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Media digitali: angeli o demoni? - Infanzia digitale - Tecnologia digitale, scuola e apprendimento

Infanzia Digitale

Vivendo sempre più a contatto con le nuove tecnologie non solo mostrano dipendenza da queste, ma manifestano un nuovo modo di guardare il mondo,di coglierne i segnali, di ricercarne gli stimoli. Osservatorio Nazionale per l’Infanzia

Infanzia digitale

La rivoluzione digitale ha generato, secondo Cantelmi, una vera e propria mutazione antropologica, in grado di ridimensionare il sistema cervello-mente dell'uomo del III millennio.  La popolazione nata verso la fine degli anni Novanta e intorno agli anni Duemila viene definita con la locuzione "nativi digitali" (Prensky, 2001). Si tratta di una generazione che nasce e cresce immersa nel contesto della rivoluzione tecnologica e sa padroneggiare con sempre maggiore facilità gli strumenti che la contraddistinguono. In questa nuova competenza i bambini superano gli adulti, differenziandosene per la loro innata intelligenza digitale.  I-Generation, Generation Touch-screen o ancora Thumb Generation, sono diventati altri appellativi per designare questo tipo di intelligenza, che si riferisce all'approccio verso i nuovi media digitali, sempre più presenti nelle vite di adolescenti e bambini odierni, ma anche in quelle dei loro genitori. Questi ultimi subiscono, infatti, una sorta di fascinazione da parte delle neo-tecnologie, essendone assidui fruitori e ai figli forniscono in tal modo un modello di comunicazione tecno-mediata. L'utilizzo dei mezzi digitali è entrato prepotentemente nella quotidianità di moltissime famiglie, sostituendosi spesso all'interazione faccia a faccia, sottraendo tempo prezioso alla relazione e soprattutto al gioco, in termini di deprivazione di esperienze sensoriali diversificate. M. Spitzer, professore e neuroscienziato tedesco, parla di demenza digitale in riferimento al gesto di scorrimento delle dita su un piano liscio, senza contorni e struttura (come quello dei touch-screen), definendolo come un atto semplice a livello motorio  e noioso a livello sensoriale. Secondo lui il bambino ha bisogno di esperienze più complete: all'input ottico deve corrisponderne uno acustico e uno tattile affinché il cervello non si confonda. Ma il cervello si sta trasformando profondamente e velocemente in funzione dell'interazione con i nuovi media ed in risposta agli stimoli provenienti da un ambiente sempre più digitalizzato ed interconnesso (Ferri 2013). Sempre più di frequente si possono osservare bambini che, in fasi precocissime della vita, mostrano una sorprendente capacità d' uso dei dispositivi digitali, verosimilmente correlabile a modificazioni epigenetiche. Se è vero che la modalità multitasking (cioè utilizzare più canali sensoriali e più schemi motori contemporaneamente) risulta amplificata e migliorata per l'approccio precoce alle psico-tecnologie, è pur vero che un contatto troppo prematuro e prolungato con la realtà mediatica rende difficile al bambino individuare la sottile linea di confine tra uomo e macchina (Cantelmi, 2013). Con l'introduzione sul mercato di giochi sempre più complessi, impegnativi e tecnologici, il modo in cui i bambini percepiscono tali oggetti è completamente cambiato rispetto al passato. Il bambino che vive nell'era digitale assimila i giochi e gli oggetti elettronici a macchine psicologiche, considerandoli come viventi. In particolare le creature digitali, nell'ambito di giochi di vita artificiale, che riproducono cicli di nascita, crescita e morte e forme di accudimento e nutrimento (per esempio il tamagotchi), accentuano maggiormente la confusione dei bambini rispetto alla dicotomia reale/virtuale. (Turkle, 2001). Inoltre adottando modelli di pensiero e di comportamento adulto-simili, i bambini si allontanano dalla propria dimensione emotiva e mostrano difficoltà anche nel comprendere, elaborare e discriminare le emozioni altrui. Gli stimoli emotigeni provenienti dalle tecnologie possono ipersensibilizzare i bambini che ne abusano, soprattutto in assenza dell' intermediazione data dalla presenza di un adulto significativo. Il sovraccarico informazionale (information overload) e la massiccia stimolazione sensoriale rendono il bambino sempre più incapace di ritenere, processare, mentalizzare, ed integrare i dati che gli arrivano dal mondo esterno, con conseguente senso di disorientamento che permane ai livelli profondi della coscienza. La desensibilizzazione emotiva e la riduzione delle interazioni sociali, connesse all'abuso di dispositivi elettronici, in particolare tv e videogiochi violenti, correlano con la comparsa di condotte antisociali nella prima età adulta (Robertson, McAnally e Hanox, 2013).

