Disprassia Motoria, Verbale e Orale in età evolutiva, uno sguardo di insieme, cosa ci indica la scienza
Disprassia verbale in età evolutiva, uno sguardo di insieme, cosa ci indica la scienza
- Inquadramento della disprassia verbale
- Disprassia verbale e comorbidità
- Disprassia orale
- L’importanza della collaborazione tra terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva e logopedista
- Disprassia, linguaggio e gestualità
Disprassia dell’età evolutiva
La disprassia dell’età evolutiva è una condizione ancora oggi sottostimata o poco conosciuta, ma che costituisce per la riabilitazione dell’età evolutiva un campo emergente e di notevole interesse.
Per la descrizione di tale disturbo ci rifacciamo ai criteri diagnostici dell’ICD-10 e del DSM-V, entrambi fanno rientrare la disprassia nella definizione del disturbo dello sviluppo della coordinazione motoria, il cosiddetto DCD (Developmental coordination disorder), riscontrando in esso disturbi di incoordinazione motoria e problemi percettivi. Molto spesso si può presentare in comorbidità con altri disturbi quali: ADHD (Disturbo da deficit di attenzione e iperattività), DSL (Disturbi specifici del linguaggio), DSA (Disturbi specifici dell’apprendimento), sindrome dello spettro autistico, sindrome di Williams, sindrome di down, sindrome di Joubert, agenesia del corpo calloso ed altre sindromi malformative o in quadri di disabilità intellettive. La disprassia può essere quindi classificata in: disprassia primaria se non associata a patologie o sindromi; se invece correlata a queste ultime, quindi si presenta come disturbo associato, allora parleremo di disprassia secondaria.
Indicatori di rischio sono nascita pretermine e basso peso alla nascita, lieve sofferenza prenatale e/o perinatale. Vi è un’incidenza del 5/6% nella popolazione scolastica con rapporto maschi femmine di 2:1.
L'ICD-10 lo definisce:
- Una caratteristica importante di tale disturbo è un grave difetto nello sviluppo della coordinazione motoria, che non può essere spiegato da disabilità intellettiva generale o da qualsiasi disturbo neurologico definito, genetico o acquisito.
- In molti casi, un attento esame clinico rivela immaturità dello sviluppo neurologico (segni deboli), come sincinesie o movimenti degli arti coreici senza supporto e altri aspetti correlati al movimento o ai movimenti fini e grossolani e segni di scarsa coordinazione.
Secondo il DSM- 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders):
- Prestazioni motorie sostanzialmente inferiori rispetto a quanto atteso in base all’età cronologica e ad adeguate opportunità di acquisizione delle abilità. Le carenze nella prestazione motoria possono manifestarsi come (1) equilibrio carente, goffaggine, tendenza a far cadere o andare a sbattere contro le cose o (2) difficoltà persistenti nell’acquisizione delle abilità motorie di base (per esempio, afferrare, tirare, calciare, correre saltare, tagliare, colorare, disegnare, scrivere).
- Il disturbo di cui al punto I inferisce significativamente con le attività della vita quotidiana o l’apprendimento scolastico (per esempio, autonomie personali, scrittura, risultati scolastici, attività sportive dilettantistiche o professionistiche, tempo libero e gioco).
- La compromissione della coordinazione motoria non è spiegata con il ritardo mentale. Il disturbo non può essere spiegato in base ad una condizione medica generale o ad uno specifico disturbo neurologico congenito o acquisito o ad un significativo problema psicosociale (per esempio, gravi deficit attentivi o problemi psicosociali importanti, quale la deprivazione).
- Inizio della sintomatologia nell'infanzia (fare diagnosi clinica dopo l’età dei 5 anni)
La disprassia coinvolge diversi aspetti dello sviluppo e ciò grava sia sull’apprendimento che sullo sviluppo della personalità, per far diagnosi di conseguenza occorre una valutazione a livello globale con un interessamento di un equipe multidisciplinare, da un lato formata da personale “tradizionale” quale neuropsichiatra infantile, logopedista, neuropsicologo, psicologo clinico, terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva e dall’altro da figure meno convenzionali quale ad esempio un oculista per una valutazione ortottica e optometrica. Numerosissimi sono stati negli anni gli studi e le pubblicazioni e ad oggi non vi sono criteri universalmente concordanti sul tema disprassia evolutiva, sull’eziologia, la definizione e la diagnosi.
Grazie agli sviluppi delle neuroscienze sarebbe adeguato percepire la disprassia come un insieme che include il sottoinsieme del disturbo della coordinazione motoria ( il bambino disprassico, Huron,2014): premesso ciò ci rendiamo conto di come un disturbo incida sull’altro e viceversa, in quanto il DCD viene valutato come un disturbo nell’esecuzione del movimento non diretto ad uno scopo, il quale è parte dell’atto motorio finalizzato, anch’esso deficitario, il quale riveste elemento di disturbo peculiare della disprassia; quest’ultima osservazione ci fa comprendere come sia poco concorde e riduttivo parlare di disprassia solo come disturbo della coordinazione motoria, ma di come questa condizione richieda l’ esigenza di essere ritenuta come una incapacità di programmazione, controllo ed attuazione degli atti motori finalizzati.
