Esperienza uditiva, definizioni di rumori, teorie dello sviluppo e prevenzione
ESPERIENZA UDITIVA
L’udito è “la funzione sensoriale specifica relativa alla percezione di suoni e rumori, avendo per organo di ricezione degli stimoli l’orecchio” (Devoto Oli, 2013).
Dal punto di vista fisiologico, “l’udito è la nostra percezione dell’energia delle onde sonore, che sono onde pressorie che alternano zone di aria compressa e rarefatta”.
La sensazione uditiva è determinata da più eventi di trasduzione che percorrono tutta la struttura dell’orecchio dalla parte più esterna alla più interna. Inizialmente, le onde sonore provengono dall’orecchio esterno, percorrono il condotto uditivo esterno fino ad arrivare alla membrana timpanica. Il raggiungimento di quest’ultima, da parte dell’onda sonora, dà origine ad una vibrazione, la quale, a sua volta, si sposta progressivamente nell’orecchio medio, attraversando in sequenza i tre ossicini (martello, incudine e staffa), che la amplificano. In quest’ultimo passaggio una parte di energia viene persa a causa dell’attrito. I tre ossicini, per prevenire possibili danni arrecabili dal rumore, all’orecchio interno, hanno anche il compito di smorzare la trasmissione dei suoni eccessivamente intensi, diminuendo i propri movimenti; ciò è reso possibile dall’attivazione del muscolo tensore del timpano e del muscolo stapedio situati nell’orecchio interno. Il passaggio ultimo della vibrazione nell’orecchio medio è, dunque, la staffa che trasmette a suo volta la vibrazione alla finestra ovale. Le vibrazioni passano nella coclea dove diventano onde fluide che piegano le cellule cigliate all’interno del dotto cocleare. Il movimento delle stereocilia si traduce in impulsi elettrochimici decodificabili come suoni dalla corteccia temporale. Più precisamente lo spostamento delle estremità delle stereocilia consente al potassio di entrare nella cellula, determinandone la depolarizzazione, cioè di aprire i canali del calcio, posti alla base della cellula, consentendo il rilascio di neurotrasmettitori (glutammato). L’attivazione della via sensoriale uditiva continua attraverso i nuclei cocleari dorsali e ventrali, il corpo trapezoidale, il complesso olivare superiore, il lemnisco laterale, il collicolo inferiore, la porzione mediale del corpo genicolato ed infine la corteccia uditiva.
La percezione uditiva normale dipende dall’integrità anatomica funzionale di tutte queste strutture (Silverthorn, 2010).
LO SVILPUPPO DEL SISTEMA UDITIVO: IL FETO E IL NEONATO PREMATURO
Le tappe della maturazione delle vie uditive periferiche e centrali rappresentano una serie complessa di fenomeni evolutivi (Fetoni et al., 2002). Gli autori effettuano una valutazione dell’evoluzione anatomica e funzionale delle strutture dell’orecchio esterno, medio ed interno, nonché delle vie retrococleari, sfruttando le evidenze sperimentali offerte dalle principali metodiche biomeccaniche ed elettrofisiologiche. Lo sviluppo del sistema uditivo inizia già dalla terza settimana di età gestazionale. L’orecchio esterno si sviluppa a spese del mesoderma e dell’ectoderma, che avvolgono il primo solco branchiale. Secondo il modello classico di sviluppo, l’abbozzo del padiglione auricolare si forma attorno alla 6° settimana: si costituiscono tre addensamenti mesodermici, detti tubercoli di His, tre anteriori (dai quali originano il trago e l’elice) e tre posteriori (dai quali derivano l’antitrago e l’antielice). Il padiglione auricolare si presenta, inizialmente, nella porzione caudale del I solco branchiale e si sposta in senso cranio-dorsale attorno alla 20a settimana, seguendo lo sviluppo della faccia e, in particolare, quello della mandibola. Tenderà ad accrescere fino al nono anno di vita postnatale, sebbene già in quest’epoca assuma la conformazione definitiva.
Il condotto uditivo esterno origina dal foglietto ectodermico del I solco branchiale nella 4a-5a settimana ed entra molto presto in contatto con l’ectoderma.
Nell’embrione di 7 settimane si invagina a formare uno stretto canale ad imbuto, che andrà a costituire la porzione cartilaginea del condotto; intorno all’8° settimana raggiunge la cavità dell’orecchio medio. Nel corso della 9a settimana, un cordone epiteliale solido prolifera dal fondo del condotto primitivo portandosi internamente verso la parete inferiore della cavità timpanica, dalla quale, al 5° mese di vita fetale, origina la porzione ossea del condotto. Il processo di cavitazione del condotto uditivo esterno inizia attorno al 5° mese e si completa nel corso del mese seguente. La definitiva ossificazione dello stesso si ha attorno ai 9 anni.
La membrana timpanica si forma attorno alla 4a-5a settimana per mezzo del contatto che avviene tra l’ectoderma del I arco branchiale e l’endoderma del recesso tubo-timpanico (I tasca branchiale). Embriologicamente il timpano ha una triplice origine: lo strato epiteliale esterno è di origine ectodermica, lo strato fibroso deriva dal mesoderma dei primi due archi branchiali e lo strato mucoso dall’endoderma del recesso tubotimpanico. La maturazione inizia con l’accollamento dell’abbozzo del condotto uditivo esterno con il recesso tubo- timpanico, che porta alla formazione della membrana al di sotto del manico del martello. In una seconda fase, quando la cassa timpanica si ingrandisce, il manico del martello e la corda del timpano aderiscono alla membrana che, in questa fase maturativa, è costituita solo da pars tensa. In un terzo momento si forma la pars flaccida. La maturazione viene completata alla 21a settimana. Originariamente, la membrana timpanica si presenta obliqua, la sua inclinazione si riduce entro i primi due anni di vita.
L’orecchio medio deriva dopo la 3a settimana dal recesso dorsale della 1a tasca branchiale. Nella settimana successiva la cavità timpanica si ingrandisce in senso ventro-distale portandosi a livello della tasca branchiale. L’espansione risulta essere completa attorno alla 30a settimana. L’embriogenesi della catena ossiculare inizia alla 4a settimana. Alla 16a settimana si realizza l’ossificazione iniziale di incudine e martello, che si completa alla 32a settimana; alla 18a settimana inizia quella della staffa da un focolaio osseo posto sul versante timpanico. Nelle settimane successive fino alla 38a, avvengono i processi di rimodellamento dei focolai di cartilagine residui all’interno delle branche. Tuttavia tali focolai tendono ad essere sostituiti da osso nel corso dell’infanzia o addirittura nell’età adulta.Nel corso del 3a mese la tuba è ben sviluppata, sebbene non sia altrettanto ben funzionante, in quanto corta, beante ed orizzontalizzata; seguendo la crescita cranio-facciale essa diviene obliqua, lunga e normofunzionante.
Lo sviluppo embriologico dell’orecchio interno inizia già alla 3a settimana di vita intrauterina con la formazione, dall’ectoderma del I arco branchiale. Rapidamente si forma una vescicola, detta otocisti, da cui originano: il sacculo, il canale cocleare, l’utricolo, i canali semicircolari ed il canale endolinfatico. All’8a settimana la coclea è costituita da un giro e mezzo, la settimana seguente da due giri e mezzo, mentre alla 16a settimana raggiungie la lunghezza definitiva. L’ossificazione della coclea inizia intorno alla 15a settimana grazie a numerosi focolai presenti a livello del condotto uditivo interno, dell’acquedotto cocleare, del canale di Falloppio, della finestra ovale e rotonda, della fissula ante e post fenestram e si completa alla 23a settimana. Attorno al 7°-9° mese lo sviluppo della coclea può essere considerato completo. L’organo del Corti comincia a svilupparsi, dalla vescicola otica, a partire dalla 7a settimana ed il primo segnale di differenziazione è rappresentato dalla spiralizzazione. La porzione basale del tunnel del Corti appare canalizzata alla nascita, quella apicale si caratterizza cinque giorni dopo la nascita (Sato et al.,1999)
La maturazione delle cellule ciliate interne è più precoce e si caratterizza per la formazione di ciuffi di stereociglia sul polo apicale, ben distinti dai microvilli. Dopo la 14a settimana, le cellule ciliate interne assumono la loro disposizione caratteristica a V, che diviene ben visibile alla 18a. Le ciglia delle cellule ciliate esterne, invece, completano il loro sviluppo alla 22a, disponendosi a W.
