Relazione: sviluppo emotivo-affettivo
Interazione nel periodo prenatale
La vita prenatale è il periodo di preparazione del feto, alla vita da neonato. Durante i nove mesi di gestazione, infatti, si assiste alla maturazione neurologica e fisica del feto, grazie alla cooperazione tra il background genetico trasmesso all’individuo dai genitori e le continue interazione ed esposizione del feto con l’ambiente intrauterino materno. Tale ambiente è naturalmente predisposto al nutrimento e alla protezione della nuova vita. Il corpo del feto è immerso nel liquido amniotico, che mantiene costante il suo equilibrio omeostatico, che viceversa sarebbe immaturo, inoltre la sospensione in questo holding materno accoglie la crescita corporea del feto esponendolo a stimolazioni sensoriali utili allo sviluppo. L’insieme dell’ambiente intrauterino e le sensazioni materne che riguardano la gravidanza, costituiscono un sistema da subito rivolto all’accudimento e alle cure del bambino, in continuo mutamento emotivo e corporeo.
Le fasi dello sviluppo prenatale si differenziano in fase embrionale e fase fetale.
Il periodo embrionale va dalla terza settimana di gestazione all’ottava settimana. In questo momento di rapida crescita, si assiste alla differenziazione delle cellule, che daranno origine a diversi distretti corporei e a diversi tessuti. A partire dalla quinta settimana di vita, nell’embrione saranno riconoscibili l’encefalo, il midollo spinale, gli organi di senso, il cuore di cui è possibile apprezzare il battito.
Dalla nona settimana si entra nella fase fetale, che si conclude con il termine della gravidanza. La formazione dei diversi sistemi è completa e dal terzo mese di vita intrauterina iniziano ad essere funzionanti. Vi è un iniziale controllo, da parte delle reti neurali, sull’attività muscolare diffusa, rendendola più strutturata, è infatti, dal quarto mese di età gestazionale, che la mamma inizia a percepire i primi movimenti del bambino. Il feto compie dei movimenti con la testa, apre e chiude la bocca e si succhia il pollice. Da questo momento madre e bambino avranno entrambi un ruolo attivo nella definizione di tutti i processi interattivi che andranno a caratterizzare la loro relazione.
Il repertorio motorio del bambino è complesso, fatto di momenti di attività e momenti di riposo, durante i quali la mamma adatta e modifica il suo comportamento. Il feto presenta reazioni motorie alle stimolazioni sensoriali, in particolar modo a quelle sonore, la voce materna è da subito percepita come familiare. Gli schemi motori precoci risultano dei sussulti del capo e degli arti superiori, con l’avanzare dell’età gestazionale, si modificano, aumentano nei diversi distretti corporei e diventano armonici, in alcuni casi simili a quelli visibili nel neonato. In questo periodo la madre ha un importante funzione responsiva a tali movimenti, avrà il compito di attuare interazioni funzionali di tipo senso-motorio (con la prosodia, il tono di voce e con cambiamenti posturali), che hanno incidenza sullo sviluppo del neonato che affronterà l’ambiente extra-uterino.
Il feto in queste condizioni di protezione e stimolazioni continue, sperimenta la prima versione di un sé, creando nella madre e in entrambi i caregivers, un’aspettativa di quello che sarà il futuro bambino.
Il bambino viene così sognato e immaginato e continuamente reso protagonista delle cure e delle attenzioni genitoriali.
La relazione che si instaura così precocemente tra madre e bambino comporta quindi una prima costruzione dell’identità del bambino e una modificazione dell’identità materna, che renderà il suo corpo un contenitore ideale dal quale filtrare stimolazioni emotive e senso-motorie (B. Aucouturier,2005).
Il corpo materno è dunque quell’ambiente, al quale il bambino viene esposto precocemente e con il quale interagisce, da cui ricava i fondamentali costrutti per la formazione di un proprio sé.
La qualità delle interazioni precoci tra madre e bambino durante la gravidanza si differenzia a seconda delle percezioni materne nei confronti dei cambiamenti che si possono verificare e a seconda del vissuto affettivo che la caratterizzano. Tali differenze incidono sulla disponibilità alla relazione da parte del genitore e vanno a definire i termini entro i quali il rapporto tra madre e bambino si instaura e matura.
Intersoggettività primaria e secondaria
L’intersoggettività rappresenta la condivisione dei processi mentali tra esseri umani che ha luogo durante la comunicazione interpersonale.
Esiste, nel bambino, già dai primi mesi di vita, la capacità innata di entrare in connessione con l’altro per condividere stati emotivi di natura positiva e negativa. Trevarthen (1979), ha messo in evidenza come il gioco emozionale tra il bambino e l’adulto d’elezione, che ha lo scopo di regolare le interazioni affettive nella diade, sia appreso precocemente, prima della prensione degli oggetti e della loro rappresentazione. Tale abilità risulta libera da influenze culturali e non richiede accesso a particolari capacità cognitive o relazionali.