Come detto in precedenza, pareri discordanti interessano anche l’eziologia del disturbo: alcuni autori sostengono che alla base del disturbo vi sia una immaturità di parti del sistema nervoso cerebrale (Portwood,1996; Hill, Bishop e Nimmo-Smith,1998) e che questa non maturazione delle sinapsi vada ad inficiare sull’organizzazione del movimento, sui problemi del linguaggio e sui disturbi percettivi; altri autori hanno rilevato anomalie di struttura a livello cerebrale come ad esempio prominenza del solco corticale o dilatazione dei ventricoli (Gubbay e Klerk,1995); altri ancora ipotizzano un malfunzionamento della colonna dorsale del lemnisco medio (Ayres,1972) che giustificherebbe il motivo per cui i bambini disprattici non riescono a rispondere in maniera adeguata agli stimoli sensoriali; in definitiva le ipotesi riguardano sia un inefficiente collegamento tra le aree anteriori e posteriori del cervello, sia un rallentamento nell’organizzazione delle reti neuronali.
Movimento, prassia e apprendimento
Con il termine disprassia, che deriva dal greco πϱάξις (= azione) con prefisso negativo διϭ (= difficoltà), intendiamo un disturbo che coinvolge la coordinazione e il movimento finalizzati ad un atto motorio, da intendersi quale insieme di movimenti semplici eseguiti sinergicamente in vista di uno scopo definito (Rizzolatti et al., 2001).
Per poter comprendere al meglio di cosa stiamo parlando dobbiamo analizzare il concetto di prassia, intendere cosa sono i movimenti volontari, automatici e riflessi e quali sono le strutture anatomiche e funzionali che orchestrano tutto il processo.
- movimento volontario: movimento che viene eseguito coscientemente al fine di conseguire un fine preciso e varia a seconda delle necessità.
- movimento automatico: movimento che parte volontario ma che poi prosegue senza che la volontà debba costantemente seguirlo e sono dei movimenti ciclici che si basano sull’attività di reti neurali ricorsive a livello del tronco encefalico come per esempio il deambulare o il respirare, a volte richiamerà automaticamente la risposta al movimento attivata, altre volte interverrà solo per mutare o bloccare il gesto.
- movimento riflesso: è una risposta ad un determinato stimolo involontaria e stereotipata, il meccanismo che è all’origine è l’esistenza e l’attivazione di un arco riflesso.
I movimenti volontari interessano differenti strutture cerebrali, corticali e sottocorticali, e sottendono un buon funzionamento dei muscoli effettori e delle giunzioni muscolari. La disprassia è quindi un disturbo della prassi, intesa come quel processo neuromotorio che coinvolge l'ideazione, la pianificazione e l’esecuzione di una sequenza motoria (Ayres, 1985); la prassia è un comportamento consapevole, cioè la capacità di compiere gesti coordinati e direzionali per un determinato scopo.
Sono diverse le aree cerebrali interessate e si distinguono:
- Corteccia motoria primaria, corteccia premotoria e area motoria supplementare: queste strutture attraverso il tratto corticospinale ventrale e laterale trasmettono il segnale al midollo spinale, tale input viene inviato implicitamente anche tramite le strutture motorie del tronco encefalico; la corteccia motoria primaria ricopre la mansione di iniziare il movimento ma non di progettarlo, la corteccia premotoria è la protagonista per la preparazione dei muscoli posturali per l’avvio del movimento e per l’orientamento del corpo e del braccio verso lo stimolo ,la corteccia motoria supplementare riveste l’importante compito nella pianificazione di sequenze complesse dei movimenti.
- Il cervelletto: corregge gli errori durante il movimento attraverso i meccanismi di controllo di feedback (risposta su come il movimento è realmente eseguito) e feed-forward (controllo retroattivo deputato a scoprire l’errore).
- I gangli della base: partecipano al controllo cognitivo dell’attività motoria al fine di raggiungere l’obiettivo, stimolando quali schemi di movimento attuare e con quale sequenza.
In conclusione quindi, tutte queste strutture svolgono un ruolo sinergico per quanto concerne il movimento volontario e infine, ma non meno importante, dobbiamo tenere presente anche il ruolo estremamente rilevante che viene svolto dai sistemi sensoriali periferici ovvero vista, udito, tatto e propriocezione.
Desmurget insiste nel distinguere l'importanza dei diversi tipi di prassie e di come la loro implementazione richieda diversi metodi di apprendimento:
- le prassie morfo cinetiche (morphocinèses) e cronocinetiche (chronocinèses).
- le prassie telecinetiche (télécinèses).
Le prassie morfo cinetiche e le cronocinetiche riguardano rispettivamente l’organizzazione morfologica e cronometrica del gesto, capiamo come la coordinazione spaziale, temporale e ritmica siano essenziali per questo tipo di prassie. L’attenzione è una funzione chiave per questi tipi di compiti, grazie ad essa ci si organizza la traiettoria e la forma finale del gesto, viene codificata una rappresentazione astratta che include spazio, tempo e ritmicità.
Le prassie telecinetiche interessano esclusivamente quello che è il risultato finale del gesto, senza interessarsi della forma per ottenerlo. Qui appare fondamentale come conoscere e comprendere il significato dello scopo del gesto sia essenziale per mettere in atto una strategia che in funzione delle condizioni ambientali in cui il soggetto si trova permetta il raggiungimento di un determinato fine, il quale può essere raggiunto attraverso un ventaglio di possibilità che decideremo noi in base a ciò che l’ambiente in quel dato momento ci offre.
