RIFLESSIONE SULL’ESPERIENZA - L’intervento del TNPEE in Oncoematologia Pediatrica
Complessità e criticità emerse
Nel corso dei mesi durante i quali è stato svolto il progetto che ha portato al presente elaborato di tesi, sono stati rilevati alcuni elementi che, sebbene non abbiano impedito il procedere della presa in carico neuropsicomotoria, sicuramente l’hanno resa più complessa. Di seguito li riportiamo distinguendoli tra complessità derivanti dal contesto di tesi criticità correlate al progetto. Le prime, riteniamo, derivano dalla patologia e dalle terapie e sono perciò aspetti imprescindibili, con cui un terapista è chiamato a misurarsi e ad adattarsi e che non possono, almeno con gli attuali standard di cura, essere eliminati e superati. Le criticità correlate al contesto, invece, sono legate all’assenza di un TNPEE all’interno della Clinica e quindi alla non conoscenza delle esigenze che tale figura ha e sarebbero perciò superabili nel caso un TNPEE dovesse inserirsi nella realtà della Clinica e dell’équipe curante.
Complessità della patologia
Innanzitutto bisogna prendere in considerazione la complessità della patologia dei pazienti trattati. Una patologia oncoematologica è una malattia globale, che va a coinvolgere il bambino nella sua interezza. Pur non comportando deficit a livello cognitivo, le ricadute a livello fisico sono molto importanti e, come descritto precedentemente, la grave compromissione motoria ha forti ripercussioni a livello emotivo, poiché causa una forte dipendenza dalle figure di accudimento e una possibile svalutazione delle proprie capacità, che va ad incidere sull’immagine corporea del bambino.
Se si prendono in carico pazienti ricoverati in reparto degenze, come avvenuto nella quasi totalità dei casi trattati, la grave compromissione fisica deve essere presa in considerazione come complessità critica. Essa infatti limita la terapia: i bambini che è possibile trattare sono principalmente coloro che non presentano effetti collaterali della chemioterapia invalidanti, cioè coloro che sono sufficientemente forti e capaci di mantenere un’attenzione costante per il tempo sufficiente a svolgere la seduta. Chi viene sottoposto alla terapia chemioterapica o ha appena terminato tale terapia, è infatti spesso troppo debole anche solo per restare sveglio.
Potendo prendere in carico solo i pazienti in condizioni cliniche sufficientemente buone, spesso risulta difficile organizzare il setting poiché i pazienti inizialmente si presentano deboli, spesso caratterizzati da regressioni; successivamente si è osservato uno sviluppo, ma non di tipo lineare. Si sono osservati spesso delle riacquisizioni di competenze psicomotorie estremamente rapide, cui poteva seguire una perdita di tali acquisizioni, il tutto nel giro di pochi giorni. Si potrebbe perciò parlare di uno sviluppo a spirale, fatto di continue progressioni e regressioni, che rende difficile la stesura di un progetto riabilitativo neuropsicomotorio “classico” di tipo lineare.
Spesso dopo poche sedute i pazienti vengono dimessi e tornano a casa. A questo punto è possibile incontrarli solo quando vengono in visita presso DH per un controllo e in questi casi spesso dimostrano un cambiamento sostanziale rispetto a quando erano ricoverati in reparto. Tornare a casa, riprendere a muoversi in autonomia (si pensi solo al fatto di non essere più collegati al carrellino della flebo) senza essere costretti sempre negli stessi spazi, avere nuovi stimoli, sentirsi più forti fisicamente e più indipendenti emotivamente, tutto ciò fa sì che nel giro di pochi giorni un bambino riacquisti molto rapidamente le abilità perse nel corso del ricovero e superi parte delle regressioni precedentemente manifestate. Benché sia positivo, ciò comporta una rivoluzione nel setting terapeutico e negli obiettivi che il terapista deve porsi.
Segnaliamo inoltre come criticità la necessità di prevenire infezioni. L’abbassamento delle difese immunitarie, derivante dalla patologia e dalle terapie, comporta il rispetto di alcune regole igieniche, come il lavarsi le mani con il disinfettante o indossare il camice e la mascherina. Nel corso dell’esperienza è emerso come tali aspetti di prevenzione inibiscano l’interazione corporea e rendano più difficoltosa la comunicazione, forse con degli effetti anche sulla componente affettiva degli operatori e sull’elaborazione simbolica della cura per entrambi gli attori coinvolti, bambino e terapista.
La necessità di operare in un setting asettico si riflette anche sull’utilizzo del materiale. Non è possibile utilizzare tutti quei materiali che possono trasportare batteri, funghi o altri agenti patogeni. In particolare non è possibile utilizzare giocattoli che presentano parti in legno, in carta/cartone o di un qualche tipo di tessuto. Non è nemmeno possibile portare all’interno del reparto e del DH peluche o materiali in polvere (ad esempio la sabbia). Tutto ciò che viene utilizzato deve essere in materiale plastico facilmente lavabile e disinfettabile, e ciò riduce drasticamente le proposte che possono essere fatte in seduta. Alla fine di ogni seduta il materiale va disinfettato, cosa che comporta un certo dispendio di energie e di tempo.
