Uno spazio e un tempo per una nuova alleanza con il Bambino Autistico
"ero nato speciale e cresciuto in un ambiente difficile"
(lapo marini, 2007)
Modalità di trattamento per i Bambini Autistici
Nello sviluppo normale l’età dei due anni è un periodo critico per la funzione regolatrice sociale esercitata dai genitori. Il bambino comincia a muoversi; le sue abilità di toccare gli oggetti, di comprenderli e trovarli interessanti aumentano vertiginosamente; non aumenta in modo altrettanto veloce, invece, la capacità di comprendere pericoli o necessità al di là dell’immediato momento. Le sue emozioni sono ormai organizzate in precisi desideri e volontà.
Per la maggioranza dei genitori questo è un periodo di fatica, dal momento che proprio ora i limiti personali ed educativi impediscono di svolgere la funzione di socializzazione in modo adeguato, aprendo la strada a futuri disturbi o difficoltà del bambino nella relazione con gli altri. Stiamo parlando però di difficoltà normali, con bambini “normali”, quindi i genitori, per esercitare tale funzione, possono sempre contare sul bagaglio dell’intersoggettività. Avendo a disposizione questo patrimonio sociale condiviso con il bambino, possono infatti provare ad insegnargli comportamenti sociali adeguati e a porre dei limiti ai comportamenti eccessivi o pericolosi. Tutto ciò è possibile grazie al fatto che per il bambino è assolutamente naturale riferirsi al genitore come fonte di esperienze vitali e interessanti; egli capisce a cosa il genitore fa riferimento nell’incoraggiare o limitare, perché entrambi hanno un comune sentire su ciò che è buono e ciò che non lo è. In tale relazione occorrono quindi tanta energia, pazienza, buon umore, espressività e fermezza, ma sempre e comunque essa deve svilupparsi sulla base di abilità già presenti nel bambino.
Anche il bambino con difficoltà sociali sviluppa, spesso con estrema energia e competenza, il cammino, la corsa e anch’egli sviluppa desideri e rifiuti. Ma in questo rapporto manca quella possibilità di mediazione costruita su significati socialmente condivisi e manca la possibilità di usare strumenti comportamentali, come la punizione, e non si riesce a motivare il bambino premiandolo. I genitori non sempre riescono a capire che cosa il bambino vuole o non vuole, perché non sempre sa mostrare o indicare: del resto non sa neanche che occorre farlo. I genitori non riescono quindi a condividere con lui una sola emozione, un sentimento: cerca la mamma solo se ha fame o se vuole dondolare o saltare; alcune abilità sociali e azioni di contatto, infatti, si attivano solo se legate a un suo desiderio o interesse. I genitori non possono far altro che continuare a provare ad ottenere una relazione reciproca, anche se con evidenti insuccessi. . ( Cesarina Xaiz e Enrico Micheli, Gioco e interazione sociale nell’autismo, cento idee per favorire lo sviluppo dell’intersoggettività, 2001,63-72)
Per andare incontro alle esigenze di questi genitori ci sono dei programmi, previsti in molti centri di trattamento, che permettono una miglior comprensione da parte del genitore delle problematiche del proprio bambino, così da andargli incontro lavorando insieme nella riduzione delle difficoltà di socializzazione. Le strategie educative, che verranno riproposte qui di seguito, permettono ai genitori di ritrovare almeno in parte quell’alleanza, che naturalmente si dovrebbe creare tra bambino e genitore.
Il TEACCH non è un metodo. Non è un tipo di trattamento per bambini autistici, non segue, né indica una sequenza di tappe o esercizi da eseguire. Offre servizi alle persone con autismo e alle loro famiglie; offre inoltre formazione e consulenza alle scuole. I servizi TEACCH continuano poi anche per le età successive, rispondendo anche a necessità di abitazione e di lavoro per le persone autistiche adulte.
La ricerca e l’elaborazione di strategie di educazione sono tra gli scopi dell’organizzazione (Watson L.R. – Lord C. – Schaffer B. e Schopler, 1998)
Tra queste strategie saranno qui discusse quelle che riguardano la struttura: l’organizzazione dello spazio fisico, la strutturazione del tempo, la prevedibilità e la ripetizione delle attività proposte e la cura per la motivazione. Sono tutti accorgimenti che si provano durante le ore di trattamento di questi bambini, che hanno modalità di apprendimento speciali e richiedono quindi accorgimenti speciali.