Sulla base dell’azione compromessa, è possibile individuare diverse tipologie di disprassia ed in base alla clinica (Sabbadini G. et al. 1993) è sovente il riscontrare la sovrapposizione di più forme:
- disprassia verbale: difficoltà di programmazione delle sequenze dei movimenti articolatori indispensabili alla realizzazione dei suoni, problematicità nell’ articolarli insieme e nel disporli nella giusta sequenza per formulare parole e frasi.
- disprassia di sguardo: problematicità nella coordinazione dei movimenti oculari e dello sguardo.
- disprassia generalizzata: inficia sulla deambulazione e l’organizzazione del movimento nelle attività della vita quotidiana.
- disprassia degli arti superiori: marcata compromissione dei movimenti delle mani, delle dita e delle articolazioni.
- disprassia dell’abbigliamento: difficoltà nel vestirsi, associata talvolta a disprassia dello sguardo.
- disprassia costruttiva: incapacità di organizzare singoli elementi nello spazio nella copia di modelli da ricostruire, nel disegno, nell’organizzazione spaziale del movimento, nel gioco.
Si può ben capire come tutte queste diverse tipologie singole o sovrapposte tra loro incidano sugli apprendimenti, sulle autonomie di questi bambini e sicuramente giocano un ruolo chiave anche per quanto riguarda la sfera emotiva.
Embodied cognition
Basandoci su quello che è l’embodied cognition, quella filosofia tale per cui la gran parte dei processi cognitivi avviene mediante i sistemi di controllo, che le funzioni motorie ed il controllo delle stesse sono correlate a ciò che l’umano apprende: non c’è mente senza corpo e non c’è corpo senza mente. Se questa filosofia la applichiamo alla disprassia ci rendiamo subito conto che questo disturbo limita le esperienze corporee vissute da questi bambini, limitando la percezione del proprio corpo e di conseguenza la ricezione delle informazioni provenienti dall’ambiente esterno, saranno bambini che tardivamente o impropriamente progrediranno nelle loro esperienze e limiteranno di conseguenza i loro apprendimenti. Iverson e Thelen affermavano infatti che “l’apprendimento dipende in modo cruciale dal fatto di avere un corpo capace in termini di funzioni percettive e motorie e soprattutto dal tipo di esperienze che tale corpo ha avuto la possibilità di compiere”.
Le evidenze portate dai sostenitori della filosofia dell’embodied cognition sono quattro:
- La comunicazione e il processo linguistico sono supportati dal fatto che generalmente gli individui gesticolano quando parlano con qualcuno.
- La visione è integrata con altri movimenti corporei.
- I neuroni a specchio si attivano se io compio un gesto motorio ma anche se io vedo un’altra persona compiere tale gesto e comprendo anche lo scopo dell’azione.
- Frequentemente per potenziare la nostra cognizione ricorriamo all’utilizzo del corpo e di movimenti corporei.
È sempre presente il concetto di percezione, di conoscenza e consapevolezza di sé stessi, di come sia fondamentale il riuscire ad interpretare al meglio gli stimoli che subiamo, la pianificazione dell’azione che dobbiamo compiere in base a questi e di come tale meccanismo ci permetta di esperire sempre consapevolezze nuove, di consolidarle per essere poi pronti a ricominciare questo ciclo fondamentale per l’apprendimento (ciclo percezione-azione-cognizione Sabbadini).
Questa difficoltà negli apprendimenti riveste un ruolo cruciale anche nella sfera emotiva del bambino, il bambino disprattico ha tanta voglia di fare, dimostra impegno, ma purtroppo questa condizione compromette i suoi sforzi, lo rende irritabile, investe la sua autostima, la considerazione che ha di se stesso vacilla e si sente inadeguato e meno intelligente rispetto agli altri bambini: riconoscere il disturbo e intervenire precocemente è fondamentale per l’apprendimento, le autonomie e per intervenire sull’ aspetto emotivo che non deve essere mai dimenticato.
Il bambino disprattico
‹Le qualità oggettive (fisiche e intellettuali) degli uomini possono essere differenti, questo non riguarda gli uomini nella loro essenza. Essi non sono né diseguali né differenti, essi sono incomparabili›
A. Pichot, Opinions
Come si riconosce la disprassia? Quali sono i segni che devono farci sospettare che un bambino sia disprattico? Quali sono i campanelli d’allarme?
Iniziamo subito col dire che di qualsiasi patologia noi stiamo parlando è sempre fondamentale ricordare che ogni bambino è unico. È necessario basarsi su criteri diagnostici, su peculiarità di ogni patologia, ma tutto deve essere poi cucito addosso alla persona. Tenendo a mente questa premessa, analizzeremo in maniera generale quali sono le funzioni che la disprassia compromette e come queste si ripercuotono nella vita di tutti i giorni di questi bambini. Fondamentale è anche ricordare che, nella maggior parte dei casi, il quoziente intellettivo è nella norma e ad essere inficiate sono le funzioni adattive che impongono uno sforzo incredibile nel sostenere attività che in altri bambini risultano facili e automatiche.
