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Lo sviluppo sociale del bambino

“I bambini normali vengono al mondo con la motivazione e la capacità per cominciare a stabilire un’immediata relazione sociale con chi li cura.”

[Volkmar et al., 1997]

Qualunque aspetto della vita infantile, affettivo o cognitivo, può essere considerato in prospettiva sociale: dalle esperienze con gli adulti che si prendono cura del bambino, alle interazioni con fratelli, coetanei, persone che ricoprono un ruolo educativo, per giungere alle relazioni affettive e al modo di percepire le regole e i valori morali.

Si può dire che la definizione di “sviluppo sociale” abbia preso il posto di socializzazione: il  bambino non è quindi  più considerato una tabula rasa da plasmare,  guidare e controllare in funzione delle esigenze sociali e per mezzo di pratiche educative.

Il termine “sviluppo sociale” vuole sottolineare come fin da subito il neonato sia un essere “sociale” che diviene  sempre più consapevole e competente grazie a processi bidirezionali di interazione. L’adulto riveste il ruolo ora di mediatore ora di interlocutore nell’organizzare competenze e capacità, ciò presuppone che l’individuo venga percepito come dotato di proprie risorse e di predisposizioni che lo collegano al mondo circostante.

Il volto umano diventa ben presto l’oggetto che stimola maggiormente delle risposte nel bambino: il neonato non è un ricettore passivo dell’attività altrui ma interagisce con il padre e la madre in un dialogo alternato.

Il contatto degli sguardi e le reazioni all’espressione del viso, segnali prettamente visivi, si collegano in un complesso ma infallibile processo di coordinazione all’attivazione del tono muscolare, a emozioni, a vocalizzi, mobilitando quindi un’integrazione di più canali sensoriali.

Fa la sua comparsa quindi l’inter-soggettività, ossia la co-costruzione di significati emotivi socialmente condivisi, che da questo momento si evolve nel neonato e che non lo abbandonerà per il resto della sua vita.

Nella prospettiva dello sviluppo sociale divengono quindi importanti sia i prerequisiti biologici, sia i comportamenti socialmente espressivi che il bimbo produce in maniera autonoma e tramite cui influenza l’adulto, ma anche i processi mentali che guidano il bambino nella realizzazione di azioni e nella valutazione di fatti e persone.

Diversi studi hanno inoltre dimostrato la convergenza di strutture mentali specifiche, innescate dai processi interattivi, nello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale del bambino.

La capacità di rapportarsi agli altri richiama pertanto sia le relazioni affettive primarie sia lo sviluppo delle emozioni, ma anche la capacità di comprendere i sentimenti e i pensieri propri e altrui.

 

La Costruzione delle Prime Relazioni

Instaurare relazioni è uno dei compiti più vitali dell’infanzia, in quanto esse garantiscono sostegno e senso di sicurezza.

Le relazioni si costituiscono a partire dalle interazioni ma sono da esse differenti: infatti se le interazioni risultano essere fenomeni temporanei e a direzione univoca, le prime implicano continuità nel tempo, sono  qualcosa  di più della somma di una serie di interazioni e si configurano a doppio senso coinvolgendo attivamente entrambi i soggetti; le relazioni inoltre sono tra loro collegate e vengono influenzate dalla società, dal gruppo, dall’ambiente fisico e da fattori fisiologici.

Sebbene i bambini stabiliscano diversi tipi di relazione a seconda dei partner che si trovano davanti, la loro prima esperienza di  relazione ha luogo generalmente nella famiglia, luogo nel quale i bambini vengono introdotti alla convivenza sociale e all’acquisizione delle regole del comportamento interpersonale e che risulta essere base sicura anche quando i bambini amplieranno le loro relazioni al mondo esterno.

La prima relazione in assoluto è quindi quella con la madre che si sviluppa attraverso successive fasi nei primi due anni di vita e che sono:

  1. Regolazione biologica (0 mesi)
  2. Scambi “faccia a faccia” (2 mesi): nella diade madre-bambino avvengono fin dai primi mesi fenomeni di turn-talking con scambi sociali di sguardi, sorrisi e vocalizzazioni che si configurano precocemente come protoconversazioni, che determinano anche il rispecchiamento e la condivisione di stati emotivi.
  3. Condivisione di argomenti (5 mesi): l’apertura della diade verso il mondo degli oggetti trasforma la comunicazione in protoreferenziale attraverso forme gestuali e pre-verbali che consentono la condivisione degli oggetti.
  4. Reciprocità (8 mesi): la condivisione di sequenze di azioni sugli oggetti deve assumere successivamente caratteristiche di routine per facilitarne l’assimilazione simbolica e determinare l’organizzazione di significati progressivamente più complessi che diano vita a dei concetti. Il bambino diviene capace di impegnarsi contemporaneamente in molte attività che in precedenza poteva svolgere solo separatamente.
  5. Rappresentazione Simbolica (18 mesi).

