un certo gioco che le interessa per poterlo così fare proprio fisicamente e giocarci, i genitori sostengono fortemente tale intenzione, incitando verbalmente in modo entusiastico ed efficace la figlia, affinché quest’ultima riesca a raggiungere il suo fine.
Anche quando A. esprime l’intenzione di terminare con successo, in modo corretto le attività che prevedono precise regole, così da ottenere gratificazione da parte dell’adulto, i genitori la incitano durante la realizzazione in modo lei raggiunga un esito positivo, ed una volta ottenuto tale esito la gratificano com’è il suo scopo.
Vi sono poi occasioni in cui i genitori si inseriscono nelle intenzioni di A. imitando le sue azioni, in modo da supportare più efficacemente l’intento stesso e creando, così, anche una situazione di alternanza, turno delle azioni proprie e sue, perciò una situazione di adattamento reciproco.
Questi genitori, quindi, aiutano molto le intenzioni di A., sono sempre attivi per permetterle di realizzarle e comprendono, danno un immediato significato a tali intenti, senza che la bambina debba mettere in atto una qualche strategia chiarificatrice; sono, cioè, due genitori molto “aumentativi”.
Con A. riescono a condividere uno spazio intenzionale, anche se ciò è ricercato e determinato soprattutto da loro, in quanto lei, pur tenendo conto delle intenzioni altrui e potendo così obbedirvi ed imitarle, non è in grado né di condurre l’altro nei propri intenti né di coinvolgersi in quelli altrui, a meno che questi non siano a lei diretti ed utili. Infatti, sono i genitori che cercano costantemente sia di inserirsi nelle intenzioni della figlia, per aiutarle a svilupparsi, sia di renderla partecipe delle loro intenzioni, affinché impari a tenerne conto sempre più.
Pur cercando continuamente di “positivizzare” la posizione della bambina, vivono però anche delle difficoltà: il padre, in particolare, mostra la propria sofferenza, in quanto, in varie occasioni, ha necessità di discutere con la terapista rispetto alla sindrome della figlia, riportando informazioni sull’argomento raccolte in vario modo.
Ciò nonostante, entrambi i genitori di A., per poterla aiutare a sviluppare ed attuare maggiormente le sue potenzialità, tra cui delle intenzioni sempre più articolate, cercano costantemente d’essere in sintonia intenzionale, ma anche posturo-comunicativa con la bambina, come dimostra la danza che spesso realizzano tutti insieme, che è una danza reale ma anche mentale ed emozionale.