Coordinazione motoria, equilibrio e controllo posturale, competenze senso-motorie e forza muscolare
Vari studi dimostrano come in questi bambini il movimento è lento ed in alcune attività non riescono a raggiungere lo stesso livello di prestazioni dei loro pari, manifestando un tasso di errore più elevato. Altri studi affermano che questa lentezza non è presente in tutte le attività: Smits-Engelsman e colleghi (2003) riscontrano infatti che in una prova nella quale i bambini devono tracciare una linea tra due cerchi, i bambini disprassici risultano più rapidi nell’esecuzione del gesto rispetto a quelli del gruppo di controllo rilevando però un numero di errori molto più alto, ciò vuol dire che questi bambini non riuscendo a regolare la velocità dei loro movimenti non attenzionano l’accuratezza dei gesti e questo li obbliga a dover rallentare per raggiungere un livello di performance adeguato. Altre osservazioni cliniche dimostrano come questi soggetti incontrino difficoltà significative a interrompere un movimento o a correggerne la traiettoria durante l’esecuzione e questo spiega il motivo per cui tendono ad urtare dappertutto, calcolando male la traiettoria e non essendo in grado di modificarla sbattono o non riescono a seguire un dato percorso. Henderson et al. (1992) hanno osservato come questi movimenti lenti, scoordinati e imprecisi, ad esempio in un compito nel quale il bambino deve coordinare la ritmicità della pressione dapprima di un pulsante di start e poi un altro di stop, si osserva una differenza, ovvero la partenza del movimento risulta ritardata ed il tempo per compierlo è più lungo e muta da prova a prova. A causa dei loro movimenti lenti e imprecisi, osservati in clinica e rafforzati da evidenze scientifiche, “etichettano” questi bambini come goffi e maldestri, bambini che sbattono ovunque, che risultano essere lenti nella scrittura e poco attenti, soprannominati “non l’ho fatto apposta!” perché versano l’acqua fuori dai bicchieri o perché perdono l’equilibrio se gli si viene chiesto di saltare su un piede. Per mantenere l’equilibrio modificano rapidamente la posizione del baricentro ed attuano delle strategie compensative attraverso dei movimenti di bilanciamento molto repentini. Non tutti i bambini riescono a ristabilire un equilibrio che già risulta abbastanza precario, questo lo si osserva quando per esempio li si sollecita a camminare su di una barra, a mantenere la posizione esatta alternando il sorreggersi prima su un piede e poi su un altro. Enormi sono le problematicità quando gli si viene richiesto di mantenere l’equilibrio a occhi chiusi, problematicità che aumenta nella deambulazione al buio, difatti si palesa la loro necessità di attuare delle strategie in modo tale da bilanciare meglio il tronco per non cadere e contemporaneamente rallentano l’andatura. Anche la marcia potrebbe risultare alterata, non conseguente ad una qualche patologia secondaria o a una qualche malformazione, ma proprio come “obbligo” nel controbilanciare un equilibrio mancante caratterizzata da contrazioni, flessione dell’anca eccessiva, baricentro basso, passi corti, piedi piatti e grave asimmetria.
Studi hanno dimostrato come vi sia una problematica nell’imitazione. In questo studio l’operatore ponendosi difronte al bambino, mimava gesti di routine quotidiana e dava ai bambini consegna di riprodurli, successivamente la consegna avveniva su richiesta verbale e non su imitazione. Si evinceva da questo esperimento che i bambini presentavano grosse difficoltà nell’una e nell’altra consegna, anche nella ricostruzione di un disegno con le puntine su di una tavoletta (sempre su modello realizzato prima dall’esaminatore e poi mostrato al bambino) essi commettevano un numero alto di errori soprattutto nella disposizione spaziale.
In conclusione ciò ci fa capire come sia inficiata l’area senso-motoria, di come risultino compromessi coordinazione occhio-mano, la rappresentazione mnemonica del gesto, della sua struttura e della sua esecuzione.
Sport e gioco
Si sa che lo sport e il gioco rivestono un ruolo primario nella crescita poiché migliorano la forza muscolare, insegnano la disciplina, potenziano la capacità dei tempi di attesa e la coordinazione, ci rendono consapevoli del nostro corpo e sono fondamentali per la socialità. A causa della loro “goffaggine” pochi bambini disprassici praticano sport, soprattutto sport di squadra, sia perché hanno consapevolezza dei loro limiti e quindi tendono ad evitare questa “brutta esperienza”, sia perché molte volte, purtroppo, si ritroverebbero oggetto di scherno degli altri bambini. Vi sono stati degli studi che hanno avuto come obiettivo quello di verificare la forza muscolare di questi bambini: in particolare Visser nel 2005 studiò attraverso misurazione con elettromiogramma la forza prodotta dopo un’estensione ed una flessione degli arti inferiori, notò che in questi bambini la forza era minore rispetto alla media dei pari età, ma purtroppo non si riuscì a capire se questo fosse dovuto proprio a un deficit di forza o allo scarso “interesse” rivolto allo sport. Bouwien et al. nel 2008 riproposero un altro esperimento concentrandosi stavolta sulla forza delle dita delle mani, veniva proposto ai bambini di spingere una levetta e di tenerla premuta per un tot di tempo ed alla fine dell’esperimento non emerse differenza nella forza di pressione tra bambini normotipici e bambini disprassici, ma si evidenziava in questi ultimi una difficoltà nel mantenere inalterata questa forza nel tempo. Per cui è dimostrato che un deficit di forza sussiste e che questo compromette le performance in qualità di precisione e mantenimento del movimento.