Un ulteriore aspetto che ha reso particolarmente impegnativo svolgere il progetto nella Clinica di Oncoematologia Pediatrica è stato il dover apprendere una serie di nozioni e terminologie mediche specifiche del gruppo di patologie trattate. Oltre ad imparare quali siano gli effetti delle diverse patologie, è stato necessario conoscere almeno i principali farmaci utilizzati per sapere quali effetti essi producano a livello fisico, cognitivo ed emotivo. Si pensi al cortisone, che se assunto comporta gonfiore, senso di appetito e irritabilità. Si tratta di aspetti non secondari, che vanno ad incidere sullo stato di salute dei pazienti, sull’immagine corporea e l’equilibrio emotivo.
Criticità di spazi
All’interno della Clinica di Oncoematologia Pediatrica qualsiasi paziente trattato è ritenuto “grave”; di conseguenza le procedure mediche hanno la priorità, anche se medici ed infermieri si sono mostrati disponibili a fornire gli spazi necessari; di fatto in DH è possibile vedere i bambini solo il mercoledì pomeriggio condividendo a volte gli spazi con altri operatori o studenti che svolgono diversi progetti. Ciò causa serie difficoltà nel procedere regolarmente con le sedute:
- Si ha sempre l’incognita del setting: a volte non c’è alcuno spazio in cui fare terapia, la maggior parte delle volte lo spazio c’è, ma è differente da quello utilizzato la settimana precedente, rendendo più difficile creare la ritualità che caratterizza le sedute di neuropsicomotricità;
- Risulta limitante non poter avere una stanza fissa, perché oltre a rendere più difficoltoso l’adeguamento del bambino al setting, non è presente un luogo in cui sia possibile conservare il materiale psicomotorio; dovendo spostare ogni volta tutto il materiale, spesso si è costretti a selezionare preventivamente gli oggetti di seduta e, sebbene ciò sia positivo in quanto “costringe” ad anticipare la predisposizione del materiale e le attività, avere la completa disponibilità degli oggetti consentirebbe una gamma più ampia di possibilità e modulazione della seduta;
- Le stanze in cui si è potuto svolgere il progetto, poi, sono di dimensioni ridotte e sono sempre dotate di macchinari, computer, mensole con l’anta di vetro, scatole di medicinali, siringhe, provette, ecc. … che limitano lo spazio e la tipologia di gioco per il rischio di danneggiamento della strumentazione;
- Spesso nel corso delle sedute il personale del reparto ha avuto la necessità di entrare e ciò ha inevitabilmente interrotto il procedere dell’azione, rendendola meno fluida;
- Le stanze offrono uno scarso isolamento acustico: si può udire il pianto di un bambino o un medico che chiama al microfono un paziente per una visita. L’ambiente si è dimostrato carico di elementi distraenti, che possono ridurre l’attenzione e la quindi la performance dei bambini.
Per i bambini ricoverati in reparto, invece, la situazione è meno critica, poiché una stanza è libera ogni pomeriggio. Si tratta però della stanza procedure, quella utilizzata per i prelievi, la pulizia del catetere, le rachicentesi e gli aspirati midollari. Probabilmente tale luogo viene perciò associato a vissuti poco piacevoli, spesso dolorosi e/o traumatici. Inoltre
Per i pazienti del reparto risulta essere una criticità il carrellino della flebo che, oltre ad essere attaccato al bambino, deve essere collegato alla linea elettrica corrente, limitando ulteriormente il movimento.
Criticità di tempo
Per chi si trova in reparto degenze, il tempo è forse l’aspetto meno deficitario, in quanto, essendo ricoverati, possono stare tutto il tempo necessario in seduta. Chi invece è in DH, spesso passa l’intera giornata in attesa di fare gli esami necessari o le visite fissate, e perciò è disponibile a utilizzare parte del tempo per svolgere una seduta di neuropsicomotricità.
Una grande difficoltà è stata la gestione dell’appuntamento. Gli unici spazi sufficientemente grandi e disponibili sono gli ambulatori, liberi solo il mercoledì pomeriggio. Perciò quando la visita di controllo veniva fissata in un giorno diverso, non era possibile prevedere se si sarebbe trovato un ambulatorio libero.
Criticità di confronto con altre figure professionali
Complesso si è poi rivelato il lavoro di inter-équipe. Le diverse figure che operano all’interno della Clinica di Oncoematologia Pediatrica, forse a causa del numero di pazienti da seguire e della velocità di turnazione, faticano a dialogare tra loro e spesso, se un operatore necessita di confrontarsi con un’altra figura, deve farlo senza utilizzare canali ufficiali, quali ad esempio una riunione d’équipe. L’unico momento di confronto strutturato è la riunione di reparto che si svolge ogni mercoledì pomeriggio, nella quale però si discute principalmente degli aspetti clinici dei pazienti ricoverati, in quanto l’équipe curante tende a focalizzarsi sulla terapia clinica, lasciando assai poco tempo alle altre figure come le psico-oncologhe o la fisioterapista.