L’intersoggettività viene dunque divisa in fasi, differenziate per complessità e influenzata dalla disposizione genitoriale alla relazione. È infatti compito del caregiver fornire significato alle modificazioni dello stato emotivo del bambino, sintonizzandosi con esso e restituendo risposte contingenti, funzionando così da contenitore e regolatore emotivo. Il passaggio da una fase all’altra è determinato dalla maturazione del sistema nervoso centrale e dalla relazione tra il bambino e l’ambiente e i compiti di sviluppo ai quali il bambino è sottoposto ed esposto.
Si distinguono due fasi dell’intersoggettività:
- Primaria, che caratterizza la fascia d’età che va da 0 a 8 mesi, nella quale i processi interattivi riguardano la diade caregiver-bambino. Vi rientrano tutte le forme di interazione caratterizzate da scambi di sguardi, sorrisi, vocalizzazioni e cambiamenti della mimica facciale, che seguono uno schema di alternanza dei turni. Secondo Trevarthen oltre ad esserci una motivazione innata nel neonato alla comunicazione, vi è anche la presenza di un interlocutore come “altro virtuale”. In questo momento la madre esplica la sua funzione di scaffolding nella relazione (S.Cimino,2012) attribuendo in modo cosciente o meno, intenzionalità emotiva alle manifestazioni del bambino. La madre ha il ruolo di favorire lo scambio comunicativo, attraverso il riconoscimento e l’utilizzo di segnali posturali, gestuali, tattili e vocali che favoriscono il rispecchiamento emotivo della diade. Alla base dello scambio vi è la sensibilità materna ai segnali del bambino, quindi la discriminazione del tipo di pianto, dei segnali vocali e mimici ai quali risponderà attuando diversi comportamenti di accudimento, come il bambino viene preso e maneggiato (holding e handling) rientra nella costruzione emotiva della relazione. Il bambino, infatti, proprio come durante la vita gestazionale, percepisce la disponibilità emotiva della madre attraverso, a seconda dello stato emotivo, la variazione tonica del caregiver. Molta importanza ha anche la disponibilità della madre allo scambio, a fornire risposte contingenti e ad attendere la comprensione emotiva da parte del bambino e la seguente risposta, rispettando il proprio turno nella conversazione.
- Secondaria, propria della fascia 9-18 mesi, nella quale l’interazione è rivolta all’ambiente e riguarda quindi la relazione caregiver-oggetto-bambino. Nella fase precoce dell’intersoggettività le esperienze si basavano sul rispecchiamento emotivo, volto a creare un riconoscimento con l’altro. Da questo momento le esperienze di intersoggettività, si caratterizzano per la differenziazione dall’altro e la possibilità di condividere le esperienze con esso. Oggetto di interesse del bambino non è più il volto umano, ma l’ambiente, intorno ai nove mesi il bambino inizia a ricercare lo sguardo della madre per condividere l’attenzione su qualcosa di esterno alla diade. Si osserva quindi uno scambio con la consapevolezza da parte del bambino della presenza di un altro uguale e diverso da sé nella relazione. La comunicazione mano a mano diventa intenzionale e il bambino che conosce la presenza dell’altro nella diade utilizza diversi canali per rivolgersi al genitore, compare l’uso del gesto indicativo, la triangolazione e la condivisione dell’attenzione nello scambio e l’alternanza dei turni raggiunge una maggiore consapevolezza, la comunicazione diventa dialogo. Con l’acquisizione del gesto indicativo intenzionale il bambino ha più incidenza nella relazione, attende che la made/caregiver presti attenzione alle sue richieste, esercitando un controllo sull’altro, che in risposta dovrà attivarsi nello scambio per soddisfare un’esigenza sul piano emotivo.
Nell’interazione precoce, i momenti di contatto tra le parti della diade madre-bambino possono essere sia di natura positiva (match) che negativa (mismatch).
Nelle fasi di mismatch il ritmo interattivo della diade può perdersi, può accadere che il bambino dopo diverse stimolazioni distolga lo sguardo dal volto del genitore, oppure che il genitore assuma un’espressione facciale non congrua alla situazione fino a quel momento vissuta. In seguito a questa rottura vengono attivati nella diade diversi tentativi di “riparazione” del ritmo interattivo. A diversi tipi di riparazioni, corrispondono diverse tipologie di attaccamento relazionale, ad esempio nei casi in cui le riparazioni siano funzionali ed efficaci, avremo una relazione nella quale la madre e il bambino sono consapevoli del fatto che in seguito ad una rottura il ritmo riprenda in modo coordinato (relazione sicura). Nella coppia madre-bambino vi è un continuo alternarsi di situazioni di match-mismatch e di nuovo match nella relazione ( C. Riva Crugnola,2002).
Sviluppo del legame di attaccamento
Teoria del legame di attaccamento
All’interno della relazione, madre e bambino, attivano un sistema di condivisione di significati emotivi, che non si limita all’esigenza delle cure e al soddisfacimento dei bisogni da parte del bambino, come ampiamente teorizzato dalla psicoanalisi, che vede il sistema madre/bambino come una relazione oggettuale, nella quale la madre è l’oggetto che consente la realizzazione delle pulsioni. Quindi la relazione fino a quel momento viene vista come un sistema di soddisfacimento dei bisogni primari del bambino, fondamentalmente la ricerca di cibo.
