La costruzione dell’io Corporeo e delle capacità di apprendimento
“ Non si accede al mondo se non percorrendo quello spazio che il corpo dispiega attorno a sé nella forma della prossimità o della distanza dalle cose”.
(Umberto Galimberti – Il corpo pag. 73)
“Lo sviluppo delle abilità della mano va di pari passo con lo sviluppo dell’intelligenza: la mano è così l’organo di prolungamento dell’intelligenza”.
(Maria Montessori – il quaderno Montessori)
Nella specie umana la maturazione degli apparati sensoriali si svolge quasi completamente nell’ambiente endouterino; il sistema della sensibilità cutanea, con i suoi innumerevoli recettori, diviene funzionale per primo, successivamente seguito dal sistema vestibolare, uditivo e visivo Dunque la sensibilità cutanea rappresenta evolutivamente il primo canale dell’esperienza e della comunicazione nell’essere umano. La stimolazione tattile favorisce lo sviluppo neurologico nel prematuro (Field, 1990) e facilita la conoscenza delle varie parti del corpo, sviluppando l’immagine di sé, così da far sentire il bambino sostenuto ed amato. Attraverso le cure quotidiane, il contatto con il corpo dell’altro e “l’imposizione delle mani”, la madre comunica calore, tenerezza, amore, oltre ad infondere benessere psico-fisico.
“Il contatto e la pressione esercitate dalle mani durante un massaggio, favoriscono la produzione di endorfine, naturali soppressori del dolore”, così afferma Tiffany Field, ricercatrice e coordinatrice di oltre 50 ricerche sul tatto presso la Miami Touch Research Institute, centro impegnato a livello mondiale in studi riguardanti la pelle come organo di senso. Gli aspetti sensoriali - olfattivi (l’odore della pelle della madre), sonori (la voce su cui il bambino struttura il proprio dialogo) e la vista (dalla 1^ settimana di vita ha una capacità di messa a fuoco da 20 cm. di distanza), fungono da guida e costituiscono una prima “mappa-mnesica”.
Tenuto conto che ogni sensazione così come ogni postura è registrata a livello corticale e confrontata con gli stimoli precedenti costruendo via via, quello che Schilder definì: “Uno schema plastico”, in cui la personalità di ciascun individuo coglie l’idea di “sé” a seconda delle proprie caratteristiche modalità di costruire la realtà. Lo stesso Schilder nell’opera: “The image apparence of the human body”, pubblicata nel lontano 1935, definì: “immagine corporea - la rappresentazione mentale che l’individuo ha del proprio corpo”.
Le teorie psicoanalitiche tendono a vedere la strutturazione dell’immagine di sé andare di pari passo con quella dell’Io, tanto che i due termini “schema corporeo” ed “immagine corporea”, costituiscono un’unica realtà indissociabile rappresentata da una sintesi continua di emozioni, percezioni, ricordi e desideri; mentre l’immagine corporea è prevalentemente inconscia, l’unità schema-immagine corporeo è rappresentata da una parte conscia e da una inconscia. Nella strutturazione dello schema-immagine corporeo intervengono vari fattori…Grazie al movimento il bambino sviluppa una mole di esperienze da cui deriva il suo funzionamento mentale. L’espressione stessa dei movimenti consente di maturare risposte adattive del bambino al particolare contesto, in quella fase dell’età evolutiva. Tale esigenza di movimento però non coinvolge soltanto l’apparato muscolare, ma la sua stessa organizzazione mentale. Il bambino attirato da un movimento ne rimane affascinato se questo gli si presenta lento e preciso; ne analizza con esattezza la successione degli atti (li scannerizza); freme di gioia perché lo vuole ripetere da solo: pensiamo a questo proposito alla funzione dei neuroni a specchio in grado di favorire l’attivazione delle aree motorie interessate e l’apprendimento per simulazione.