La maggior parte dei bambini trova importante avere un posto in cui posizionare i propri affetti personali e speciali strumenti, nonché un area chiaramente delimitata in cui svolgere un’attività; questo vale maggiormente per i bambini autistici che tendono ad entrare in angoscia per ogni minimo cambiamento d’ambiente o di routine. La struttura è usata per compensare le difficoltà di un bambino autistico nell’organizzare e comprendere la sua realtà. (Volkamr, 2004). Instaurando routine positive attraverso l’educazione strutturata, sia i genitori e sia gli operatori possono trarre vantaggio da questo bisogno del bambino e aiutarlo a sviluppare competenze e pattern di apprendimento migliori.
L’organizzazione dello spazio fisico
L’attenta organizzazione dello spazio fisico in cui chiedere al bambino di giocare è considerata un elemento necessario per facilitare l’interazione. Occorre studiare lo spazio in modo accurato affinché sia chiarificatore per il bambino: il luogo scelto e i modi in cui viene predisposto diranno al bambino come comportarsi. Specialmente tra i due e i sei-sette anni, egli riceve i messaggi più dalle cose che dalle parole, e bisogna stare attenti a non mandargliene di fuorvianti.
La struttura del luogo predisposto per l’attività può essere molto semplice, ma deve essere ben visualizzata, cioè gli elementi che la compongono devono essere molto chiari e visibili per il bambino. Il luogo deve essere protetto e in uno spazio circoscritto.
E’ molto importante, quindi, che lo spazio fisico sia:
- - identificabile visivamente
- - circoscritto, definito con i confini visibili
- - essenziale: cioè dotato di quello che serve
- - comodo e confortevole
Soprattutto non deve contenere elementi di distrazione e di attrazione, che possano disturbare l’attenzione del bambino dall’attività proposta.
L’organizzazione dello spazio fisico è quindi uno strumento necessario per comunicare con chiarezza al bambino dove si gioca, con cosa si gioca, e può servire anche per comunicare quando si comincia e quando si finisce.
Seguendo i principi descritti, la struttura dello spazio va organizzata in modo personalizzato su misura per le specifiche esigenze di ciascun bambino.
La strutturazione del tempo
I giochi richiedono all’adulto che li propone molta attenzione, pazienza, dedizione e impegno; al bambino, richiedono coinvolgimento in un’area per lui molto difficile. Per questo, è necessario praticarli per un tempo abbastanza breve, predeterminandone la durata.
L’aspetto tempo della struttura richiede decisioni su quanto a lungo deve durare il gioco, su come fare a comunicare al bambino l’inizio e la fine di esso, su come rispondere a comportamenti del bambino che sembrano indicare che vuole smettere o che vuole continuare.
È molto meglio definire un tempo di gioco breve, ripetendo magari due o tre volte la sequenza di gioco. Se il gioco con il bambino funziona e se si vede che risponde, è buono cercare di andare avanti, rischiando di protrarre il gioco fino a quando il piccolo inizia a mostrare segni di stanchezza e a comportarsi in modo sgradevole.
Quindi per un po’ si può provare a continuare, ma non si deve mai insistere eccessivamente: si può proporgli un altro gioco oppure può continuare l’adulto a giocare; può capitare semplicemente che sia una “giornata no” e che l’operatore non riesca a motivare il bambino per il tempo che si era prefissato.
Con il passare del tempo si può via via aumentare la durata del gioco, sempre considerando il feedback del bambino.
Per comunicare al bambino l’inizio o la fine di un’attività è utile costruire dei rituali, come ad esempio le scarpe che si tolgono all’inizio e si rimettono alla fine.
Può capitare che il bambino voglia continuare a giocare oltre il tempo prefissato, a questo punto da parte dell’adulto ci vuole un po’ di elasticità.
Prevedibilità e ripetizione
I bambini di cui ci occupiamo traggono vantaggio da situazioni prevedibili e ripetute allo stesso modo per molto tempo. È importante quindi che il gioco venga presentato sempre nello stesso luogo, più o meno alla stessa ora o, meglio, con la stessa successione nell’arco delle altre azioni della giornata, e che abbia un rituale d’inizio e di fine.
Le singole attività possono essere ripetute nello stesso modo per molto tempo : ciò aiuterà il bambino ad apprendere e a prestare attenzione agli elementi sociali del gioco. E’ importantissimo accettare, anzi favorire la possibilità che alcuni di questi giochi diventino dei veri e propri rituali.