Il rimodellamento dell’orecchio interno avviene attraverso un processo di apoptosi: il 25 % dei neuroni cocleo-vestibolari vanno incontro a morte programmata. Per quanto concerne le cellule sensoriali dell’organo del Corti, le cellule ciliate interne non subiscono variazioni significative in lunghezza e forma, mentre la loro angolazione, rispetto alla membrana basale, aumenta progressivamente fino all’età adulta. Le cellule ciliate esterne, invece, nel periodo post natale, si allungano principalmente nella porzione mediale ed apicale della coclea, mentre la loro lunghezza si riduce dalla nascita fino alla 5a giornata, per mantenersi invariata (Sato et al., 1999).
Intorno alla 19a settimana di gestazione si osservano delle prime risposte, da parte del feto, ai suoni a basse frequenze (Zimmerman & Lahav, 2013). A circa 23-25 settimane di gestazione, gli aspetti strutturali necessari per la funzione uditiva sono formati: in modo particolare, la coclea, la struttura dell’orecchio interno, in cui avviene la prima elaborazione del segnale sonoro (Silverthorn, 2010), è collegata al tronco encefalico (Stromsworld & Sheffield, 2004) e il feto può così percepire e rispondere ai suoni filtrati dal liquido amniotico, provenienti sia dall’interno che dall’esterno del corpo materno. Le risposte registrate sono per lo più di tipo motorio (Gray & Philbin, 2004), ma risultano anche variazioni della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della saturazione di ossigeno (Zimmerman & Lahav, 2013).
A 27 settimane il feto risponde a toni di 250 e 500 Hz (Zimmerman & Lahav, 2013). A 28 settimane di vita intrauterina le vie neurosensoriali sono sufficientemente sviluppate da suscitare risposte uditive sia a livello corticale che da parte del tronco encefalico (Zimmerman & Lahav, 2013). Questi due tipi di risposte sono evocate dal potenziale d’azione che arriva all’encefalo grazie al rialscio del neurotrasmettitore sui neuroni sensoriali (Silverthorn, 2010).
Intorno alla trentatreesima settimana di gestazione è stata osservata una responsività a frequenze più alte comprese tra 1000-3000 Hz (Zimmerman & Lahav, 2013), che raggiungono l’orecchio del feto con una piccola attenuazione dovuta all’attraversamento dei tessuti materni (Graven, 2000). Inoltre, intorno alla trentacinquesima settimana, il feto è in grado di discriminare le voci e ha una memoria uditiva relativa al parlato ed ai suoni musicali con frequenze <250 Hz (Graven,2000).
Si può dire, quindi, che nel terzo trimestre di gravidanza il feto sano sia un ascoltatore (Matook,2010) e alla nascita il sistema uditivo del neonato sia competente, in quanto ha potuto sperimentare l’ascolto per almeno 10-12 settimane prima di venire al mondo (Vandenberg, 2007). (Fig.1)
Figura. 1 Sintesi dei passaggi fondamentali dello sviluppo dell’udito in epoca fetale
ETA’ GESTAZIONALE |
CAPACITA’ UDITIVA |
3 settimane |
Inizia a svilupparsi il sistema uditivo |
19 settimane |
Prime risposte ai suoni di basse frequenze |
23-25 settimane |
Formazione anatomica completa; il feto percepisce e risponde ai suoni in modo fisiologico (cambiamento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della saturazione in associazione a movimenti) |
27 settimane |
Risposte a frequenze tra 250-500 Hz |
28 settimane |
Risposte uditive evocate da parte del tronco encefalico e della porzione corticale dell’encefalo |
33 settimane |
Il feto risponde alle frequenze più alte (1000-3000 Hz) |
35 settimane |
Il feto discrimina le voci ed ha memoria uditiva |
L’ambiente acustico predominante in cui si trova il feto è caratterizzato da suoni a bassa frequenza che originano dal corpo materno (Gray & Philbin, 2004) e in particolare dalla respirazione, dalla peristalsi intesinale, dal ritmo cardiaco, di movimenti fisici (Zimmerman & Lahav, 2013) e dalla voce materna, che il feto distingue molto bene perché attraversa, con una bassa frequenza, i tessuti (Graven, 2000).
La voce materna, malgrado si unisca agli altri rumori, rimane ben distinta alle orecchie del feto, grazie al modello ritmico ed alle inflessioni del parlato, e la sua presenza è legata al ritmo circadiano della madre stessa (Gray & Philbin 2004). Inoltre essa viene percepita in modo più accentuato e chiaro rispetto ad altre voci femminili, sempre grazie al modello ritmico ed alle inflessioni del parlaro, così come le vocali sono più comprensibili rispetto alle consonanti, particolarità verificata registrando i suoni all’interno dell’utero e riproponendo la registrazione ad ascoltatori adulti. Grazie a questo tipo di suono, che si distingue dall’ambiente sensoriale di sottofondo, il feto è in grado di rispondere al linguaggio materno dal terzo trimestre della gravidanza. La capacità di reagire agli stimoli sopra citati, viene manifestata dal feto attraverso movimenti del corpo di rimando e la progressiva decelerazione della frequenza cardiaca. Questa abilità attentiva, di assistere al discorso, rimarrà anche dopo la nascita (Grey & Philbin, 2004).
Il sottofondo sonoro del feto è arricchito anche dai rumori provenienti dall’esterno del corpo della mamma (Graven, 2000). Tutti questi suoni raggiungono l’utero con un’attenuazione maggiore, in quanto mediati dai tessuti materni e dal liquido amniotico; per esempio, un forte suono di 90 dB che origina dall’esterno, si riduce a 45 dB, che corrisponde ad una tranquilla conversazione tra due persone in assenza di altri rumori di fonto (Grey & Philbin, 2004; Vandenberg, 2007).
Quindi, dal punto di vista dell’intensità del suono, all’interno dell’utero si hanno valori che si aggirano intorno ai 50 dB con brevi picchi di 70 dB (Graven, 2000).
L’utero risulta essere un ambiente ottimale e di protezione per la maturazione uditiva, in quanto adatta le frequenze allo sviluppo della coclea (Zimmerman & Lahav, 2013). L’esperienza uditiva di un neonato prematuro, ricoverato in TIN, che comprende rumori ambientali e voce umana, è significativamente diversa da quella di un feto nell’utero materno La differenza sostanziale tra un neonato prematuro e un feto è che il primo non gode della protezione dell’utero materno, che scherma e attenua attraverso i tessuti, i rumori provenienti dall’esterno (Graven, 2000); inoltre, l’immaturità che caratterizza i piccoli degenti della TIN, rende quest’ultimi suscettibili agli stress ambientali (Matook et al., 2010) che non vengono più modulati dalla trasmissione attraverso un mezzo fluido come il liquido amniotico, ma si trasmettono per via aerea (Zimmerman & Lahav, 2013).
A circa 26 settimane di età gestazionale il feto risponde a stimolazioni vibro-acustiche, in un ambiente protetto e tutelante per il suo sviluppo uditivo, mentre un neonato prematuro, nato alla stessa età gestazionale, è sottoposto in terapia intensivaneonatale, a tipologie di suoni ed a livelli di rumore molto diversi da quelli presenti in utero e spesso intrusivi per il suo udito (Matook et al., 2010; Zimmerman & Lahav, 2013).