Ogni coppia adulto-bambino sviluppa un modo caratteristico di interazione che è influenzato dal contesto culturale dove il bambino cresce, dalla personalità dell’adulto e dalle caratteristiche del bambino.

La sintonizzazione affettiva da parte del partner che si prende cura del bambino, quindi nella maggior parte dei casi la madre, consente il rispecchiamento con modalità di imitazione enfatizzata e la ritraduzione dei segnali attraverso canali affettivi diversi. Esperienze reiterate di significati e affetti condivisi tramite la ricerca e il mantenimento dello stesso focus attentivo portano ad una precoce  formazione del Sé, del senso dell’altro, del senso di Sé con l’altro.

La capacità di passaggio ad interazioni multiple, ovvero con più di due persone, che va oltre l’interazione iniziale di tipo diadico e poi triadico, è legata all’età e avviene in genere tra i tre e i quattro anni, anche se già dai due anni si manifestano competenze atte allo scambio sociale multiplo come ad esempio l’attività parallela svolta in presenza di altri bambini che porta a ripeterne le stesse azioni, oppure la capacità di alternanza dei turni, o ancora l’interesse a ripetere azioni per il piacere della condivisione. A partire dai due anni e mezzo i  bambini  mostrano la tendenza ad  aiutare e a confortare i  coetanei, a condividere giochi, a gratificare e a manifestare affetto, ma al  contempo emerge la capacità di opporsi all’altro con modalità progressivamente più congrue ad affrontare i conflitti sociali.

È quindi possibile evidenziare come il passaggio dall’interazione diadica a quella triadica, e poi a quelle multiple, corrisponda a cambiamenti evolutivi strutturali nel bambino. Pertanto le caratteristiche essenziali di uno scambio sociale maturo sono:

  • la reciprocità, ovvero l’azione deve essere sostenuta dall’azione di entrambi i partner;
  • l’intenzionalità, che compare verso la fine del 1°anno e che rappresenta la capacità di pianificare il comportamento e di anticiparne le conseguenze.

 

Natura e Sviluppo dell’Attaccamento

Tutte le relazioni, a partire dalla prima con la madre (che influenzerà poi tutte le successive), comportano un’ampia gamma di dimensioni, tra cui quella dell’attaccamento. Quest’ultimo è il primo legame affettivo emotivamente significativo del bambino con una persona  specifica ed è caratterizzato da selettività, ricerca della vicinanza fisica, benessere, sicurezza e ansia da separazione lì dove tale legame viene interrotto.

Secondo Bowlby, questi legami nascono da una predisposizione biologica che porta il bambino a sviluppare un attaccamento per chi si prende cura di lui; il bambino matura strategie finalizzate ad attirare l’attenzione dei genitori, tenere desta l’attenzione e l’interesse, ottenere e mantenere la vicinanza.

L’attaccamento ha dunque una doppia funzione:

  • Biologica, che garantisce la sopravvivenza;
  • Psicologica, che invece fornisce sicurezza.

Il modo in cui il bambino tenta di mantenere la stabilità della relazione di attaccamento varia a seconda della sua età e delle proprie condizioni. Secondo Bowlby è possibile individuare quattro stadi principali relativi a questi cambiamenti:

  • Pre-Attaccamento (0-2 mesi): il bambino presta attenzione agli adulti e manifesta comportamenti di segnalazione, la risposta sociale è di tipo indiscriminato.
  • Sviluppo dell’Attaccamento (2-7 mesi): il bambino riconosce le persone familiari ed apprende le regole fondamentali dell’interazione.
  • Attaccamento Ben Sviluppato (7-24 mesi): vi sono protesta al momento della separazione e diffidenza e cautela nei confronti dell’estraneo a dimostrazione di un legame dal carattere duraturo; c’è intenzione comunicativa.
  • Relazione gestita in Funzione dell’Obiettivo (dai 24 mesi in poi): i bambini sviluppano i comportamenti in base all’obiettivo, comprendendo le esigenze dei genitori, stabilendo quindi relazioni più bilanciate.