In un ambiente “non-richiestivo” come il setting, il poter guardare e l’essere guardato dall’altro e la ripetizione spontanea dei gesti, fissa nella memoria la sequenza stessa dei gesti; ripetendo il bambino si concentra con tutta la sua persona. L’osservazione attenta di un bambino molto piccolo (di uno due, tre anni), mentre gioca ci svela che il suo modo di pensare “con le mani”, si presenta nella sua mente con la stessa tensione emotiva di chi vuole imparare un lavoro in modo serio, che sottostà al processo mentale legato al movimento stesso della mano. Scrive Maria Montessori: “I movimenti del bambino piccolo investono tutta la sua sfera esistenziale, mentre impara. Essi sono lenti, ripetuti, uguali in successione precisa, come aprire - chiudere una scatola, riempire o svuotare, o come quando "gattoni" si dirige verso un oggetto da afferrare”.
La funzione dunque, avrà un peso determinante nell’impronta che risulterà proporzionale al tipo di attività di quel dato segmento corporeo
Le mani, in quanto strumento di intervento attivo nell’ambiente, (hanno un inizio di attività molto precoce risalente al 5° mese di vita fetale), il viso, che racchiude in sé l’orifizio orale, ossia il punto di introduzione dell’alimento e in cui “si colloca l’uscita” del suono vocale, espressione di malessere, o di soddisfazione, oltre che del linguaggio strutturato in una fase più avanzata. Gli occhi, in quanto mezzo di informazione e controllo visivo nella relazione con il mondo. I piedi, in quanto mezzo di sostegno e spostamento di tutto il soma, costituiscono per la loro importanza funzionale, elementi base della formazione nella rappresentazione del sé.
Un altro fattore dotato di particolare forza imprimente, è la maggiore attività motoria: pensiamo agli arti e al loro movimento nello spazio, quali propaggini agenti del nostro corpo, essi determinano un'impronta decisamente più marcata del tronco. Ai fattori predetti si aggiungerà un fattore caratterizzato dal tipo d’uso che viene fatto del proprio corpo, o di segmenti di esso (in condizioni di salute, diversamente che in presenza di menomazioni fisiche e sensoriali)…Una conferma di quanto espresso è possibile averla osservando l’evoluzione della figura umana nel disegno infantile, in quanto strumento significativo della rappresentazione mentale e di possibile lettura dell’evoluzione dell’io-corporeo nel bambino. Dall’omino-cefalopodo (a partire dal ventesimo - trentaseiesimo mese in poi), solitamente al capo si vedranno aggiungere prima gli arti (come propaggini), e solo successivamente, il tronco. Essa andrà via via strutturandosi a seconda che si tratti di un bambino con uno sviluppo neuro-psicomotorio adeguato all’età, diversamente che in condizioni di patologia...
Da quanto è stato accennato, possiamo asserire forse che la prima impronta nella strutturazione del complesso schema-immagine corporea, possa essere rappresentata dalle sensazioni-percezioni provenienti dal tubo oro-gastro-enterico… “E’ come se per la propria immagine corporea il neonato catalizzi l’energia vitale a disposizione su quelle attività che gli sono tipiche e predominanti per il suo grado evolutivo”. (L’evoluzione neuropsichica nei primi sei anni di vita. R.C. Russo. Cap. 9, pag. 113). Questa fase di “immagine orale” di sé e di conseguente “vissuto orale” è dominante nei primi 5-6 mesi di vita, secondo lo stesso autore.
Gli stessi suoni che compongono il linguaggio: l’intensità, il timbro, l’intonazione di chi li emette, unitamente alle espressioni mimo-gestuali che li accompagnano, ritrovano nel neonato una risonanza tonico-emozionale, che prepara e incita il bambino stesso a questa espressione verbale. Ajuriaguerra (nell’Articolo: “Il corpo come relazione”, pag. 107), ha scritto: “Le parole altrui sono sue appena gli altri le pronunciano, e il suo corpo talvolta le sente prima che vengano pronunciate”…
Si stabilisce così nel tempo una correlazione corporea fra le emissioni sonore e il vissuto tonico delle posture, ossia delle azioni e reazioni, cioè delle aspettative,dispiaceri o soddisfazioni del neonato in rapporto all’ambiente.