Basandosi sull’osservazione diretta madre-bambino nelle diadi non umane, attraverso lo studio etologico del fenomeno dell’imprinting, ovvero quel fenomeno innato di seguitazione della prima figura con la quale entrano in contatto alla nascita (solitamente la madre) presente nei cuccioli, lo psichiatra inglese Bowlby, formula la sua teoria sull’attaccamento, che si oppone alla teoria psicoanalitica per la sua critica alla mancata osservazione diretta del bambino.
Bowlby(1964-1979) a differenza dei suoi contemporanei ipotizza nell’attaccamento, una motivazione intrinseca e primaria alla ricerca di protezione, serenità, calore affettivo e sensibilità da parte della madre, che va oltre la necessità fisiologica del nutrimento. Secondo lo psichiatra, il comportamento di attaccamento si manifesta in situazioni di pericolo, quando il bambino dopo essere stato allontanato dalla figura di riferimento, attiva la ricerca della vicinanza, maggiore sarà il pericolo percepito dal bambino, maggiori saranno le manifestazioni di tale ricerca, attraverso il pianto, le vocalizzazioni, la mimica facciale e la motilità.
Prima di parlare di come avviene lo sviluppo dell’attaccamento, bisogna fare delle differenze tra attaccamento come sistema comportamentale interno al bambino che regola le emozioni e i sentimenti che egli prova verso se stesso e verso gli altri e il comportamento di attaccamento, che consiste nelle modalità tramite le quali vengono esplicitati tali sentimenti. Nel bambino piccolo il comportamento di attaccamento si manifesta attraverso segnali ben precisi, volti a mantenere la vicinanza dal caregiver, quali il sorriso, le vocalizzazioni, il pianto. Da parte sua il caregiver, possiede un repertorio di comportamenti di attaccamento che decifrano l’atteggiamento del piccolo, lo rendono quindi sensibile ad un certo tipo di pianto da parte del bambino, che verrà messo in condizione di essere aiutato adeguatamente.
Bowlby definisce "figura materna" la persona che è primariamente responsabile della cura del bambino. Il comportamento di attaccamento della figura materna e del bambino convergono in questo sistema di attaccamento. Il sistema di attaccamento ha lo scopo di mantenere stabile l’equilibrio all’interno e all’esterno della diade. Quando l’ambiente da esplorare presenta ostacoli o è percepito come pericoloso il bambino attiverà diversi segnali per mantenere la vicinanza con la figura di riferimento, quando invece l’individuo si sente sicuro riesce ad allontanarsi dalla base ed esplorare il mondo. Dunque il sistema di attaccamento proprio per la sua funzione protettiva nei confronti dei pericoli ambientali, non è sempre attivo, ma resta silente in tutte quelle situazioni sicure in cui il bambino percepisce l'ambiente circostante come noto e la figura di attaccamento come presente e responsiva. In questi casi si rende possibile l'attivazione e l’accesso ad altri sistemi comportamentali ad esempio il comportamento esplorativo, che consente al bambino di conoscere l'ambiente, in presenza e con la disponibilità emotiva della figura materna.
Bolwby differenzia le fasi dello sviluppo del legame di attaccamento in quattro diversi step, che comprendono quattro range di età differenti:
- Prima fase: è tipica dei primi due mesi di vita, in questa fase non vi è discriminazione della persona, il bambino si orienta verso qualunque persona e produce i segnali di attaccamento di cui è dotato, attivando il comportamento di segnalazione e avvicinamento. I segnali di cui è dotato sono il sorriso, il pianto e le vocalizzazioni, che sono rivolti ad indurre l’avvicinamento e il contatto di qualunque essere umano. Sono comportamenti biologicamente programmati ad assicurare il benessere del soggetto, la sua protezione e sicurezza, infatti soddisfano il bisogno di cure e di vicinanza. In un secondo momento il bambino inizia a distinguere le persone che si prendono cura di lui grazie all’olfatto e alla vista che gradualmente maturano insieme ad altri aspetti cognitivi.
- Seconda fase: si articola dai tre ai sei mesi, in questa fase il bambino discrimina la madre, o chi si prende cura di lui dal resto delle persone e il comportamento attivato è di comunicazioni dirette.I segnali che vengono attivati di segnalazione e avvicinamento non mutano in presenza di altre figure, ma mano a mano diventa sempre più in grado di riconoscere la figura di riferimento, in particolar modo la madre, da persone sconosciute, orientando così i suoi segnali verso il caregiver.
- Terza fase: tale periodo va dai sei mesi ai due anni, è caratterizzato dalla maturazione del bambino su tutte le aree di sviluppo. Il bambino inizia a camminare, i sistemi comunicativi sono più maturi, il bambino è in grado di discriminare la figura materna e non solo, ha le competenze per allontanarsi da essa e ritornarvi, mettendo in atto segnali di mantenimento della vicinanza. In questo momento compaiono nuove emozioni, il bambino discrimina tra le persone che ha davanti, le figure familiari da quelle sconosciute, attua un contatto preferenziale con la figura materna e le persone viste come estranee suscitano distacco e diffidenza. Si manifestano stati emotivi finora non presenti, come la paura dell’estraneo e l’ansia da separazione, che indicano l’angoscia di essere lasciato solo e la più matura capacità da parte del bambino di discriminare, riconoscere e preferire la figura materna, protagonista del legame di attaccamento, che risulta orientato e preferenziale.