Mano a mano che i bambini sono in grado di avere una rappresentazione interna del mondo in forma simbolica, quindi verso il secondo anno di vita, sviluppano anche un modello di se stessi, delle persone importanti che li circondano e delle relazioni che hanno con le stesse.

Nel bambino devono svilupparsi la memoria di riconoscimento, che gli consentirà di distinguere la figura verso la quale ha sviluppato l’attaccamento dalle altre persone, e la nozione di costanza dell’oggetto, che gli permetterà di essere consapevole di un determinato oggetto  anche in sua assenza e  quindi lo renderà in  grado di stabilire relazioni durevoli nel tempo.

Tutto ciò consente al bambino, subito dopo la prima infanzia, di distaccarsi o comunque di sentire meno il bisogno di vicinanza nei confronti della figura di attaccamento. Infatti il bambino acquisisce la capacità di formarsi una rappresentazione mentale della madre che porta sempre con sé e con la quale può entrare in relazione anche in assenza della figura genitoriale stessa. Ora il legame di attaccamento si basa quindi sulla formazione dei modelli operativi interni, ovvero delle rappresentazioni mentali che comprendono le componenti emozionali e quelle cognitive e che esistono al di fuori della coscienza, i quali si stabilizzano dopo il primo anno di vita.

La relazione di attaccamento influenza il bambino in vari modi, ma l’aspetto più importante è il Senso di Sicurezza.

Mary Ainsworth ha ideato una procedura chiamata “Strange Situation” per valutare la sicurezza del legame di attaccamento e che prevede l’osservazione del bambino in compagnia della madre, in compagnia della madre  e di un estraneo, da solo  con l’estraneo, completamente solo.

Sono state individuate quattro tipologie di attaccamento:

  • Attaccamento Sicuro: rappresenta il 65% dei casi, l’uscita della madre turba il bambino che accoglie con entusiasmo il suo rientro; da qui si svilupperanno relazioni sicure con gli adulti e una buona immagine di sé. La madre è di conforto e risponde alle esigenze del piccolo.
  • Attaccamento Insicuro Evitante: rappresenta tra il 10-20% dei casi, il bambino evita il contatto con la madre, in particolare quando rientra dopo un episodio di separazione; non rimane molto turbato se lasciato con una persona estranea. La madre presenta una mimica povera, è poco disponibile da un punto di vista psicologico e non è in sintonia con i segnali del bambino.
  • Attaccamento Insicuro Resistente: rappresenta tra il 10-20% dei casi, il bambino appare molto turbato dalla separazione della madre e quando questa ritorna risulta difficile consolarlo dal momento che il bambino cerca conforto ma allo stesso tempo la respinge, tutto probabilmente dovuto ad un atteggiamento della madre solitamente imprevedibile, che alterna momenti di ipersensibilità ad altri in cui respinge il bambino quando chiede attenzione.
  • Attaccamento Disorientato/Disorganizzato: rappresenta tra il 2-3% dei casi, viene considerato il più patologico. Il bambino assume comportamenti contradditori con la madre, cercando vicinanza ed evitamento, dimostrando confusione e paura della relazione. Le madri in tal caso assumono comportamenti comunicativi simultanei incongrui, determinando una tipologia di legame frammentario con i figli.

L’essere umano sperimenta molti legami di attaccamento e sebbene quello con la madre risulti essere quello predominante, essi sono fondamentali per il nostro approccio alla vita.

 

Comprensione di Sé e Comprensione degli Altri

Per raggiungere la competenza sul piano sociale, il bambino deve maturare la capacità di comprendere che le persone, ma anche se stesso, sono dotate di stati interni, emozioni, pensieri, intenzioni, scopi, che orientano il comportamento e le relazioni e con gli altri e con il sistema di regole e valori sociali.

La comprensione di sé e degli altri è dunque un requisito indispensabile alla socialità.