Sappiamo quanto il linguaggio del corpo assuma un suo significato in rapporto con la parola, ma è anche vero il contrario… Ogni “amputazione “ della parola come del corpo, invalida quanto rimane. Per riprendere la terminologia di Leclaire, vi è:“…Una lettera del corpo e un corpo della lettera”. Il corpo in quanto fonte e organo di piacere, è iscrizione del nostro linguaggio, e inversamente che il nostro linguaggio significa e prende le radici nell’esperienza esogena del nostro corpo…
Attraverso l’esperienza interattiva madre-bambino, si creano quelle connessioni neurali, quindi gli eventi sensoriali risulterebbero essere influenzati sia da dati innati che dalla qualità dell’esperienza relazionale, così come afferma la visione costruttivista che vede la rappresentazione mentale come un processo e non più come un dato fisso. I tempi e i modi di assimilazione e interiorizzazione dell’esperienza dipenderebbero quindi, dalla regolarità-irregolarità del contesto, dalla continuità-discontinuità dell’esperienza, dalla coerenza-incoerenza delle interazioni primarie: possiamo quindi cogliere la complessa esperienza del neonato di fronte al mondo. Il neonato “scanerizza” l’ambiente, in termini neuroscientifici, in qualche modo “processa” gli stimoli sensoriali che gli arrivano dall’esterno, per verificare che esista una condizione di sicurezza e solo dopo questa operazione, attiverebbe altre reti neuronali deputate a godere di questi stimoli sensoriali (Cassoni 2004). Da quanto emerso possiamo considerare il processo di interiorizzazione dell’esperienza come un potenziale già presente alla nascita e che viene attivato dall’interazione. Già dal secondo mese di vita si parla di rappresentazioni presimboliche rudimentali e solo a metà del secondo anno si forma la capacità di rievocare un oggetto fisicamente assente, cioè a dar luogo ad una vera e propria competenza simbolica. Risulta dallo studio dei processi normali affrontato dall’”Infant Research”come il costante scambio madre-bambino non rappresenti di per sé garanzia d’intesa all’interno della coppia. Occorre infatti una sintonizzazione; il bambino cioè non è attivato dalla madre, ma da una primaria attività endogena che deve coordinarsi con quella materna.
Nel contatto diretto, nello sguardo, nell’interazione faccia a faccia, nel sincronizzarsi, stanno le basi della futura comunicazione. Queste forme di scambio andrebbero a modellare la personalità del soggetto, così come il funzionamento neurologico.
L’interazione madre-bambino inoltre, si comporrebbe sia di fasi di regolazione continua, sia di momenti di rottura, “negativi”, come un distacco, una perdita, nei quali i tentativi di accordo, di sintonia andrebbero falliti e riparati in seguito da momenti affettivi più intensi, “positivi”.
La ripetizione dello stimolo determina un'accresciuta probabilità di attivazione di determinate forme di eccitazione ad esso collegate. Neuroni eccitati in contemporanea tendono a creare associazioni nella mente di tipo percettivo, sensoriale, semantico…E in seguito, le immagini sedimentate potranno essere rievocate in assenza dell’oggetto reale, utilizzando gli stessi circuiti neuronali. (Siegel, 2001). E’ la memoria, l’insieme dei processi usati dalla mente per registrare l’esperienza, a garantire il senso di continuità.
Dalle premesse poste, possiamo pensare la mente come un ampio luogo di scambio tra le funzioni del cervello e il campo dell’esperienza interpersonale.
Nel suo lavoro del 1949: “L’intelletto e il suo rapporto con lo psiche-soma” Winnicott afferma: “…Questo stato di cose porterebbe infine la coppia madre-bambino a realizzare una sintonia profonda e un’intimità che si fonda sull’empatia”; ed è proprio nel contatto della madre dopo la nascita, che possiamo collocare i primi abbozzi del processo di “indwelling”, o insediamento della psiche nel soma, che permetterà lo sviluppo sano della mente, come elemento facente parte e arricchente l’intera personalità”.