I suoni predominanti nell’ambiente uterino sono prodotti dal corpo materno e sono caratterizzati da una frequenza inferiore a 500 Hz e da un’intensità di circa 45 dB (Gray e Philbin, 2004). Il rumore in TIN è invece determinato dalla componente tecnologico- strumentale e umana (Darcy ed al., 2008) che raggiunge le orecchie dei neonati con frequenze ed intensità che risultano atipiche per il loro udito (Kellam & Bahatia, 2008), la cui maturazione segue le stesse tappe di quella del feto (Graven, 2000). In particolare, le frequenze più alte (1000-3000 Hz), presenti in TIN, riescono ad essere elaborate solamente alla trentatreesima settimana di età gestazionale ed i neonati pretermine con un’età più bassa, proprio a causa della loro prematurità, non sono in grado di filtrare stimoli di tale entità perché hanno una capacità di autoregolazine e di stabilità fisiologica, motoria e comportamentale limitate (Gray & Philbin, 2004; Zimmerman & Lahav, 2013). Per questo motivo si dovrebbe cercare di riprodurre in TIN suoni il più possibile simili a quelli uditi dal feto durante la gestazione, per favorire risposte positive da parte del neonato prematuro ricoverato (Gray & Philbin, 2004).
LE FONTI DEL RUMORE
Il dizionario della lingua italiana Devoto Oli (2013) definisce il suono come “sensazione acustica che presenti ben individualizzabili i caratteri di altezza, intensità e timbro; determinata dalle onde sonore emesse da una sorgente che, propagandosi in aria o in qualunque mezzo elastico, giungono all’orecchio e vengono trasmesse al timpano”.
Il suono viene, inoltre, definito come energia o fonte di movimento generato dalla pressione (Matook et al., 2010).
Tutti i rumori della vita quotidiana sono costituiti da un insieme più o meno complesso di suoni puri (Michel & Claudine Portmann, 1972).
Il rumore è quindi un “fenomeno acustico che non ha caratteristiche musicali, spesso associato a sensazioni sgradevoli o alla percezione indistinta di voci che risultano come un suono confuso” (Devoto Oli, 2013).
Il suono è, dunque, un’onda sinusoidale che, sul piano fisiologico, si traduce in due qualità sensoriali: la frequenza e l’intensità. La frequenza delle onde sonore, ovvero il numero di onde sonore in un secondo, è misurata in hertz. Il nostro orecchio è in grado di percepire suoni che hanno una frequenza compresa tra i 20 e i 20000 Hertz, con una maggiore sensibilità tra i 1000 e i 3000 Hertz. Il cervello umano trasduce la frequenza in altezza del suono e identifica suoni a bassa frequenza, quale il rumore di un tuono in lontananza, e ad alta frequenza, ovvero suoni acuti come il rumore di un’unghia che graffia la lavagna. L’intensità, invece, corrisponde al volume del suono, misurato in decibel, su scala logaritmica in base 10; ovvero il decibel è dieci volte il logaritmo in base 10 di due grandezze omogenee, cioè dello stesso tipo (Silverthorn, 2010). Il suono varia, quindi, in modo esponenziale (Vandenberg, 2007). La soglia di udibilità, in termini di intensità, si attesta attorno ai 5-10 dB; il livello di suono confortevole per le nostre orecchie è a circa 45 dB e la soglia del dolore acustico si può identificare approssimativamente a 120 dB (Marik et al., 2012).
Bremmer et al. (2003), in una revisione riguardante gli effetti del rumore sui neonati prematuri e le conseguenti implicazioni cliniche, mostrano le fonti tipiche di rumore in TIN e il livello di suono corrispondente. (Tab.1)
Tabella 1. Fonti di rumore in Tin associate ad intensità del suono misurato in decibel, (Bremmer et al., 2003)
Fonti di rumore |
Decibel (dB) |
Passaggio di consegna vicino al letto |
50 |
Allarme dei monitor multi-parametrici |
55-88 |
Conversazioni |
58-64 |
Appoggiarsi all’incubatrice per scrivere |
59-64 |
Allarmi delle pompe infusionali |
61-78 |
Aprire e chiudere l’acqua del lavandino |
66-76 |
Aprire gli oblò dell’incubatrice |
67-86 |
Chiudere l’armadietto collocato sotto l’incubatrice |
70-95 |
Chiudere lo sportello dell’incubatrice |
80-111 |
Abbassare il materasso dell’incubatrice |
88-117 |
Appoggiare flaconi sopra l’incubatrice |
96-117 |
Battere sull’incubatrice per stimolare un neonato in apnea |
130-140 |
Per comprendere meglio l’intensità dei suoni ai quali sono sottoposti i neonati ricoverati, viene riportato un confronto tra i valori rilevati in TIN e quelli legati ad attività della vita quotidiana (Thear & Wittmann-Price, 2006). (Tab. 2)
Tabella 2. II Confronto tra il livello di suono in Tin e i livelli di suono di alcune attività legate alla vita quotidiana (Thear & Wittmann-Price, 2006).
Suoni rilevati in terapia intensiva neonatale |
Suoni rilevati durante attività quotidiane |
Ambiente incubatrice 50-80 dB |
Ambiente interno di una casa 50 dB |
Assistenza di base 57-66 dB |
Conversazione 60 dB |
Allarmi e monitor 57-66 dB |
Ristorante rumoroso 70 dB |
All’interno di un’incubatrice 55-88 dB |
Sveglia di un orologio 80 dB |
Appoggiare un oggetto sopra un’incubatrice (strumento di rilevazione posto all’interno della stessa) 90 dB |
Grosso autocarro, metropolitana, treno: 90 dB |
Conversazione ad alta voce 117 dB |
Concerto rock 110 dB |
ALCUNE DEFINIZIONI FONDAMENTALI
Pur lasciando ogni approfondimento all’ampia letteratura di acustica, si ritiene necessario riprendere in termini divulgativi e non formali alcune definizioni fondamentali riferite al contesto dello studio. In particolare va detto che la pressione sonora, che è la grandezza in esame, è generalmente misurata in dB (decibel). Si tratta di una misura relativa espressa su una scala logaritmica; questo in parole povere fa sì che i dB non possano essere semplicemente “sommati” tra loro e che quindi due rumori da 50 dB ciascuno non generino una pressione sonora da 100 dB ma ben più bassa.
Un altro aspetto importante è la relazione che lega diversi valori di pressione sonora. A questo proposito è bene ricordare che ogni aumento di 3 dB circa porta con sé un raddoppio della pressione sonora; quindi, tanto per fare un esempio, riuscire ad abbattere la rumorosità ambiente di soli 9 dB comporta la riduzione a 1/8 della pressione sonora iniziale, con grandissimo vantaggio per il comfort ambientale. Allo stesso modo, un aumento di 10 dB comporta un aumento di circa 10 volte della pressione sonora. Queste regole pratiche devono essere tenute in considerazione quando si confrontano diversi livelli di pressione sonora. Risulta necessario prendere in considerazione anche un altro fattore relativo alla “imperfezione” dell’orecchio come strumento di misura. Il nostro orecchio, infatti, non è ugualmente sensibile a tutte le frequenze e, seppur convenzionalmente si ritenga che un orecchio giovane e sano possa percepire suoni da 20 a 20.000 Hz (cosa decisamente non più vera oltre i 20-25 anni), la capacità dell’orecchio di recepire una determinata pressione sonora non è uniforme sullo spettro delle frequenze. Molti studi empirici hanno definito alcune curve (cosiddette isofoniche) di risposta dell’orecchio umano alle diverse frequenze che, quindi, devono essere utilizzate per avere dei valori che ben rappresentano il livello di fastidio percepito da un essere umano. La curva universalmente riconosciuta per questo tipo di misurazioni è denominata “A”. Inoltre, nelle rilevazioni di pressione sonora, realizzate in questo studio sono state introdotte delle grandezze sintetiche che, abitualmente, vengono utilizzate per valutare situazioni di rumorosità ambientale:
Lmax = valore massimo di pressione sonora rilevato -
Potrebbe trattarsi di un picco istantaneo e isolato, conseguente a un evento che non si ripete frequentemente o a un “difetto” della metodologia di rilevamento (per esempio un rumore particolarmente ravvicinato allo strumento). Diventerebbe rilevante se tale condizione si verificasse molteplici volte nel corso del rilevamento.
Lmin = valore minimo di pressione sonora rilevato
Anche in questo caso, per i motivi speculari rispetto a quanto espresso in precedenza, il valore non sarebbe particolarmente indicativo se venisse preso singolarmente.