Disprassia verbale in età evolutiva, uno sguardo di insieme, cosa ci indica la scienza
La disprassia verbale in età evolutiva prende la sua definizione dall’American Speech-Language-Hearing Association (ASHA,2007): “disordine dell’articolazione dei suoni, sillabe e parole in cui la precisione e la sistematicità nella produzione articolatoria risultano compromesse in assenza di deficit neuromuscolari e di anomalie strutturali a carico dell’apparato bucco-fonatorio”.
Come per la disprassia in “generale” anche per quanto riguarda la disprassia verbale in età evolutiva la letteratura è discordante ed ancora, sia per l’eterogeneità degli studi sia per la “scarsa” conoscenza del disturbo, sono molti i pareri difformi su eziologia, prevalenza e diagnosi; si stima nella popolazione generale una prevalenza di 1-2 bambini su 1000, anche se in ambito clinico tale prevalenza tende ad aumentare.
La complessità di tale disturbo ha spinto gli studiosi alla ricerca di una sempre più approfondita osservazione di tutto ciò che, in termini di strutture neuroanatomiche, possa avere una correlazione su ciò che fenotipicamente si palesa in bambini affetti da tale condizione. Tali studi sono stati effettuati applicando tecniche di imaging cerebrale avanzato le quali consentono uno studio funzionale in “vivo” ed un’indagine quantitativa di integrità di sostanza bianca e sostanza grigia.
Gregory Hickok e David Poeppel (2004)per meglio far comprendere gli aspetti dell’anatomia funzionale del linguaggio ipotizzano una specifica organizzazione a livello cerebrale proponendo la funzione di due flussi spiegando come le prime fasi della percezione del linguaggio coinvolgano asimmetricamente campi uditivi nel giro temporale superiore bilateralmente e da qui la sua elaborazione differirà in due flussi che sono un flusso ventrale specializzato nella mappatura del significato del suono ed un flusso dorsale implicato nella processazione del suono basate sull'articolazione.
Preston e colleghi (Preston et al.,2014) attuano due studi, uno di tipo morfo metrico ed uno di tipo funzionale, i quali dimostrano che vi sono alterazioni funzionali e volumetriche in quelle aeree del linguaggio descritte da Gregory Hickok e David Poeppel: il primo evidenzia alterazioni volumetriche a livello bilaterale del giro temporale superiore e a sinistra del giro sopra-marginale, nel secondo studio si nota un’iper-attivazione a destra del giro sopra-marginale, del giro precentrale e post-centrale e del giro temporale superiore a destra e a sinistra. Il coinvolgimento del giro sopra-marginale viene riscontrato anche da Kadis e colleghi, il quale risulta ispessito, tale ispessimento potrebbe essere causato da un’alterazione del fenomeno fisiologico di potatura delle sinapsi e rappresenterebbe un indicatore cardine dell’alterato sviluppo nei bambini con disprassia verbale in età evolutiva. Ulteriori confronti tra bambini con sviluppo comunicativo-linguistico tipico e bambini con disprassia verbale, mostrano un aumento del volume del giro sopra-marginale in questi ultimi, rafforzando così le teorie di Kadis e collaboratori. Altri studi indicano una riduzione della sostanza grigia a livello dell’area di Broca o del giro frontale inferiore ed un ispessimento di sostanza grigia a livello dell’area di Wernicke o porzione posteriore del giro temporale superiore.
Inquadramento della disprassia verbale
‹L’impressione che si ricava ascoltando un soggetto colpito da disprassia da moderata a severa è quella di uno sforzo, una lotta› Velleman (2011)
Benché ancora la disprassia verbale in età evolutiva sia poco conosciuta e siano molteplici le discordanze di pensiero tra i vari studiosi, si è concordi nel riconoscere tre sintomi riconosciuti cardine del disturbo:
Incoerenza fonologica o produzione di errori inconsistenti
Contiene realizzazioni diverse per lo stesso target del discorso, in assenza di cambiamenti nello sfondo della pronuncia del sistema vocale e consonantico, il che indica che l'impatto della malattia è particolarmente grave sul processo di acquisizione linguistica. Il bambino disprattico può fare una volta fatica a pronunciare un suono, poi ne pronuncia male un altro, può pronunciare male un suono all’inizio di una parola e talvolta alla fine della stessa parola, si evince quindi che non è una difficoltà dovuta al fatto che il bambino non ha ancora acquisito il suono ma una problematica più globale per cui è possibile che il bambino riesca a produrre tutti i fonemi ma fa fatica ad organizzarli. Ciò riveste un grande impatto sullo sviluppo linguistico del bambino, soprattutto se pensiamo alle vocali che di norma vengono consolidate dal bambino in tenera età (Ball e Gibbon, 2013).
Alterazione delle transizioni articolatorie, problematicità nel mettere in sequenza dei suoni linguistici e nella transizione articolatoria tra segmento e segmento e tra sillaba e sillaba
Sono presenti difficoltà nell’organizzazione delle configurazioni articolatorie per la produzione di suoni e parole. I gesti articolatori che un soggetto riesce a produrre isolatamente e in contesti semplici sono estesi con difficoltà a contesti articolatori più lunghi e complessi. Spesso il bambino può produrre correttamente fonemi isolati, ma presentare grandi difficoltà nell’utilizzarli in sillabe e parole. Questo induce il bambino ad una segregazione sillabica e ad un groping articolatorio per sopperire a tale difficoltà.