- Quarta fase: la fase si estende dai due anni in poi, nella quale si sviluppa una relazione basata sullo scopo programmato, che consiste nel perseguimento di obiettivi regolati in base alle informazioni di ritorno, da parte dell’ambiente. Secondo Bowlby il comportamento del bambino in questo periodo è simile ad un sistema di controllo, il bambino opera attraverso diversi tentativi, che successivamente saranno modificati o nuovamente adottati, in base ai feedback che l’ambiente ha restituito. Come si osserva nella figura 1.1 il comportamento di attaccamento del bambino nella quarta fase, funziona con tentativi e controlli dell’ambiente e della risposta comportamentale della figura di riferimento. I bambini dopo i due anni attivano comportamenti intenzionali, valutando la risposta dell’altro, grazie alle competenze emergenti di lettura e decodifica delle motivazioni altrui, pianificando così i propri obiettivi, tenendo conto, anche se ancora parzialmente, delle esigenze altrui. Il sistema di attaccamento è di tipo reciproco, che prevede ancora come figura di riferimento la madre, ma che presenta anche altre forme di attaccamento verso individui che non costituiscono la diade, queste forme di attaccamento verso terzi, comunque risentono del modo in cui si è organizzato il pattern di attaccamento verso la figura materna. Dopo i quattro anni, insorgono, grazie alla presenza di nuove competenze cognitive, pattern relazionali più complessi ed estesi a molteplici soggetti, che vanno oltre la figura di riferimento e secondo Bowlby non possono essere descritti in termini di semplici comportamenti, passando dall’attaccamento, ad una teoria generale sui legami affettivi. Nello sviluppo di legami estesi a nuove figure, lo psichiatra, sottolinea la fondamentale importanza delle esperienze che il bambino prova con le figure di riferimento (madre, caregiver, entrambi i genitori) e di come queste si ripercuotano sui legami che il bambino stabilisce con gli altri e sul suo adattamento all’ambiente in futuro.
Figura 1.1 SISTEMA COMPORTAMENTALE DI ATTACCAMENTO [Holmes 1993]
Legame di attaccamento e costruzione del sé: i modelli operativi interni
Lo sviluppo del legame di attaccamento, determina il comportamento di attaccamento che il bambino assume all’interno delle sue interazioni, e quindi nel sistema di attaccamento con la figura di riferimento.
Come fa il bambino, partendo dalla relazione diadica, ad estendere le sue competenze emotivo-affettive ad altre situazioni a lui non familiari? Lo fa, attraverso la costituzione di modelli mentali complessi di sé stesso e delle figure affettive di riferimento. In altre parole lo sviluppo del legame di attaccamento, definisce a livello mentale la rappresentazione del sé e dell’ambiente (inteso come sistema di attaccamento) che nel bambino si era già precostruita con la relazione tonica e prima ancora con le esperienze senso-motorie della vita intrauterina. Tali modelli mentali prendono il nome di Modelli Operativi Interni (MOI). Le esperienze emotive vissute dalla diade diventano per il bambino memoria, che si arricchisce di significato. Tanto più il bambino è esposto ad una relazione ricca dal punto di vista esperenziale, quanto più il suo bagaglio di significati emotivi sarà ampio e gli permetterà di utilizzare le informazioni immagazzinate per affrontare, dapprima la relazione diadica reciproca, in un secondo momento lo spazio tra sé e l’altro e mano a mano con lo sviluppo cognitivo e la maturazione dei sistemi comunicativo-affettivi, relazioni sempre più complesse e numerose.
Dobbiamo ricordare che l’attaccamento, inteso come quel sistema di comportamenti volti a ottenere e garantire la vicinanza con un individuo in via preferenziale, a seconda della qualità degli scambi, può avere natura diversa, può costruirsi positivamente, oppure può essere un legame difficile nel quale prevalgono momenti di incomprensione e disarmonia nella diade. Questo comporta nell’organizzazione dei MOI una prospettiva diversa nella rappresentazione del sé. Infatti, quando nelle prime esperienze prenatali e in quelle precoci dei primi mesi di vita, il bambino è soggetto a cure e attenzioni, viene pensato ed esposto alla disponibilità genitoriale, dotato di risposte congrue alle sue esigenze, costruirà una rappresentazione di sé basata sulla significatività del proprio essere, di appartenere ad una relazione perché degno di amore e dalla quale avrà sicurezza, spazio e conforto.
Quando la sicurezza della disponibilità genitoriale viene meno, non vi è sensibilità e match nella diade, la rappresentazione del sé del bambino, esposto ad un ambiente/sistema che offre chiusura, sarà organizzata secondo l’immagine di non meritevole di accudimento, affetto e cure.