Per ciò che concerne il funzionamento cognitivo, mediato dalle funzioni esecutive che sono alla base del comportamento finalizzato (attenzione, memoria, autoregolazione, controllo inibitorio, problem-solving, gratificazione differita), è stato dimostrato che esso risulta essere più povero nei bambini che già nella prima infanzia utilizzano i media digitali. Da uno studio sperimentale controllato è emerso che i bambini in età prescolare, dopo aver visionato per 9 minuti un programma televisivo popolare con animazioni molto veloci, avevano una significativa riduzione delle funzioni esecutive, rispetto ai bambini che avevano disegnato o visto un programma educativo (Lillard et al., 2011).

E' indubbio che ogni innovazione tecnologica abbia suscitato iniziali entusiasmi, giustificati dalle  sue enormi potenzialità, ma sempre più spesso ci si interroga sugli effetti ed i rischi connessi all' abuso dei nuovi media in età pediatrica. Nella fascia d'età che va da 0 a 8 anni si registra una fruizione delle tecnologie digitali che aumenta in maniera esponenziale, anche per la loro maggiore disponibilità all'interno delle famiglie. Secondo uno studio effettuato in una comunità urbana a basso reddito (Kabali et al., 2015), la maggior parte delle famiglie possiede televisione (97%), tablet (83%), smartphone (77%) e all'interno di esse 3 bambini su 4 hanno già un proprio dispositivo all'età di 4 anni. I genitori stessi ne permettono l'uso da parte dei figli mentre loro svolgono faccende domestiche (70%), per calmare i bambini in luoghi pubblici (65%) o per facilitare loro il sonno (29%). In questo scenario i media vengono considerati come una sorta di baby-sitter o "ciucci digitali" ( "digital pacifiers" ), in quanto tranquillizzano i bambini e li tengono al sicuro. I bambini piccoli, però, hanno necessità dell’interazione con persone reali, in quanto non sono in grado di percepire l’unità di immagini e suoni provenienti da fonti diverse, devono prima impararla nel mondo reale, dove le parole che udiamo provengono direttamente dalla bocca che si muove (Spitzer, 2005). Se ne deduce che il tempo passato davanti a un video dai bambini sotto i 3 anni, è inutile ai fini dell’apprendimento linguistico. Alcuni ricercatori hanno fatto ascoltare a bambini californiani tra i 9 e i 10 mesi delle parole cinesi, di persona o attraverso un video o solo con un audio. Nel caso dei media elettronici non è avvenuto alcun apprendimento, mentre tramite l’interazione con le persone è emerso l’apprendimento di un elevato numero di sillabe cinesi (Kuhl, Tsao e Liu, 2003). In uno studio su 1000 bambini statunitensi, è stato chiesto ai genitori di descrivere con precisione le abitudini di utilizzo dei media da parte dei figli, quindi è stato condotto un test linguistico con i bambini. Risultato: i bambini piccoli che guardano più video (tv o dvd) conoscono un numero nettamente inferiore di parole, ovvero mostrano un ritardo nello sviluppo linguistico (Zimmerman, Christakis e Meltzoff, 2007).

L' esposizione prolungata agli schermi comporta anche conseguenze fisiologiche sulla qualità del sonno. La presenza di apparecchi elettronici (tv, pc, smartphone) in camera da letto correla con ritardo di addormentamento, ridotta durata di sonno, aumento della resistenza a dormire, elevata percentuale di sonno disturbato. Inoltre la luce emessa dalla strumentazione elettronica sopprime il picco di melatonina e ne altera il ciclo neurofisiologico. (Van den Bulck, 2003,2006; Calamaro et al., 2006, 2009; Oka et al., 2008; Yen et al., 2008). Alterazioni del sonno rappresentano un importante fattore di rischio per altri problemi, quali obesità, comportamenti impulsivi, basso rendimento scolastico.

