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Perché il termine “NEUROPSICOMOTRICISTA” viene associato al "Terapista della NEURO e PSICOMOTRICITÀ dell’Età Evolutiva" ?

Le basi teoriche della psicologia dello sviluppo

Sviluppo tipico e atipico: aspetti storici e nuove prospettive di ricerca

La psicologia dello sviluppo è una disciplina che indaga i cambiamenti che si verificano nel comportamento e nelle capacità di un individuo con il progredire dell’età; si focalizza, in particolare, sui processi biologici e sociali.

Lo sviluppo riguarda tutto il ciclo di vita, ma i cambiamenti più importanti si realizzano nel periodo che va dall’infanzia all’adolescenza.

Lo sviluppo è un processo di crescita biologica e di acquisizione culturale e questa relazione tra natura e cultura ha rappresentato il nucleo attorno al quale si è costruita la disciplina.

 

Gli inizi della psicologia dello sviluppo

Solo alla fine del 1800 l’infanzia e l’adolescenza sono diventate oggetto di indagine e di interesse costante. A tal proposito, diversi sono gli studiosi a cui possiamo far riferimento.

Locke, filosofo empirista inglese, riteneva che il bambino nascesse come una tabula rasa e che successivamente l’esperienza lo plasmasse.

Rousseau, invece, riteneva che i bambini nascessero buoni, che non ci fosse bisogno di una particolare guida morale né di imposizioni ma che fosse necessario lasciarli crescere secondo il disegno di natura; enfatizzava, in questo modo, le predisposizioni naturali, differentemente da Locke che tendeva a dare importanza solo agli effetti ambientali e culturali.

Nel XIX secolo, invece, lo studio dell’infanzia divenne scientifico e rigoroso con la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin. Nel 1877, colpito dalla giocosità e dalla capacità di espressione di suo figlio, infatti, cominciò ad osservarlo sistematicamente e alla fine pubblicò un breve saggio in cui ne spiegava lo sviluppo. Introduceva così un metodo sistematico, cioè un metodo osservativo diaristico che, nel caso specifico di Darwin, gli permise di sostenere che lo sviluppo di un bambino fosse spiegabile con la teoria evoluzionistica e potesse essere considerato un processo di adattamento all’ambiente.

Agli inizi del XX secolo, invece, si deve a Baldwin l’affermazione anche in ambito statunitense della psicologia dello sviluppo. Egli pubblicò importanti volumi sulla logica del bambino nei quali espose le sue teorizzazioni sull’acquisizione delle conoscenze nell’infanzia. Sono di Baldwin ad esempio alcuni concetti fondamentali quali quelli di: assimilazione, ossia incorporazione delle informazioni dell’ambiente nell’organismo, accomodamento, ossia il cambiamento plastico dell’organismo in seguito all’assimilazione; costituiscono, insieme, la base della teoria elaborata successivamente da Piaget.

 

I principali approcci nella psicologia dello sviluppo

Tre sono le principali scuole di pensiero che hanno notevolmente influenzato le concezioni riguardanti lo sviluppo.

Il comportamentismo. Questa scuola di pensiero ha le sue radici nell’empirismo filosofico. Da essa è posta molta attenzione ai processi di apprendimento ed, in particolare, a quelle modalità di apprendimento basate sull’associazione tra stimoli e risposte mediante l’uso di premi e punizioni. Il principale teorico della scuola, Watson, formulò delle ipotesi sullo sviluppo infantile basate sull’idea che l’individuo è plasmabile ed ha una capacità illimitata di apprendere. Un bambino, quindi, tenderà ad apprendere e a ripetere quei comportamenti che hanno avuto conseguenze soddisfacenti, mentre imparerà a non ripetere i comportamento che hanno avuto effetti negativi o poco soddisfacenti. Lo sviluppo, in pratica, in base a tale ottica consiste nel modellare i comportamenti del bambino rispetto all’ambiente in cui vive. In questa concezione la natura ha poca importanza, mentre assume un ruolo fondamentale la cultura o meglio le modalità con cui l’ambiente modella un bambino. Un aspetto importante insito in tale approccio è la negazione degli aspetti affettivi e relazionali: "le madri non lo sanno, ma quando baciano i loro figli, li prendono in braccio, li cullano, esse stanno lentamente costruendo un essere umano totalmente incapace di affrontare il mondo in cui dovrà vivere". Derivano da questa concezione psicologica alcuni principi educativi che hanno a lungo influenzato le pratiche di cura del bambino.

