Il linguaggio della psicomotricità e quello di altre discipline

La pratica psicomotoria è basata su una teoria sottostante, la strutturazione di tale teoria si è lentamente sviluppata nel tempo, attraverso osservazioni e analisi, la cui organizzazione e sistematizzazione ha richiesto l'uso di un linguaggio specifico che permettesse anche la veicolazione della conoscenza. Tuttavia, anche se un pensiero psicomotorio è rinvenibile fin da tempi lontani, la psicomotricità ha avuto il suo sviluppo successivamente all'avvento di altre discipline, quali la psicologia, la psichiatria, la psicoanalisi e le altre psicoterapie.

Naturalmente il linguaggio della psicomotricità non poteva non essere influenzato dal linguaggio e dalle terminologie di quelle discipline, cosa questa evidenziata dal fatto che nei linguaggi di queste teorie vi è spesso l'uso di termini simili. Ma ciò non vuoi dire che il significato dello stesso termine coincida nelle varie teorie, infatti, il più delle volte, è possibile trovare una diversità di significato più o meno grande.  

Se ciò è vero per quanto riguarda queste varie discipline, è altrettanto vero per le altre correnti e scuole presenti all'interno di esse. Non sfugge a tale destino la psicomotricità.

L'effetto di tale fenomeno ha portato ad una dilatazione semantica dei termini usati nelle varie teorizzazioní. Se in un primo tempo tutto questo ha portato un arricchimento, successivamente l'amplificazione è diventata a tal punto incontrollata da far rischiare la perdita di significato dei termini usati.

Ci si è venuti così a trovare in una sorta di Torre di babele, in cui la perdita di significato del linguaggio rende difficile la trasmissione delle conoscenze, il passare da una teoria all'altra diventa arduo e si rischia continuamente l'incomprensione. Ciò si riflette direttamente sulla possibilità di integrazione operativa tra i vari interventi terapeutici proposti.

La necessità di addivenire ad un linguaggio comune, pur nel rispetto delle diverse teorizzazioni e delle diverse strategie operative, è quanto mai necessario. Un tale sforzo, dai risultati ancora incerti, si sta tentando in alcuni campi. Ad esempio in ambito psichiatrico, la formulazione delle varie edizioni del DSM e dell'IDC, risponde a tali obiettivi. In ambito psicomotorio, bisogna registrare la presenza di varie scuole, basate su diverse teorizzazioni, che utilizzano il più delle volte linguaggi diversi.

Appare chiaro come il confronto e lo scambio di conoscenze sia difficile; sembrerebbe che, anche in quest'ambito, si sia più interessati alla difesa delle proprie posizioni che al dialogo con gli altri saperi. Ciò, naturalmente, si traduce in una perdita di possibilità terapeutica. Solo il recupero di un intento connessionale può permettere, non solo alla psicomotricità ma a tutte le discipline che si occupano del disagio umano, un recupero di capacità terapeutiche.

Inoltre, se la psicomotricità ha contribuito, con il suo specifico linguaggio, a quell'ampliamento semantico di cui si parlava, condivide con le altre discipline la difficoltà di trasmissione delle conoscenze a coloro che non si occupano scientificamente dell'intervento sul disagio psichico. Anche gli psicomotricisti, nel trasferire i concetti dal linguaggio specifico della psicomotricità a quello parlato comune, sono costretti ad operare una riduzione di significato, che rischia di banalizzarne i contenuti con la perdita di significato che, ancora una volta, può portare all'insignificanza. Appare evidente che il linguaggio psicomotorio è ossessionato, da un lato, dalla eccessiva specificità e, dall'altro, dalla banalizzazione.

Viene da chiedersi, a questo punto, qual è il linguaggio della psicomotricità, o meglio quali sono i linguaggi dello psicomotricista? Possiamo distinguere il linguaggio in terapia, il linguaggio con gli altri psicomotricisti, il linguaggio con gli operatori di altre discipline, il linguaggio con i non addetti ai lavori li momento in cui è più efficace il linguaggio dello psicomotricista è !à dove esso, come si è detto, è essenzialmente non verbale. Resta questa la maggiore difficoltà comunicativa dello psicomotricista, abituato com'è ad un'attenzione precisa verso la comunicazione non verbale.

Mi sembra di poter dire che è proprio l'essenza della terapia psicomotoria, che è principalmente comunicazione non verbale, a rendere problematica la sistematizzazione linguistica della conoscenza dello psicomotricista. Credo che esista sempre, nella traduzione linguistica del non verbale, una perdita di parte di significato. Prendiamo ad esempio, il termine "postura aperta". Solo in modo molto approssimativo riesco a tradurre ciò che l'individuo che ha questo tipo di postura trasmette con essa.

Per superare questo ostacolo, si ricorre ad altre espressioni in aggiunta a quello di postura aperta, ma ogni psicomotricista si rende conto che, anche dopo la più accurata delle descrizioni, qualcosa "non detto", indescrivibile, rimane, e cioè l'essenza dell'altro.

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