La differenza tra un tipo di rappresentazione e l’altra, dunque si costruisce insieme alla relazione ed è fondamentale nell’organizzazione, tramite i MOI, delle interazioni che il bambino dovrà gestire una volta esposto a più ambienti.
Tipologie di attaccamento
L’attaccamento, come comportamento, si presenta nei momenti di separazione dalla figura materna, attraverso manifestazioni motorie, vocalizzazioni e modificazioni della mimica facciale. Quello che differenzia il sistema di attaccamento che si instaura nella diade, oltre all’individualità di ogni membro della partnership, è la sensibilità genitoriale e la conseguente disponibilità alla relazione. Per sensibilità si intende, la capacità e la volontà di ascoltare le manifestazioni di attaccamento del bambino, e interpretarle nel modo più contingente e tempestivo possibile, fornendo risposte adatte ai bisogni emotivi ed evolutivi del bambino.
Bowlby ha sottolineato come sia fondamentale nella costituzione della personalità la reale esperienza emotiva con le figure di riferimento, l’esposizione a fattori ambientali favorevoli, che permettano la sperimentazione e l’adattamento, e allo stesso tempo garantiscano le cure e gli affetti sostanziali. Partendo da tali presupposti Mary Ainsworth (1978), definisce diversi pattern di attaccamento nella diade, considerando come punto di partenza la figura materna come base sicura, in grado di percepire correttamente i segnali del bambino e di modulare il suo comportamento a seconda di essi.
Caratteristica della figura di riferimento come base sicura, è la sensibilità ai segnali del bambino, Ainsworth , durante l’osservazione diretta della relazione madre-bambino, costruisce una scala che consente di valutare qualitativamente questa competenza genitoriale. La scala “Da madre altamente sensibile a madre altamente insensibile” (“The Sensitivity vs. Insensitivity Scale”), si articola in quattro punti che prendono in considerazione la responsività della figura materna in base a:
- consapevolezza dei segnali del bambino: per accedere a tale requisito, la madre necessita di due aspetti fondamentali, ovvero, l’accessibilità ai segnali e alle comunicazioni del bambino e la soglia di percezione dei medesimi segnali. Per entrare in contatto con le manifestazioni del bambino è necessario che la madre abbia accesso dal punto di vista cognitivo ed emotivo alla comunicazione per poi averne consapevolezza. L’accessibilità è un prerequisito necessario alla consapevolezza, tuttavia non sufficiente, perché per esserci consapevolezza la madre deve percepire come significativo un certo segnale. Si parla infatti di soglia di percezione del segnale, se la soglia è bassa, la madre è molto sensibile alla minima variazione del comportamento del bambino, nel caso in cui la soglia sia alta, vengono percepiti solo i segnali più “brillanti ” ed evidenti. Non sempre comunque una percezione più bassa dei segnali e dunque un’alta sensibilità ad essi, è sinonimo di una funzionalità relazionale, in quanto si può verificare che vengano percepite erroneamente delle manifestazioni e si forniscono risposte inadatte ad esse.
- interpretazione accurata dei segnali del bambino: una madre per poter interpretare i segnali del proprio bambino deve poter avere la capacità di consapevolezza dei segnali, come già descritto, può accadere che i segnali subiscano una distorsione e deve poter entrare in empatia con il bambino. I segnali possono essere erroneamente interpretati per mancanza di consapevolezza, oppure nel caso in cui ci sia un’alta sensibilità ad essi, per distorsione dei segnali stessi. Le manifestazioni del bambino possono essere interpretate, in base a quelli che sono i desideri della figura genitoriale, nel caso in cui la madre abbia attivato meccanismi difensivi nei confronti del bambino, i segnali verranno interpretati come distorti, per proiezione o negazione di stati emotivi che caratterizzano il vissuto relazionale del genitore. Quindi si può andare incontro ad interpretazioni erronee, ad esempio nel caso in cui la madre non voglia partecipare alla vita di relazione con il bambino potrebbe interpretare le sue richieste di attenzione come stanchezza o fame, e quindi metterlo a dormire o nutrirlo quando non è necessario. Il bambino viene percepito dalla madre e allo stesso tempo egli percepisce la madre, quando nella relazione non vi è armonia si innescano così meccanismi difensivi da parte di entrambi i partner relazionali. Il genitore consapevole dei segnali, prima di poterli interpretare, deve entrare in empatia con essi. L’empatia è quella competenza che garantisce alla madre, di soddisfare con sincerità il desiderio del bambino. Quando non vi è comprensione empatica dei segnali del bambino la madre non li interpreta, tende a mantenere le distanze dal bambino, fornisce risposte distaccate e non calde e corporee.
- risposta appropriata a tali segnali: la madre altamente sensibile, non sempre è consapevole o interpreta correttamente i segnali del bambino e di conseguenza non fornisce risposte appropriate. L’appropriatezza delle risposte, necessita di tutte le altre competenze, in particolar modo della sincerità all’interessamento da parte della madre al bambino. Quando la figura di riferimento è sinceramente disponibile alla relazione, mette al primo posto le esigenze del bambino e si pone come obiettivo quello di rispondere in modo più adatto possibile, rispettando i bisogni emotivi e di sviluppo del bambino, senza anticiparlo o interpretarlo secondo stati d’animo personali.