La costruzione dell’oggetto interno, si fonderebbe infatti, non soltanto sulle primordiali esperienze sensoriali che l’essere umano fa dal momento della nascita, ma già durante la sua esperienza prenatale, sulla base sia del patrimonio innato, sia della qualità del rapporto con l’ambiente primario (Lanza, Ardizzone, Chagas Bovet. Relazione al II Congresso Internazionale: Winnicott nel 2000, Università di Milano Bicocca). Sappiamo che tutto questo percorso di costruzione del sé, in un contesto interattivo è chiamato “processo di attaccamento”. La ricerca sulle reazioni del bambino all’allontanamento/ritorno della figura di attaccamento durante il primo anno di vita, individua in sintesi differenti modalità di reazione da parte del genitore e altrettanti stili di attaccamento dei bambini; ai due estremi, osserviamo: una “bassa coordinazione” madre-bambino o una “coordinazione media”. Un attaccamento insicuro, viene a crearsi, quando il genitore manifesta poca disponibilità al coinvolgimento emotivo, incostanza nelle cure, o eccessiva intrusione, o, addirittura, quando è spaventato nell’adempiere al proprio ruolo di genitore e a sua volta incute paure e ansietà; al contrario, quando il genitore di riferimento reagisce mediamente in modo pronto e adeguato ai segnali del bambino, sapendo amplificare gli stati emozionali positivi e facilitando il controllo di quelli negativi, permetterà l’evolvere di uno stile di attaccamento sicuro. Queste considerazioni aprono al campo della terapia, luogo privilegiato del cambiamento e sollecitano la necessità di approfondimenti sui temi della rottura e della riparazione.
E’ riconosciuto ormai anche da studiosi contemporanei “organicisti” quali: Gallese, Damasco, Gamelli, come il radicamento della coscienza del corpo, affondi le sue radici nella rappresentazione del corpo, attraverso le afferenze sensoriali, quando la fisicità e il movimento sono il terreno unico dell’esperienza di relazione e le svariate forme d’interazione esperite vengono interiorizzate. I rapporti interpersonali facilitano o inibiscono la tendenza integrativa del cervello e nei primi anni di vita danno un contributo fondamentale nel plasmare le strutture di base.
In condizioni di normalità e nel tempo, questo processo interattivo consentirà la nascita del mondo interno del bambino, attraverso la costruzione della tridimensionalità: corpo-psiche-mente, in cui l’inconscio dinamico assume il ruolo fondamentale di mediazione e di stabilità tra corpo e mente.
La patologia in questo frangente, ora del corpo, ora della mente, o, talvolta, di entrambe alternativamente, sottende ad una mancata, o deficitaria integrazione, in seguito a quelli che Lanza, Ardizzone e Chagas Bovet hanno definito: “I disturbi dell’insediamento” (relazione II Congresso Internazionale: Winnicott nel 2000). Comporterebbero per il bambino uno sviluppo qualitativamente e quantitativamente deficitario del processo d’insediamento dell’esperienza e la mancata formazione dello spazio tridimensionale, che sosterrebbe la permanenza di un’integrazione primitiva corpo-mente.
In un’educazione secolarizzata e in generale, il corpo ed il suo linguaggio sono spesso accantonati e la parola è lo strumento unico, se non il privilegiato: “L’Io diviso nella sua complessità irriducibile”, (R. D. Laing, la politica della famiglia, Torino, Einaudi, 1973, p. 65).
Il corpo secondo Canevaro è un deposito di storia e di memoria; esprime un significato in rapporto con la parola. Il corpo visto come deposito di storia e di memoria fa sì che… ” Il deposito della memoria nel corpo possa diventare il cimitero della memoria, sia pure abitato da fantasmi; e di fatto lo è sovente...Tutta la vita corporea diventa possibilità di lettura e di comunicazione”…(I bambini che si perdono nel bosco, cap. V, pag. 94-96. - A. Canevaro, La Nuova Italia).
Winnicott suggerisce che il contatto preliminare con la realtà esterna è reso possibile da quelli che egli chiama “momenti di illusione”. Nell’uso che Winnicott fa della parola è solo attraverso l’illusione che il bambino può afferrare la realtà. Egli immagina che quando il neonato ha fame fantastica un seno soddisfacente e in quel preciso istante il seno reale è reso disponibile dalla madre; è come se il neonato avesse creato la madre di cui si sta nutrendo, attraverso l’identificazione empatica della madre stessa, grazie a ciò che Winnicott chiama: adattamento sensibile della mamma al proprio piccolo. Il modo in cui il seno viene presentato al bambino così che sembri in perfetto accordo con il suo desiderio è, secondo Winnicott, un paradigma di come il bambino si comporterà in futuro con gli altri oggetti che troverà nel mondo, proprio perché all’inizio, il neonato può tollerare solo di essere nutrito da un oggetto che egli crede di possedere e controllare in modo onnipotente. Questo momento delicatissimo può essere vissuto bene solo se la madre si trova in un curioso stato di sensibilità che Winnicott ha chiamato: Stato di Preoccupazione Materna Primaria.