Approccio organismico o evolutivo. Posizione molto diversa dalla precedente; essa ritiene fondamentale considerare sia gli aspetti contestuali in cui un individuo si sviluppa sia le finalità immanenti delle attività dell’individuo. Tale approccio ha un forte carattere evolutivo, riconoscendo nello sviluppo un momento costitutivo del funzionamento organismico. Il cambiamento diviene una caratteristica importante e fondamentale del comportamento e l’organizzazione della personalità dipende dalle diverse trasformazioni che avvengono età per età in funzione di specifici ambienti. Nell’ambito di tale approccio si collocano Piaget e Vygotskij da parte dei quali è stata data molta rilevanza allo studio dei processi cognitivi intesi come sviluppo del pensiero e dell’intelligenza e sviluppo delle abilità linguistiche.

Approccio psicanalitico. Freud, pur non studiando direttamente i bambini, attraverso l’analisi dei suoi pazienti adulti arrivò alla conclusione che la radice del comportamento degli individui adulti fosse da ricercare negli eventi avvenuti nella prima infanzia. L’immagine del bambino che emerge dai lavori di Freud è quella di un soggetto alla ricerca di sé, guidato dal principio del piacere e dal desiderio di soddisfare i propri impulsi e bisogni. Compito dell’educazione e, quindi, dei genitori è quello di aiutare il bambino a sviluppare una giusta valutazione della realtà esterna ed un compromesso tra i propri impulsi e la necessità di adeguarsi alle esigenze sociali. Il modo in cui viene realizzato questo processo costituisce il nucleo fondamentale della teoria dello sviluppo di Freud. Dopo di lui sia la figlia Anna che l’allieva Melania Klein dedicarono molto tempo allo studio diretto dei bambini e misero le basi per l’applicazione dei principi terapeutici della psicoanalisi anche ai bambini.

In questo ambito prende poi forma la teoria dell’attaccamento ad opera di Bowlby e dei suoi collaboratori (1969, 1973, 1980); essa costituisce una delle principali teorie esplicative dello sviluppo affettivo del bambino avendo fortemente orientato le ricerche condotte negli ultimi decenni del 1900. Si sono, infatti, attivate linee di ricerca relative: a mettere in luce la natura e il funzionamento del legame di attaccamento tra genitore e bambino; a cogliere la stretta connessione tra natura della relazione primaria con i genitori e problemi psicologici e psichiatrici con sostanziali indicazioni per la loro gestione clinica.

A partire da questo ampliamento della prospettiva bowlbiana intorno agli anni ’80 vi è un fiorire di ricerche sia in Europa che negli Stati Uniti che approfondiscono il profondo legame esistente tra le modalità di interazione con l’adulto di riferimento e lo sviluppo delle strutture cognitive del bambino. Si comincia, quindi, a concepire lo sviluppo psicologico nella sua globalità e, quindi, non vengono considerati solo gli aspetti affettivi o quelli cognitivi, ma si iniziano a verificare e teorizzare che le prime interazioni sociali siano la vera base per il successivo sviluppo mentale del bambino. La funzione materna non è, quindi, più solo di tipo affettivo: la madre non è solo più una base sicura, ma anche l’elemento indispensabile per strutturare la mente e far acquisire competenze linguistiche e intellettive al bambino.

L’ampio filone di ricerca denominato interattivo-cognitivista ancora raccoglie i contributi della maggior parte degli studiosi di bambini: pediatri, come Brezelton; psicologi, come Bruner, Bornstein; biologi, come Trevarthen; psichiatri, come Stern.

I lavori di Stern e Tronick, in particolare, hanno posto l’attenzione sulla continua costruzione della comunicazione tra madre e bambino, conducendo alla visione di un neonato mai fuori dalla relazione; hanno inoltre incoraggiato l’osservazione e lo studio di ogni manifestazione comportamentale a cui poi si deve cercare di collegare i movimenti psichici corrispondenti. Le diadi sono state quindi studiate per conoscere le caratteristiche di ritmo, sincronia, asincronia delle interazioni e particolarmente utilizzate a tal proposito sono state le tecniche microanalitiche di osservazione che hanno permesso di entrare nel campo della comunicazione madre-bambino conducendo ad una maggiore conoscenza di come il bambino, anche se piccolo, si pone nello scambio interattivo. In questo modo si è arrivati a modelli di sviluppo capaci di integrare dati provenienti dalla ricerca di tipo evolutivo con assunti e costrutti teorici di tipo psicodinamico e psicoanalitico. Si è venuti, cioè, a colmare la forbice tra “bambino osservato” della psicologia dello sviluppo e “bambino clinico” della psicoanalisi.

Da una parte, quindi, è cambiato il punto di vista della psicologia dello sviluppo che ha spostato il proprio interesse e le indagini sperimentali anche sugli aspetti non cognitivi, quali le emozioni, gli affetti, lo sviluppo sociale, lo sviluppo del sé e la simbolizzazione, occupandosi, quindi, della persona intera in via di sviluppo; dall’altra, poi, è cambiato il modo di concepire la patologia e l’intervento su bambini con sviluppo atipico.