- la risposta sollecita: la rapidità nel fornire risposte adatte, varia con l’aumento dell’età del bambino e si differenzia in base allo sviluppo del bambino, che è esposto con il tempo a sensazioni e stimoli diversi. Nel primo trimestre di vita il bambino necessita di risposte tempestive da parte della madre, che riguardano sensazioni corporee immediate di cure e affettività. Con lo sviluppo, il bambino è sempre meno dipendente dal corpo della madre e crea uno spazio tra sé e l’altro, quando la relazione lo permette, in questo modo si allungano i tempi di latenza della risposta agli stimoli da parte della madre. Come per le altre competenze, la tempestività con la quale vengono fornite le risposte è strettamente legata alle altre caratteristiche, le mamme sensibili e consapevoli percepiscono e interpretano i segnali con rapidità e forniscono risposte sincere ed empatiche. Quando una delle competenze viene meno, l’armonia della diade nel dialogo relazionale è squilibrato e non c’è tempestività, né consapevolezza o empatia nelle risposte.
La sensibilità materna in questa scala viene inserita in un punteggio che va da 9 che corrisponde a “madre altamente sensibile” a 1 “madre altamente insensibile”, con punteggi intermedi che corrispondono a 7 “sensibile”, 5 “sensibilità incostante”, 3 “insensibile”.
A seconda delle caratteristiche relazionali, si può definire qualitativamente, inserendo nella scala di punteggio le osservazioni cliniche, tale competenza materna, che è incisiva nella distinzione delle diverse forme di attaccamento.
L’osservazione controllata è il metodo che viene utilizzato dalla Ainsworth, anche in merito allo sviluppo dell’attaccamento, viene elaborata infatti una situazione sperimentale denominata “Strange Situation” caratterizzata da otto episodi, ognuno dei quali della durata massima di 3 minuti circa, che espongono il bambino ad una potenziale situazione di stress relazionale. Vengono presi in considerazione bambini nella fascia d’età tra i 12 e i 18 mesi e osservati durante episodi di allontanamento e ricongiunzione con la figura genitoriale.
Gli episodi della Strange situation vengono così divisi:
- I episodio: madre e bambino vengono fatti entrare in una stanza, accompagnati da una terza figura e poi vengono lasciati soli.
- II episodio: nella stanza sono presenti oggetti di interesse ludico, si osserva la diade durante il gioco, quale esplorazione ha attivato, se condivide il gioco con la madre.
- III episodio: nella stanza entra un estraneo, che parla con la madre e successivamente prova a coinvolgere il bambino nel gioco.
- IV episodio: la madre esce, lasciando il bambino solo in stanza con l’estraneo.
- V episodio: lo sconosciuto esce e la madre rientra in stanza.
- VI episodio: in questa situazione il bambino viene lasciato solo.
- VII episodio: nella stanza entra lo sconosciuto, se necessario cerca di consolare il bambino.
- VIII episodio: la madre rientra in stanza.
Come precedentemente detto, lo stile di attaccamento si determina in base a diversi fattori, l’osservazione diretta di queste situazioni di breve stress relazionale hanno permesso di classificare quattro tipologie di attaccamento, che legano la figura materna con il proprio bambino. Gli stili di attaccamento sono:
- Attaccamento insicuro-evitante (A);
- Attaccamento sicuro (B);
- Attaccamento insicuro- ambivalente (C);
- Attaccamento disorganizzato (D).
Il bambino classificato come insicuro-evitante, in presenza della madre, tende a non prenderla in considerazione, è preso dai giochi e indifferente nei confronti della figura di riferimento. Quando nella stanza sono presenti sia la madre che l’estraneo, il bambino tende a far riferimento più all’estraneo, oppure a trattare con indifferenza entrambi.
Alla separazione il bambino non mostra segnali di disagio, se manifesta segnali di stress, avviene quando è lasciato completamente solo, in tal caso è facilmente consolabile anche dalla figura estranea.
Alla riunione con la figura di riferimento, tende a mantenersi a distanza senza ricercare il contatto fisico con la madre, oppure se lo ricerca ne accetta la presenza per brevi periodi, dopo di che torna di nuovo ad allontanarsi voltando le spalle. Se richiede il contatto e viene messo in braccio, vi rimane per poco tempo , in seguito segnala di voler scendere, ma una volta messo a terra attiva atteggiamenti di protesta.
Il bambino classificato come sicuro, durante il primo episodio mostra di esplorare attivamente l’ambiente, utilizzando la madre come mediatore sociale e come punto di riferimento. Nello stesso stile di attaccamento può accadere che il bambino sicuro presenti uno stato d’ansia nei confronti della madre, durante l’esecuzione di tutti gli episodi. Con l’estraneo può essere amichevole, ma preferisce interagire con la madre.