L10 = 10imo percentile della pressione sonora rilevata
Rappresenta il valore di pressione sonora superato nel 10% del tempo. Un indicatore di questo tipo tende a focalizzarsi sui picchi istantanei e occasionali; ma si può interpretare, anche se un po’ impropriamente, come il “livello massimo medio”.
L50 = 50esimo percentile della pressione sonora rilevata
Si tratta di uno tra i più significativi indicatori. Rappresenta il valore di pressione sonora che, per il 50 % del tempo di rilevazione, al contempo, si è superato e si è sottostati. Si potrebbe interpretare come “media” della pressione sonora.
L90 = 90esimo percentile della pressione sonora rilevata
Questo indicatore sintetico, dualmente a L10, indica il valore di pressione sonora superato nel 90% del tempo. Quindi è possibile considerarlo una proxi accettabile del cosiddetto “noise floor”, ovverosia il livello di rumore di base che dipende dalla rumorosità intrinseca e costante dell’ambiente e delle macchine che lo popolano. Tanto per dare un ordine di grandezza, una stanza chiusa con una persona all’interno in un’area cittadina in ore notturne difficilmente scende sotto un L10 di 38-40 dB(A).
Leq = Livello di pressione sonora equivalente
È un indicatore sintetico che assume valori generalmente molto simili a L50 e che rappresenta il livello di pressione sonora continua equivalente alla stessa energia rilevata durante il campionamento in ambiente. Per fare un esempio, un Leq di 60 dB(A) significa che la pressione sonora totale è stata pari a quella che genererebbe un rumore costante di 60 dB(A) per tutto il periodo. Un Leq maggiore del L50 sta a significare che i picchi verso l’alto sono stati più rilevanti di quelli verso il basso; viceversa, un Leq decisamente minore di L50 sta a significare che i picchi verso l’alto sono stati molto “morbidi” e subito sopra L50, mentre quelli verso il basso decisamente impulsivi.
Nel panorama internazionale diverse organizzazioni hanno elaborato linee guida per il controllo e l’abbattimento del rumore nelle terapie intensive neonatali (Vandenberg, 2007).
Nel 1974 l’Environmental Protection Agency (EPA) ha raccomandato livelli di suono non superiore a 45 dB durante il giorno e 35 dB durante la notte, per ridurre il rischio di esposizione al rumore dei pazienti in ospedale (Williams et al., 2007).
Nel 1997 l’American Academy of Pediatrics (AAP), la più importante organizzazione professionale dei pediatri americani, in seguito ad un’analisi sugli effetti del rumore sul feto e sul neonato prematuro, ha pubblicato le linee guida riguardanti la sicurezza del feto e del neonato prematuro esposti ad alti livelli del rumore. In modo particolare, al punto numero tre, l’AAP, ha affermato che sono da evitare livelli di rumore che superino i 45 dB, l’importanza di monitorare l’inquinamento acustico e di definire semplici strategie di riduzione del rumore in terapia intensiva neonatale (Commettee on Recommended Design Standards for Advanced Neonatal Care); allo standard 23 vengono specificati i livelli di suono consigliati per le terapie intensive neonatali. Le stesse indicazioni sono state riprese, senza modifiche, nello standard 27 dell’ottava edizione delle medesime raccomandazioni (2012). In tutte le versioni delle raccomandazioni, i livelli sonori vengono definiti in termini di Leq, L10, L50, L90, Lmin e Lmax (Krueger et al., 2012).
Le raccomandazioni indicano che la combinazione dei suoni di sottofondo con i rumori provocati dalle attività assistenziali non devono superare, nelle stanze di degenza dei neonati i 45 dB di Leq orario, i 50 dB di L10 orario ed i 65 dB di Lmax; mentre, nelle eventuali stanze dedicate al personale o nelle aree dedicate ai genitori e parenti, i livelli soglia sono stati attestati ai 50 dB di Leq orario, ai 55 dB di L10 orario ed i 70 dB di Lmax. (Consensus Committee on Recommended Design Standards for Advanced Neonatale Care, 2012; Tab. 3)
Tabella 3. Sintesi del limite massimo dei livelli di rumore consigliati dalle varie organizzazioni internazionali per l’ambiente TIN
Organizzazioni |
Limite di rumore (dB) |
EPA (Environmental Protection Agency, 1974) |
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AAP (American Academy of Pediatrics, 1997) |
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OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1999) |
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SSG (Study Sound Group, 2012) |
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A livello nazionale è difficile reperire linee guida specifiche per l’ambiente della terapia intensiva neonatale, tuttavia il D.P.C.M. 5/12/1997 Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici ed il manuale operativo Metodologie ed interventi tecnici per la riduzione del rumore negli ambienti di lavoro, ideato dal Dipartimento d’Igiene del Lavoro ed aggiornato al 2008, forniscono linee di indirizzo relative agli standard acustici in funzione della finalità o destinazione d’uso degli edifici e dei locali.
Il primo decreto stabilisce una classificazione degli ambienti abitativi, definendone sette categorie, ognuna delle quali, a sua volta, detta i requisiti acustici passivi dell’edificio, dei suoi componenti e degli impianti tecnologici.
Gli ospedali, nello specifico, fanno parte della categoria D, per la quale il livello equivalente di pressione sonora (Leq) degli impianti tecnologici a funzione continua non deve superare i 25 dB e il livello massimo di pressione sonora (Lmax) degli impianti tecnologici a funzione discontinua non deve superare i 35 dB.
LE CONSEGUENZE DEL RUMORE
E’ stato dimostrato che, a circa 23-25 settimane di età gestazionale, il feto in utero è in grado di elaborare segnali acustici a basse frequenza, approssimativamente non oltre i 500 Hz (Silverthorn, 2010) fornendo risposte fisilogiche a livello motorio (Gray & Philibin, 2004) e nelle variazioni dei parametri vitali (Zimmerman & Lahav, 2013). La consistente stimolazione acustica presente in terapia intensiva neonatale, può invece determinare effetti negativi a breve e lungo termine, rispettivamente reversibili ed irreversibili a carico del neonato prematuro ivi ricoverato. Ciò può essere dovuto principalmente a due possibili cause: la presenza di stimoli eccessivi per tipologia ed intensità, oppure il fatto che si tratti di un individuo non ancora completamente “maturo e competente”, a causa della prematurità, per affrontare la vita extrauterina (Trapanotto et. al, 2004; Als et al., 2004).
Risulta necessario comprendere, attraverso la “Teoria Sinattiva dello Sviluppo”, come avvenga l’organizzazione delle funzioni neuro-comportamentali del neonato pretermine, prima di poter descrivere le conseguenze che determinati stimoli potrebbero determinare sullo stesso.
LA TEORIA SINATTIVA DELLO SVILUPPO
Il metodo NIDCAP, un programma di valutazione ed assistenza personalizzata allo sviluppo neuro-comportamentale del neonato pretermine centrato sulla famiglia, si basa sulla cosiddetta teoria sinattiva dell’organizzazione comportamentale sviluppata nel 1982 dalla Dott.ssa Heidelise Als, neuropsicologa statunitense e ricercatrice presso il Children’s Hospital di Boston (Sannino et al.,2008). La Als, in particolare, sviluppa la predetta teoria riprendendo le affermazioni di uno dei più noti pediatri di fama mondiale, Thomas Berry Brazelton, secondo il quale, il neonato, già alla nascita, non è un passivo contenitore di stimoli ma è dotato di competenze che gli permettono di interagire con chi lo accudisce e con l’ambiente, attraverso un atteggiamento propositivo, interattivo e collaborativo. Al bambino viene riconosciuta la sua unicità, cioè la capacità di rispondere alle stimolazioni ambientali e sociali e il fatto che questa abilità di risposta sia differente a seconda del suo stato di salute e/o della sua età gestazionale. A Brazelton si deve l’elaborazione della NBAS Scale (Neonatal Behavioral Asssement Scale), metodo di osservazione e valutazione del neonato a partire dalla nascita fino ai due mesi di vita, che costituisce uno strumento completo per la valutazione del comportamento del neonato a termine e su cui si basa la teoria sinattiva.