Questo tipo di ricerca condotta negli ultimi decenni ha contribuito a chiarire, quindi, quali sono i processi evolutivi che permettono al bambino di costruire legami forti con le figure adulte di riferimento e quale tipo di risposta deve fornire il caregiver per garantire un corretto sviluppo emotivo e cognitivo del bambino. Dalle ricerche di questi anni emergono alcuni punti importanti che costituiscono la base per comprendere i processi di sviluppo tipici e atipici; quindi: la spinta alla socializzazione è una motivazione primaria del bambino, geneticamente predisposta e capace di organizzare tutte le esperienze psicologiche ed i processi di sviluppo anche di tipo mentale; il bambino è predisposto per emettere comportamenti e rispondere a stimoli in modo da attivare scambi interattivi diadici per sintonizzarsi con la realtà che lo circonda e, inoltre, ha la capacità di autoregolarsi e padroneggiare le situazioni in modo da creare coerenza ed una organizzazione percettivo-esperienziale.

Quindi, in conclusione di quanto detto fino ad ora, lo sviluppo e le sue alterazioni vanno considerati e valutati in un’ottica interattiva che tiene conto delle predisposizioni naturali e biologiche nonché dei contesti relazioni e ambientali.

 

La teoria dell’attaccamento

Il lavoro di John Bowlby, pediatra e psicoanalista londinese, ha notevolmente influenzato e modificato la psicologia dello sviluppo negli ultimi decenni. Bowlby inizia da psicoanalista ma molto presto si stacca dall’approccio freudiano.

La teoria di Bowlby si incentra intorno all’idea che l’attaccamento del bambino alla madre sia un sistema motivazionale basilare dello sviluppo ossia un istinto primario del bambino. Il lavoro di Bowlby parte con un incarico ricevuto da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la valutazione della salute mentale dei bambini senza famiglia. Egli discute gli effetti nocivi sullo sviluppo del bambino della carenza di cure materne. Tale studio viene integrato dai filmati di Spitz (Renè A.Spitz è uno dei maggiori psicologi dell’Io. Per primo nell’ambito psicanalitico introduce metodologie dirette di rilevazione dei dati e di studio del bambino. Studia le funzioni psichiche che consentono al bambino di acquisire consapevolezza della relazione con la madre) e Robertson (James Robertson lavorava presso l’asilo gestito da Anna Freud prima di diventare psicanalista e regista. Nel 1952 produce un famoso filmato sulla reazione di una bambina alla separazione dai genitori per il ricovero in ospedale).

Bowlby, in particolare, afferma che è "fondamentale per la salute mentale che l’infante ed il bambino sperimentino un rapporto caldo, intimo, ininterrotto con la madre nel quale entrambi possano trovare soddisfazione e godimento". Equipara la fame d’amore e di presenza materna alla fame di cibo, ritenendo quindi che l’assenza della madre generi inevitabilmente un forte senso di perdita e collera. La conclusione fondamentale a cui Bowlby arriva, quindi, è che la perdita della figura materna, da sola o in concomitanza con altre variabili, possa generare reazioni e processi psicopatologici; questi ultimi continuano ad agire nelle persone adulte. La matrice di tale pensiero è marcatamente multidisciplinare.

*Gli studi di Harlow sull’attaccamento

Negli anni ’50 Harlow condusse importanti studi etologici sui piccoli macachi rhesus che hanno profondamento ispirato il lavoro di Bowlby. I piccoli di scimmia venivano separati dalle proprie madri da 6 a 12 ore dopo la nascita e venivano posti in gabbie con una madre surrogato a cui era attaccato un biberon. Alcune di esse erano costituite da filo metallico, altre erano ricoperte di tessuto soffice. In un esperimento le piccole scimmie avevano a disposizione entrambi i tipi di madre surrogato, ma solo ad una di esse era attaccato il biberon; per alcune scimmie si trattava della madre metallica, per altre della madre in tessuto. Harlow scoprì che indipendentemente dalla posizione del biberon le piccole scimmie passavano molto più tempo attaccate alla madre di tessuto. Questo celebre esperimento confutò l’ipotesi comportamentista e quella freudiana secondo le quali il legame con la madre sarebbe la conseguenza del soddisfacimento da parte di essa del bisogno fisiologico di nutrizione del piccolo.

Attraverso altri esperimenti Harlow dimostrò anche che in fasi successive della loro esistenza le scimmie cresciute da madri surrogato mostravano comportamenti stereotipati e le femmine apparivano marcatamente inadeguate nel prendersi cura dei loro piccoli.

Ancora oggi le ricerche iniziate da Harlow continuano indagando l’effetto della deprivazione materna su aspetti sempre più diversi del funzionamento fisiologico e sociale.