È possibile ipotizzare che la conoscenza di sé e quella degli altri procedano di pari passo: mano a mano che il bambino comincia a capire cosa gli altri provano allora sarà in grado di capire sé stesso e, allo stesso tempo, utilizza la conoscenza che ha di sé per comprendere le emozioni e i sentimenti degli altri [Baldwin, 1985].

La comprensione sociale subisce un’importante svolta quando il bambino matura la distinzione tra sé e gli altri.

La coscienza di possedere un’entità separata si basa sul processo di differenziazione e sulla rappresentazione del Sé come un’entità oggettiva che, oltre ad essere percepita come interna, può essere percepita come anche come esterna.

Tale consapevolezza emotiva e cognitiva di sé e degli altri nasce all’interno delle interazioni e delle relazioni affettive, pertanto è dinamica ed evolve nel corso del tempo.

Il Sé permette all’individuo di adottare un particolare punto di vista da cui osservare il mondo, rappresenta un riferimento che media le esperienze sociali, che organizza il comportamento verso gli altri e determina le modalità con le quali ognuno di noi costruisce la realtà.

James, per quel che riguarda la consapevolezza di sé, pone la distinzione tra “Io” e “Me”: l’Io è il sé che apprende, quello che organizza e interpreta l’esperienza in maniera soggettiva e ci dà una particolare identità individuale distinguendoci dagli altri, mentre il Me è il sé come conosciuto, ovvero l’oggetto della nostra percezione quando contempliamo noi stessi ossia rappresenta il risultato dei nostri sforzi di autoconsapevolezza.

Sulla base della classificazione di James si sviluppa poi la concezione di Lewis che ha evidenziato due aspetti del sé, parlando di Sé esistenziale e di Sé categorico. Il Sé esistenziale è il primo ad apparire, è evidente già a tre mesi e rappresenta la componente implicita del sé che organizza l’esperienza, mentre il Sé categorico appare durante il secondo anno di vita, rappresenta la componente esplicita del sé che deriva dall’autoconsapevolezza e permette ai bambini di definirsi in termini di categorie come l’età, il sesso e le dimensioni.

Vi è poi una distinzione tra consapevolezza primaria e consapevolezza secondaria: la primaria è essenzialmente fisica e interpersonale, si fonda su una percezione immediata e precoce che deriva delle informazioni sensoriali di tipo visivo, acustico, cinestesico, vestibolare e dalle comunicazione verbale e non verbale nelle interazioni diadiche, mentre la secondaria richiede capacità rappresentative e riflessive e   coincide con il Sé categorico di Lewis.

Come avviene il passaggio da consapevolezza primaria a consapevolezza secondaria, che cosa rende coscienti della propria identità separata da quella degli altri?

Abitualmente si ritiene che l’uso dei termini verbali, con i quali ci si riferisce esplicitamente a se stessi e agli altri come entità distinte, siano gli indicatori più attendibili del processo di decentramento verbale e di oggettivizzazione. Non si esclude in tale ambito una conoscenza di sé pre-verbale che consiste nell’identificare e riconoscere visivamente la propria immagine.

L’auto-riconoscimento  allo specchio richiede competenze mentali complesse e simboliche, analoghe in parte a quelle utilizzate per produrre parole: il bambino deve infatti comprendere che l’immagine riflessa non rappresenta una persona estranea ma l’oggettivizzazione di se stesso.

I bambini per riconoscere se stessi possono utilizzare due tipologie di indizi: quelli contingenti, derivati dal fatto che l’immagine si muove parimenti con i movimenti fatti da loro stessi e quindi ne sono dipendenti, e gli indizi morfologici ovvero le caratteristiche fisiche stabili come i lineamenti facciali e l’aspetto corporeo.

I bambini di 4-5 mesi sono fortemente presi dall’immagine della madre riflessa dallo specchio ma non dalla propria, infatti è solamente nei mesi successivi che cominciano a comprendere che esiste un rapporto tra sé e ciò che vedono, per arrivare ad acquisire tra i 12-18 mesi la capacità di riconoscersi.

Per parlare di auto-riconoscimento, come indice di conoscenza di sé, è necessario che il bambino percepisca la propria immagine fisica e la riconosca come stabile e continua nel tempo e nello spazio.

La consapevolezza di sé emerge intorno ai 15 mesi.

Come già detto la coscienza degli altri si basa in parte sulla conoscenza che l’individuo ha di sé.