 

Tecnologia digitale, scuola e apprendimento

Numerose ricerche dimostrano come la tecnologia informatica eserciti un effetto negativo sull’istruzione. Confrontando il rendimento dei soggetti che studiano con o senza computer, si evidenzia un effetto negativo sui risultati del gruppo di studio con mezzi informatici (Wenglinsky, 1998). Gli economisti Joshua Angrist e Victor Lavy hanno denunciato, dopo l’introduzione dei computer nelle scuole d’Israele, un abbassamento del rendimento in matematica negli alunni di quarta elementare e ulteriori effetti negativi in altre materie negli allievi delle classi superiori (Agrist e Lavy, 2002). Gli studi sull’effetto del computer sul rendimento scolastico condotti da Thomas Fuchs e Ludger Wossmann (2004) evidenziano che avere un computer a casa porta a un peggioramento delle prestazioni scolastiche. È un fenomeno che riguarda sia il calcolo che la lettura. Gli autori commentano così i risultati: "La presenza di un computer in casa conduce in primo luogo i bambini a giocare con i videogiochi. Questo li distoglie dallo studio e si ripercuote negativamente sui risultati scolastici.  Per quanto riguarda l’utilizzo dei computer a scuola, si è evidenziato come gli studenti che non utilizzano mai questo strumento ottengono più raramente brutti voti rispetto a quelli che lo usano poche volte all’anno o poche volte al mese.  Viceversa, le capacità di lettura e di calcolo dei soggetti che stanno al computer più volte a settimana, sono decisamente peggiori. Lo stesso vale per l’uso di Internet a scuola».

L’utilizzo del computer nei primi anni della scuola materna può provocare disturbi dell’attenzione (Christakis et al., 2004) e successivamente dislessia (Ennemoser e Schneider, 2007). In età scolare si registra un incremento dell’isolamento sociale, come dimostrato da studi statunitensi (Kraut et al., 1998; Sanders et al., 2000; Subrhmanyam et al., 2000) e tedeschi (Thalemann et al., 2004). Nella Corea del Sud, il paese con la maggior diffusione di media digitali nelle scuole, un’indagine del Ministero ha evidenziato come nel 2010 il 12% di tutti gli studenti avesse sviluppato una dipendenza da Internet (Kim, 2011). In una ricerca del 2010 svolta nel North Carolina, tra i ragazzi di 10-14 anni, è emerso che l’accesso a un portatile e a Internet a casa abbassava il rendimento scolastico in matematica e lettura (Vigdor, Ladd e Martinez, 2014). In Romania nel 2008 il Ministero per la Cultura aveva distribuito circa 35000 buoni del valore di 200 euro ciascuno per l’acquisto di un computer portatile per le famiglie socialmente più disagiate, con figli in età scolare. Valutazioni successive hanno dimostrato che questi bambini usavano il computer meglio dei coetanei, ma il loro rendimento in matematica era peggiore e il computer veniva usato soprattutto per giocare (Malamud e Pop-Eleches, 2010).

Inoltre l’uso della tecnologia digitale non influisce sull’apprendimento solo in modo diretto, ma anche indirettamente, privando del tempo, delle energie e della motivazione per studiare. Uno dei principali strumenti studiati in questo senso sono i videogiochi. I bambini che si dedicano ai videogiochi trascorrono il 30% di tempo in meno a leggere, e il 34% di tempo in meno a svolgere compiti rispetto ai bambini che non lo fanno (Cummings e Vandewater, 2007). È emersa anche un’associazione diretta tra il possesso della PlayStation, uno scarso rendimento scolastico e maggiori problemi scolastici (Weiss e Cerankosky, 2010). I videogames stimolano il giocatore: a differenza della televisione, l’utente non è passivo, ma interviene attivamente sugli eventi. Il fatto di vincere le sfide, di superare delle prove, non soltanto provoca a breve termine un effetto gratificante, ma spinge l’utente a continuare con insistenza. Questi si dimentica del tempo che passa e di se stesso, immergendosi totalmente nell’attività e provando una sensazione di piacere. L’attivazione del sistema di ricompensa da parte dei videogiochi corrisponde a quella prodotta da altre attività che inducono dipendenza (Koepp et al., 1998). Durante il gioco con i videogames si verifica un significativo incremento della produzione di dopamina, un neurotrasmettitore che, oltre ad essere coinvolto nell’apprendimento e nel consolidamento mnemonico delle nuove informazioni, è correlato anche con il potenziamento del comportamento aggressivo, legato al piacere ed alla ricerca di nuove ed intense emozioni. È presente quindi una stretta relazione basata sul rinforzo reciproco tra utilizzo massiccio di videogiochi, sviluppo di uno stile alessitimico di personalità, ricerca attiva di nuove emozioni e sovrapproduzione di dopamina (Cantelmi, 2006). In età adulta possono svilupparsi delle vere e proprie forme di dipendenza tecnologica che nascono dalla sensazione di benessere, mediata dalla sovrapproduzione di dopamina. L’interruzione dell’abuso, come nella dipendenza da sostanze, provoca nei soggetti dei sintomi fisici molto simili a quelli manifestati dai tossicomani in crisi d’astinenza. La dipendenza in forma grave può trasformarsi in Trance Dissociativa da Videoterminale (Caretti, 2000), che consiste in uno stato involontario di trance con alterazione dello stato di coscienza, depersonalizzazione e perdita dell’abituale senso di identità personale, che può essere sostituita o meno da un’identità alternativa (avatar) che influenza o dissolve quella abituale. Il termine “dissociazione” indica la sconnessione di una o più parti delle funzioni mentali, solitamente integrate, come la coscienza, la memoria, l’identità e la percezione dell’ambiente, dal resto della coscienza, con la conseguenza che questa parte scissa si comporterà come un’identità mentale indipendente dalla personalità globale, la quale non riuscirà ad esercitare nessun controllo su di essa (Cantelmi, 2006).