Alterazione della prosodia in velocità, intonazione e ritmo
Cos’è la prosodia? È l’insieme delle caratteristiche di pronuncia (intonazione, durata, ritmo, accento) delle parole o delle loro sillabe. Gli elementi prosodici dell’accento, dell’intonazione e della durata si sovrappongono, nella comunicazione usuale, ai fonemi, e perciò vengono chiamati tratti soprasegmentali; questi elementi spesso sono molto utili per attribuire un significato particolare a ciò che vogliamo dire. Il bambino disprattico ha proprio tale difficoltà, soprattutto per quanto riguarda il ritmo. Il suo eloquio si caratterizzerà da una riduzione della velocità, da alterazioni del timbro della voce con ipo o iper-nasalità, anomalie nel rapporto tra sillabe forti e deboli e nell’assegnazione dell’accento a livello della singola parola o dell’intero enunciato.
Oltre a queste tre caratteristiche sopra descritte, la letteratura indica che vi sono altri segnali ricorrenti che ci indirizzano verso l’inquadramento della disprassia:
- Deficit nella produzione del linguaggio maggiore rispetto alla sua comprensione.
- Presenza di “goping”, il bambino tenta di trovare uno schema motorio non verbale e verbale attraverso ricerche di approssimazione al target articolatorio.
- Difficoltà nell’apprendimento della letto-scrittura.
- Lallazione scarsa e/o tardiva, anomala e talvolta assente.
- Inventario fonetico incompleto e atipico.
- Abilità oro-motorie non verbali in molti casi deficitarie.
- Dissociazione automatico-volontaria: il bambino non è in grado di produrre su richiesto parole di routine (papà, mamma, ciao) ma riesce a produrle spontaneamente.
- All’aumentare della lunghezza e della complessità del target linguistico si nota un incremento di errori da parte del bambino.
- Sviluppo lessicale estremamente lento e povero.
La disprassia verbale è stata ancora poco definita, sono molteplici i quesiti sull’inquadramento diagnostico ai quali si è cercato di dare una risposta analizzando le afasie degli adulti e cercando di comprendere se includere tale condizione nell’insieme dei disturbi delle prassie o come disturbo più specifico del linguaggio.
Vari autori e ricercatori come Edwards, Bernstein e Denckla, riferendosi alla disprassia verbale, riconoscono un deficit del feed-back audio-cinestesico tale per cui il bambino riesce a percepire un suono in maniera corretta ma non è capace poi ad attuare una strategia idonea all’elaborazione per la riproduzione fonemica, complicando così l’organizzazione motoria dell’articolazione dei suoni, ciò nonostante in un’alta percentuale di bambini è presente anche un disturbo della comprensione del linguaggio in senso stretto, abbracciando non soltanto l’aspetto fonologico ma anche morfo-sintattico.
Disprassia verbale e comorbidità
È noto come la disprassia verbale evolutiva possa presentarsi in bambini affetti da sindromi genetiche, disturbi del neuro sviluppo e patologie di origine metabolica.
Una cromosomopatia nella quale si riscontra una difficoltà non indifferente nell’ambito del linguaggio espressivo sappiamo essere la sindrome di down o trisomia 21: il profilo neuropsicologico peculiare di questa sindrome è infatti una dissociazione tra le competenze verbali e visuo-spaziali ed una maggiore compromissione del linguaggio espressivo rispetto alla comprensione, il loro eloquio è scarsamente intelligibile, mantengono una immaturità fonetico-fonologica che spesso non lo rende molto fluente mentre la comprensione verbale tutto sommato è soddisfacente. Agli inizi degli anni novanta Hamilton (1993) dimostrava nella pratica clinica la compromissione della motilità linguale e un’alterazione di programmazione motoria nei soggetti con sindrome di down. La trisomia 21 rientra in quel grande capitolo della neurologia infantile rappresentato dalle ipotonie centrali, difatti tali alterazioni del tono muscolare giocherebbero un aspetto rilevante nell’acquisizione delle abilità motorie, soprattutto a carico del distretto oro-buccale, tale ipotonia sembrerebbe impedire il fisiologico sviluppo delle attività oro-motorie, compromesse altresì da un volume cerebellare ridotto rispetto a valori normali.
Come già esposto in precedenza vi sono disturbi del neuro sviluppo nei quali si riscontra la presenza di disprassia verbale evolutiva, tra i quali sindrome dello spettro autistico, DCD, disabilità intellettiva e ADHD.
È molto frequente che in bambini presi in carico per disprassia verbale si aggiunga diagnosi di ADHD o disabilità intellettiva: Chilosi e collaboratori riportano, su un campione di 112 bambini, la presenza nel 40% di un livello cognitivo limite o deficitario ed un tasso di prevalenza di ADHD del 19,5%.
Per quanto concerne il disturbo dello spettro autistico Page e Boucher (1998) ipotizzano che la correlazione tra le due condizioni sia determinata dalla compromissione dei processi imitativi e della coordinazione motoria, deficit peculiari dello spettro, in più la prosodia risulta essere molto simile nei bambini con spettro autistico e con disprassia verbale, anche se ancora è da chiarire se questo sia imputabile ad una problematica inerente la pianificazione o interessi maggiormente l’area comunicativo-relazionale. Diversi autori hanno anche ricercato un nesso nei soggetti con sindrome dello spettro autistico non verbali e sembra che vi sia un’alterazione genetica comune in entrambi i disturbi, come ad esempio la mutazione del gene CNTNAP2 e la delezione del gene 16p11.2, ma ancora non vi sono basi forti a supporto di tali teorie.