Un criterio utile per la consapevolezza degli altri può essere inoltre anche la familiarità, ovvero il riconoscimento dell’estraneo e la sua identificazione come diverso da sé e dalle persone familiari.

La conoscenza dell’altro però richiede non solo la percezione degli aspetti esteriori o dei comportamenti ma anche l’elaborazione di un’immagine mentale più complessa che contenga diversi elementi tra cui la stabilità spazio-temporale, la comprensione delle proprie e altrui emozioni, la consapevolezza del punto di vista tramite il quale gli altri vedono le cose.

In primis il bambino deve dunque percepire la stabilità degli oggetti e delle persone nel tempo e nello spazio; poi vi è la capacità di riconoscimento delle emozioni e di comprenderne il significato, intorno ai 18 mesi vi è la comparsa delle emozioni sociali, che costituiscono un preciso indicatore della coscienza di sé.

Grazie allo sviluppo cognitivo ed emotivo la rappresentazione mentale degli altri diventa sempre più ampia, fino a contenere anche il punto di vista attraverso il quale gli altri vedono e sentono la realtà.

Le elaborazioni sul Sé e sugli altri non sono statiche ma soggette a continue ristrutturazioni e rielaborazioni come esito delle esperienze sociali e di una diversa comprensione della realtà.

L’esigenza di essere accettati è fortemente sentita nell’infanzia e rende particolarmente vulnerabili al giudizio degli altri, in particolare a quello degli adulti, dalle cui opinioni insieme alla consapevolezza delle proprie  competenze nasce il  senso di  autostima, ovvero il sentimento che ogni individuo ha del proprio valore e della propria capacità.

Altro aspetto che determina il modo di percepire se stesso e gli altri deriva dall’abilità di cogliere la prospettiva dell’altro e di metterla in relazione alla propria: il bambino tra 6-8 anni capisce la soggettività dell’altro ma non riesce ancora a mettere in relazione i diversi punti di vista, solo verso gli 11-12 anni il bambino diventerà capace di differenziare le diverse prospettive sia degli individui che dei gruppi.

 

Le Relazioni tra Pari

L’influenza delle relazioni tra pari, sebbene sia stata a lungo sottovalutata, appare ormai riconosciuta nella sua importanza e specificità.

La diversità tra la relazione sociale asimmetrica con l’adulto, basata sul rispetto, sul riconoscimento di competenza e sull’obbedienza, e la relazione simmetrica con i coetanei basata sulla cooperazione, sulla condivisione di paure, desideri ed interessi, assegna alla discussione e al confronto con i pari un ruolo importante nell’acquisizione di giudizio morale.

Realisticamente è possibile affermare che le relazioni con i genitori e quelle con i pari assolvono a funzioni diverse per soddisfare esigenze specifiche della vita dei bambini.

In tal caso è utile suddividere le relazioni in due categorie:

  • Relazioni Verticali: sono quelle che si stabiliscono con gli adulti e hanno il ruolo di offrire cure, protezione, garantire l’apprendimento e lo sviluppo della persona.
  • Relazioni Orizzontali:  sono quelle che si sviluppano con i pari, si basano sull’uguaglianza e la reciprocità, hanno un ruolo importante nell’apprendimento della capacità di negoziazione, di gestione dei conflitti e di cooperazione.

Con l’età aumenta l’interesse per i pari, e già a partire dai 2-3 anni, quando i bambini possono scegliere se rivolgersi agli adulti o ai coetanei, cominciano ad interagire sempre più con questi ultimi.

L’importanza dell’adulto resta comunque fondamentale sebbene nel tempo tenda a decrescere.

Nei primi anni di vita il rapporto con i coetanei è unidirezionale nel senso che all’azione del primo bambino non corrisponde l’attività coordinata del secondo. Parten (1932) ha notato come, tra i 2 e i 4 anni, sia evidente un passaggio da attività parallele a giochi cooperativi che richiedono una componente interattiva, la quale permette ai bambini di interagire mediante scambi complementari per perseguire scopi comuni.

Lo scambio, basato inizialmente su imitazione speculare, adesso si basa su interazioni complementari e reciproche, garantendo l’iniziale acquisizione delle regole che contraddistinguono le interazioni sociali tra adulti, come ad esempio l’alternanza dei turni e la complementarietà dei ruoli.

