Il silenzio del corpo
Abbiamo visto come il corpo è punto di partenza in ogni istante di un'infinità di segni e segnali, che diventano comunicazione nel rapporto con l'altro; è l'essere che si manifesta ed esprime la sua intenzionalità verso l'altro attraverso il corpo.
A volte ci si trova ad avvertire, davanti all'altro, una strana sensazione: il corpo dell'altro non emette segnali e segni oppure essi sono caratterizzati dalla "non significanza" emotiva; succede cioè che non si crea in noi quella risonanza emotiva di cui parlavo prima. Possiamo parlare, in questo caso, di un corpo silenzioso, un corpo in cui non si manifesta l'essere. Ma, per dire questo, dobbiamo essere certi di poter escludere, da parte nostra, una incapacità a sentire il corpo dell'altro; solo in questo caso potremo parlare di silenzio del corpo.
Il silenzio del corpo esprime la totale indisponibilità comunicativa dell'essere, l'assoluta mancanza di intenzionalità rispetto all'altro. Sembrerebbe quasi che il disinvestimento del corpo sia totale e risponde proprio a questa mancanza di intenzionalità. Le emozioni si sono completamente ritirate nella mente, il corpo sembra essere diventato un involucro vuoto, incapace di trasmettere finanche la presenza dell'essere.
Ad esempio, è ciò che avvertiamo non solo davanti ad alcuni stati di stupore catatonico, caratterizzati dall'assoluta mancanza di movimento, da un tono simile a quello presente nelle fasi di sonno REM, da una postura indifferente, dalla flexbilítas cerea, ma anche in altri stati in cui pure è presente il movimento ma in modo innaturale, robotizzato. Stati in cui il corpo assume l'aspetto di una macchina che si muove a vuoto.
In questi casi non possiamo affidarci alla risonanza emotiva che si crea in noi, in quanto essa è assente. Ciò che sentiamo di emotivo in noi stessi ha a che fare non con qualcosa che proviene dall'altro (non ci può provenire niente da un corpo macchina o da un involucro vuoto) ma dalla nostra reazione al corpo silenzioso dell'altro. La comprensione dell'altro, in questo caso, non passa più attraverso il contatto empatico ma attraverso una comprensione razionale del modo di essere dell'altro. Si tratta quindi non di un "comprendere" ma di uno "spiegare". Di fronte al silenzio del corpo possiamo fare ricorso solo al metodo della spiegazione causale.
Tale concetto è simile, per certi versi, a quello espresso da Jaspers il quale, parlando di vissuti comprensibili e incomprensibili, individua due metodi dì indagine: l'Einfuhlung (comprensione per immedesimazione) e l'Erklaren (metodo della spiegazione causale).
Dal corpo silente, l'essere si è ritirato, rinunciando, con questo, a fondare la sua identità corporea, ma, a ben vedere, in tali soggetti la fragilità dell'io coincide con un vissuto di precaria identità sentita sempre sul punto di dissolversi al minimo urto.
Tra i fattori considerati capaci di determinare la dissoluzione dell'identità bisogna annoverare i mutamenti spaziali e temporali del corpo, cioè il movimento e i fenomeni collegati alla crescita e all'invecchiamento. Per questi individui, dunque, vi è un'impossibilità di mantenere un senso di identità in tali processi. Non resta altro, per loro, per conservare un senso di identità seppure precario, che ritirarsi dal corpo che, in questo modo, può contare a muoversi, a crescere, ad invecchiare, cioè a trasformarsi come una macchina.
L'inquietudine del terapista davanti a tali soggetti è dovuto al fatto che il corpo silente dell'altro evoca l'"immoto" e l'inquietudine, il disagio, nascono proprio dal contatto con l'"immoto". E l'immoto è la morte che è presente in ognuno come paura e come pulsione; pulsione, riprendendo Freud, proprio della materia vivente che continuamente tende a quello stato inanimato originario da cui si è staccata, pulsione che, infine, trova attuazione nella morte.
Per uno psicomotricista, dunque, il corpo silente dell'altro è forse la più terribile delle esperienze, non solo perché, essendo la terapia psicomotoria comunicazione non verbale, ha bisogno di un corpo che parla ma anche (soprattutto) perché egli è costretto ad entrare in contatto con uno dei nuclei più profondi e nascosti della psiche, generatore di un'angoscia grandissima.
Uno dei primi obiettivi, in questi casi, di un intervento terapeutico deve essere quello di ridare "voce al corpo", di permettere all'essere di andare di nuovo ad "abitare" il suo corpo.
Indice |
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INTRODUZIONE | |
Capitolo 1 | La comunicazione non verbale e la terapia psicomotoria |
1.1 Prossemica | |
1.2 Sguardo | |
1.3 Movimento (Gesto, Tono, Mimica) | |
1.4 Paralinguistica | |
1.5 Postura | |
1.6 Il punto di vista della psicomotricità | |
1.7 La terapia psicomotoria, il corpo, la relazione | |
Capitolo 2 | La comunicazione verbale in terapia psicomotoria |
Capitolo 3 | Corpo e comunicazione |
Capitolo 4 | Il silenzio del corpo |
Capitolo 5 | Alcune riflessioni sul concetto di fraintendimento |
Capitolo 6 |
Il linguaggio della psicomotricità e quello di altre discipline |
Capitolo 7 | La parola grido |
Capitolo 8 | Presentazione del caso: Jessica - Diagnosi |
8.1 Alcuni riferimenti sull'Autismo | |
8.2 Dati Anamnestici - Jessica | |
8.3 Prima Osservazione - Jessica | |
8.4 Seconda Osservazione - Jessica | |
8.5 Progetto Psicomotorio | |
8.6 Tre parametri squisitamente psicomotori | |
CONCLUSIONI | |
BIBLIOGRAFIA | |
Tesi di Laurea di: Silvia CARILLO |