Motivazione primaria alla relazione con la madre

La teoria dell’attaccamento è basata su dati raccolti nel corso degli anni da Bowlby e dai suoi collaboratori. L’osservazione diretta del comportamento in situazioni quotidiane di vita prende il posto da dati desunti indirettamente o attraverso ricostruzioni di vissuti. Bowlby, in questo modo, giunge a considerare l’attaccamento che unisce il piccolo alla madre come una motivazione primaria, frutto di predisposizioni innate, piuttosto che una conseguenza del soddisfacimento di bisogni alimentari o fisici. Inoltre il bambino non è più considerato in un rapporto di dipendenza dalla madre, piuttosto in una relazione di attaccamento e ciò significa che il bambino acquista un ruolo attivo nell’istaurarsi della relazione. La relazione diadica tra madre e bambino si istaura, quindi, reciprocamente con il contributo dell’uno e dell’altro membro della diade. In realtà l’essere dipendenti e l’essere attaccati alla figura materna sono due concetti assai diversi: col termine dipendenza si fa riferimento alla misura in cui un individuo si appoggia ad un altro per quanto riguarda la sua esistenza e ha, quindi, una connotazione funzionale; col termine attaccamento, invece, si fa riferimento a una forma di comportamento ed ha un carattere descrittivo. Inoltre il termine dipendenza ha generalmente una accezione negativa, in quanto si ritiene che sia meglio per una persona essere indipendenti; il termine attaccamento invece è tutt’altro che dispregiativo.

La funzione del comportamento d’attaccamento

Per Bowlby il primo legame che unisce il bambino alla madre ha delle basi biologiche trasmesse al bambino per via genetica. Basandosi sugli studi etologici egli definisce l’attaccamento come un sistema comportamentale che secondo la definizione di Hinde (1982) può essere definito “ambientamento stabile”, cioè poco influenzato da variazioni ambientali. La sua finalità, in particolare, risulta essere quella di protezione del piccolo, necessaria per permettergli la crescita e le acquisizioni che lo porteranno ad essere un individuo autonomo. I piccoli dell’uomo, però, sono, tra i primati, i più immaturi al momento della nascita e ciò rende le loro capacità mentali ancora più plasmabili nei confronti dell’apprendimento. Il bambino, per questo, avrò bisogno di un più lungo periodo di cure parentali durante il quale apprenderà comportamenti che gli consentiranno poi di vivere nel gruppo sociale. Si istaura, in questo modo, già nella teoria di Bowlby l’idea di una stretta relazione tra cure materne e aumento delle capacità cognitive, ipotesi successivamente confermata da numeri studiosi.

Lo sviluppo dell’attaccamento

Secondo lo studioso, il legame del bambino con la madre è il prodotto dell’attività di diversi sistemi comportamentali che hanno come risultato prevedibile quello di mantenere la vicinanza del bambino con la madre. Verso i due anni, nella maggior parte dei bambini, è possibile riscontrare un comportamento di attaccamento abbastanza tipico. I sistemi comportamentali vengono attivati dall’allontanamento della madre o da esperienze paurose e gli stimoli che più facilmente vi pongono fine sono la vista, la voce o il contatto fisico con essa.

Per Bowlby, cioè, l’attaccamento pienamente sviluppato deve possedere tre caratteristiche: ricerca attiva e selettiva di vicinanza alla figura di attaccamento; reazione di protesta alla separazione; base sicura.

Nella prima fase di sviluppo della relazione, quindi, il comportamento di attaccamento è attivato da risposte esterne (ex. Scomparsa della mamma dal campo visivo), dopo i due anni, invece, è attivato più frequentemente da stati interni di tipo emotivo o da aspettative. In questa fase, secondo Bowlby, si formano i modelli operativi interni, rappresentazioni mentali della relazione sviluppata con la figura di attaccamento e delle caratteristiche della figura stessa. Esse riferiscono sia ad aspetti cognitivi che emotivi e, una volta costruite, guidano l’attività relazionale del bambino ma non in maniera consapevole. Esse vengono costruite, conseguentemente ad esperienze interattive ripetute, in maniera inconsapevole da parte del bambino. Una volta costruite vengono generalizzate determinando l’ottenimento di modelli rappresentazionali fissi che il bambino usa per predire il mondo e mettersi in relazione con esso. Essi non suscitano solo immagini, ma anche sentimenti e stati d’animo vissuti nel corso dell’interazione; forniscono all’individuo regole che guideranno sia il suo comportamento che i sentimenti nei confronti di altre persone.

Rispetto a ciò è importante sottolineare che, tramite studi, è emerso che possiamo supporre che il modo in cui un genitore risponde ai richiami ed ai bisogni dei propri digli, andandone ad influenzare il processo di costruzione dei modelli operativi interni, dipende, a sua volta, in buona misura dal suo modello operativo interno.