Dall’osservazione del coportamento del neonato, infatti, è possibile ricavare importanti informazioni riguardanti l’organizzazione del sistema nervoso centrale (resa manifesta dalle capacità e dalle competenze presenti in quel preciso momento maturativo) così da valutare quali stimolazioni ne favoriscano lo sviluppo e quali, contrariamente, rappresentino una fonte di stress.
Il modello sinattivo proposto dalla Als, sullo sviluppo del neonato pretermine, spiega il fuzionamento e la maturazione del SNC, dalla 23° alla 44° settimana di età gestazionale. Schematicamente individua un’organizzazione gerarchica di sottosistemi che si sviluppano in modo sequenziale, influenzandosi vicendevolmente ed interagendo con l’ambiente circostante.
Questo modello prevede l’integrazione reciproca tra i differenti sottoinsiemi e tra essi e l’ambiente; questo determina il processo di sviluppo, permettendo il passaggio da un livello di maturazione inferiore ad un livello superiore caratterizzato da una maggiore organizzazione.
In ordine di sviluppo essi sono i seguenti e la loro valutazione è possibile attraverso le specifiche capacità e competenze riportate:
- Il sistema neurovegetativo autonomo: osservabile per il tramite della valutazione dei parametri vitali (frequenza cardiaca, frequenza respiratoria), delle funzioni digestive ed escretorie e dell’esame del colorito della cute;
- Il sistema motorio: osservabile mediante la quantità e qualità dei movimenti, il livello di armoniosità e l’esame delle posture spontanee assunte e la variabilità del tono;
- Il sistema degli stati comportamentali: osservabile attraverso la stabilità, la disponibilità, la variabilità degli stati di sonno e veglia e la modalità di transizione da uno stato all’altro;
- Il sistema dell’attenzione e interazione: osservabile attraverso la qualità dello stato di vigilanza e allerta e la capacità di mantenere ed utilizzare tale stato per la relazione con l’ambiente;
- Il sistema di autoregolazione: osservabile attraverso la capacità del neonato di regolare la stabilità dei singoli sottosistemi e la relazione tra essi (Sannino et al., 2008; Vandenberg, 2007).
Il neonato, attraverso il suo comportamento, comunica il suo stato di benessere e/o di disagio (manifestando rispettivamente segnali di stabilità o di stress). Il comportamento diventa quindi non solo una via di comunicazione, ma anche uno strumento attraverso il quale è possibile individuare, definire ed attuare strategie assistenziali individualizzate e di accudimento adeguate alle capacità raggiunte ed emergenti del bambino.
Analogamente, l’instabilità e la disorganizzazione di un sottosistema influenzano negativamente il funzionamento e la maturazione degli altri. Per tale motivazione, i genitori vengono supportati nella comprensione dei bisogni del loro bambino, in modo da essere di sostegno al proprio sviluppo globale. L’obiettivo della “care” sarà quello di collaborare con il neonato stesso fornendogli il supporto necessario per permettergli di passare al livello maturativo successivo.
Nei neonati a termine questi cinque sistemi risultano maturi, integrati, sincronizzati, gestiti facilmente e senza segni di stress. I neonati pretermine, invece, potrebbero non avere queste capacità o potrebbero essere in grado di gestire solo parzialmente gli stimoli ambientali, mostrando risposte eccessivamente reattive anche a stimolazioni minime. E’ stato osservato, infatti, che anche il più piccolo e fragile neonato pretermine è in grado di mostrare i suoi bisogni grazie ad una serie di segnali individuabili attraverso l’osservazione del suo comportamento, già a partire dalle prime settimane di vita. Questo consentirebbe di capire se le stimolazioni dell’ambiente intorno al piccolo ricoverato sono per lui facilitanti e promuovono il suo sviluppo, oppure se sono eccessivamente stressanti per intensità e durata e quindi disturbanti il suo sviluppo.
I segnali di benessere e stress che il neonato pretermine ci mostra sono numerosi e dovrebbero guidare l’approccio di tutti i genitori e operatori della TIN allo stesso. I comportamenti indicanti stress sono classicamente costituiti da atteggiamenti in estensione e poco modulati, ad esempio:
- Frequenti movimenti in estensione di braccia e gambe;
- Apertura a ventaglio delle dita;
- Brusca abduzione delle braccia;
- Congelamento in estensione delle braccia o delle gambe;
- Frequente protrusione della lingua, perdita di tono al volto, frequenti smorfie;
- Respiro irregolare, lento o veloce e pause tra un atto respiratorio e il successivo;
- Colorito della cute pallido, marezzato, grigiastro o cianotico;
- Segni viscerali quali rigurgito, conato, singhiozzo, borborigmi;
- Agitazione (pianto), frequenti sbadigli, occhi galleggianti.
Contrariamente, i comportamenti indicanti autoregolazione sono costituiti da atteggiamenti in flessione e ben modulati, ad esempio:
- Capacità di mantenere una flessione modulata delle braccia, raccolte verso il corpo, e gambe che cercano con successo il bordo del nido, trovando conforto nel momento in cui percepiscono un confine;
- Movimenti dolci delle braccia, delle gambe e del tronco;
- Tono muscolare mantenuto e ben modulato;
- Contatto mano-mano e piede-piede;
- Movimenti di autoconsolazione, quali il portarsi la mano/le mani alla bocca;
- Respiro regolare e ben modulato, assenza di pause;
- Colorito roseo;
- Stabilità viscerale;
- Espressione aperta / attiva del viso;
Per le motivazioni sopra riportate, risulta fondamentale che il personale di una terapia intensiva neonatale regoli il proprio approccio assistenziale al singolo neonato ed adatti l’ambiente in base a quello che il piccolo assistito in questione comunica attraverso il proprio comportamento, affinché la perdita di stabilità ed i segnali di stress provenienti da quest’ultimo non diventino più frequenti.
In tal senso, la Dottoressa Als afferma che stimolazioni fornite con tempistiche inadeguate in relazione alla maturità del neonato, compromettono la stabilità dei cinque sistemi; mentre gli stimoli forniti nel periodo corretto possono addirittura mantenere e rafforzare l’integrità funzionale e sostenere la crescita.
A seguito verrano scrupolosamente descritte le conseguenze che un neonato prematuro potrebbe manifestare, se sottoposto ad un rumore eccessivamente superiore ai livelli consigliati, durante tutto il periodo di degenza. Le informazioni riportate, sono emerse da un’attenta analisi della letteratura.
Effetti a breve termine
Numerosi studi hanno dimostrato la presenza di risposte a livello fisiologico e comportamentale del neonato in relazione ad uno stimolo rumoroso (Brown, 2009). Trapanotto et al. (2004) riconoscono come risposta al rumore, da parte dei neonati a termine, l’aumento della frequenza cardianca, l’agitazione, il pianto ed i disturbi del sonno, che interferiscono con il ritmo circadiano. Nei neonati ad alto rischio, tra i quali i pretermine, hanno osservato invece risposte a livello respiratorio e circolatorio con una prevalente attività parasimpatica. Gli autori, però, sottolineano la mancanza di indagini specifiche sul neonato riguardanti la contrazione dei muscoli facciali superiori e dell’orecchio medio, un meccanismo riflesso di difesa che consente di ridurre e regolare la sensibilità individuale agli stimoli acustici; in particolare è stato studiato il muscolo corrugatore delle sopracciglia, influenzato non solo dalla quantità (ovvero l’intensità) dello stimolo, ma anche dalla qualità, identificando con una contrazione maggiore una reazione emotiva negativa più forte. E’ stato quindi condotto uno studio su un gruppo di 27 neonati a termine (range di 37-41 settimane di età gestazionale alla nascita) ricoverati in una terapia intensiva pediatrica di Padova, per verificare le tipologie di risposte a tre diversi stimoli rumorosi: l’apertura di una confezione sterile (piccola e grande) che produce un’intensità di circa 75-85 dB; il rumore prodotto da uno sgabello di metallo che cade sul pavimento, con picchi di intensità che variano tra 85-90 dB, ed il rumore prodotto da una ventilazione ad alte frequenze con un’intensità tra 70-73 dB e frequenza che varia approssimativamente di 2500-8000 Hz. Sono state analizzate le risposte elettrofisiologiche e comportamentali dei neonati. Attraverso l’utilizzo di un’elettromiogramma è stato riscontrato un aumento significativo dell’attività del muscolo corrugatore delle sopracciglia (p<0,0001) in relazione all’intensità dello stimolo: più lo stimolo è intenso, più intensa è la sua attività muscolare, associata talvolta ad una persistenza della contrazione anche al termine della stimolazione stessa. Per quanto riguarda i cambiamenti comportamentali, i neonati passavano da uno stato di quiete ad uno stato di allerta, in presenza di un stimolo forte, in particolare per il rumore provocato dalla caduta dello sgabello di metallo, riuscendo a ritornare nello stato di quiete molto dopo la cessazione dello stesso.