La fantasia del bambino rappresenta anche la strada maestra verso la realtà…“Poiché il suo desiderio è stato incontrato e soddisfatto, egli ha avuto la primitiva esperienza di una gara tra interno ed esterno”…Per Winnicott lo sviluppo inizia con un atto magico: il processo puramente immaginativo del bambino di evocare la madre di cui ha bisogno. (pag. 94 Winnicott, biografia intellettuale, Adam Phillips – Armando ed.); mentre per Freud l’oggetto è ciò mediante cui la pulsione può raggiungere la sua meta; è nient’altro che una componente della rappresentazione mentale di una pulsione istintuale. Nel 1922, S. Freud fece una distinzione delle pulsioni (ossia di ogni processo dinamico che nasce da una tensione interna), e che sono per loro intrinseca natura, soggette al flusso di tre polarità,:
Polarità biologica = attività – passività.
Polarità reale = Io – mondo esterno.
Polarità economica = piacere- dispiacere.
Ed è proprio attraverso i riscontri forniti da questi tre poli che si struttureranno nel neonato i processi mentali legati al pensare e al sentire, alla percezione del sé come unità psico-dinamica; mentre nell’esporre la seconda teoria dell’apparato psichico strutturale, più tardivamente, egli parla dell’Identificazione come di una forma primitiva dell’attaccamento affettivo ad un oggetto e di “Identificazione proiettiva”, quando il bambino riconosce la madre e la identifica come parte di sé, definendo così l’avvio al processo primario nello sviluppo mentale.
Molti autori hanno ipotizzato che il cambiamento corporeo della nascita sia qualcosa di assolutamente nuovo, ed anche un’esperienza terribile, il prototipo dell’angoscia per il neonato. A causa di tale stressante esperienza egli svilupperebbe la disposizione ad un’esperienza vicariante, quale quella che si struttura nel primo rapporto con la madre. Il neonato soffrirebbe del bisogno di un contatto corporeo che lo faccia sentire “contenuto” e quindi avrebbe bisogno di un contatto corporeo con la mamma molto avvolgente; egli necessita infatti, che la mamma se lo tenga stretto a sé. Winnicott quando parla di holding si riferisce all’avvolgimento fisico dell’abbraccio della mamma, ma soprattutto all’esperienza di contenimento psicologico che in quello fisico ha la sua prima origine, e che diventa poi esperienza di essere compresi. Ricordo qui l’etimo della parola “comprensione”: deriva dal latino cum-prehendere, che vuol dire essere presi insieme con qualcuno, o qualcosa…
L’esperienza della nascita fa venir meno la funzione di contenimento automatico e globale fisico-psichico, e si rende così necessaria la costruzione “vicariante” di un contenimento non più automatico, e dunque di un nuovo contenitore: è quanto avviene nell’interazione madre-bambino. Tale interazione attiva permetterebbe il differenziarsi del desiderio rispetto al puro bisogno, e con il desiderio, la vita psichica del bimbo, il primo formarsi della sua mente, attraverso il crescente e sempre più complesso “dialogo”.
Bion ha sviluppato al meglio questi spunti, (anche rifacendosi in parte alle affermazioni di Winnicott). Egli sottolinea che il bisogno di contenimento è un bisogno fondamentale dell’essere umano, in tutte le epoche della sua vita. Ed è proprio a partire da questo bisogno che si sviluppa la “mente”, che produce e contiene i pensieri e che funge da contenitore del Sé di ogni individuo, il cui lo sviluppo è essenzialmente creazione di pensieri. Affinché si creino i pensieri è necessario che si crei un contenitore mentale, perché dei contenuti vi possano prendere forma. La mente si sviluppa così in una relazione contenente-contenuto. Se non c’è un contenitore, non ci possono essere contenuti e quindi non possono essere creati pensieri da utilizzare...