Alla separazione con la madre il bambino sicuro attiva diversi atteggiamenti di attaccamento, può esprimere disagio per la separazione dalla madre, ma riesce ad essere consolato dall’estraneo e a giocare da solo; può esprimere pochi segnali di disagio alla separazione oppure segnali considerevoli di sofferenza per l’assenza della figura materna.
Alla riunione con la figura di riferimento, in base all’atteggiamento attivato alla separazione, il comportamento del bambino cambia, se il bambino ha manifestato ansia e sofferenza durante la separazione, ricerca il contatto fisico con la madre e si consola con difficoltà inizialmente, attivando anche alcuni atteggiamenti di evitamento come il non guardare la mamma se viene preso in braccio. Se ha sofferto poco durante la separazione, ricerca il contatto fisico, si consola facilmente e torna ad esplorare l’ambiente in modo attivo, talvolta può essere consolato anche dalla figura estranea, nel caso in cui la separazione con la figura di riferimento avvenga serenamente.
Il bambino ansioso – ambivalente, in presenza della madre e dell’estraneo, tende a rimanere a contatto con la madre, senza riuscire ad esplorare l’ambiente, senza separarsi dalla madre.
Alla separazione con la figura materna, manifesta evidenti segnali di stress e disagio, in presenza della sola figura estranea può manifestare sentimenti di rabbia nei suoi confronti.
Al momento del ricongiungimento con la figura di riferimento, il bambino ricerca insistentemente il contatto fisico, ma quando la madre gli presta attenzione, attiva sentimenti di rabbia e non riesce ad essere consolato, in altri casi il bambino accetta il contatto con la madre, ma difficilmente riesce ad essere consolato, attivando una protesta attiva quando la madre ad esempio lo mette a terra dopo averlo preso in braccio.
Il bambino disorganizzato possiede un repertorio di comportamenti confusi, apparentemente senza spiegazione, scopo o intenzione, comunque è possibile rilevare serie di comportamenti organizzati riconducibili alle tipologie di attaccamento A, B, C, in ogni caso tali comportamenti si susseguono rapidamente e sono tra loro incompatibili.
In tutti gli episodi, si assiste alla messa in atto di atteggiamenti incongrui e contraddittori, incompleti o interrotti improvvisamente. Alla presenza della figura di riferimento attiva espressioni di confusione e disorientamento, paura o preoccupazione.
Al momento della riunione, può accadere che i bambini disorganizzati si avvicinino alla madre tenendo la testa girata dall’altra parte, come per evitare di incontrare lo sguardo della figura genitoriale, oppure al momento del rincontro possono cambiare direzione all’ultimo istante posizionandosi repentinamente con il viso rivolto verso la parete, attivando un’altra modalità di evitamento. L’attivazione di questo repertorio di atteggiamenti, dà l’idea che il bambino disorganizzato sia come bloccato, tra l’allontanamento e l’avvicinamento dalla figura materna, senza sapere quali interruttori accendere per accedere all’una e all’altra manifestazione.
Lo stile di attaccamento disorganizzato è solitamente riconducibile alla realizzazione di relazioni fallimentari madre-bambino, nella quale non si sono organizzate strategie di cooperazione tra le parti della relazione, può essere anche associata a relazioni con presenza di traumi o lutti.
Durante le situazioni di accudimento il bambino disorganizzato attiva repentinamente atteggiamenti di collera, intolleranza e evitamento della figura genitoriale. Tali atteggiamenti espongono il bambino disorganizzato ad un maggiore rischio evolutivo rispetto ai bambini con stili di attaccamento precedentemente descritti, che hanno come punto di riferimento una base sicura dalla quale possono decidere quando allontanarsi e riavvicinarsi attraverso schemi e segnali organizzati.
Processo di individuazione e separazione
Il bambino sperimenta la prima relazione con la figura materna, all’interno dell’ambiente genitoriale, una volta che ne ha le competenze, riutilizza gli schemi che ha immagazzinato a livello rappresentativo (MOI), in contesti più ampi, affrontando una separazione dalle figure primarie di riferimento. Alla nascita il bambino presenta caratteristiche biologiche immature, che lo “costringono” alla relazione simbiotica con la madre, man mano che tali competenze maturano, il bambino può sganciarsi da tale dipendenza e regolare gli scambi con la madre a seconda dell’esigenza del momento. A tal proposito, vengono distinte diverse fasi che portano il bambino a separarsi dalla figura materna ma soprattutto ad individuarsi, portando all’esterno della diade, il sé che si è costruito durante il concepimento e si è ulteriormente organizzato con lo sviluppo. Margaret Mahler nella sua opera “Nascita psicologica del bambino” (1978), afferma che esistano nell’individuo due tipi di nascite, quella biologica, che è un evento osservabile e circoscritto nel tempo e la nascita psicologica, che è un processo intrapsichico che si svolge lentamente, in varie fasi ed è accompagnato dalla disponibilità materna.