Altre ricerche hanno evidenziato conseguenze negative dell'abuso dei videogames sulla concentrazione e l’attenzione, oltre che sulla funzione visiva. Da uno studio svolto su 53 videogamers è emersa una relazione tra le ore di gioco, l’impulsività decisionale e la capacità di portare a termine un compito (Irvine et al., 2013). La rivista internazionale "Journal of Pediatric Ophtalmology and Strabismus" ha pubblicato nel 2017 i risultati di una ricerca sul possibile rapporto tra esposizione a videogiochi e schermi in generale e insorgenza di disturbi visivi nei bambini di età compresa tra 3 e 10 anni (Rechichi, De Mojà e Aragona, 2017). I medici oculisti afferenti alle strutture sanitarie di Reggio Calabria e alla Clinica Oculistica dell' Università di Messina hanno diagnosticato per la prima volta la Sindrome da videogiochi. Sono stati esaminati 320 bambini suddivisi in due gruppi, in base al tempo medio giornaliero trascorso ai videogiochi, definito "sporadico" se inferiore a 30 minuti al giorno e non in tutti i giorni, oppure "prolungato" se superiore a 30 minuti al giorno e in tutti i giorni. Ogni gruppo a sua volta è stato diviso in due sottogruppi, in base al tempo dedicato ad altri tipi di schermi elettronici (tv, pc, tablet, smartphone): meno di 3 ore al giorno o 3 ore o più al giorno. I segni più frequenti riscontrati nei gruppi che abusano di videogiochi e schermi digitali sono: mal di testa, tics palpebrali, diplopia transitoria e vertigini, assenza di stereopsi fine (capacità di percepire la profondità di campo) e comparsa di vizi di refrazione (astigmatismo, miopia, ipermetropia).

Fallimenti scolastici possono conseguire anche al Disturbo da gioco su Internet, incluso nella Sezione III del DSM-V. Tale disordine esita in sintomi cognitivi e comportamentali analoghi a quelli riscontrabili nelle dipendenze da sostanze. Gli individui con disturbo da gioco su Internet tipicamente dedicano a questa attività 8-10 ore o più al giorno e almeno 30 ore a settimana, privandosi spesso di cibo e sonno per lunghi periodi. Tra le altre caratteristiche diagnostiche proposte figurano: l'astinenza, ovvero irritabilità e ansia quando viene impedito il gioco su Internet; tolleranza, ovvero bisogno di crescenti quantità di tempo impegnati per giocare; tentativi infruttuosi di limitare la partecipazione ai giochi; perdita di opportunità scolastiche. Alcuni autori descrivono diagnosi associate al disturbo da gioco su Internet, quali disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo depressivo e sindrome da deficit di attenzione/iperattività.

Nel 2013 l' American Academy of Pediatrics ha fornito le linee guida sull'uso dei dispositivi digitali, scoraggiando l' utilizzo degli screen media nei bambini più piccoli di 2 anni e raccomandando un impiego giornaliero non superiore a 2 ore per quelli più grandi (Strasburger e Hogan, 2013).

Mentre molte scuole vogliono adottare l’uso dei tablet, Steve Jobs vietò l’uso dell’iPad ai propri figli, considerandolo uno strumento non adatto ai bambini (Bilton, 2014). Nel 2011 il New York Times descriveva una scuola steineriana nella Silicon Valley, che si vantava di non possedere alcun tipo di computer. Ad iscrivere i propri figli erano stati proprio gli impiegati di Google, Apple e Yahoo  (Richtel, 2011).

Demonizzare le nuove tecnologie è sterile quanto idealizzarle. Assume dunque rilevanza in questo senso l'adozione di limiti e cautele rispetto al loro utilizzo, soprattutto da parte di bambini e adolescenti, considerando la centralità di tali mezzi nelle loro vite.

 

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