Quando una routine di gioco sarà ben stabilita, si potrà allora introdurre variazioni, sempre conservando la forma rituale come carta di riserva in caso in cui il bambino manifesti crisi di angoscia, segni di stanchezza o per concludere la seduta.
Al bambino bisogna introdurre un cambiamento per volta. Per portare dei cambiamenti nell’azione del bambino si può variare il materiale, mantenendo la stessa routine, oppure si può mantenere lo stesso materiale e variare l’attività routinaria.
In tutto questo è importante considerare il piacere del bambino nel riscoprire una nuova attività e percepire un suo stato di benessere nello svolgere quella attività insieme all’adulto di riferimento, in modo tale da creare una situazione relazionale che favorisca un buon apprendimento al bambino.
La cura per la motivazione
In molti bambini autistici si incontrano spesso dei problemi di motivazione. Possono essere problemi di scarsa motivazione in generale oppure, cosa più probabile nei casi di questo disturbo, può trattarsi di bizzarrie e restrizioni nella motivazione: il bambino si eccita oltre misura e cerca con estrema energia solo determinate esperienze, rimanendo invece distante, freddo e indifferente ad altre.
La maggioranza delle attività che suscitano nel bambino a sviluppo normale almeno un po’ di interesse non sono invece motivanti per il bambino autistico. Questo problema si può in gran parte riassumere nel concetto della mancanza o scarsità di motivazione sociale. Se un’attività interessa la bambino, bene; in caso contrario, la mediazione sociale non lo porta ad interessarsi a cose che gli vengono mostrate, che gli si chiede di fare, o che semplicemente si fanno sotto i suoi occhi.
Tutto ciò rende il processo di educazione un processo lento e difficile. Anche l’uso di motivatori artificiali, come lodi e ricompense, che è utile per aiutare il bambino con sviluppo tipico ad apprendere gli elementi fondamentali dell’autonomia, nei casi di autismo è invece problematico e ha un effetto più lento e difficile.
Quindi non bisogna pensare che dovrebbe essere motivante per il bambino ciò che è motivante per l’adulto o per gli altri bambini.
La motivazione si compone di diversi aspetti:
- - E’ motivante ciò che si capisce.
- - È’ motivante ciò che si è in grado di fare. Se si conosce quella cosa almeno un po’, ci si prova più volentieri.
- - È motivante ciò che risponde al proprio stile emotivo e percettivo: i bambini autistici prediligono principalmente il canale visivo e, quindi, sono interessati alle forme, ai colori, agli oggetti che si muovono, alle luci e ai movimenti ripetitivi. Spesso sono molto fisici: si arrampicano, corrono, saltano e adorano gli spazi aperti.
È importante che gli oggetti e le attività che vengono predisposte e offerte al bambino parlino da sole alla sua motivazione, senza bisogno della presentazione dell’adulto. In questo modo, l’operatore si può affiancare alle attività del bambino, condividendole,e quindi può insegnargli abilità nel campo sociale, cercando poi di allargare la sua capacità di motivazione verso qualcosa che gli viene proposta.
I bambini autistici possono avere particolari repulsioni o fastidi verso alcuni stimoli ambientali, che possono essere di qualsiasi genere; è quindi importante non mescolare nel trattamento con questi bambini stimoli motivanti con stimoli respingenti.
In sintesi, non si può costringere il bambino a fare ciò che non gli piace, ma se gli si propongono oggetti che lui ama, se si rispetta la distanza che preferisce tenere, se si accettano inizialmente le sue bizzarrie, l’operatore potrà via via introdurre nuovi elementi e aiutarlo ad accedere alla soddisfazione di qualche scambio interpersonale.
Il lavoro dell’operatore è da maratoneti, non da centometristi; quindi è bene che studi anche le sue reazioni alle attività proposte, dal momento che sarà necessario ripeterle per centinaia di volte. ( Cesarina Xaiz e Enrico Micheli, Gioco e interazione sociale nell’autismo, cento idee per favorire lo sviluppo dell’intersoggettività, 2001,81-95).
Indice |
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RIASSUNTO | |
PREMESSA | |
Capitolo 1 - LE CAPACITA' SOCIO-COMUNICATIVE NELLO NEL BAMBINO CON SVILUPPO TIPICO E CON AUTISMO
Capitolo 2 - MODALITA' DI TRATTAMENTO PER BAMBINI AUTISTICI
Capitolo 4 - OBIETTIVI DI LAVORO: |
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CONCLUSIONI | |
BIBLIOGRAFIA | |
APPENDICE | |
Tesi di Laurea di: Antonella PALAZZO | |