Lo studio di Trapanotto el al. (2004) dimostra, quindi, che un’eccessiva ed inadeguata stimolazione acustica provoca l’attivazione di reazioni da stress nei neonati sani ed ipotizza che i neonati malati o prematuri possano avere effetti ancora più gravosi a causa di queste stesse stimolazioni.
Brown, in una rivistazione della letteratura, spiega che sono documentate reazioni di stress da parte del neonato prematuro in risposta agli alti livelli di rumore riscontrati nelle unità operative, anche in seguito a brevi stimolazoni provocate dagli allarmi dei monitor e dai telefoni. L’andamento di queste risposte vede, per prima cosa, un aumento della frequenza cardiaca e respiratoria con un conseguente aumento del consumo di ossigeno e delle calorie, che quindi divengono meno disponibili per la crescita o guarigione dei neonati. Se la stimolazione stressante continua, l’incremento dei parametri vitali cessa ed il prematuro va incontro ad episodi di apnea e bradicardia.
L’autrice evidenzia inoltre, quele ulteriore risposta allo stimolo rumoroso, la variazione della pressione arteriosa, riscontrando (nello studio condotto su 30 neonati di basso peso alla nascita) un incremento di 10 mmHg dei valori pressori sistolici e diastolici ed un ritorno ai valori basali dopo circa cinque minuti dall’interruzione dello stimolo. Solo quattro neonati coinvolti nello studio, hanno riportato un’inspiegabile riduzione della pressione arteriosa. Queste fluttuazioni delle funzioni cardiovascolari potrebbero, inoltre, aumentare il rischio potenziale di emorragie intraventricolari. Per quanto riguarda il sistema respiratorio, gli studi analizzati dalla Brown hanno dimostrato un tendenziale aumento della frequenza respiratoria associata ad una riduzione della saturazione di ossigeno e la presenza di episodi di apnea e respiro irregolare di fronte ai forti stimoli rumorosi, pari circa ad 80 dB. Nella medesima revisione, Brown (2009) riporta, per i neonati esposti al rumore, due possibili conseguenze: a breve termine, aumento dei livelli di cortisolo a causa di un incremento dell’attività del metabolismo (ipoglicemia), a discapito delle funzioni corporee di bassa priorità quali la digestione; a lungo termine, con la compromissione del sistema immunitario e muscolare. Wachman & Lahav (2011), attraverso una revisione della letteratura, identificano a loro volta conseguenze a carico del sistema cardiovascolare, del sistema respiratorio e dello stato comportamentale del neonato in relazione a stimoli acustici che superano i livelli raccomandati.
Rispetto al sistema cardiovascolare hanno esaminato sette studi, che dimostrano un aumento della frequenza cardiaca in base all’intensità del suono, mentre per quel che concerne la pressione arteriosa, dei due studi analizzati uno solo ha riportato un aumento della pressione conseguente allo stimolo. Con l’aumento dell’intensità dello stimolo, gli autori hanno registrato una riduzione significativa (p<0,05) della frequenza respiratoria e della saturazione di ossigeno, per stimoli superiori a 100 dB. Nello studio esaminato è stato inoltre riscontrato un aumento della saturazione di ossigeno di circa 1% a fronte della riduzione del rumore di circa 3,27 dB.
Per quanto riguarda il sonno, fondamentale per lo sviluppo neurologico, Wachman & Lahav hanno riportato uno studio che aveva utilizzato, per valutare lo stato comportamentale dei bambini prematuri, la Anderson Behavioral Scale. Essi hanno osservato che il 43% del campione, sottoposto ad uno stimolo rumoroso, passava da uno stato di sonno ad uno stato di agitazione o di pianto. Un alro studio di Strauch et al. (1993), riportato da Wachman & Lahav, ha mostrato che, implementando un protocollo che prevedeva un’ora al giorno di silenzio in TIN, l’84% dei neonati manteneva uno stato di sonno leggero o profondo. Wachman & Lahav hanno reperito, infine, uno studio del 1980 condotto su due neonati prematuri di 34 e 35 settimane di età gestazionale alla nascita, che presentavano agitazione,
pianto, ipossia ed un aumento della pressione intracranica (PIC) dovuti al rumore. Tuttavia, il significato clinico dell’aumento della PIC è incerto e mancano studi a sostegno di un’ipotesi di relazione tra il forte rumore e l’aumento del parametro. Per quanto concerne la perfusione cerebrale, Wachman & Lahav non hanno rintracciato nessuno studio.
Kuhn et al. (2012) hanno condotto uno studio di tipo osservazionale su un campione di 26 neonati estremamente prematuri, ricoverati in una TIN in cui il suono di sottofondo superava i 45 dB raccomandati dall’APP. Le reazioni riscontrate sono sovrapponibili a quelle degli studi precedentemente illustrati: aumento della frequenza cardiaca, diminuzione della frequenza respiratoria e della saturazione, nonché reazioni riflesse mediate dal tronco encefalico. Per misurare l’impatto degli stimoli ambientali sull’ossigenazione cerebrale è stato valutato il Fractional cerebral tissue oxygen extraction (FTOE), un parametro che esprime la variazione dell’ossigenazione cerebrale indipendentemente dall’ossigenazione sistemica, il cui aumento significa che vi è un aumento del consumo u ossigeno dovuto all’attivazione cerebrale, mentre una riduzione indica una diminuzione del consumo di ossigeno. E’ stato osservato che lo stato del neonato è fondamentale nella variazione del parametro: infatti, nei neonati in veglia attiva l’FTOE aumentava presumibilmente per un’attivazione cerebrale della corteccia frontale; invece, nei neonati in sonno profondo l’FTOE diminuiva presumibilmente per alterazioni nell’autoregolazione del flusso cerebrale a causa di una reazione di stress.
Peng et al. (2009) in uno studio esplorativo hanno evidenziato altri tipi comportamenti adottati dal neonato come auto-regolazione in risposta allo stress ambientale; in particolare hanno visto che i neonati tendevano a portare alla bocca, ad aggrapparsi e ad attivare il riflesso di suzione.
Effetti a lungo termine
Lo sviluppo del neonato, che rispetta l’acquisizione delle tappe biologicamente programmate, è un requisito fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo; eventuali interferenze, in qualsiasi fase di questo processo, possono influenzare la crescita e l’adattamento all’ambiente. Tra gli stimoli ambientali in grado di agire sullo sviluppo del neonato, la letteratura ricorda il rumore. Una prolungata o intensa esposizione a quest’ultimo, può causare la perdita dell’udito neurosensoriale, difficoltà nel linguaggio o alterazioni nello sviluppo cerebrale.
La perdita dell’udito neurosensoriale, che ha un’incidenza del 4-13% dei neonati prematuri (Lai & Bearer, 2008), è un danno a carico delle strutture dell’orecchio interno (Silverthorn,
2010). In base all’intensità ed alla durata della stimolazione acustica, un neonato ha inizialmente una perdita parziale dell’udito dovuta ad un danno delle cellule ciliate esterne, che in questa fase della vita sono adese alla membrana tectoria e, quindi, più facilmente stimolabili. Se la condizione di sottofondo permane si formano radicali liberi ototossici e il danno si estende alle cellule ciliate interne, alla stria vascolare, alle cellule gangliari a spirale ed alle cellule gliali. Questo meccanismo comporta una perdita permanente dell’udito, poiché le cellule ciliate della coclea umana non hanno la capacità di rigenerarsi (Cristobal & Oghalai, 2008).