Secondo Bion lo sviluppo psichico é strettamente collegato ad uno sviluppo fisico dell’essere umano: l’essere umano nasce contenuto in una cavità; il bambino riceve dal seno tre cose:
- Latte, ovvero la gratificazione biologica;
- Amore, ovvero la gratificazione affettiva;
- Significato, ovvero una gratificazione conoscitiva essendo il seno un “oggetto” che da significato alle cose.
Vengono così poste le basi per fare un discorso sul pensiero, che è collegato direttamente alle prime esperienze corporee. Parlando del seno come di un qualcosa che serve a dare un significato e del rapporto seno-contenitore/bambino-contenuto, Bion fonda la sua teoria del pensiero e delle relazioni oggettuali. La formazione dei pensieri è qualcosa che nasce e si sviluppa attraverso il funzionamento della mente dell’altro: Una mamma “contenitiva” che sa restituire angoscia bonificata ( e che il bambino cerca di introdurre in lei attraverso l’identificazione proiettiva), e un oggetto che funga da contenitore interno, mette il bambino in condizioni di pensare; quindi la possibilità di pensare è una funzione della relazione primaria. La madre deve però poter “mantenere, ciò nonostante, un sufficiente equilibrio”…La mamma in grado di contenere le angosce del bambino ha quella che Bion chiama la capacità di “reverie”, un termine francese che significa, sognare, fantasticare o meglio ancora lasciarsi trasportare dalla fantasia e che Bion usa nel senso di lasciarsi trasportare come in un sogno nel rapporto e nelle vicissitudini emotive primarie del bambino. La reverie è di fatto un meccanismo (arcaico), che la madre usa per rispondere all’identificazione proiettiva del bambino, cercando di accoglierne le proiezioni “cattive” per restituirgliele bonificate, e dotate di significato. Analogamente la capacità del neuropsicomotricista, come del resto in termini più generali, di chi svolge un lavoro di relazione, è la capacità di entrare in risonanza con ciò che l’altro proietta, ossia la capacità di ricezione dei sentimenti e delle emozioni che veicolano in ogni relazione di significato. Sotto questo profilo, se il bambino può reintroiettare la sua angoscia modificata, perché è stata contenuta e bonificata (quindi resa accettabile), “introietterà anche un oggetto capace di contenere e affrontare l’angoscia”…Il contenimento dell’angoscia attraverso un oggetto interno capace di comprensione è un inizio di stabilità mentale” (Tratto da Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 1967, in Le capacità relazionali, prospettive psicodinamiche, di Giorgio Blandino, Utet libreria1996).
La portata innovativa della concezione di Bion è stata senz’altro, nel 1962, “Apprendere dall’esperienza”; Bion nello studio psicoanalitico dei processi cognitivi diede avvio ad una teoria in cui tutti i processi cognitivi avvengono in primo luogo come elaborazione inconscia, acquisizione che implica un’elaborazione interiore nell’individuo, nel contatto con il mondo esterno. Potremmo anche dire con le parole di Bion, che se l’apprendimento dall’esperienza è l’unico vero apprendimento, esso è al tempo stesso causa ed effetto della salute mentale, e la malattia è l’incapacità di apprendere dall’esperienza, ma può essere benissimo considerata come un rifiuto ad apprendere, un movimento anticonoscitivo. Prima di Bion i processi di apprendimento erano comunemente intesi come acquisizione di dati che rimangono coscienti, o comunque a disposizione della coscienza, mentre Bion con il concetto di “apprendimento-inconscio”, introduce l’importanza di quei procedimenti non consapevoli, “affettivi”, senza peraltro distinguerli da quelli propriamente “cognitivi”. Secondo Bion non si apprende da una realtà esterna ma da una realtà interna ed ogni individuo ha il suo peculiare modo di imparare. Il “da” vuole appunto sottolineare il lavoro della mente nella costruzione di se stessa; è questo tipo di apprendimento che segna l’evolversi dell’individuo. Si è evidenziato come lo sviluppo dell’individuo proceda sì dall’inconscio, ma non per forze endogene – istintuali come nella teoria freudiana, bensì per processi di natura cognitiva originati dall’impatto con la realtà. L’apprendimento sino a quel momento era considerato come un processo che non aveva nulla a che fare con i processi inconsci…
Ogni individuo si sviluppa dunque per apprendimento e le diversità individuali, possono essere inquadrate come diversità di apprendimento; non tanto perché l’esperienza esterna è stata diversa, bensì perché diverso è stato l’apprendere “da” quella esperienza.