*L’apporto di Ainsworth alla teoria dell’attaccamento di Bowlby

Quando si dice di un bambino o di un adulto che è attaccato o che ha un attaccamento per qualcuno significa dire che il bambino è portato a cercare la prossimità, il contatto con quell’individuo, specie in certe condizioni specifiche. La disposizione a comportarsi in questo modo è un attributo della persona che si è attaccata. Il comportamento di attaccamento, invece, si riferisce ad una delle varie forme di comportamento che la persona mette in atto di tanto in tanto per ottenere o mantenere la prossimità che desidera.

Originariamente col termine di base sicura ci si riferiva alla persona di riferimento a cui il bambino si rivolgeva nel momento in cui era angosciato o impaurito. Attraverso il suo comportamento essa può fornire o meno sicurezza determinando un legame sicuro o insicuro. Attualmente il concetto di base sicura si è ampliato includendo accanto all’accezione di figura esterna di riferimento anche quella di una rappresentazione interna di sicurezza nella psiche individuale. La figura di attaccamento, in tale ottica, secondo Ainsworth, fornisce la sicurezza e il supporto al bambino per l’esplorazione; egli, quindi, si allontana dalla madre per esplorare, ma si riavvicina ad essa in caso di pericolo o per “rifornirsi emotivamente”.

Quando il bambino, infatti, non ha esperito una base sicura allora la sua precarietà interna può condurre ad azioni distorte e dannose finalizzate alla ricerca esterna di sicurezza (Ex. Abuso d’alcol, ingozzamento di cibo).

Dunque la base sicura durante l’infanzia facilita l’esplorazione fisica dell’ambiente necessaria all’acquisizione e alla sperimentazione delle abilità psichiche e anche in fasi successive di sviluppo fornisce la calma e la sicurezza per acquisire competenze più sofisticate e per l’esplorazione psichica del mondo interno; il tipo di attaccamento che adulti e bambini manifestano, infatti, deve essere considerato come una componente organizzativa della loro mente

Limiti e critiche alla teoria di Bowlby

È stato in primo luogo messo in discussione il concetto di monotropia. Numerose ricerche, infatti, tra le quali quelle di Schaffer ed Emerson, hanno dimostrato che i bambini possono formare contemporaneamente legami di attaccamento con più persone; per questa ragione oggigiorno è stata superata l’idea di un attaccamento monotropico in favore di una visione più complessa e diversificata del legame di attaccamento.

In secondo luogo, poi, è stato criticato dagli etologi il fatto che la relazione madre-bambino viene considerata idilliaca secondo l’impostazione di Bowlby; nella sua teoria, cioè, il conflitto all’interno della diade madre-bambino non sembra trovare posto. Gli studiosi hanno, invece, riconosciuto l’importanza del conflitto e della sua gestione: esso rappresenta, in termini biologici, l’esigenza della madre a spingere il figlio all’autonomia; deve essere gestito adeguatamente perché da ciò ne deriva un sano funzionamento della relazione di attaccamento.

 

L’importanza delle interazioni precoci sullo sviluppo psichico

Dell’approccio di Bowlby due sono stati gli elementi che hanno contribuito ad influenzare le successive ricerche in psicologia dello sviluppo: il concetto etologico di predisposizione genetica al comportamento sociale e l’utilizzo della metodologia osservativa per lo studio del comportamento.

A partire dalla metà degli anni ’70, la psicologia dello sviluppo si è concentrata sui primi stadi dello sviluppo sociale e le ricerche condotte in questa prospettiva si sono caratterizzate per: lo studio dello sviluppo in un contesto interpersonale, partendo dal presupposto che il comportamento sociale del bambino è organizzato sin dalle prime fasi e che, quindi, compito della madre è quello di adattarlo ad una organizzazione comportamentale già esigente; il presupposto che alla nascita esistano delle predisposizioni sociali innate, che lo sollecitano ad avere scambi interattivi per quanto non sia ancora pronto e capace a relazioni sociali reciproche; l’attribuzione di importanza agli aspetti temporali delle situazioni interattive, in quanto l’organizzazione sociale può essere descritta in base a parametri temporali riscontrabili nelle sequenze precise di scambi interattivi.