Brown (2009) riporta che i danni a carico dell’udito si possono verificare dopo una prolungata esposizione ad un suono di 90 dB e possono aumentare anche a causa dell’assunzione di aminoglicosidi (Brown, 2009; Zimmerman & Lahav, 2013). Gli aminoglicosidi, largamente utilizzati sui neonati per debellare le infezioni, sono una classe di antibiotici attivi sui batteri gram-negativi, i cui effetti collaterali sono rappresentati dalla tossicità a livello renale e dell’ottavo nervo cranico, responsabile del processo uditivo. Il danno a carico di quest’ultimo sembra essere dovuto alla tendenza del farmaco ad accumularsi nell’endolinfa e nella perilinfa dell’orecchio interno. L’ototossicità del farmaco risulta essere maggiore nell’ultimo periodo di sviluppo anatomio, durante il quale si differenziano le cellule della coclea e per questo motivo gli effetti negativi nel neonato pretermine sono maggiormente rilevanti. Inoltre, l’associazione con il forte rumore, sembra potenziare questo effetto collaterale. Le alte frequeze riscontrate in TIN, infatti, stimolano la base della coclea che nella prima fase post natale presenta più probabilità che si aprano i canali per la trasduzione meccano-elettrica facendo assorbire più farmaco che blocca la corrente di depolarizzazione, in quanto gli aminoglicosidi sono più selettivi appunto per la base della coclea. L’effetto ultimo di questi farmaci è la morte delle cellule ciliate e la conseguente perdita dell’udito (Zimmerman & Lahav, 2013). Infine, il problema non è solo la perdita della capacità uditiva in sé, ma anche l’impatto che questa può avere nello sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo del bambino (Brown, 2009).
Per quanto riguarda l’impatto del rumore sullo sviluppo cerebrale, si ipotizza che il rumore possa contribuire indirettamente all’insorgenza dell’Attention deficit hyperactinity (ADHD), ovvero la Sindrome da deficit di attenzione ed iperattività (Brown, 2009), “un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da inattenzione, impulsività, iperattività” (Ministero della Salute, 2013). Brown descrive una correlazione tra l’ipossia e l’ADHD, ed essendo risaputo che il rumore possa causare l’ipossia nei neonati prematuri, la deduzione che ne deriva è che il rumore rappresenti uno dei fattori ambientale da prendere maggiormente in considerazione come causa di questo disordine.
Brown spiega, inoltre, che l’ipotesi patogenetica dell’alterato sviluppo del SNC dovuto al rumore, è sostenuto dagli studi sperimentali condotti sugli animali. In particolare, riporta uno studio caso-controllo sui cuccioli di ratto, dove il campione in studio era allevato in condizioni di rumore continuo a 70 dB ed il gruppo di controllo in condizioni standard. Valutando poi i ratti a 16, 26, 50 e 90 giorni, è emerso che i ratti adulti, che erano stati allevati in condizioni rumorose, presentavano una corteccia cerebrale ancora primitiva rispetto al gruppo di controllo.
L’ultima problematica a lungo termine citata da Brown (2009) e da Wachman & Lahav (2013) è quella a carico del linguaggio del bambino. Wachman & Lahav (2013) hanno descritto un trial randomizzato controllato, condotto su 34 neonati estremamente pretermine confrontati con un gruppo di controllo a cui sono stati applicati tappi per le orecchie in silicone dalla prima settimana di vita alla trentacinquesima settimana di età corretta. Successivamente, attraverso il Bayley Mentale Developmental Index sono stati valutati gli outcome e si è visto che i neonati con i tappi in silicone realizzavano punteggi superiori di
15.5 rispetto al gruppo di controllo. Un altro studio, proposto da Stromswold & Sheffield (2004), ha individuato come obiettivo quello di indagare come l’esposizione a stimolazioni sensoriali inappropriate, durante il terzo trimestre di gestazione di un neonato pretermine, influenzi lo sviluppo linguistico e non linguistico (capacità motorie, comunicative, di problem solving e di socializzazione). Ai genitori di un campione di 382 bambini con storia di prematurità, è stato chiesto, attraverso la compilazione di un questionario, che tenesse anche in considerazione i livelli di rumore presente in terapia intensiva, di fornire informazioni relative alla storia ed allo sviluppo prenatale e postnatale del loro bambino. Attreverso, invece, l’Ages and Stages Questionnaires, il McArthur Communication Development Inventory ed il Parent Assessment of Language (strumenti studiati appositamente perché fossero di facile utilizzo) è stato chiesto ai genitori di valutare lo sviluppo linguistico e non del proprio bambino.
Stromwold & Sheffield si attendevano risultati che indicassero che i neonati assistiti in una TIN più rumorosa avessero outcome linguistici peggiori rispetto a quelli ricoverati in TIN più silenziose. Ma i risultati, contrariamento alle aspettative, dimostravano che i primi avevano totalizzato punteggi migliori ai test. Viceversa, i bambini assistiti nelle terapie intensive più silenziose avevano ottenuto punteggi migliori nei test di valutazione degli outomes non linguistici. Tuttavia gli autori non sono stati in grado di giustificare tali risultati, ritenendo necessario l’inizio di nuovi studi prospettici per approfondire la questione (tutt’oggi non reperibili in letteratura).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha individuato le dirette conseguenze di specifiche intensità di suono e rumore sull’organo e sul sistema uditivo, valide sia per gli adulti e sia per i neonati. (Tab 4)
Tabella 4. Conseguenze del rumore, individuate dall’Oms, sul sistema uditivo.
FONTE DEL SUONO |
INTENSITA’ (dBA) |
EFFETTO |
Respirazione |
5-10 |
Soglia dell’udito |
Conversazione in casa |
50 |
Tranquillità |
Traffico in superstrada (a 15 m), aspirapolvere, festa rumorosa |
70 |
Fastidioso, intrusivo, interferisce con l’uso del telefono |
Fabbrica, treno (a 15 m) |
80 |
Possibile danno uditivo |
Decollo di un jet (a 305 m), moto |
100 |
Danno se esposizione oltre 1 minuto |
Tuono, telaio, motosega, sirene, concerto rock |
120 |
Soglia del dolore |
Pistola a piombini, decollo di un jet (a 15 m ), petardi |
150 |
Rottura del timpano |
DALL’IDEA DI PREVENZIONE AL CAMBIAMENTO STRUTTURALE
Come è stato ampiamente trattato in precedenza, i neonati prematuri ricoverati in TIN sono sottoposti a suoni continui e/o improvvisi. Tali stimoli spesso superano i limiti suggeriti dalle raccomandazioni disponibili, determinando effetti iatrogeni a carico dei piccoli assistiti (Brown, 2009). Le fonti principali di rumore sono rappresentate dalle caratteristiche edilizie- strutturali, dalla strumentazione specifica utilizzata presso l’unità operativa e dal personale; data l’intrusività di questi fattori sullo sviluppo del neonato, è stato visto come necessario il monitoraggio ed il controllo di questi (Bremmer et al., 2003; Darcy et al., 2008; Krueguer et al., 2012; Lasky & Williams, 2009; Matook et al., 2010; VandenBerg, 2007).
Le azioni preventive, necessarie al contenimento del rumore e alla tutela dei prematuri, particolarmente esposti a rischi o danni iatrogeni, vengono individuate: nella definizioni di criteri di progettazione e di allestimento delle unità operative di terapia intensiva neonatale; nella corretta e sicura gestione delle apparecchiature; nell’identificazione di specifici comportamenti e nelle scelte organizzative mirate. (Bremmer et al., 2003).
La maggior parte delle terapie intensive neonatali sono state costruite prima che il Sound Study Group elaborasse e, successivamente, divulgasse le raccomandazioni volte a tutelare i piccoli pazienti. Per le ragioni sopra elencate sarebbe auspicabile che venissero ristrutturate, ma spesso gli alti costi rappresentano un ostacolo alla loro attuazione (Krueger et al., 2012). In merito all’organizzazione ed alla distribuzione interna degli spazi della TIN, la letteratura ci presenta due principali modelli strutturali: L’open space e la single family room.