Ipotesi di un protocollo terapeutico per il T.N.P.E.E. all’interno della clinica di oncoematologia pediatrica
Il metodo di lavoro emerso, riportato nel quarto capitolo, trae origine dalla realtà nella quale ci si è trovati ad operare e nella dalla quale emergevano ostacoli, stimoli ed esigenze. Non va perciò considerato come un metodo di lavoro utilizzabile nella forma descritta in altre cliniche o nella stessa Clinica Oncoematologica Pediatrica di Padova in futuro, in quanto il personale, i protocolli, gli spazi, ecc… potrebbero mutare rendendo il metodo di lavoro inadatto.
A conclusione del presente elaborato di tesi, riteniamo possa essere utile, alla luce delle criticità e delle complessità emerse, ipotizzare un protocollo terapeutico spendibile in futuro come base dalla quale partire nell’eventualità che vengano svolti nuovi progetti di neuropsicomotricità presso la Clinica Oncoematologica Pediatrica di Padova. Esso nasce dall’esperienza svolta nel corso dei sei mesi vissuti all’interno della Clinica, ma cerca di risolvere le criticità emerse e adattare il normale metodo di lavoro del TNPEE composto dalla triade osservazione/valutazione – terapia – verifica, alle complessità precedentemente esposte.
FASE 1: Segnalazione del caso e presa in carico
- Il paziente giunge all’attenzione di una delle due psico-oncologhe del servizio attraverso i colloqui psicologici o la segnalazione da parte del personale sanitario o dei genitori stessi;
- Viene svolta una riunione tra il TNPEE e la psico-oncologa, la quale presenta il caso;
- Il TNPEE svolge un colloquio con i genitori del paziente (il paziente può essere presente, a seconda dell’età), nella quale indaga la storia clinica del paziente.
È ipotizzabile anche un lavoro di screening, qualora fossero presenti i mezzi sufficienti, per il quale il TNPEE effettua una valutazione di tutti i pazienti ricoverati, andando ad individuare coloro i quali potrebbero necessitare un intervento neuropsicomotorio. In quel caso, la prima FASE 1 del protocollo sarebbe suddivisa in:
- Il TNPEE effettua l’osservazione-valutazione di screening;
- Viene svolta una riunione di inter-équipe, nella quale vengono presentati i casi osservati e si decide un’eventuale presa in carico;
- Il TNPEE svolge un colloquio con i genitori del paziente (il paziente può essere presente, a seconda dell’età), nella quale indaga la storia clinica del paziente.
FASE 2: Valutazione e trattamento
Riteniamo che lo schema classico della presa in carico neuropsicomotoria non possa essere declinabile alla realtà della Clinica di Oncoematologia Pediatrica. In particolare risulta estremamente difficile distinguere le due fasi di osservazione/valutazione da quella di terapia. Ciò deriva da due complessità, precedentemente esposte:
- I bambini non possono garantire la presenza costante a causa delle possibili dimissione, delle visite, ecc.;
- Le esigenze, a motivo della ciclicità delle terapie, variano, a volte anche molto velocemente (per ex: un bambino ricoverato può mutare completamente le proprie esigenze una volta dimesso dal reparto).
Importante a nostro avviso diventa perciò il porre continua attenzione sul paziente e integrare il più possibile il proprio lavoro con le altre figure. Lo schema aperto e la ricerca qualitativa riteniamo possano essere modelli di lavoro cui ispirarsi per meglio adattare il proprio lavoro alla realtà della Clinica. Utile potrebbe altresì essere lo strumento del diario praxis, che, come si è visto, permette di rielaborare quanto accaduto.
La FASE 2 andrebbe perciò impostate come quanto segue:
- Ogni seduta viene impostata come seduta di terapia e di osservazione;
- Ogni seduta termina con una breve restituzione alla famiglia, così da concordare gli aspetti su cui andare a lavorare nel caso ci sia la possibilità di svolgere altre sedute;
- Al termine di ogni seduta, il TNPEE individua gli obiettivi sui quali andrà a lavorare nel successivo incontro;
- Vengono svolte periodiche riunioni di inter-équipe per discutere lo stato di salute del paziente e il prosieguo della presa in carico, valutando anche il possibile invio in strutture territoriali.
FASE 3: Restituzione
Se l’équipe curante valuta che il percorso terapeutico sia giunto alla conclusione, si può procedere nella seguente modalità:
- Il TNPEE redige una valutazione conclusiva nella quale riporta se e come gli obiettivi sono stati raggiunti;
- Attraverso un colloquio si riporta quanto concordato in équipe alla famiglia.
Accompagnamento alla morte
Non essendoci stata la possibilità di sperimentare una presa in carico neuropsicomotoria di pazienti in fase terminale, non riteniamo possibile ipotizzare con quali modalità essa possa essere svolta. È però importante considerare tale aspetto, che un terapista della neuro e psicomotricità sarebbe potuto chiamare a svolgere in una Clinica Oncoematologica Pediatrica.
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CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
ALLEGATI |
Tesi di Laurea di: Andrea SATTANINO |