I bambini sin dalla nascita appaiono predisposti ad essere inseriti in un ambiente sociale. Ciò, in particolare, si manifesta tramite: predisposizioni strutturali, in quanto il bambino possiede meccanismi strutturali di origine endogena, prevalentemente riflessi, che servono a metterlo in rapporto con la persona che si prende cura di lui (Ex. Riflesso della suzione); predisposizioni funzionali, in quanto il bambino possiede strutture che facilitano il contatto con l’altro ma che per divenire effettive devono essere attivate dall’adulto che si prende cura di lui (Ex. Ritmi temporali di suzione e sonno\veglia). Attraverso le predisposizioni il bambino comincia ad entrare in relazione col mondo esterno e con la madre. All’inizio i primi dialoghi tra madre e bambino saranno situazioni unidirezionali, cioè saranno mantenuti solo grazie all’iniziativa della madre; successivamente il bambino imparerà che i dialoghi sono bidirezionali, cioè basati su ruoli che sono sia reciproci che intercambiabili. Compito della madre, perciò, è quello di organizzare e mantenere tali scambi.

La madre compie, fin dal primo momento di relazione con il bambino, una serie di gesti e di attività che costituiscono una specie di corniche entro cui il piccolo si sviluppa e che lo portano progressivamente ad emergere da quell’apparente stato di passività per acquisire un ruolo più attivo e determinante per il procedere della relazione. La madre, in pratica, crea un frame (ossia, appunto, una cornice) per quelle fluttuazioni presenti nell’attività del bambino; crea una struttura protettiva in cui il bambino esplica le sue attività, cioè una base sicura. In particolare, agisce come una sorta di cuscinetto che protegge e fornisce una struttura per la psiche emergente del bambino. Per queste ragioni è fondamentale fornire al bambino da subito esperienze caratterizzate da regolarità, stabilità, disponibilità; esperienze discontinue, poco disponibili, frettolose, infatti, impediscono al bambino di sperimentare il piacere del contatto fisico, visivo, vocale, cioè non offrono fonti di stimolazione e quindi ritardano il processo di emergenza e conoscenza graduale e guidata del mondo esterno.

*Contatto fisico madre-bambino: alcuni studi in una prospettiva evoluzionistica

Uno degli studi cruciali della relazione è il contatto fisico la cui necessità, riconosciuta in altri mammiferi, è controversa nell’uomo. Nei primi è tipica la modalità del “trasportare” (carrying); il piccolo, cioè, sale addosso alla madre, tranne che per brevi escursioni, e la segue ovunque vada. Si tratta di una modalità diversa da quella di altri mammiferi i cuoi piccoli seguono attivamente (following) la madre e vengono nascosti in tana (nesting). Il comportamento dei neonati umani sarebbe rapportabile a quello degli altri primati teoricamente, ma nella società occidentale la pratica di allevamento si sta discostando dal modello evoluzionistico. Tutto ciò rende difficoltosa la capacità di fronteggiare, da parte del neonato, una serie di problematiche che si presentano dal momento della nascita, quali: termoregolazione, protezione dai predatori e nutrizione. Rispetto alla termoregolazione, infatti, un bambino in contatto con la madre diviene parte del suo sistema termoregolatorio; rispetto alla protezione dai predatori, i piccoli dell’uomo generalmente se non vedono la madre fanno molto rumore; infine, rispetto alla nutrizione si è visto che, tramite un’analisi della composizione del latte in diverse specie di mammiferi, essa è collegata allo schema di nutrizione dei piccoli.

Lo sviluppo dell’intersoggettività

Dagli anni ’70 diversi autori, tra cui lo psichiatra Stern, hanno ritenuto che i bambini abbiano una naturale competenza per l’intersoggettività. Essa è innata, non richiede, cioè, abilità cognitive astratte razionali o teoriche né dipende dall’apprendimento culturale; si manifesta come consapevolezza empatica della presenza dell’altro ed è resa possibile dalla produzione e dal riconoscimento di movimento del corpo, in particolare del viso, del tratto vocale e delle mani. Essa è possibile anche nei bambini molto piccoli, coinvolgendo sia gli affetti che i processi di attenzione e conducendo a scambi di tipo comunicativo tra adulto e bambino; ciò si manifesta con maggiore probabilità quando la comunicazione con il modello da imitare è reciproca, in contesti affettivi che suscitano l’interesse del bambino.

La disponibilità emotiva: un indicatore della qualità della relazione

Bowlby aveva postulato che il tipo di risposta data dalla madre al comportamento di attaccamento determinasse il grado di sicurezza del bambino e il suo modello interno. Dopo di lui la Ainsworth aveva delineato il concetto di sensitivity materna, capacità di cogliere e rispondere ai segnali ed agli sforzi di comunicazione del neonato. Trevarthen e Aitken, Stern, Haft e Slade hanno fatto sì, con i propri lavori, che si giungesse ad una visione ampia dell’interazione madre-bambino, rispetto cui si accetti e si integri alla teoria dell’attaccamento i contributi della successiva ricerca sullo sviluppo sociale precoce del bambino.