Evidenze cliniche accomunano anche la disprassia verbale con il disturbo della coordinazione motoria, si riscontrano difatti problematicità comuni nella scrittura, nelle prassie di abbigliamento, in molteplici compiti manuali riscontrabili anche nel disturbo della coordinazione motoria.
Disprassia orale
Seppur differente dalla disprassia verbale, emerge la necessità di menzionare anche la disprassia orale. È stato ampiamente discusso e chiarito nel primo capitolo il concetto di prassia, ovvero quella capacità di riuscire a programmare e pianificare movimenti per il raggiungimento di un determinato fine, ciò riguarda anche l’oralità. Nel bambino lo sviluppo dell’oralità segue determinati step, che iniziano a presentarsi nei primi mesi ma che non raggiungono la piena maturità fino ai 6/7 anni: con prassie orali indichiamo tutti quei movimenti dello sbadigliare, succhiare, masticare, soffiare il naso, deglutire, tutte attività che se sono deficitarie naturalmente rivestiranno un ruolo importante nel deficit della lingua e del parlato. Lo sviluppo oro-motorio è collegato al sistema nervoso centrale e si sviluppa grazie all’integrazione degli stimoli tattili, gustativi, termici, motori.
Le varie tappe inerenti all’alimentazione rivestono un ruolo molto importante nello sviluppo delle prassie orali, sia da un punto di vista di relazione con il caregiver (nella maggior parte delle volte ruolo identificato nella madre) e l’accettazione dei vari tipi di alimenti che vanno a stimolare la masticazione e la deglutizione, ma lo sviluppo in tal senso non è un processo semplice:
- sono fondamentali le posture legate sia all’aeta del bambino che al suo sviluppo motorio.
- l’attaccamento, il contatto visivo, la sicurezza che il caregiver infonde al bambino.
- bere da una tazza o da un bicchiere necessita una modificazione del movimento corporeo dell’inclinazione del capo ed il bambino deve essere capace di controllare capo e collo.
- bere da una cannuccia richiede che il bambino riesca a coordinare suzione, deglutizione e respirazione.
Fondamentale appare il conoscere le varie tappe fisiologiche dello sviluppo del bambino, per poter comprendere al meglio a quale età noi potremmo riscontrare determinate abilità (Manno, Fox, Eicher, & Kerwin, 2005; Sampallo-Pedroza, Cardona-Lòpez, & Ramìrez-Gòmez, 2014):
- Il bambino riesce a portare le mani in bocca in posizione prona a 2 mesi e in posizione supina a 3 mesi.
- Afferra un oggetto con entrambe le mani a 4 mesi (es. il biberon).
- A 7 mesi riesce a mangiare in maniera autonoma alimenti solidi.
- A 12/14 mesi è in grado in maniera indipendente di portare il cucchiaio alla bocca.
- A 27 mesi riesce a tenere la tazza e bere.
Disprassia orale e disprassia verbale differiscono tra di loro ma non è detto che entrambi i disturbi non si presentino nello stesso bambino, ciò nonostante bisogna tener presente che, seppur utilizzando gli stessi apparati, le reti nervose interessate nell’articolazione del linguaggio verbale differiscono da quelle implicate nelle funzioni orali, ma ribadendo ciò che è stato detto in precedenza sia l’ambito verbale che quello orale, per il loro sviluppo, necessitano dell’integrazione di input motori, sensoriali e percettivi.
L’importanza della collaborazione tra terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva e logopedista
Come si evince dalle caratteristiche descritte nei paragrafi precedenti, la disprassia verbale evolutiva è un disturbo che frequentemente lo si ritrova in associazione ad altre patologie e che quindi non investe soltanto l’ambito verbale o può anche capitare che un bambino con disprassia, con un disordine genetico, con ADHD, presenti poi una comorbidità con la disprassia verbale: ecco che qui risulta fondamentale la collaborazione tra terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva e logopedista. Evidenze scientifiche dimostrano di come vi sia una correlazione importante tra basi neurologiche deputate al movimento e reti neurali deputate al linguaggio: la presa in carico del bambino deve essere attuata nella sua globalità ed una collaborazione forte tra le due figure professionali è da immaginare come una “stretta di mani”, la quale risulta difficile e/o impossibile se una delle due mani manca.
Vari studi condotti e poi rafforzati da evidenze cliniche dimostrano come la disprassia verbale mostri delle peculiarità presenti in altri segni di disprassia, soprattutto in quella orale, nella disprassia d’abbigliamento, nella disprassia di sguardo, degli arti e della scrittura; viene sempre più avvalorata la supposizione che vi sia un comune meccanismo tra articolazione e capacità di esecuzione nel movimento di mani, dita e arti.
Di notevole interesse è uno studio condotto da Aram e Horwitz (1983) dal quale si evince che bambini con diagnosi di disprassia verbale presentino problematiche non soltanto nel linguaggio (si ricordi che la diagnosi di disprassia verbale viene enunciata quando il disturbo riveste l’area del linguaggio, anche se si sta portando sempre più avanti l’idea che bisognerebbe essere meno selettivi da questo punto di vista, perché sia pratiche cliniche che evidenze scientifiche stanno facendo strada sempre più all’ipotesi che, per riabilitare un bambino con disprassia verbale, non occorre tener presente soltanto l’aspetto prettamente verbale ma anche quello motorio, percettivo, visuo-spaziale, temporale e tutto ciò che concerne le funzioni esecutive)ma anche sul piano dell’organizzazione temporo-spaziale, tali difficoltà non si presentano esclusivamente nelle prove verbali ma anche quando la richiesta non è di tipo verbale.