La nascita psicologica del bambino, è il culmine di un processo che ha un origine comune per l’essere umano, ed è fortemente influenzato dalla stabilità della figura di riferimento, alla quale la Mahler attribuisce il ruolo di “porto sicuro”. Il porto sicuro, o la madre, ha dunque il ruolo di garantire la sopravvivenza fisica ed emotiva al fine di permettere al bambino di differenziarsi da lei tramite due processi, uno tramite il quale il bambino si separa dall’oggetto protagonista dell’amore primario, la separazione; e l’altro tramite il quale da matrice indifferenziata, in simbiosi con il corpo della madre, sente il corpo come proprio e differenziato, l’individuazione.
Tale processo, si determina per tre fasi:
- Autismo normale o fisiologico;
- Simbiosi normale;
- Separazione e individuazione.
La fase autistica normale, caratterizza il bambino intorno al I mese di vita. Il neonato in questa fase, funziona quasi esclusivamente come organismo biologico, in un sistema unitario (madre-bambino) autosufficiente, sostenuto dalle cure della madre. Il sistema madre-bambino viene paragonato ad un guscio d’uovo impenetrabile, protetto dalle stimolazioni esterne e in grado di funzionare tramite meccanismi fisiologici di dipendenza del bambino dalla madre. Il bambino è completamente indifferenziato dalla madre, che viene descritta come un prolungamento del bambino.
La fase simbiotica è propria dei mesi successivi al primo, fino al quarto mese di vita del bambino. Il guscio impenetrabile del sistema, inizia ad assottigliarsi verso gli stimoli esterni. Il bambino possiede una concezione di sé rudimentale, che ha bisogno delle costanti cure materne. I confini tra il bambino e la madre non sono definiti, funzionano ancora come un unico sistema tenuto insieme da una membrana simbiotica. In questa fase sono importanti le modalità di cure e accudimento che vengono attivate, la madre prepara con il suo corpo il bambino ad una nascita psicologica.
La fase di separazione e individuazione si divide in quattro sotto fasi:
- I sotto fase : differenziazione e sviluppo dell’immagine corporea, ha inizio tra il quinto e il sesto mese di vita. Il bambino non è più contenuto in un guscio impenetrabile, inizia ad affacciarsi alla realtà, aumentano i ritmi fisiologici di veglia, compaiono atteggiamenti attivi verso l’esterno. Fino a questo momento il bambino era concentrato su sé stesso (conoscenza delle parti del corpo tramite la bocca), da ora il bambino sposta l’attività percettiva verso l’esterno e verso il corpo materno. Inizia a sperimentare la comparsa e la scomparsa della madre, iniziando a differenziarla dall’altro estraneo, sviluppando una memoria verso volti familiari rispetto a volti che non lo sono, indice di tale competenza è la comparsa verso i sette-otto mesi di vita dell’angoscia dell’estraneo.
- II sotto fase : sperimentazione ;intorno al decimo mese di vita, fino al sedicesimo, il bambino sperimenta una nuova modalità di esplorazione dell’ambiente , la locomozione. Il bambino possiede le competenze per allontanarsi fisicamente dalla madre, che comunque rappresenta il fulcro delle sue attenzioni affettive e quindi deve poter essere raggiunta ogniqualvolta il bambino necessiti rassicurazioni. In questo momento l’atteggiamento della madre è decisivo, la separazione dal corpo del bambino avviene anche per lei, che deve poter favorire l’allontanamento e incoraggiare la sperimentazione verso l’esterno, senza interferire con il proprio corpo oppure privare il bambino del piacere di ricercarlo quando ne ha bisogno.
- III sotto fase: il bambino tra il quindicesimo e il ventiduesimo mese di vita ha la consapevolezza di essere separato dalla madre, riesce ad allontanarsi dalla base sicura che rappresenta, ma la ricerca, nella condivisione delle nuove esperienze che sta affrontando. In questo momento il bambino vive una fase di ambivalenza, sente di volersi allontanare dalla figura materna, ma ha bisogna che la madre sia sempre presente quando lo richiede. È un momento caratterizzato da episodi di separazione che si alternano a episodi di crisi di riavvicinamento, è di fondamentale importanza in questa fase che la madre sia disponibile emotivamente ad accettare l’ambivalenza del bambino.
- IV sotto fase: costanza oggettuale ; fra i ventidue e i trentasei mesi il bambino raggiunge una individualità permanente, è un individuo distinto e separato dall’altro.
Riesce a tollerare la distinzione dalla madre e la separazione dalla stessa grazie allo sviluppo della temporalità e della spazialità, che gli consentono di accedere a concetti come “il dopo”, basati sulla comparsa e scomparsa della madre. La maturazione dei sistemi comunicativi e del livello rappresentativo, rendono la separazione consapevole, il bambino è in grado di gestire sul piano emotivo il distacco dalla madre perché consapevole che in un certo momento della giornata la rivedrà, riuscendo a tollerare la frustrazione e lo stress che derivano dalla separazione dal porto sicuro.
La madre deve poter consentire che la separazione avvenga in sicurezza per il bambino, rispondendo con sensibilità nei momenti in cui il bambino non è pronto ad allontanarsi dal suo corpo e indirizzandolo all’allontanamento nei momenti in cui il bambino ha bisogno di essere incoraggiato.