In base a ciò tutti hanno individuato un ruolo di cornice della relazione madre-bambino in cui, a partire dall’esperienza di scambi interattivi sintonici, attivati e regolati per mezzo delle emozioni, il bambino ha la possibilità di sviluppare progressivamente le sue funzioni psichiche autonome e l’immagine di sé. In particolare questa nuova visione include, rielabora e amplia quella proposta dalla Ainsworth alla luce di tre elementi che sono stati ribaditi dagli studi successivi sull’argomento: il riconoscimento del ruolo attivo del bambino nella relazione, la prospettiva secondo cui la relazione è regolata dagli affetti e dalle emozioni, la necessità che l’adulto sia capace di rispondere ad una gamma ampia di emozioni del bambino; tale prospettiva è rappresentata dal concetto di disponibilità emotiva diadica. Esso si riferisce alla ricettività emotiva e alla sintonia affettiva di un individuo nei confronti dei bisogni e delle mete altrui.

*Il concetto di disponibilità emotiva diadica

In particolare la natura diadica del concetto rispecchia l’accettazione del punto di vista empirico riguardante la natura bidirezionale della relazione madre-bambino ed il ruolo attivo di quest’ultimo nella sua regolazione; implica anche che per comprendere il grado di disponibilità emotiva della madre sia indispensabile mettere in relazione il suo comportamento con quello antecedente o conseguente del bambino: dunque la sensibilità della madre è tale solo in rapporto all’effettivo stato del bambino. Ulteriore elemento centrale del concetto di disponibilità emotiva è la considerazione delle emozioni come barometri della qualità della relazione. Il bambino, infatti, molto precocemente è in grado di esprimere diverse emozioni; il genitore sensibile è capace di sintonizzarsi con esse, se sono positive, tramite l’imitazione e la condivisione e di indurre calma e rassicurazione, se sono negative, tramite un comportamento empatico: in questo modo il bambino ha la capacità di cominciare a formarsi un’immagine interna di sé e dell’altro. Infine rispetto alla variabilità delle emozioni che la madre accoglie e rispetto all’importanza della capacità di negoziazione del conflitto, diciamo che se il genitore è predisposto a focalizzarsi su scambi interattivi emotivamente positivi, è anche vero che il bambino esprime una serie di segnali connotati negativamente, non solo corrispondenti ad angoscia o allarme, ma ad una serie di modulazioni degli stati affettivi interni. Rispetto a ciò, il modo in cui la madre risponde a queste emozioni, restituendole empaticamente, aiuta il bambino a regolarsi e a costruire un’immagine interna in cui le esperienze negative sono integrate con quelle positive; cioè la disponibilità emotiva della madre dà la possibilità di ricucire quegli strappi e riprendere un ritmo efficacemente piacevole negli scambi, senza reagire con l’evitamento o con l’insofferenza e l’ostilità.

Dunque la disponibilità emotiva diadica aiuta a spiegare in modo operativo le caratteristiche della relazione madre-bambino che conducono ad un legame relazionale sicuro e ad una rappresentazione interna di sé come efficace e della madre come disponibile. Infatti, in base alle esperienze di interazione con una madre più o meno emotivamente disponibile si costruisce una conseguente rappresentazione dei propri modi di interagire e di essere che: Bowlby chiamava modello operativo interno; Trevarthen e Aitken, nel contesto intersoggettivo, chiamano immagine virtuale; Stern chiama schemi dell’essere con, costituito sulla base delle esperienze emotive vissute.

Le alterazioni della relazione madre-bambino

Le esperienze relazionali avute nei primi anni di vita influenzano in maniera determinante i processi mentali durante tutto il corso di vita. Se sono state caratterizzate da forme di relazioni emotivamente poco disponibili, evitanti, ambivalenti, l’immagine interiorizzata invece di sicurezza indurrà confusione, incertezza, preoccupazione e quindi influirò sui modi in cui si recepiranno i segnali trasmessi dagli altri e sul tipo di risposta che verrà data.

Predisposizioni strutturali, funzionali, temperamentali del bambino interagiscono con le predisposizioni dell’adulto a fare il genitore e a condividere in maniera empatica e sintonica gli stati mentali del bambino. Da tali scambi interattivi e comunicativi hanno origine la reciprocità relazionale che è alla base delle acquisizioni linguistiche e dell’alternanza di turno e si origina l’intenzionalità del bambino; in questo gioco interattivo si sviluppano le strutture e le funzioni cerebrali sulla base del modo in cui le esperienze influenzano i programmi di maturazione geneticamente determinati dal sistema nervoso. Quindi la relazione madre-bambino fa da cornice allo sviluppo mentale, cioè cognitivo, comunicativo, e cerebrale e ciò che attiva e regola la relazione sono le interazioni affettive.