La prima terapia neonatale è stata costruita allo Yale New Haven Medical Center in Connecticut (USA) nel 1960 secondo il modello che, ad oggi, viene definito open space. Quest’ultimo, pensato per rispondere ai bisogni ed alla comodità del personale, consiste in una camera ampia e luminosa con incubatrici e/o lettini posti in fila con specifiche strumentazioni per ogni postazione.
Nel 1986 con l’instaurarsi della developmental care, cioè di un modello di assistenza persoalizzata che si focalizza sullo sviluppo del neonato, si inizia a considerare a creazione di un luogo che sia ottimale per i prematuri ricoverati e che, al contempo, possa favorire il contatto con i genitori, riconosciuti come parte integrante del team assistenziale.
Nel 1992, partendo da questo concetto teorico, viene realizzata la prima TIN composta da piccole stanze singole, al Rainbow Hospital in Cleveland, Ohio (Bowie el at., 2003). Questo modello rispecchia l’esigenza di mantenere i neonati in una condizione il più simile possibile all’ambiente uterino, favorendo il contatto skin-to-skin e la kangaroo care, proteggendoli inoltre dalla tossicità dell’ambiente (determinata da composti organici volatili e radiazioni
elettromagnetiche emesse da macchinari e da polveri e vapori) e riducendo il rischio infettivo e le stimolazioni ambientali, tra cui il rumore.
La single family room, sottolineando la centralità della famiglia nella cura del bambino e garantendo privacy e comfort alla triade, sembrerebbe la soluzione più idonea al fine di raggiungere gli obiettivi sopra descritti (White, 2011).
Tra le raccomandazioni rese note dal Sound Study Group, facente parte del Consensus Committee on Reccomended Design Standards for Advanced Neonatal Care (2012), si trovano indicazioni inerenti ai requisiti strutturali che una TIN dovrebbe avere.
Nello standard 5 – Minimum Space, Clearance and Privacy Requirements for the Infant Space vengono fornite le metrature consigliate per l’unita operativa. Nello spacifico, nelle TIN organizzate secondo il modello open-space, ogni postazione che accoglie un neonato dovrebbe avere 11,2 m2 di superfici libere, cioè lo spazio disponibile per l’uso funzionale, privo di qualsiasi tipo di arredamento, e la distanza tra due lettini o incubatrici dovrebbe essere almeno di 2,4 m2. Queste misure vengono considerate “minime”, con la possibilità di essere aumentate in base al livello di cura al quale deve essere sottoposto il paziente. Inoltre, per garantire la privacy durante le conversazioni che avvengono tra il genitore il personale medico, quest’ultima distanza dovrebbe essere portata a 3,6 m2.
I corridoi dovrebbero essere abbastanza ampi da permettere: il passaggio di eventuali attrezzature da portare al letto del bambino, il libero movimento del personale, il facile accesso al lettino da parte di un genitore.
Lo Standard 6 – Private (Single-Family) Room riguarda le TIN costituite da molteplici stanze ad uso singolo. Nello specifico, le indicazioni forniscono dati concreti riguardo alla superfice libera di ogni stanza, che deve essere almeno di 15,3 m2 (rispetto alle raccomandazione divulgate nel 2007, sono stati aggiunti 1,3 m2; cioè 15,3 m2 a fronte dei 14 m2 precedenti). Gli spazi devono, anche in questo caso, essere adeguati al fine di garantire la privacy visiva ed uditiva. Risulta fondamentale mantenere un ambiente il più adatto e silenzioso possibile alle esigenze del nucleo familiare.
Nello Standard 7 – Acoustic Environment viene specificato che nella costruzione ed allestimento dell’unità operativa devono essere rispettati determinati criteri di rumore (noise criteria, NC), che sono un sistema di descrizione del rumore che riassume l’intensità misurata in decibel e la frequenza misurata in hertz. In particolare, nelle stanze di degenza e nelle stanze dedicate al riposo dei genitori deve essere rispettato l’NC-25, che prevede delle frequenze di 250-500 Hz ed un’intensità di 30-40 Db.
In generale, la letteratura suggerisce l’adozione di un apporccio assistenziale “care” che riduca le stimolazioni stressanti nei confronti dei neonati ricoverati in TIN e che preveda una serie di comportamenti volti a contenere le stimolazioni stressanti ed a sostenere l’implementazione di periodi della giornata silenziosi, durante i quali tutte le attività clinico- assistenziali siano ridotte al minimo (Bremmer et al., 2003; Brown, 2009; Jhonson, 2003).
“Assistere un neonato critico non significa solo offrirgli un supporto tecnico avanzato, ma anche entrare nel suo mondo, comprenderlo, rispettarlo, accompagnandolo passo-passo verso la maturazione, consapevoli di operare su un soggetto in divenire (e non su un passivo contenitore di stimoli esterni) che, giorno dopo giorno, si organizza e cresce a livello psico- relazionale oltre che fisico” (Als).
Molteplici sono le scale utilizzate allo scopo di facilitare l’individuazione delle variazioni dello stato comportamentale del neonato e di comprendere se ad esse sono associati stati di stress o di benessere dello stesso. Il fine ultimo è quello di attuare dei piani d’intervento, volti a garantire un’assistenza ottimale al piccolo ed a salvaguardare il suo sviluppo.
La Scala NBAS (Neonatal Behavioral Assessment Scale) è stata formulata dal Dott. Berry Brazelton per valutare come il neonato sano a termine e di basso peso alla nascita, comunica con l’ambiente fisico e sociale attraverso il proprio comportamento. La scala, utilizzata per neonati di età compresa tra le 37 e le 48 settimane di vita.
Nel 1982 Heidi Als ha elaborato la Scala APIB (Assessment of Preterm Infant Behaviour) mirata alla valutazione del comportamento del nato pretermine e delle sue capacità d’interagire con il mondo extrauterino, considerate una “chiave” di lettura per comprendere il livello maturativo raggiunto. La scala APIB viene utilizzata per neonati ad alto rischio in età compresa tra 36 - 44 settimane di vita, in condizioni cliniche stabili.
Nel 1986 Als propone la NIDCAP (Neonatal Individualized Care Assessment Programme) che permette tramite una “osservazione naturalistica” la comprensione del comportamento del bambino pretermine anche di bassa età gestazionale (24-44 settimane di vita) in condizioni cliniche instabili. L’osservazione viene eseguita prima, durante e dopo le interazioni del bambino con il caregiver o con l’equipe medico-infermieristico. Valutazioni seriate hanno il significato di adattare le modalità di assistenza al singolo neonato e di rendere l’ambiente TIN maggiormente sensibile ai bisogni dei piccoli ricoverati e le loro genitori. (VandenBerg, 2007).
La scala NBAS, la scala APIB e la NIDCAP hanno come “denominatore comune” il concetto che gli stati comportamentali vengono utilizzati, come “matrice attiva” dal neonato per modulare l’interazione con l’ambiente e che le sue capacità attentive e di relazione posso emergere solo se il sottosistema autonomo e motorio hanno raggiunto la stabilità.
Indice |
INTRODUZIONE |
Parte prima: inquadramento teorico: ESPERIENZA UDITIVA - LO SVILPUPPO DEL SISTEMA UDITIVO: IL FETO E IL NEONATO PREMATURO - LE FONTI DEL RUMORE - ALCUNE DEFINIZIONI FONDAMENTALI - LE CONSEGUENZE DEL RUMORE; LA TEORIA SINATTIVA DELLO SVILUPPO, Effetti a breve termine, Effetti a lungo termine - DALL’IDEA DI PREVENZIONE AL CAMBIAMENTO STRUTTURALE Parte seconda: progettazione e attuazione dello studio: SCOPO DELLO STUDIO - MATERIALI E METODI; Campione, Strumenti - DISEGNO DELLO STUDIO - RISULTATI; Studio relativo ai rumori provenienti dall’ambiente, Rilevazione dei rumori in TIN, Rilevazione dei rumori Post - TIN; Risultati relativi all’attenuazione sonora resa possibile dalla culla termica; Risultati relativi all’osservazione della variazione dello stato comportamentale del neonato - DISCUSSIONE DEI DATI - OBIETTIVI E METODI |
CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
Tesi di Laurea di: Lisa BOLOGNESI |