Nel periodo prescolare emergono le attività di gruppo, favorite dalla capacità di comunicare verbalmente i propri desideri e aspettative, ma anche dallo sviluppo di abilità simboliche che consentono di realizzare giochi di finzione più articolati.

Solitamente i gruppi si suddividono spontaneamente per genere con rigidi fenomeni di inclusione-esclusione. Nell’infanzia emergono relazioni sempre più selettive basate sull’affinità, sulla comunanza di interessi e di attività.

Nella fase della preadolescenza e adolescenza le relazioni con i coetanei risentono delle esperienze precedenti, ma al tempo stesso assumono uno specifico valore come stimolo al confronto e come fonte di sostegno e di supporto all’autostima.

Le relazioni tra i pari sono quindi in grado di fornire contributi allo sviluppo del bambino, in particolare di tipo sociale e intellettuale:

  • il contributo di tipo sociale permette la costruzione del senso di sé all’interno dell’ambiente relazionale; inoltre i bambini, stando in un gruppo, possono interiorizzare norme che regolano il comportamento, l’aspetto ed i valori morali, determinando ciò che è accettabile, viene così a emergere quella che si può definire come “cultura dei pari”.
  • il contributo intellettuale invece consente l’acquisizione di conoscenze e lo sviluppo intellettivo.

All’interno delle rapporti tra i pari emergono poi quelle che sono le relazioni amicali, ovvero legami  caratterizzati  da  selettività, stabilità  nel  tempo, reciprocità  ed  intimità. Questo legame preferenziale è presente già in epoca precoce e nella prima infanzia e viene vissuto come ricerca di relazioni affiliative, ossia caratterizzate da affettività, ricerca di prossimità fisica e reciprocità nella rispondenza ai segnali. A partire dai 4-5 anni si distinguono più nettamente gli amici dai compagni e viene meno la ricerca di contatto fisico, sostituito dall’uso dello scambio verbale.

Andando avanti l’amicizia viene sempre più vissuta come aiuto per superare le emozioni negative e come spinta alla cooperazione.

 

Indice
 
INTRODUZIONE
 
  • Lo sviluppo sociale del bambino: La Costruzione delle Prime Relazioni; Natura e Sviluppo dell’Attaccamento; Comprensione di Sé e Comprensione degli Altri; Le Relazioni tra Pari.
  • La Terapia Interattiva nei bambini: La Terapia Psicomotoria di Gruppo: cos’è ?; Struttura e funzionamento di una Seduta Psicomotoria, Il tempo della Seduta di Psicomotricità, Le Fasi della Seduta di Psicomotricità, I Rituali, Il Materiale della Seduta di Psicomotricità; Il Gioco e la Terapia Psicomotoria; A chi è rivolta la Terapia di Gruppo?; Perché si sceglie la Terapia Interattiva?
  • Le Funzioni Esecutive in Età Evolutiva: La Fisiologia delle Funzioni Esecutive; Lo Sviluppo delle Funzioni Esecutive, Le Funzioni Esecutive nel Periodo Neonatale, Le Funzioni Esecutive nel Periodo Prescolare, Le Funzioni Esecutive nel Periodo Scolare, Le Funzioni Esecutive in Adolescenza, Le Funzioni Esecutive in Età Adulta e nell’Anziano; Modelli Neuropsicologici delle Funzioni Esecutive; L’Attenzione, La Memoria; La Pianificazione; La Categorizzazione o Fluenza; Lo Shifting o Flessibilità Cognitiva; L’Inibizione; Le Funzioni Esecutive Hot; Le Funzioni Esecutive nei Disturbi dello Sviluppo; Cosa comporta un disordine a livello delle Funzioni Esecutive?; Gli Interventi sulle Funzioni Esecutive; L’Importanza delle Funzioni Esecutive a Scuola; Alcune Curiosità.
  • Valutazione e trattamento dei casi clinici: Caso A; Caso B; Caso C; La Valutazione delle Funzioni Esecutive; Analisi Funzioni Esecutive Maggio-Giugno; Dati Relativi al Periodo Maggio-Giugno 2016; Il Trattamento delle Funzioni Esecutive; Analisi Funzioni Esecutive Ottobre-Novembre; Dati Relativi al Periodo di Ottobre-Novembre 2016
 
DISCUSSIONE DEI RISULTATI E CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA - SITOGRAFIA
 
Tesi di Laurea di: Elisabetta TROILO
 

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