A tal proposito, i teorici della developmental psychopatology, pediatri, psicologi, neuropsichiatri infantili che, a partire da risultati di ricerche in ambito della psicologia dello sviluppo, hanno studiato l’insorgenza di alterazioni in bambini piccoli e le modalità per prevenire disturbi negli stadi dello sviluppo, hanno individuato diverse cause che possono condurre ad alterazioni nelle predisposizioni di base. Ci possiamo, ad esempio, trovare in una situazione in cui c’è rifiuto o non accettazione della condizione parentale oppure in cui si evidenziano disturbi della personalità di uno o di entrambi i genitori, o, ancora, in cui c’è la presenza di contesti sociali di forte disagio e povertà.

In base a ciò, le alterazioni nella relazione madre-bambino possono condurre a difficoltà nella:

  • Sintonia: ossia il bambino non sperimenta la capacità di risposta pronta e immediata da parte della madre e può attivare una relazione di attaccamento insicura, caratterizzata da scarsa fiducia nella disponibilità del mondo circostante. Ciò conduce il bambino a sentirsi indifeso, insicuro, minacciato dal mondo esterno, per far fronte al quale è facile che arrivi a comportamento di aggressività o opposizione.
  • Reciprocità: ossia il bambino non sperimenta quegli stati di condivisione emotiva in cui attraverso lo sguardo e l’interazione reciproca si trasmettono affetti positivi e si condividono il piacere e lo scambio giocoso. Essa è alla base delle acquisizioni relative all’alternanza del turno e alla referenzialità degli oggetti; attraverso essa il bambino comincia a capire gli affetti dell’altro e le intenzioni della madre. Se non viene sperimentata può condurre a difficoltà nella comprensione di sentimenti e stati d’animo e nella regolazione dei propri stati emotivi.
  • Intenzionalità: ossia il rendersi conto che le proprie azioni, i propri gesti hanno effetto sugli altri. Essa è sperimentata dal bambino in tutte quelle azioni di scambio in cui la madre ripete i suoi movimenti o soddisfa le sue richieste. Se il bambino non ha ottenuto risposte adeguate e se l’adulto non ha dato significato ai suoi gesti e alle sue azioni, l’intenzionalità non verrà pienamente acquisita e ciò condurrà a difficoltà nello sviluppo linguistico e comunicativo, a scarsa autonomia e decisionalità. Inoltre, la sua carenza produrrà una difficoltà di progettazione di azioni e piani sequenziali di comportamenti.

 

Indice

 
 
PREFAZIONE
 
  1. Le basi teoriche della psicologia dello sviluppo - SVILUPPO TIPICO E ATIPICO; Gli inizi della psicologia dello sviluppo; I principali approcci della psicologia dello sviluppo - LA TEORIA DELL'ATTACCAMENTO; *Gli studi di Harlow sull’attaccamento; Motivazione primaria alla relazione con la madre; La funzione del comportamento d’attaccamento; Lo sviluppo dell’attaccamento; *L’apporto di Ainsworth alla teoria dell’attaccamento; Limiti e critiche della teoria - L’ IMPORTANZA DELLE INTERAZIONI PRECOCI NELLO SVILUPPO PSICHICO; *Contatto fisico madre-bambino: alcuni studi in una prospettiva evoluzionistica; Lo sviluppo dell’intersoggettività; La disponibilità emotiva: indicatore della qualità della relazione; *Il concetto di disponibilità emotiva diadica; Le alterazioni della relazione madre bambino.
  2. LO SVILUPPO COGNITIVOIL CONTRIBUTO DI PIAGET; IL CONTRIBUTO DI VYGOTSKIJ; IL CONTRIBUTO DI BRUNER; IL MODELLO EVOLUTIVO-STRUTTURALE DI GREENSPAN; *IL GIOCO TRA SVILUPPO COGNITIVO E AFFETTIVO.
  3. LA PRATICA NEUROPSICOMOTORIA SOCIO-PREVENTIVA: IL QUADRO NORMATIVO - IL CORE COMPETENCE DEL TNPEE; L’ambito di intervento del TNPEE; Ambiti di competenze tecnico professionali - LA PREVENZIONE SANITARIA; La prevenzione neuropsicomotoria; Fattori di rischio in età evolutiva; L’atteggiamento del TNPEE nel contesto preventivo - L’INTERVENTO NEUROPSICOMOTORIO SOCIO-PREVENTIVO; Lavorare insieme alle famiglie; La dimensione del gioco.
  4. Corporea-Mente in relazione - LA NASCITA DI UN’IDEA: La Fondazione - IL PROGETTO: Una rete di collaborazione; I bambini al centro; L’intervento sui genitori; *Assessment of Parental Skills-Interview; Il laboratorio psicomotorio; Il processo osservativo-valutativo; *Machover Test; Conclusioni.
 
CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA
 
 
Tesi di Laurea di: Giovanna SAVINELLI
 

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