Accanto al capire, apprendere, comprendere, Bion sottolinea inoltre come vi sia un “non capire”, non semplicemente come una mancanza di apprendimento, ma come modalità in negativo, con cui è stata elaborata l’esperienza: egli la chiama “misunderstanding”, che in italiano traduciamo con misconoscimento, o disconoscenza, parole che però non rendono efficacemente il concetto descritto da Bion. Più efficace invece è, secondo Bion, parlare di processo anticonoscitivo. Il lavoro che fa la mente, a livello inconscio, nelle esperienze interiori che l’individuo attraversa, è un lavoro che serve a imparare qualcosa in un certo modo e questo “certo modo” può essere anche nella direzione negativa, non come “minus” di apprendimento, ma come modalità di disconoscenza. Bion sottolinea inoltre, come qualunque processo psichico sia costituito da un apprendere e da un “disapprendere”, da ciò che avviene nell’inconscio: l’esperienza esterna è filtrata dall’inconscio ed è un’elaborazione inconscia che si costituisce come apprendimento, o come “disapprendimento”.
Possiamo invece dire che secondo Winnicott, nei primi stadi la fantasia è il primo metodo del neonato per trovare la realtà. E’ quindi importante in questo primo delicatissimo approccio che il bambino sperimenti una continuità semplice e affidabile da parte di chi si occupa di lui, in particolare la madre che attraverso le sue cure è in grado di proteggere il proprio bambino da stimoli che non può ancora comprendere, né tollerare. Possiamo anche aggiungere che la madre sostiene la capacità illusoria del bambino nelle cure costanti e ripetute, rinforzando la capacità di riconoscere il suo particolare odore, il tatto, alcuni dettagli del proprio volto attraverso gli organi di senso. Questi stimoli consentiranno progressivamente al bambino di…“Costruire la capacità di evocare ciò che è realmente disponibile”.
Nelle opere di Winnicott notiamo come la realtà sia potenzialmente nutritiva e confortante, soprattutto se la madre sufficientemente buona ha saputo assicurare al proprio bambino l’opportunità dell’illusione, sapendo anche dosare la sua esperienza di realtà…”Allora per il bambino che cresce essa rappresenta un richiamo promettente”…La funzione materna è essenzialmente una funzione di crescita, secondo il linguaggio di Winnicott, o meglio la funzione di disilludere poco per volta il bambino, (facendogli vedere che dipende dal seno e dall’oggetto, e non il contrario), ovvero una sorta di funzione di mediazione tra i bisogni del bambino e la frustrazione della realtà. E’ questa una funzione che appartiene a qualsiasi altro tipo di ruolo che non sia quello materno, ma in cui la modalità di relazione sia similare…
Winnicott era convinto che è l’ambiente, e non esclusivamente la costituzione umana, così come sostiene la psicoanalisi a favorire la patologia.