Funzioni esecutive
Sono state citate precedentemente le funzioni esecutive, ma cosa sono?Le funzioni esecutive rivestono un ruolo cruciale nel gestire le informazioni, nel pianificare correttamente la risposta, grazie ad esse l’individuo riesce a focalizzarsi sul suo obiettivo senza distrarsi, cioè sono tutte quelle funzioni che servono per poter spendere in modo efficace il proprio patrimonio intellettivo (ricordiamo che l’intelligenza è quella funzione tale per cui vengono acquisite nuove idee e capacità elaborate ed utilizzate per poi risolvere efficientemente i problemi conseguendone l’adattamento dell’essere umano) mantenendo a mente le informazioni necessarie, non distraendosi con elementi che non servono, bloccando atti motori che sarebbero di disturbo all’azione che deve essere compiuta ed essere anche in grado di modificare la strategia pianificata se non corretta, è come se paragonassimo l’intelligenza al nostro denaro e le funzioni esecutive al bancomat o ai contanti. Appare evidente come il ruolo delle funzioni esecutive sia implicato nel disturbo disprattico e quindi si necessita, anche se brevemente, alla loro citazione.
Quali sono quindi le funzioni esecutive?
- Attenzione: allocazione delle funzioni cognitive verso uno stimolo target eliminando i distrattori.
- Flessibilità cognitiva: abilità nell’ adattarsi subito a una nuova situazione, capacità di mutare prospettiva variando le proprie reazioni a input che si modificano costantemente, diversificando schema comportamentale a seguito di feedback esterni.
- Memoria di lavoro: memoria basilare per l’apprendimento che consta di tre componenti (phonological loop, visual sketchpad e sistema esecutivo centrale) che permette di fissare, immagazzinare e rievocare informazioni dalla memoria provenienti da diversi input sensoriali.
- Pianificazione: organizzazione volontaria di una sequenza di comportamenti utili al raggiungimento di uno scopo.
- Inibizione: in base al contesto ambientale, è la facoltà di sopprimere un’azione dominante in favore di un comportamento più appropriato.
Il Professore Benso e la dottoressa Sabbadini hanno dimostrato e sottolineato l’importanza di un approccio multi sistemico che tenga in considerazione l’aspetto fondamentale delle funzioni esecutive nell’acquisizione delle funzioni prassiche e delle capacità linguistiche. Nella disprassia la funzione inibitoria, la pianificazione e la capacità di autoregolazione risultano deficitarie.
Disprassia, linguaggio e gestualità
Nel 1999 Iverson e Thelen sviluppano uno studio che permette di enfatizzare lo stretto collegamento che vi è nella connessione tra gesto e linguaggio, l’acquisizione dell’uno sembra essere intimamente correlato all’acquisizione dell’altro, in un armonico potenziamento dello sviluppo cognitivo del bambino (nella disprassia verbale si nota una compromissione nella comunicazione gestuale, sia nei gesti transitivi che intransitivi, i quali risultano imprecisi e grossolani).
Questi due studiosi nel loro lavoro riportano studi attraverso indagini di neuroimaging dimostrando che compiti motori che implicano movimenti della mano e delle dita attivano porzioni dell’area di Broca ed anche il solo pensare di muoverle attiva tale porzione; dimostrano altresì il sussistere di una stretta relazione tra le aree cerebrali dominanti la funzione del linguaggio (emisfero sinistro) e la parte del cervelletto più attiva delegata al movimento (area del cervelletto laterale inferiore); in che modo arrivano a tale risultato? Attraverso l’osservazione grazie a studi di neuroimaging come precedentemente citato, nei quali viene richiesto agli individui presi in esame di pensare ad un legame tra una parola letta ed una parola che interessa l’uso funzionale della precedente (es. forbici – tagliare), gli esperti osservano che a tale richiesta si attiva l’area del cervelletto laterale inferiore nella sede che proietta l’input correlato all’emisfero sinistro.
Queste conclusioni spingono sempre più verso un approccio riabilitativo che tenga presente l’importanza dei gesti nella gestione dei bambini con disturbo specifico del linguaggio, nella disprassia verbale e nelle difficoltà di accesso e organizzazione lessicale. Non si può tralasciare questo aspetto motorio, non si può non tener conto che bisogna prestare massima attenzione in ambito riabilitativo al potenziamento della gestualità, della motricità fine, dei movimenti della mano e delle dita della mano, non dimenticando mai naturalmente l’età di sviluppo del bambino. Nei bambini con disprassia verbale è sovente la presenza di deficit di sguardo e di fissazione prolungata ed è fondamentale lavorare sull’attenzione, sulla sequenzialità dello sguardo, proporre l’agganciare un oggetto vicino e spostarsi a uno lontano cercando di mantenere il focus dell’inseguimento; purtroppo questa problematica di sguardo influisce negativamente anche sulla sfera emotivo-relazionale rendendo talvolta difficile la diagnosi e invalidando la socialità del bambino.