Nella cura dei pazienti psicotici egli descrisse per primo una situazione terapeutica che ristabiliva un ambiente in cui lo sviluppo potesse ripartire grazie alla regressione. Così, se pensiamo alla tensione emotiva che può caratterizzare anche per un lungo periodo di tempo il setting in terapia neuropsicomotoria di un bambino psicotico, può forse aiutarci il riflettere, attraverso le parole che Winnicott utilizzò per descrivere l’atteggiamento del terapeuta nei confronti del piccolo paziente: “Egli si trova nella posizione della madre di un bambino non ancora nato o appena nato”. Nel caso del lavoro neuropsicomotorio , come in quello controtrasferale dello psicoanalista, si verrebbe a creare un nuovo modello di setting, in cui la situazione non simboleggia l’attenzione materna, ma è l’attenzione materna. Winnicott ascrisse la psicosi nell’ambito di una “malattia da deprivazione ambientale” documentando, attraverso i suoi scritti e l’esperienza svolta in qualità di pediatra, come ogni madre svolga un ruolo così decisivo nello sviluppo del proprio figlio. …Sembra sempre però, leggendo Winnicott, che il padre non abbia alcuna implicazione nel favorire lo sviluppo equilibrato ed armonioso della personalità del bambino nell’ ambiente di appartenenza, mentre sappiamo bene che non è così…
Ripercorrendo mentalmente le primissime esperienze di cure che la relazione materna avrebbe dovuto facilitare per fornire certi elementi ambientali necessari alla crescita (e che il paziente psicotico ha avuto scarsamente, o in maniera distorta nei primissimi stadi della sua vita), possiamo riconoscere il grado di tensione che l’operatore è chiamato a sopportare, senza peraltro aspettarsi che il paziente si renda conto di ciò che sta mettendo in atto…”Per far questo”, aggiunge Winnicott, ossia per riuscire a realizzare comunque una relazione terapeutica costruttiva e volta al benessere di entrambi, …”Bisogna essere ben consapevoli della propria paura e del proprio odio; e in certi momenti del trattamento, come una mamma con un bambino molto piccolo, l’odio viene realmente cercato dal paziente”. Egli elenca diciotto buone ragioni per le quali la madre odierebbe comunemente il proprio figlio (in situazione di normalità), e sono tutte conseguenze dell’uso “crudele” che il bambino fa di lei al servizio del proprio sviluppo…Conosciamo però il ruolo fondamentale che gioca l’aggressività del bambino nella costruzione della realtà e nello sviluppo dell’immagine di sé e che per Freud è vissuta nei termini di “processo dinamico che nasce da una tensione interna”. E’ la motilità, (elemento vitale presente già alla nascita e precursore dell’oggetto), la spinta innata e potente per la propria realizzazione, termine che assume significato solo via via che l’individuo cresce (Relazione della Prof.ssa F. Neri e N. Albanese, Convegno: Motricità, pensiero e linguaggio, dal concreto al simbolico. Università Milano Bicocca: 8-10 Febb. 2007). Si concretizza nel riconoscimento della madre dei gesti spontanei del bambino, si consolida anche attraverso l’aggressività e la sopravvivenza della madre e la sua mancanza di ritorsione alla distruttività del bambino.
Un elemento decisivo nella delimitazione tra il Sé e il non Sé è l’atto escretorio. La capacità della madre di occuparsi dell’igiene, “delle feci” del proprio figlio in assenza di sentimenti di rifiuto, o di ostilità, nel dar prova così di una totale accettazione e valorizzazione di “tutte le parti”che il bimbo porta con sé. I bambini normali, quando cominciano ad essere consapevoli della loro defecazione, cercano di tenere in mano gli escrementi, infatti essi non vogliono separarsi immediatamente da ciò che fino ad un momento prima faceva intimamente parte di loro. Imparano a separarsi dalle proprie feci nella misura in cui, il Sé fattosi più saldo e robusto, sperimenta, senza restarne traumatizzato, che una parte del Sé diventa non Sé. Bruno Bettelheim attraverso la descrizione del mondo interno di Laurie (e del suo lento “disgelo”), uno dei tre casi clini descritti ne: “La fortezza vuota”, ci ricorda come nella cultura contadina, fino a tempi relativamente recenti, le feci, anziché essere classificate come non-valore non appena il bambino era stato lodato per averle emesse, venivano realmente valorizzate perché usate come concime. Il bambino si faceva un’idea del loro valore, poiché esse venivano accuratamente raccolte e utilizzate nei campi, così da contribuire a far crescere ciò di cui si sarebbe nutrito l’anno dopo.
Potremmo anche paragonare tutto ciò alla capacità della madre sufficientemente buona (come pure del terapista e di chiunque altro instauri una relazione d’aiuto), di restituire bonificata l’angoscia, in quanto atti d’amore (e di speranza), che si evidenziano e perpetuano nella qualità delle attenzioni e ( soprattutto per i genitori), nella pratica delle cure quotidiane.